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Piano dell'opera di Angelo Renzi

La Barra di Napoli nella storia

7. Il Periodo Aragonese (1442-1501)

di Angelo Renzi

Ti amo e ti odio. Come questo sia possibile,

non lo so. Ma lo sento. E mi tormento.

(da Catullo)

Né con te, né senza di te,

io posso vivere.

(da Ovidio)

olio su tela, 129x100 cm – anno 1705 (ca.). Tolosa, Musée des Augustins. Francesco Solimena (Canale di Serino, Avellino, 4 ottobre 1657 - La Barra di Napoli, 5 aprile 1747) "Ritratto di donna" Una donna, di cui non si conosce il nome, con i suoi gioielli deposti (o da indossare?) in un piatto d’argento: rappresenta forse, allegoricamente, la città di Napoli ... e perché non La Barra?

 

Documenti e dati

1. “In una lista dei Casali di Napoli, estratta dalla particolare numerazione fatta l’anno XIII Ind. 1494, e presentata poi l’anno 1516... compariscono Resina per fochi novantasepte e Viduve fochi quarantacinque; Crammani per dodici; Ponticello per fochi septantatrè e Viduve fochi tre; Serino e la Valle de’ Cozi per fochi decisepte; Santo Joanne a Teduzzolo e la Villa per fochi trentasei e Vedove fochi doye... e così di altri” [1].

2. E’ dunque nel periodo aragonese, e precisamente nel 1494, che troviamo documentata per la prima volta l’avvenuta unificazione del Casale di Serino con la Varra de’ Cozi. Essi sono infatti numerati insieme, come un unico Casale di “fochi decisepte”.

3. Abbiamo già visto che per “foco” si intendeva il “nucleo familiare”, corrispondente a cinque o sei persone circa. Le “vìduve” (vedove) erano evidentemente i nuclei familiari nei quali il “pater familias” era morto e che, per questa ragione, pagavano di meno.

4. Il Casale unificato aveva quindi, all’incirca, poco più di 100 abitanti ed era meno grande di “Santo Joanne a Teduzzolo e la Villa” (che contava più di 200 abitanti) e di “Ponticello” (che ne contava più di 400).

5. Abbiamo poi un’altra preziosa testimonianza, ed è la làpide che si può, attualmente, vedere murata nella “Arciconfraternita della SS. Annunziata” in Barra e precisamente all’inizio della scaletta esterna in pietra che sale verso la cantorìa. La lapide reca la seguente iscrizione:

MAYSTRE SUCCESSO

RE DE SANTO ATTEN

ASO DE VILLA SERINI

MCCCCLXXXXV

I “maystre successore de Santo Attenaso” sono chiaramente i “magistri” della estaurìta di Serino, che era appunto intitolata a S. Atanasio.

La lapide fu posta, evidentemente, per ricordare qualche importante “opera” compiuta dai magistri, anche se non dice quale fosse tale “opera”.

6. Considerando che la data riportata sulla lapide (1495) è di appena un anno successiva a quel 1494 che, in base al documento precedente, è termine sicuro di avvenuta unificazione, possiamo avanzare l’ipotesi che l’ “opera” memorabile fosse proprio il restauro (con ampliamento ed abbellimento) dell’antica chiesa di S. Atanasio, avvenuto in occasione della unificazione di Serino con la Varra de’ Coczi.

7. La vecchia chiesa del casale di Sirinum doveva, da quel momento, essere la sede di una estaurìta più grande e rappresentativa anche degli abitanti della Varra de’ Coczi: è del tutto ovvio, quindi, che Serino e la Varra abbiano unificato le proprie risorse economiche per provvedere all’ampliamento della “loro” chiesa comune.

Alfonso d'Aragona, detto il Magnanimo, statua di Palazzo Reale Napoli

L’unificazione

8. Al momento dell’unificazione, la Varra aveva, molto probabilmente, un maggior numero di abitanti rispetto a Serino (dei “diciasepte fochi” complessivi, possiamo stimare a 7-8 quelli di Serino e 9-10 quelli della Varra) ed era inoltre, in base a quanto abbiamo detto parlando del periodo angioino, economicamente più propulsiva.

9. Serino era, però, più antico e mantenne, perciò, una certa egemonia sul piano delle tradizioni e della “continuità” storica: oltre alla chiesa di S. Atanasio, portò in dote al Casale unificato il proprio antico stemma, raffigurante la sirena uni-càuda con corona ducale, che venne per l’occasione ritoccato, rendendo la sirena bi-càuda, proprio a significare l’unione dei due nuclei abitati.

