Documenti e dati
1. “In una lista dei Casali di Napoli, estratta
dalla particolare numerazione fatta l’anno XIII
Ind. 1494, e presentata poi l’anno 1516...
compariscono Resina per fochi
novantasepte e Viduve fochi quarantacinque;
Crammani per dodici; Ponticello per
fochi septantatrè e Viduve fochi tre; Serino
e la Valle de’ Cozi per fochi
decisepte; Santo Joanne a Teduzzolo e la
Villa per fochi trentasei e Vedove fochi
doye... e così di altri”
.
2. E’ dunque nel periodo aragonese, e
precisamente nel 1494, che troviamo documentata
per la prima volta l’avvenuta unificazione del
Casale di Serino con la Varra de’ Cozi. Essi
sono infatti numerati insieme, come un unico
Casale di “fochi decisepte”.
3. Abbiamo già visto che per “foco” si intendeva
il “nucleo familiare”, corrispondente a cinque o
sei persone circa. Le “vìduve” (vedove) erano
evidentemente i nuclei familiari nei quali il
“pater familias” era morto e che, per questa
ragione, pagavano di meno.
4. Il Casale unificato aveva quindi,
all’incirca, poco più di 100 abitanti ed era
meno grande di “Santo Joanne a Teduzzolo e la
Villa” (che contava più di 200 abitanti) e di
“Ponticello” (che ne contava più di 400).
5. Abbiamo poi un’altra preziosa testimonianza,
ed è la làpide che si può, attualmente, vedere
murata nella “Arciconfraternita della SS.
Annunziata” in Barra e precisamente all’inizio
della scaletta esterna in pietra che sale verso
la cantorìa. La lapide reca la seguente
iscrizione:
MAYSTRE SUCCESSO
RE DE SANTO ATTEN
ASO DE VILLA SERINI
MCCCCLXXXXV
I “maystre successore de Santo Attenaso” sono
chiaramente i “magistri” della estaurìta di
Serino, che era appunto intitolata a S. Atanasio.
La lapide fu posta, evidentemente, per ricordare
qualche importante “opera” compiuta dai magistri,
anche se non dice quale fosse tale “opera”.
6. Considerando che la data riportata sulla
lapide (1495) è di appena un anno successiva a
quel 1494 che, in base al documento precedente,
è termine sicuro di avvenuta unificazione,
possiamo avanzare l’ipotesi che l’ “opera”
memorabile fosse proprio il restauro (con
ampliamento ed abbellimento) dell’antica chiesa
di S. Atanasio, avvenuto in occasione della
unificazione di Serino con la Varra de’ Coczi.
7. La vecchia chiesa del casale di Sirinum
doveva, da quel momento, essere la sede di una
estaurìta più grande e rappresentativa anche
degli abitanti della Varra de’ Coczi: è del
tutto ovvio, quindi, che Serino e la Varra
abbiano unificato le proprie risorse economiche
per provvedere all’ampliamento della “loro”
chiesa comune.
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Alfonso d'Aragona, detto il Magnanimo, statua di
Palazzo Reale Napoli |
L’unificazione
8. Al momento dell’unificazione, la Varra aveva,
molto probabilmente, un maggior numero di
abitanti rispetto a Serino (dei “diciasepte
fochi” complessivi, possiamo stimare a 7-8
quelli di Serino e 9-10 quelli della Varra) ed
era inoltre, in base a quanto abbiamo detto
parlando del periodo angioino, economicamente
più propulsiva.
9. Serino era, però, più antico e mantenne,
perciò, una certa egemonia sul piano delle
tradizioni e della “continuità” storica: oltre
alla chiesa di S. Atanasio, portò in dote al
Casale unificato il proprio antico stemma,
raffigurante la sirena uni-càuda con corona
ducale, che venne per l’occasione ritoccato,
rendendo la sirena bi-càuda, proprio a
significare l’unione dei due nuclei abitati.
10. Il Casale si chiamò, da allora, “Varra di
Serino” e ciò dovette sembrare ovvio, dal
momento che era stata la “Varra” a sorgere sul
territorio “di Serino”, già preesistente, e non
viceversa.
