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Piano dell'opera di Angelo Renzi

La Barra di Napoli nella storia

9. Il Periodo dei Viceré Austriaci (1707-1734)

di Angelo Renzi

Ti amo e ti odio. Come questo sia possibile,

non lo so. Ma lo sento. E mi tormento.

(da Catullo)

Né con te, né senza di te,

io posso vivere.

(da Ovidio)

olio su tela, 129x100 cm – anno 1705 (ca.). Tolosa, Musée des Augustins. Francesco Solimena (Canale di Serino, Avellino, 4 ottobre 1657 - La Barra di Napoli, 5 aprile 1747) "Ritratto di donna" Una donna, di cui non si conosce il nome, con i suoi gioielli deposti (o da indossare?) in un piatto d’argento: rappresenta forse, allegoricamente, la città di Napoli ... e perché non La Barra?

 

Il “Vigliena”

1. L’ultimo viceré spagnolo di Napoli, Giovanni Emanuele Fernàndez Pacheco, duca di Escalona e marchese di Villena (1702-1707), lasciò la città il 7 luglio 1707 e si arrese agli austriaci nella fortezza di Gaeta il 30 settembre, dopo aver invano chiesto ripetutamente ai napoletani di battersi per fermare l’avanzata dell’esercito dell’imperatore austriaco Giuseppe I (1705-1711), un corpo di spedizione di 8.000 uomini guidato dal feld-maresciallo Wierech Philipp conte di Dhaun.

2. Il popolo napoletano, però, non aveva in realtà alcun motivo per preferire gli spagnoli agli austriaci, ed in sostanza si limitò semplicemente ad assistere al passaggio dei poteri fra i vecchi ed i nuovi arrivati.

3. Un significativo ruolo di mediazione, per impedire un inutile spargimento di sangue e contemporaneamente per scongiurare i consueti saccheggi cui il popolo usava abbandonarsi in simili occasioni, fu tenuto in città dai Gesuiti, in particolare da S. Francesco De Geronimo (Grottaglie di Taranto, 17 dicembre 1642; Napoli, 11 maggio 1716) che era allora responsabile del convento del Gesù Nuovo e svolgeva, già da più di trent’anni, un instancabile apostolato (le “missioni al popolo”) per le strade e nelle piazze di Napoli.

4. Il marchese di Villena non poté far altro che tornarsene amareggiato in Spagna, lasciando però il suo nome al fortino da lui fatto costruire, in quei perigliosi frangenti, presso il ponte della Maddalena e risultato, in quel momento, praticamente inutile.

5. Il fortino del Villena rimase, però, parte della struttura difensiva della città di Napoli per tutto il Settecento ed ebbe il suo momento di gloria (e la sua fine) nel corso delle vicende belliche legate alla Repubblica napoletana del 1799, come si dirà più estesamente in seguito, quando si tratterà di quest’ultima.

Nobili e togàti

6. Nel 1707 iniziò, quindi, il periodo di 27 anni, nel corso dei quali Napoli e l’Italia meridionale furono governati da viceré designati non più dalla Spagna bensì dall’imperatore austriaco.

7. Per il popolo, non cambiò sostanzialmente molto: i viceré si succedettero numerosi, governando per periodi brevi e talvolta brevissimi (il conte di Gallas meno di un mese, il marchese di Portocarrero solo quattro mesi), occupati prevalentemente dalla riscossione dei “donativi” e dalla spartizione degli “arrendamenti”, con scarsissima considerazione delle condizioni di vita delle classi più umili.

8. Quelli che poterono lasciare impronta più duratura (ma non necessariamente più positiva) furono: il conte di Dhaun (che governò in due periodi, il primo di alcuni mesi ed il secondo di 6 anni), il cardinale-conte di Althann (6 anni) ed il conte di Harrach (5 anni).

9. Per buona parte del periodo, gli imperatori austriaci (prima Giuseppe I, poi Carlo VI) stettero in guerra con le altre potenze europee (solo il decennio 1720-30 fu di relativa pace) e questo si traduceva in continui e sempre nuovi aumenti dei tributi, senza che alcun vantaggio ne venisse alla nazione napoletana.

10. La situazione interna rimase caratterizzata dagli arbìtri e dagli abusi del precedente periodo spagnolo ed anzi, per alcuni versi, si aggravò.