10. Il Casale si chiamò, da allora, “Varra di Serino” e ciò dovette sembrare ovvio, dal momento che era stata la “Varra” a sorgere sul territorio “di Serino”, già preesistente, e non viceversa.

Il nome “Varra di Serino” fu quello adoperato per tutto il Cinquecento e, sotto questo nome, il Casale assorbì, intorno alla metà del detto secolo, anche la vicina Casavaleria, come vedremo meglio in seguito.

11. Gian Battista Basile ne “Lo cunto de li cunti” (giornata III, trattenimento VI), la cui prima edizione uscì a Napoli nel 1634, adopera già il nome unico: la Varra (o la Barra) e lo stesso nome unico troviamo documentato nella descrizione dei Casali di Napoli fatta da O. Beltrano nel 1646.

Castel Nuovo, L'ingresso con il trionfo di Alfonso

Barra di sopra e Barra di sotto le torri

12. Alla fine del Quattrocento, all’epoca cioè della costituzione del Casale unificato della Varra di Serino, risalgono anche le famose “torri”, che furono caratteristiche dell’abitato.

13. Occorre qui anzitutto premettere che, intorno al 1320, utilizzando una nuova sostanza proveniente dalla Cina, la “polvere pìrica”, venne inventata (a quanto sembra, dal monaco detto Bertoldo il Nero) una nuova micidiale arma: il cannone.

14. Da allora, e sempre di più nel Quattrocento, mutò sensibilmente il modo di fare la guerra, dato il peso crescente assunto dalle armi “da fuoco”.

In particolare, proprio Alfonso I d’Aragona possedeva il più grande parco di artiglieria allora esistente in Europa e lo usò, al completo e senza esitazioni, nell’assedio alla città di Napoli, conclusosi nel 1442 con la conquista da parte degli aragonesi.

15. L’introduzione delle nuove tecnologie belliche impose la radicale trasformazione delle imponenti strutture difensive cittadine (come Castelnuovo) ma anche, in proporzione, dei piccoli borghi come la Varra di Serino.

16. Così, al di sopra delle preesistenti strutture “a corte” del casale, si elevarono massicce torri-osservatorio, munite anche di bocche da fuoco, per la difesa contro eventuali nemici.

Queste torri caratterizzarono la struttura urbanistica del Casale nel Cinquecento e nel Seicento: ancor oggi, ne abbiamo testimonianza nella torre del palazzo Bisignano.

17. Inoltre, poiché esse vennero costruite, per maggiore efficacia, nella zona del Casale posta più in alto (e precisamente nel tratto fra l’attuale Via G. B. Vela e l’attuale Largo Monteleone), contribuirono anche a modificare la toponomastica dei luoghi: da allora, “Barra de’ Coczi” divenne “Barra di sopra le torri” (‘ncoppa ‘a Barra) mentre Serino fu “Barra di sotto le torri” (abbascio Serino).

18. Le torri e le successive nuove abitazioni furono costruite, per opporsi alle acque torrentizie che abbiamo detto copiose, rialzate dal piano-terra e protette ai lati da grossi spessori di muro (detti “a scarpa”), presenti ancora oggi in alcuni tratti.

Maschio Angioino (Castenuovo) Particolari del Portale di Alfonso I

Le due prammatiche di Ferrante d’Aragona

19. Ma come mai proprio nel periodo aragonese si determinarono quelle condizioni di crescita dei pre-esistenti nuclei abitati, che portarono alla loro unificazione e quindi alla nascita della Varra di Serino?

20. In generale, le scelte politiche ed economiche della Casa d’Aragona ebbero effetti positivi per le popolazioni povere dei Casali.

“Allo svolgimento dei comuni meridionali giovò particolarmente il regno di Ferrante I d’Aragona, il quale nella prammatica del 23 luglio 1466, rimuovendo abusi introdotti, dié a ciascuno libera facoltà di vendere i frutti della terra senza impedimenti da parte di prelati, conti e baroni, che usavano imporre di vendere a loro ed a prezzi da loro tassati, perché (diceva quel re) altrimenti si diserta la coltura dei campi, cresce la povertà, non si è in grado di soddisfare i pesi pubblici e si impedisce la refectio regni...