Il nome “Varra di Serino” fu quello adoperato
per tutto il Cinquecento e, sotto questo nome,
il Casale assorbì, intorno alla metà del detto
secolo, anche la vicina Casavaleria, come
vedremo meglio in seguito.
11. Gian Battista Basile ne “Lo cunto de li
cunti” (giornata III, trattenimento VI), la cui
prima edizione uscì a Napoli nel 1634, adopera
già il nome unico: la Varra (o la Barra) e lo
stesso nome unico troviamo documentato nella
descrizione dei Casali di Napoli fatta da O.
Beltrano nel 1646.
Barra di sopra e Barra di sotto
le torri
12. Alla fine del Quattrocento, all’epoca cioè
della costituzione del Casale unificato della
Varra di Serino, risalgono anche le famose
“torri”, che furono caratteristiche
dell’abitato.
13. Occorre qui anzitutto premettere che,
intorno al 1320, utilizzando una nuova sostanza
proveniente dalla Cina, la “polvere pìrica”,
venne inventata (a quanto sembra, dal monaco
detto Bertoldo il Nero) una nuova micidiale
arma: il cannone.
14. Da allora, e sempre di più nel Quattrocento,
mutò sensibilmente il modo di fare la guerra,
dato il peso crescente assunto dalle armi “da
fuoco”.
In particolare, proprio Alfonso I d’Aragona
possedeva il più grande parco di artiglieria
allora esistente in Europa e lo usò, al completo
e senza esitazioni, nell’assedio alla città di
Napoli, conclusosi nel 1442 con la conquista da
parte degli aragonesi.
15. L’introduzione delle nuove tecnologie
belliche impose la radicale trasformazione delle
imponenti strutture difensive cittadine (come
Castelnuovo) ma anche, in proporzione, dei
piccoli borghi come la Varra di Serino.
16. Così, al di sopra delle preesistenti
strutture “a corte” del casale, si elevarono
massicce torri-osservatorio, munite anche di
bocche da fuoco, per la difesa contro eventuali
nemici.
Queste torri caratterizzarono la struttura
urbanistica del Casale nel Cinquecento e nel
Seicento: ancor oggi, ne abbiamo testimonianza
nella torre del palazzo Bisignano.
17. Inoltre, poiché esse vennero costruite, per
maggiore efficacia, nella zona del Casale posta
più in alto (e precisamente nel tratto fra
l’attuale Via G. B. Vela e l’attuale Largo
Monteleone), contribuirono anche a modificare la
toponomastica dei luoghi: da allora, “Barra de’
Coczi” divenne “Barra di sopra le torri” (‘ncoppa
‘a Barra) mentre Serino fu “Barra di sotto le
torri” (abbascio Serino).
18. Le torri e le successive nuove abitazioni
furono costruite, per opporsi alle acque
torrentizie che abbiamo detto copiose, rialzate
dal piano-terra e protette ai lati da grossi
spessori di muro (detti “a scarpa”), presenti
ancora oggi in alcuni tratti.
Le due prammatiche di Ferrante
d’Aragona
19. Ma come mai proprio nel periodo aragonese si
determinarono quelle condizioni di crescita dei
pre-esistenti nuclei abitati, che portarono alla
loro unificazione e quindi alla nascita della
Varra di Serino?
20. In generale, le scelte politiche ed
economiche della Casa d’Aragona ebbero effetti
positivi per le popolazioni povere dei Casali.
“Allo svolgimento dei comuni meridionali giovò
particolarmente il regno di Ferrante I
d’Aragona, il quale nella prammatica del 23
luglio 1466, rimuovendo abusi introdotti, dié a
ciascuno libera facoltà di vendere i frutti
della terra senza impedimenti da parte di
prelati, conti e baroni, che usavano imporre di
vendere a loro ed a prezzi da loro tassati,
perché (diceva quel re) altrimenti si diserta la
coltura dei campi, cresce la povertà, non si è
in grado di soddisfare i pesi pubblici e si
impedisce la refectio regni...
