Barra, attualmente, è una parte di quell’informe
agglomerato edilizio che è la vasta “area metropolitana”
di Napoli: più di 4 milioni di abitanti, una densità
abitativa fra le maggiori in Europa.
Più
precisamente, è posta nella zona orientale del
territorio del Comune di Napoli, del quale, insieme a S.
Giovanni a Teduccio e Ponticelli, costituisce appunto la
cosiddetta “periferia orientale”.
Un
tempo “Règio Casale”; poi Comune autonomo; nel 1925,
all’inizio del periodo fascista, “aggregata” al Comune
di Napoli; dal 1980 al 2006, “Circoscrizione” dello
stesso Comune; attualmente, insieme a Ponticelli e S.
Giovanni a Teduccio, VI Municipalità del Comune
partenopeo.
Come gli altri ex-Casali, è stata dunque “spogliata”
finanche del nome… oltre che di tutte le sue attività
produttive.
Per
molti secoli fertile zona agricola, a breve distanza dal
mare ed attraversata dal mitico fiume Sebéto,
impreziosita dalla presenza di antichissime chiese e di
una decina di Ville vesuviane del “Miglio d’oro”, la sua
agricoltura è stata sostanzialmente distrutta nel XX
secolo per far posto all’industria, ma la “vocazione
industriale” è durata in realtà solo pochi decenni,
lasciando dietro di sé una sorta di “paesaggio lunare
con rovine”, mentre anche le tradizionali attività
artigianali e le antiche attività commerciali a
dimensione familiare vengono sempre più soppiantate da
pochi grandi centri commerciali di proprietà di capitali
stranieri o, peggio, di origine non sempre chiara. Così
che
:
Lecito è domandarsi
in
quale giuoco sei stata inclusa
per
ottenere infine
una
parte che pare senza senso.
Levàte enormi ville,
cresciuti dotti figli verso l’arti,
per
libertà lottato,
con
la tua parte accese le speranze
per
quelli senza voce …
adesso stai muta e senza gloria
come mendìco in strada
che
sola compagnia ha la bottiglia.
Il
mito tuo, come ben altri,
del
“miglio d’oro” è svanito soppiatto
e
la tua assenza è inavvertita
perché è più semplice dimenticare.
L’origini tue, come fumo,
sono salite al cielo dei misteri …
Ogni leggenda perisce innocente
sotto il tallone dell’indecisione
e
le passate gesta, pur se buone,
son
come il fiume che finisce in mare.
E
rammentare dei patrizi nomi,
delle diverse ville vesuviane,
dei
pittori di ormai vane tele,
scultori e letterati, sembra odioso …
Ho
visto una vecchia, coperta di cenci:
elemosinava per non morire.
L’ho vista scappare dagli sguardi
e bearsi di questo suo vivere.
Eri
tu! Lo so, ti ho vista, ti ho vista!
E
dunque, perché darti la parola?
Ma
io penso
che riguardarti nelle feste
-
come quella dei gigli -
mentre la folla empie le tue strade
divertendosi insieme
-
come quelle dei santi,
come quelle che hai -
sia
poter credere che tu abbia
nel
tuo ventre vivo il preciso segno
di
ciò che eri e sei.
E
poi sognare,
mirando le vestigia diroccate,
che
tu possa essere senza scempi,
come naviglio in vetro di bottiglia.
Sognare ancora
di
vederti infine risollevare
dal
tuo genuflettere scalzo
e
portarti soltanto con le tue gambe.
Senza risveglio,
mirare la serenità comune
essere regola e non eccezione,
come il baco che tramuta in farfalla.
Ed
io so
che, ai piedi dell’albero, un fiore
spesso trascorre la sua esistenza ignota:
lì
dove al grembo tuo crescono bimbi,
tra
materne mura intenti in studio,
sono coloro che diranno e faranno
solo in virtù del fatto che è giusto!
In
questo spirito, il lavoro che segue vuol essere un
tentativo, forse ambizioso, di contribuire, in piccola
parte, a tracciare la storia di coloro “dei quali a
nessuno importa” ed ancor più di guardare la storia in
generale, ed in particolare la storia di Napoli, proprio
“a partire dal loro punto di vista”.
E
questo non per un vano gioco intellettualistico e/o per
una fuggevole mozione del sentimento, bensì come
adempimento di un preciso còmpito etico ed educativo.
Negli ultimi quattro versi, Domenico Sena espone, con
linguaggio poetico, questo còmpito: contribuire alla
formazione di giovani che siano, per dirla con Gramsci,
i nuovi “intellettuali organici” del Sud.
Che
siano cioè:
-
“portatori viventi” della memoria storica e
quindi del senso di identità, continuità
ed unità della nazione meridionale;
-
animatori del processo storico per il quale un popolo
prende coscienza e si organizza per
trasformare la realtà;
-
competenti e disposti, in ogni circostanza storica, a
mettere “ciò che è giusto” (= il bene comune di un
popolo) al di sopra del proprio interesse personale.
Non
è davvero poco, certamente, perché ...
L’ingiustizia oggi cammina con passo sicuro.
Gli oppressori si fondano su diecimila anni.
La violenza garantisce: com’è, così resterà.
Nessuna voce risuona tranne la voce di chi comanda
e sui mercati lo sfruttamento dice alto: solo ora io
comincio.
Fra gli oppressi molti dicono ora:
quel che vogliamo, non verrà mai.
MA … chi ancora è vivo non dica: mai!
Quel che è sicuro, non è sicuro.
Com’è, così non resterà.
Quando chi comanda avrà parlato,
parleranno i comandati.
Chi osa dire: mai?
A chi si deve, se dura l’oppressione? A noi.
A chi si deve, se sarà spezzata? Sempre a noi.
Chi viene abbattuto, si alzi!
Chi è perduto, combatta!
Chi ha conosciuto la sua condizione, come lo si potrà
fermare?
Perché i vinti di oggi sono i vincitori di domani
e il mai diventa: oggi!
(Bertolt
Brecht, 1932)
Quanto a me:
Ho
scritto le mie proposte in una lingua durevole
perché temo che molto ci voglia, finché siano adempiute.
(Bertolt
Brecht, 1956)
E
proprio per questo, sarò ben lieto se il mio lavoro sarà
“saccheggiato” (ovviamente, citando la fonte e senza
scopo di lucro…), da chiunque lo ritenga “utile” e
soprattutto da insegnanti di ogni ordine e grado che
sapranno “tradurlo” nei “linguaggi” più adatti ai
rispettivi allievi.
Verrà un giorno in cui sarà data lode a coloro
che
dettero notizia delle pene di chi era in basso,
che
dettero notizia delle gesta di chi lottava,
con
arte, in tutti i linguaggi
innanzi riservati
alle glorie dei re.
Sì,
verrà un tempo
che
a quei savi e cortesi,
pieni d’ira e speranza,
che
sulla nuda terra si posero per scrivere
nel
cerchio di chi era in basso e di chi lottava,
sarà data pubblica lode.
(Bertolt
Brecht, 1939)
Pubblicazione de Il Portale del Sud, settembre 2016 |