Le mille città del Sud

 


menu Sud


Campania

 

Piano dell'opera di Angelo Renzi

La Barra di Napoli nella storia

Introduzione

di Angelo Renzi

Ti amo e ti odio. Come questo sia possibile,

non lo so. Ma lo sento. E mi tormento.

(da Catullo)

Né con te, né senza di te,

io posso vivere.

(da Ovidio)

olio su tela, 129x100 cm – anno 1705 (ca.). Tolosa, Musée des Augustins. Francesco Solimena (Canale di Serino, Avellino, 4 ottobre 1657 - La Barra di Napoli, 5 aprile 1747) "Ritratto di donna" Una donna, di cui non si conosce il nome, con i suoi gioielli deposti (o da indossare?) in un piatto d’argento: rappresenta forse, allegoricamente, la città di Napoli ... e perché non La Barra?

 

Barra, attualmente, è una parte di quell’informe agglomerato edilizio che è la vasta “area metropolitana” di Napoli: più di 4 milioni di abitanti, una densità abitativa fra le maggiori in Europa.

Più precisamente, è posta nella zona orientale del territorio del Comune di Napoli, del quale, insieme a S. Giovanni a Teduccio e Ponticelli, costituisce appunto la cosiddetta “periferia orientale”.

Un tempo “Règio Casale”; poi Comune autonomo; nel 1925, all’inizio del periodo fascista, “aggregata” al Comune di Napoli; dal 1980 al 2006, “Circoscrizione” dello stesso Comune; attualmente, insieme a Ponticelli e S. Giovanni a Teduccio, VI Municipalità del Comune partenopeo.

Come gli altri ex-Casali, è stata dunque “spogliata” finanche del nome…  oltre che di tutte le sue attività produttive. 

Per molti secoli fertile zona agricola, a breve distanza dal mare ed attraversata dal mitico fiume Sebéto, impreziosita dalla presenza di antichissime chiese e di una decina di Ville vesuviane del “Miglio d’oro”, la sua agricoltura è stata sostanzialmente distrutta nel XX secolo per far posto all’industria, ma la “vocazione industriale” è durata in realtà solo pochi decenni, lasciando dietro di sé una sorta di “paesaggio lunare con rovine”, mentre anche le tradizionali attività artigianali e le antiche attività commerciali a dimensione familiare vengono sempre più soppiantate da pochi grandi centri commerciali di proprietà di capitali stranieri o, peggio, di origine non sempre chiara. Così che [1]:

 

Lecito è domandarsi

in quale giuoco sei stata inclusa

per ottenere infine

una parte che pare senza senso.

 

Levàte enormi ville,

cresciuti dotti figli verso l’arti,

per libertà lottato,

con la tua parte accese le speranze

per quelli senza voce …

adesso stai muta e senza gloria

come mendìco in strada

che sola compagnia ha la bottiglia.

 

Il mito tuo, come ben altri,

del “miglio d’oro” è svanito soppiatto

e la tua assenza è inavvertita

perché è più semplice dimenticare.

 

L’origini tue, come fumo,

sono salite al cielo dei misteri …

 

Ogni leggenda perisce innocente

sotto il tallone dell’indecisione

e le passate gesta, pur se buone,

son come il fiume che finisce in mare.

 

E rammentare dei patrizi nomi,

delle diverse ville vesuviane,

dei pittori di ormai vane tele,

scultori e letterati, sembra odioso …

 

Ho visto una vecchia, coperta di cenci:

elemosinava per non morire.

L’ho vista scappare dagli sguardi

e bearsi di questo suo vivere.

Eri tu! Lo so, ti ho vista, ti ho vista!

 

E dunque, perché darti la parola?

 

Ma io penso  che riguardarti nelle feste

- come quella dei gigli -

mentre la folla empie le tue strade

divertendosi insieme

- come quelle dei santi,

come quelle che hai -

sia poter credere che tu abbia

nel tuo ventre vivo il preciso segno

di ciò che eri e sei.

 

E poi sognare,

mirando le vestigia diroccate,

che tu possa essere senza scempi,

come naviglio in vetro di bottiglia.

 

Sognare ancora

di vederti infine risollevare

dal tuo genuflettere scalzo

e portarti soltanto con le tue gambe.