E, nell’altra e maggiore prammatica del 14
dicembre 1483, non solo confermò quella facoltà
e tolse la privativa degli alberghi e osterie
baronali, vessatoria ai viaggiatori, e moderò
l’esazione dei sussidi, ma ordinò il
ripristino di tutti gli antichi usi civici
(di pascolo, in particolare) e che si
levassero tutte le chiusure, messe da
chiunque di qualsiasi dignità o grado”
.
21. Tali prammatiche furono considerate quasi
una “magna charta” dei diritti dei sudditi, che
ad esse continuarono a richiamarsi anche nei
secoli successivi, contro le nuove vessazioni
del vice-regno spagnolo.
22. Dunque,
la “varra” per le gabelle, che era stata posta
nel periodo angioino e che era stata
determinante per la nascita della Barra de’
Coczis, fu certamente tolta (se non lo era stata
già prima) nel 1483: ma ormai tutte le
condizioni economiche e sociali erano
completamente mutate.
23. L’arte della lana, introdotta già dagli
Angioini, ricevette dagli Aragonesi ulteriore
impulso: il re Ferrante introdusse e protesse
l’allevamento dei famosi “merinos”, pecore
provenienti dalla Spagna che davano una lana
particolarmente pregiata, ed anche per questo
fece ripristinare gli usi civici di pascolo e
togliere ogni possibile barriera al passaggio
delle greggi; inoltre, nel 1465, vietò
l’ingresso di lane straniere nel regno, per
favorire la vendita del prodotto locale.
24. L’arte della seta, a sua volta, ebbe un tale
sviluppo e fu posta su tali solide basi, da far
dire al Summonte nel 1585, certamente
esagerando, che metà della popolazione di Napoli
e dintorni viveva con quella attività.
La bonifica aragonese - Gli orti
“de’ parule”
25. Dal 1451 al 1458, Ferrante I d’Aragona
riprese e perfezionò l’opera di bonifica
iniziata dagli Angioini: ulteriore
prosciugamento delle paludi e definitiva
sistemazione della canalizzazione delle acque,
allo scopo di “non cagionar malaria alla città
di Napoli” e di utilizzare razionalmente come
“orti” gli appezzamenti di terreno che così si
venivano a definire, per provvedere alle
crescenti esigenze alimentari della popolazione
cittadina.
26. L’asse della bonifica aragonese fu il
cosiddetto “Fosso reale” (o “del Graviolo”),
realizzato da Ferrante nel 1485, fra il
“Poggio-reale” e la Barra.
“Questo canale, solcando il territorio dalla
Volla al mare, determinò una linea compluviale
al centro della zona, nonchè tutta una rete
minore di canali e collettori ad esso paralleli,
che caratterizzarono il paesaggio per la
geometricità degli appezzamenti utilizzati poi
ad orti.
La struttura imposta dagli aragonesi era ancora
leggibile fino al nostro secolo, come
efficacemente documenta il Franciosa
.
Egli nota che i famosi orti “de’ parule” e della
Volla costituiscono un parallelogramma slargato
al centro e stretto agli estremi, con la linea
compluviale da nord-est a sud-ovest, secondo la
direzione del “Torrente reale” che lo taglia nel
mezzo: tale conformazione è ben visibile nel
disegno da lui pubblicato”
.
27. In effetti, la struttura aragonese si
adeguava in modo intelligente al naturale
assetto idro-geologico della valle del Sebéto e
si costituiva parallelamente alle antiche “cupe”
che erano state scavate per secoli dalle acque
di displuvio che scendevano dalle pendici
vesuviane alla spiaggia.
Tali “cupe” costituiscono i più antichi
tracciati viari dello stesso abitato di Barra e
corrispondono alle attuali Via Villa Bisignano,
Via G. B. Vela e Via Mastellone, prolungate a
valle dalle attuali Vie Bernardo Quaranta e
“delle Figurelle”.
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L’uso nobile del territorio - La
villa del “Poggio reale”
28. “L’impostazione geometrica della
pianificazione della campagna indubbiamente subì
una diretta influenza dalla contemporanea
organizzazione del grande parco della villa di
Poggioreale; questa, nella sua perfetta adesione
ad uno schema rigorosamente geometrico, sia per
quanto riguarda la fabbrica che nel tracciato
generale del parco, si mostra infatti quale
elemento determinante per la ristrutturazione
del paesaggio agrario circostante”
.