E, nell’altra e maggiore prammatica del 14 dicembre 1483, non solo confermò quella facoltà e tolse la privativa degli alberghi e osterie baronali, vessatoria ai viaggiatori, e moderò l’esazione dei sussidi, ma ordinò il ripristino di tutti gli antichi usi civici (di pascolo, in particolare) e che si levassero tutte le chiusure, messe da chiunque di qualsiasi dignità o grado” [2].

21. Tali prammatiche furono considerate quasi una “magna charta” dei diritti dei sudditi, che ad esse continuarono a richiamarsi anche nei secoli successivi, contro le nuove vessazioni del vice-regno spagnolo.

22. Dunque, la “varra” per le gabelle, che era stata posta nel periodo angioino e che era stata determinante per la nascita della Barra de’ Coczis, fu certamente tolta (se non lo era stata già prima) nel 1483: ma ormai tutte le condizioni economiche e sociali erano completamente mutate.

23. L’arte della lana, introdotta già dagli Angioini, ricevette dagli Aragonesi ulteriore impulso: il re Ferrante introdusse e protesse l’allevamento dei famosi “merinos”, pecore provenienti dalla Spagna che davano una lana particolarmente pregiata, ed anche per questo fece ripristinare gli usi civici di pascolo e togliere ogni possibile barriera al passaggio delle greggi; inoltre, nel 1465, vietò l’ingresso di lane straniere nel regno, per favorire la vendita del prodotto locale.

24. L’arte della seta, a sua volta, ebbe un tale sviluppo e fu posta su tali solide basi, da far dire al Summonte nel 1585, certamente esagerando, che metà della popolazione di Napoli e dintorni viveva con quella attività.

Maschio Angioino (Castenuovo) Particolari del Portale di Alfonso I

La bonifica aragonese - Gli orti “de’ parule”

25. Dal 1451 al 1458, Ferrante I d’Aragona riprese e perfezionò l’opera di bonifica iniziata dagli Angioini: ulteriore prosciugamento delle paludi e definitiva sistemazione della canalizzazione delle acque, allo scopo di “non cagionar malaria alla città di Napoli” e di utilizzare razionalmente come “orti” gli appezzamenti di terreno che così si venivano a definire, per provvedere alle crescenti esigenze alimentari della popolazione cittadina.

26. L’asse della bonifica aragonese fu il cosiddetto “Fosso reale” (o “del Graviolo”), realizzato da Ferrante nel 1485, fra il “Poggio-reale” e la Barra.

“Questo canale, solcando il territorio dalla Volla al mare, determinò una linea compluviale al centro della zona, nonchè tutta una rete minore di canali e collettori ad esso paralleli, che caratterizzarono il paesaggio per la geometricità degli appezzamenti utilizzati poi ad orti.

La struttura imposta dagli aragonesi era ancora leggibile fino al nostro secolo, come efficacemente documenta il Franciosa [3].

Egli nota che i famosi orti “de’ parule” e della Volla costituiscono un parallelogramma slargato al centro e stretto agli estremi, con la linea compluviale da nord-est a sud-ovest, secondo la direzione del “Torrente reale” che lo taglia nel mezzo: tale conformazione è ben visibile nel disegno da lui pubblicato” [4].

27. In effetti, la struttura aragonese si adeguava in modo intelligente al naturale assetto idro-geologico della valle del Sebéto e si costituiva parallelamente alle antiche “cupe” che erano state scavate per secoli dalle acque di displuvio che scendevano dalle pendici vesuviane alla spiaggia.

Tali “cupe” costituiscono i più antichi tracciati viari dello stesso abitato di Barra e corrispondono alle attuali Via Villa Bisignano, Via G. B. Vela e Via Mastellone, prolungate a valle dalle attuali Vie Bernardo Quaranta e “delle Figurelle”.

Sesquiducato in oro da un ducato e mezzo. Clicca sull'immagine per ingrandire

L’uso nobile del territorio - La villa del “Poggio reale”

28. “L’impostazione geometrica della pianificazione della campagna indubbiamente subì una diretta influenza dalla contemporanea organizzazione del grande parco della villa di Poggioreale; questa, nella sua perfetta adesione ad uno schema rigorosamente geometrico, sia per quanto riguarda la fabbrica che nel tracciato generale del parco, si mostra infatti quale elemento determinante per la ristrutturazione del paesaggio agrario circostante” [5].