 

Senza risveglio,

mirare la serenità comune

essere regola e non eccezione,

come il baco che tramuta in farfalla.

 

Ed io so  che, ai piedi dell’albero, un fiore

spesso trascorre la sua esistenza ignota:

lì dove al grembo tuo crescono bimbi,

tra materne mura intenti in studio,

sono coloro che diranno e faranno

solo in virtù del fatto che è giusto!

 

In questo spirito, il lavoro che segue vuol essere un tentativo, forse ambizioso, di contribuire, in piccola parte, a tracciare la storia di coloro “dei quali a nessuno importa” ed ancor più di guardare la storia in generale, ed in particolare la storia di Napoli, proprio “a partire dal  loro  punto di vista”.

E questo non per un vano gioco intellettualistico e/o per una fuggevole mozione del sentimento, bensì come adempimento di un preciso còmpito etico ed educativo.  

Negli ultimi quattro versi, Domenico Sena espone, con linguaggio poetico, questo còmpito: contribuire alla formazione di giovani che siano, per dirla con Gramsci, i nuovi “intellettuali organici” del Sud.

Che siano cioè:

- “portatori viventi” della memoria storica e quindi del senso di identità, continuità ed unità della nazione meridionale;

- animatori del processo storico per il quale un popolo prende coscienza e si organizza per trasformare la realtà;    

- competenti e disposti, in ogni circostanza storica, a mettere “ciò che è giusto” (= il bene comune di un popolo) al di sopra del proprio interesse personale.

Non è davvero poco, certamente, perché ...

 

L’ingiustizia oggi cammina con passo sicuro.

Gli oppressori si fondano su diecimila anni.

La violenza garantisce: com’è, così resterà.

Nessuna voce risuona tranne la voce di chi comanda

e sui mercati lo sfruttamento dice alto: solo ora io comincio.

Fra gli oppressi molti dicono ora:

quel che vogliamo, non verrà mai.

 

MA … chi ancora è vivo non dica: mai!

Quel che è sicuro, non è sicuro.

Com’è, così non resterà.

Quando chi comanda avrà parlato,

parleranno i comandati.

Chi osa dire: mai?

A chi si deve, se dura l’oppressione? A noi.

A chi si deve, se sarà spezzata? Sempre a noi.


Chi viene abbattuto, si alzi!

Chi è perduto, combatta!

Chi ha conosciuto la sua condizione, come lo si potrà fermare?

Perché i vinti di oggi sono i vincitori di domani

e il mai diventa: oggi!  (Bertolt Brecht, 1932)

 

Quanto a me:

Ho scritto le mie proposte in una lingua durevole

perché temo che molto ci voglia, finché siano adempiute. (Bertolt Brecht, 1956)

 

E proprio per questo, sarò ben lieto se il mio lavoro sarà “saccheggiato” (ovviamente, citando la fonte e senza scopo di lucro…), da chiunque lo ritenga “utile” e soprattutto da insegnanti di ogni ordine e grado che sapranno “tradurlo” nei “linguaggi” più adatti ai rispettivi allievi.

 

Verrà un giorno in cui sarà data lode a coloro

che dettero notizia delle pene di chi era in basso,

che dettero notizia delle gesta di chi lottava,

con arte, in tutti i linguaggi

innanzi riservati

alle glorie dei re.

 

Sì, verrà un tempo

che a quei savi e cortesi,

pieni d’ira e speranza,

che sulla nuda terra si posero per scrivere

nel cerchio di chi era in basso e di chi lottava,

sarà data pubblica lode. (Bertolt Brecht, 1939)


[1] Faccio mie, qui, con qualche adattamento, le parole dell’amico poeta barrese Domenico Sena: cfr D. Sena - “Riflessioni”, Ed. Magna Graecia, 2000, con “Introduzione” di Angelo Renzi.

Angelo Renzi


Pubblicazione de Il Portale del Sud, settembre 2016

Centro Culturale e di Studi Storici "Brigantino - il Portale del Sud" - Napoli e Palermo admin@ilportaledelsud.org ®copyright 2016: tutti i diritti riservati. Webmaster: Brigantino.

Sito derattizzato e debossizzato