29. E’ noto che sia Ferrante I d’Aragona, sia il
suo figlio primogenito ed erede al trono,
Alfonso II duca di Calabria, furono appassionati
ed accaniti cacciatori.
Essi ritennero che il territorio intorno al
Sebéto, per le sue caratteristiche naturali, si
prestasse a diventare, almeno in parte, una
ottima “riserva di caccia reale” e che,
costruendovi adeguate dimore, potesse quindi
ospitare, nei periodi dell’anno a questa
dedicati, la allegra e fastosa brigata dei
giovani e damigelle della corte, nonché il
cenàcolo degli erudìti intellettuali umanisti
(primi fra tutti, il Pontano ed il Sannazaro)
che i re aragonesi seppero raccogliere intorno
alla dinastia.
30. Esempio emblematico di tale nuovo uso del
territorio fu la costruzione, ad opera di
Alfonso II, della splendida villa sul colle che,
da allora e per questo, fu detto “Poggio reale”,
con il relativo adeguamento di tutta l’area
circostante.
31. Della magnifica villa, più nulla oggi
rimane. Essa sorgeva, approssimativamente,
sull’area attualmente compresa tra il carcere ed
il piazzale del cimitero, lungo la Via Nuova
Poggioreale. Opera del fiorentino Giuliano da
Maiano (1432-1490), fu edificata a partire dal
1487, ebbe il suo massimo fulgore nell’ultimo
scorcio del Quattrocento ma, a partire dalla
caduta della dinastia aragonese nel 1501, fu
abbandonata ad un progressivo degrado. La
possiamo ancora vedere, in tutto il suo
splendore, solo disegnata nella pianta di A.
Baratta del 1629.
32. Inizia, comunque, con gli Aragonesi,
quell’uso “nobile” della fascia di territorio
compresa fra la città, il Vesuvio ed il mare,
che troverà poi la sua massima espressione nel
Settecento, con la realizzazione del famoso
“miglio d’oro” delle ville vesuviane.
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La politica fiscale aragonese
33. Il sistema fiscale venne riorganizzato e
razionalizzato: al posto della vessatoria
“collecta” angioina fu istituita la tassa, detta
“focàtico”, consistente nel pagamento, per ogni
“fòco”, di 10 carlini (poi aumentati a 15 ed
infine a 20), da versare però in tre rate nel
corso dell’anno e ricevendo inoltre, dal
monopolio règio, un “tòmolo” gratuito di sale.
34. Gli abitanti dei Casali ebbero poi
particolari agevolazioni.
E’ noto che re Ferrante fece edificare, nel
periodo 1484-1488, la nuova cinta delle mura di
Napoli, onde adeguarla al crescente aumento
della popolazione.
“I lavori, presente la maestà de lo re,
signore re Ferrante et lo capo de dette mura,
messer Francisco Spiniello, furono
inaugurati il 15 giugno 1484, gettandosi nelle
fondamenta alcune monete d’oro per memoria.
La nuova cinta, che comprendeva 22 torri
cilindriche, partendo dal forte dello Sperone al
Carmine, seguiva l’attuale Corso Garibaldi e si
congiungeva alla nuova Porta Capuana, sorta più
avanti di quella vecchia che si trovava a
ridosso del Castelcapuano, eseguita da maestri
napoletani su disegno di Giuliano da Maiano (lo
stesso progettista della villa di Poggioreale) e
chiusa fra le due torri dette dell’Onore
e della Virtù ”
.
35. Subito dopo, per scoraggiare ulteriori
afflussi di persone in città ed evitare
l’abbandono del lavoro agricolo, si decise di
esentare del tutto i Casali del circondario,
come già Napoli, dal pagamento del focàtico.
In più, però, i Casali furono esentati anche dal
pagamento delle imposte di consumo, che
gravàvano invece sulla popolazione di Napoli.
36. La Varra di Serino, come altri Casali più
vicini alla capitale, fu infine restituita al
demànio règio e vi rimase anche dopo la caduta
della dinastia.