29. E’ noto che sia Ferrante I d’Aragona, sia il suo figlio primogenito ed erede al trono, Alfonso II duca di Calabria, furono appassionati ed accaniti cacciatori.

Essi ritennero che il territorio intorno al Sebéto, per le sue caratteristiche naturali, si prestasse a diventare, almeno in parte, una ottima “riserva di caccia reale” e che, costruendovi adeguate dimore, potesse quindi ospitare, nei periodi dell’anno a questa dedicati, la allegra e fastosa brigata dei giovani e damigelle della corte, nonché il cenàcolo degli erudìti intellettuali umanisti (primi fra tutti, il Pontano ed il Sannazaro) che i re aragonesi seppero raccogliere intorno alla dinastia.

30. Esempio emblematico di tale nuovo uso del territorio fu la costruzione, ad opera di Alfonso II, della splendida villa sul colle che, da allora e per questo, fu detto “Poggio reale”, con il relativo adeguamento di tutta l’area circostante.

31. Della magnifica villa, più nulla oggi rimane. Essa sorgeva, approssimativamente, sull’area attualmente compresa tra il carcere ed il piazzale del cimitero, lungo la Via Nuova Poggioreale. Opera del fiorentino Giuliano da Maiano (1432-1490), fu edificata a partire dal 1487, ebbe il suo massimo fulgore nell’ultimo scorcio del Quattrocento ma, a partire dalla caduta della dinastia aragonese nel 1501, fu abbandonata ad un progressivo degrado. La possiamo ancora vedere, in tutto il suo splendore, solo disegnata nella pianta di A. Baratta del 1629.

32. Inizia, comunque, con gli Aragonesi, quell’uso “nobile” della fascia di territorio compresa fra la città, il Vesuvio ed il mare, che troverà poi la sua massima espressione nel Settecento, con la realizzazione del famoso “miglio d’oro” delle ville vesuviane.

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La politica fiscale aragonese

33. Il sistema fiscale venne riorganizzato e razionalizzato: al posto della vessatoria “collecta” angioina fu istituita la tassa, detta “focàtico”, consistente nel pagamento, per ogni “fòco”, di 10 carlini (poi aumentati a 15 ed infine a 20), da versare però in tre rate nel corso dell’anno e ricevendo inoltre, dal monopolio règio, un “tòmolo” gratuito di sale.

34. Gli abitanti dei Casali ebbero poi particolari agevolazioni.

E’ noto che re Ferrante fece edificare, nel periodo 1484-1488, la nuova cinta delle mura di Napoli, onde adeguarla al crescente aumento della popolazione.

“I lavori, presente la maestà de lo re, signore re Ferrante et lo capo de dette mura, messer Francisco Spiniello, furono inaugurati il 15 giugno 1484, gettandosi nelle fondamenta alcune monete d’oro per memoria.

La nuova cinta, che comprendeva 22 torri cilindriche, partendo dal forte dello Sperone al Carmine, seguiva l’attuale Corso Garibaldi e si congiungeva alla nuova Porta Capuana, sorta più avanti di quella vecchia che si trovava a ridosso del Castelcapuano, eseguita da maestri napoletani su disegno di Giuliano da Maiano (lo stesso progettista della villa di Poggioreale) e chiusa fra le due torri dette dell’Onore e della Virtù [6].

35. Subito dopo, per scoraggiare ulteriori afflussi di persone in città ed evitare l’abbandono del lavoro agricolo, si decise di esentare del tutto i Casali del circondario, come già Napoli, dal pagamento del focàtico.

In più, però, i Casali furono esentati anche dal pagamento delle imposte di consumo, che gravàvano invece sulla popolazione di Napoli.

36. La Varra di Serino, come altri Casali più vicini alla capitale, fu infine restituita al demànio règio e vi rimase anche dopo la caduta della dinastia.

37. Rimanevano per tradizione alcuni residui delle antiche servitù, come quelle legate alla pulizia della città.

A tal riguardo, va ricordato che gli Aragonesi istituirono, per la prima volta, un servizio di nettezza urbana, dotato di propria amministrazione, che venne affidato in appalto a privati.

Il primo a vincere la gara di appalto fu l’amalfitano Cola Pagliaminuta, onde gli addetti alla pulizia della città vennero detti “pagliaminuti”.

38. Su questo argomento, il Del Pezzo [7] riporta un singolare documento: una lettera scritta il 22 aprile 1484 dagli “Incaricati alla nettezza della città” a “Reggente e Giudici della Vicarìa”, perchè si costringessero gli uomini dei Casali ad aiutare i napoletani nello spazzamento della città, secondo le antiche, pre-esistenti consuetudini!