37. Rimanevano per tradizione alcuni residui
delle antiche servitù, come quelle legate alla
pulizia della città.
A tal riguardo, va ricordato che gli Aragonesi
istituirono, per la prima volta, un servizio
di nettezza urbana, dotato di propria
amministrazione, che venne affidato in appalto a
privati.
Il primo a vincere la gara di appalto fu
l’amalfitano Cola Pagliaminuta, onde gli addetti
alla pulizia della città vennero detti
“pagliaminuti”.
38. Su questo argomento, il Del Pezzo
riporta un singolare
documento: una lettera scritta il 22 aprile 1484
dagli “Incaricati alla nettezza della città” a
“Reggente e Giudici della Vicarìa”, perchè si
costringessero gli uomini dei Casali ad aiutare
i napoletani nello spazzamento della città,
secondo le antiche, pre-esistenti consuetudini!
Lo stesso Del Pezzo annota, però, che è poco
probabile che tale ingiunzione venisse fatta
rispettare.
39. Nell’insieme, è quindi evidente come la
politica fiscale aragonese risultasse
eccezionalmente mite per gli abitanti dei nostri
casali.
Considerazioni sul periodo
40. Le condizioni fin qui descritte (la
sistemazione razionale della campagna e la
possibilità di venderne liberamente i prodotti;
il ripristino degli usi civici; lo sviluppo
dell’ arte della lana e della seta; le
consistenti agevolazioni fiscali per i contadini
dei Casali) spiegano bene, in definitiva, il
processo di crescita, nel periodo aragonese, di
tutti i pre-esistenti nuclei abitati (Barra de’
Coczi, Serino, Casavaleria, etc.).
41. Questa crescita portò all’unificazione,
prima di Serino con Barra de’ Coczi e
successivamente, a metà del Cinquecento, anche
con Casavaleria.
42. In generale, tutta la valle del Sebéto
appare raggiungere, nel periodo aragonese, una
fase di stabilità economica, sociale e culturale
che produrrà poi ulteriore fioritura nel
Cinquecento, il quale fu secolo di notevole
espansione demografica ed economica, nonché di
crescita civile, proprio grazie alla base posta
dalla razionale sistemazione aragonese.
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Il Castello Aragonese di Ischia |
La trasfigurazione poetica
43. Non meraviglia che tutto questo possa essere
addirittura, dopo la lunga pausa del medioevo,
nuovamente evocato in chiave poetica.
44. I grandi cantori dell’epoca aragonese
furono, su tutti, Giovanni Pontano (1429-1503) e
Iacopo Sannazaro (1455-1530), principali
esponenti di quel cenàcolo di cultura umanistica
al quale già Alfonso I d’Aragona aveva dato vita
presso la sua corte.
45. In particolare, sia il Pontano che il
Sannazaro celebrano più volte, nelle loro opere,
il Sebéto e la sua valle, bella e operosa. Essi,
nella loro sensibilità umanistica, riprendono le
raffigurazioni classiche del Sebéto come un
nume, stabilmente in coppia con la sua città, la
sirena Partenope:
Spargi il tuo amor, Sebéto:
lo corrisponde la tua sposa Partenope...
Partenope ama Sebéto...
46. Ci si riporta così al mito antico, accennato
anche da Virgilio nell’ Eneide (VII,
733-736), secondo il quale dall’amore fra Sebéto
e la sua sposa Partenope sarebbe nata una bella
e dolce ninfa, chiamata Sebétide, che poi, data
in sposa a Telone re di Capri, avrebbe generato
Ebalo, primo re della città che prese il nome di
Partenope
.
46. Poeticamente, il Sebéto è un dio, che tiene
nella mano sinistra il càlamo (erba di palude),
pianta appropriata ai fiumi, e nella destra un
“dogliuolo” (cioè un vaso, di legno o di
terracotta) che versa acqua senza fine.