Lo stesso Del Pezzo annota, però, che è poco probabile che tale ingiunzione venisse fatta rispettare.

39. Nell’insieme, è quindi evidente come la politica fiscale aragonese risultasse eccezionalmente mite per gli abitanti dei nostri casali.

Considerazioni sul periodo

40. Le condizioni fin qui descritte (la sistemazione razionale della campagna e la possibilità di venderne liberamente i prodotti; il ripristino degli usi civici; lo sviluppo dell’ arte della lana e della seta; le consistenti agevolazioni fiscali per i contadini dei Casali) spiegano bene, in definitiva, il processo di crescita, nel periodo aragonese, di tutti i pre-esistenti nuclei abitati (Barra de’ Coczi, Serino, Casavaleria, etc.).

41. Questa crescita portò all’unificazione, prima di Serino con Barra de’ Coczi e successivamente, a metà del Cinquecento, anche con Casavaleria.

42. In generale, tutta la valle del Sebéto appare raggiungere, nel periodo aragonese, una fase di stabilità economica, sociale e culturale che produrrà poi ulteriore fioritura nel Cinquecento, il quale fu secolo di notevole espansione demografica ed economica, nonché di crescita civile, proprio grazie alla base posta dalla razionale sistemazione aragonese.

Il Castello Aragonese di Ischia

La trasfigurazione poetica

43. Non meraviglia che tutto questo possa essere addirittura, dopo la lunga pausa del medioevo, nuovamente evocato in chiave poetica.

44. I grandi cantori dell’epoca aragonese furono, su tutti, Giovanni Pontano (1429-1503) e Iacopo Sannazaro (1455-1530), principali esponenti di quel cenàcolo di cultura umanistica al quale già Alfonso I d’Aragona aveva dato vita presso la sua corte.

45. In particolare, sia il Pontano che il Sannazaro celebrano più volte, nelle loro opere, il Sebéto e la sua valle, bella e operosa. Essi, nella loro sensibilità umanistica, riprendono le raffigurazioni classiche del Sebéto come un nume, stabilmente in coppia con la sua città, la sirena Partenope:

Spargi il tuo amor, Sebéto:

lo corrisponde la tua sposa Partenope...

Partenope ama Sebéto... [8]

46. Ci si riporta così al mito antico, accennato anche da Virgilio nell’ Eneide (VII, 733-736), secondo il quale dall’amore fra Sebéto e la sua sposa Partenope sarebbe nata una bella e dolce ninfa, chiamata Sebétide, che poi, data in sposa a Telone re di Capri, avrebbe generato Ebalo, primo re della città che prese il nome di Partenope [9].

46. Poeticamente, il Sebéto è un dio, che tiene nella mano sinistra il càlamo (erba di palude), pianta appropriata ai fiumi, e nella destra un “dogliuolo” (cioè un vaso, di legno o di terracotta) che versa acqua senza fine.

47. Così il Sannazaro:

“Finalmente arrivato ad una grotta, cavàta nell’aspro tufo, trovai in terra sedere il venerando Iddio, col sinistro fianco appoggiato sovra un vaso di pietra che versava acqua; la quale egli, in assai gran copia, facea maggiore con quella che dal volto, da’ capelli e da’ peli de la umida barba piovendoli continuamente vi aggiungeva.

I suoi vestimenti a vedere parevano di un verde limo; in la destra mano teneva una tenera canna, et in testa una corona intessuta di giunchi.

E dintorno a lui, con disusato mormorìo, le sue ninfe...” [10]

Giovanna d'Aragona, moglie di Ferrante II

48. Ma, dietro la trasfigurazione poetica, si intravede la realtà che ne è il punto di partenza: una valle agricola bella e operosa, nella quale vivere comincia a diventare persino piacevole:

“O liquidissimo fiume, o Re del mio paese,

o piacevole e grazioso Sebéto,

che con le tue chiare e freddissime acque irrighi la mia bella patria,

Dio ti esalte!” [11]

 “Mi parea fermamente essere nel bello e lieto piano che colui dicea; e vedere il placidissimo Sebéto, anzi il mio napolitano Tevere, in diversi canali discorrere per la erbosa campagna e poi, tutto insieme raccolto, passare soavemente sotto le volte d’un picciolo ponticello e, senza strepito alcuno, congiungersi col mare” [12].

Cronologia dei Re Aragonesi di Napoli

1442-1458 Regno di Alfonso I d’Aragona, detto “il magnanimo”

1442 - Alfonso V d’Aragona conquista Napoli dopo un lungo assedio e l’anno successivo vi entra trionfalmente, con il titolo di Alfonso I “Rex utriusque Siciliae” (“Re di entrambe le Sicilie”, ossia del Regno di Sicilia con capitale Napoli e di quello con capitale Palermi).

1453 – (29 maggio) Dopo una esistenza durata oltre 1000 anni, finisce l’Impero Romano d’Oriente: dopo tre mesi di assedio, la capitale Bisanzio viene espugnata dai Turchi di Maometto II; l’ultimo imperatore, Costantino XI (1448-1453), muore nella battaglia; la città brucia per tre giorni; sulle sue rovine, nasce la Istanbul islamica e le chiese rimaste in piedi, come S. Sofia, vengono trasformate in moschee.

1458-1494 Regno di Ferdinando (Ferrante) I d’Aragona, figlio di Alfonso I

Busto di Ferdinando I d'Aragona (Ferrante), marmo dipinto, opera probabile di Pietro di Milano. Parigi, Museo del Louvre (immagine tratta da Storia d'Italia - Fratelli Fabbri Editori, 1965)

1485-1486 Congiura “dei baroni” contro Ferrante.

1492 - Cristoforo Colombo approda nel “nuovo” continente scoperto dagli europei, con le caravelle fornite dai re di Spagna, Ferdinando e Isabella; nello stesso anno, giunge a compimento la “riconquista” cristiana della penisola iberica, con la cacciata degli islamici da Granada, ultima città loro rimasta; anche gli ebrei vengono espulsi dalla Spagna.

1494 - Per la prima volta, nella lista dei Casali di Napoli, Serino e la Varra de’ Coczis appaiono unificati.

1494-1495 Regno di Alfonso II d’Aragona, figlio primogenito di Ferdinando I

Alfonso II (immagine tratta da Bastian Biancardi, Le vite dei re di Napoli, Venezia 1737)

1494-1495 Discesa in Italia (ed in Napoli) di Carlo VIII, re di Francia.

1495-1496 Regno di Ferdinando II d’Aragona, detto “Ferrandino”, figlio di Alfonso II

1495 – Làpide dei “magistri” nell’antica chiesa di S. Atanasio (attuale Arciconfraternita della SS. Annunziata).

1496-1501 Regno di Federico III d’Aragona, fratello di Alfonso II.

Federico (immagine tratta da Bastian Biancardi, Le vite dei re di Napoli, Venezia 1737)

Note

[1] Commentario 43 (1494-1497) Archivio Règia Camera. Vedi: Teresa Colletta-”La villa Sanseverino di Bisignano e il Casale napoletano della Barra” in “Napoli nobilissima”, vol.XIII, fascicolo IV, luglio-agosto 1974, nota 22.

[2] Benedetto Croce-”Storia del Regno di Napoli”- Napoli, 1924.

[3] L. Franciosa-”Gli orti del Paduli e della Volla presso Napoli”- Firenze, 1955, estratto dalla “Rivista geografica Italiana”, settembre 1955, pagg. 195-200.

[4] Teresa Colletta-”La villa Sanseverino di Bisignano e il Casale napoletano della Barra” in “Napoli nobilissima”, vol.XIII, fascicolo IV, luglio-agosto 1974.

[5] Teresa Colletta, op. cit.

[6] G. Doria- “Storia di una capitale”- Napoli, Ricciardi, 1975.

[7] Nicola Del Pezzo-”I casali di Napoli” in “Napoli nobilissima”, settembre 1892, pag. 5.

[8] Giovanni Pontano-“Lepidina”- “Si tratta di un grazioso idillio in latino, che celebra le nozze del nume Sebéto con la ninfa Partenope e s’adorna di belle rappresentazioni di paesaggi e di scene della vita popolare napoletana” (Sapegno).

[9] Vedi nn.11; 23; 28-29 de “Il periodo greco e romano”.

[10] Iacopo Sannazaro- “Arcadia”, XII.

[11] Iacopo Sannazaro- “Arcadia”, XII.

[12] Iacopo Sannazaro- “Arcadia”, XI.

Angelo Renzi


Pubblicazione de Il Portale del Sud, settembre 2016

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