47. Così il Sannazaro:
“Finalmente arrivato ad una grotta, cavàta
nell’aspro tufo, trovai in terra sedere il
venerando Iddio, col sinistro fianco appoggiato
sovra un vaso di pietra che versava acqua; la
quale egli, in assai gran copia, facea maggiore
con quella che dal volto, da’ capelli e da’ peli
de la umida barba piovendoli continuamente vi
aggiungeva.
I suoi vestimenti a vedere parevano di un verde
limo; in la destra mano teneva una tenera canna,
et in testa una corona intessuta di giunchi.
E dintorno a lui, con disusato mormorìo, le sue
ninfe...”
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Giovanna d'Aragona, moglie
di Ferrante II |
48. Ma, dietro la trasfigurazione poetica, si
intravede la realtà che ne è il punto di
partenza: una valle agricola bella e operosa,
nella quale vivere comincia a diventare persino
piacevole:
“O liquidissimo fiume, o Re del mio paese,
o piacevole e grazioso Sebéto,
che con le tue chiare e freddissime acque
irrighi la mia bella patria,
Dio ti esalte!”
“Mi parea fermamente essere nel bello e lieto
piano che colui dicea; e vedere il placidissimo
Sebéto, anzi il mio napolitano Tevere, in
diversi canali discorrere per la erbosa campagna
e poi, tutto insieme raccolto, passare
soavemente sotto le volte d’un picciolo
ponticello e, senza strepito alcuno,
congiungersi col mare”
.
Cronologia dei Re Aragonesi di
Napoli
1442-1458 Regno di Alfonso I
d’Aragona, detto “il magnanimo”
1442 - Alfonso V d’Aragona conquista Napoli dopo
un lungo assedio e l’anno successivo vi entra
trionfalmente, con il titolo di Alfonso I “Rex
utriusque Siciliae” (“Re di entrambe le
Sicilie”, ossia del Regno di Sicilia con
capitale Napoli e di quello con capitale Palermi).
1453 – (29 maggio) Dopo una esistenza durata
oltre 1000 anni, finisce l’Impero Romano
d’Oriente: dopo tre mesi di assedio, la capitale
Bisanzio viene espugnata dai Turchi di Maometto
II; l’ultimo imperatore, Costantino XI
(1448-1453), muore nella battaglia; la città
brucia per tre giorni; sulle sue rovine, nasce
la Istanbul islamica e le chiese rimaste in
piedi, come S. Sofia, vengono trasformate in
moschee.
1458-1494 Regno di Ferdinando
(Ferrante) I d’Aragona, figlio di Alfonso I
|
Busto
di Ferdinando I d'Aragona (Ferrante), marmo dipinto, opera probabile di
Pietro di Milano. Parigi, Museo del Louvre (immagine tratta da Storia
d'Italia - Fratelli Fabbri Editori, 1965) |
1485-1486 Congiura “dei baroni” contro Ferrante.
1492 - Cristoforo Colombo approda nel “nuovo”
continente scoperto dagli europei, con le
caravelle fornite dai re di Spagna, Ferdinando e
Isabella; nello stesso anno, giunge a compimento
la “riconquista” cristiana della penisola
iberica, con la cacciata degli islamici da
Granada, ultima città loro rimasta; anche gli
ebrei vengono espulsi dalla Spagna.
1494 - Per
la prima volta, nella lista dei Casali di
Napoli, Serino e la Varra de’ Coczis appaiono
unificati.
1494-1495 Regno di Alfonso II
d’Aragona, figlio primogenito di Ferdinando I
|
Alfonso II (immagine tratta da Bastian
Biancardi, Le vite dei re di Napoli, Venezia 1737) |
1494-1495 Discesa in Italia (ed in Napoli) di
Carlo VIII, re di Francia.
1495-1496 Regno di Ferdinando
II d’Aragona, detto “Ferrandino”, figlio di
Alfonso II
1495 –
Làpide dei “magistri” nell’antica chiesa di S.
Atanasio (attuale Arciconfraternita della SS.
Annunziata).
1496-1501 Regno di Federico III
d’Aragona, fratello di Alfonso II.
|
Federico (immagine tratta da Bastian
Biancardi, Le vite dei re di Napoli, Venezia 1737) |
G. Doria- “Storia di una capitale”-
Napoli, Ricciardi, 1975.