11. La vita politica ruotava intorno al conflitto di potere fra la vecchia aristocrazia feudale ed il ceto sempre più forte, ma anch’esso improduttivo, dei cosiddetti “togàti” cioè gli esponenti delle categorie forensi (magistrati, avvocati, cancellieri, etc.) i quali costituivano una potente corporazione, che si arricchiva navigando abilmente e con pochi scrupoli fra i ben undici diversi codici legislativi che erano in vigore nel regno, con relative eccezioni e privilegi, conflitti di competenze, incertezza nella distinzione dei poteri, corruzione diffusa ed abituale.

12. Basterà qui ricordare, emblematicamente, la figura di Alfonso Maria de’ Liguori (1696-1787) il quale, quando si sentì chiamato alla via della santità, comprese subito che la prima cosa da farsi era quella di lasciare la carriera di avvocato, precedentemente intrapresa, per assoluta ed evidente incompatibilità morale.

13. “La nostra professione è pericolosa; per salvarci l’anima, bisogna abbandonarla”. “Amico mio, la nostra vita è troppo amara e troppo pericolosa; noi facciamo una vita infelice e passiamo pericolo di fare mala morte. Io voglio lasciare i Tribunali, che non fanno per me, perché voglio salvarmi l’anima”.

14. Dagli speculatori del periodo spagnolo e dagli “azzecca-garbugli” arricchiti, cominciava quindi a nascere quella borghesia, di proprietari terrieri, di professionisti e di commercianti, che sarà poi vittoriosa “protagonista”, nell’Ottocento, della lotta contro la feudalità e contro la monarchia borbonica.

L’eruzione del Vesuvio nel 1707

15. Il periodo del vice-regno austriaco fu inoltre caratterizzato da una intensa ripresa dell’ attività vulcanica del Vesuvio: vi furono eruzioni nel 1707, 1714, 1717, 1723, 1724, che procurarono non pochi danni e grandi spaventi alle popolazioni dei Casali ad oriente della città, anche se Barra, in particolare, non patì alcunché di rilevante.

16. L’eruzione che provocò più scompiglio fu quella del 1707, iniziata il 28 luglio, solo una ventina di giorni dopo l’insediamento in città del primo viceré austriaco, conte di Martinitz.

17. Vi furono fragorose esplosioni ed il vento spinse i prodotti piroclastici in direzione di Napoli, suscitando grande preoccupazione.

18. A quella circostanza è legato l’altare con il busto di S. Gennaro che ancor oggi si vede nella piazzetta avanti la chiesa di S. Caterina a Formiello, vicino alla Porta Capuana.

19. Già l’anno prima, 1706, l’altare in onore del Santo patrono, disegnato da Ferdinando Sanfelice, era stato commissionato a Lorenzo Vaccaro, il quale però non fece in tempo a finirlo, venendo ucciso da una schioppettata in un litigio circa i confini di alcuni suoi campi.

20. L’anno successivo, poi, l’eruzione ebbe termine (e fu il 13 di agosto) non appena la processione cittadina con le reliquie del Santo giunse al luogo dove si trovava l’ incompiuto altare; onde fu dato incarico al figlio di Lorenzo, Domenico Antonio Vaccaro, di completare rapidamente l’opera in segno di ringraziamento.

21. Domenico Antonio Vaccaro scolpì sull’altare il caratteristico busto del Santo, che ancora si vede: con il viso rivolto verso il Vesuvio, sembra affacciarsi bonariamente sulla piazza a benedire i passanti.

Barra all’inizio del Settecento

22. Il vicerè conte di Harrach fece per la prima volta lastricare ed ornare di fontane il tratto iniziale della strada costiera “delle Calabrie” (fin presso il ponte della Maddalena), lasciando di ciò memoria in una lapide che fece apporre sul lato destro della strada, venendo dal castello del Carmine.

23. Proprio partendo dalla strada costiera, la nostra zona è così descritta dal Parrino nel 1709: “Fuori della città di Napoli, passato il borgo di Loreto, si transita al ponte detto della Maddalena, ov’è una larghissima strada, che in due si divide: per una, si va a S. Maria dell’Arco, Somma, Trocchia ... per l’altra, lungo la riviera del mare sotto il monte Vesuvio, a Portici, Resina, le Torri del Greco e della SS. Annunziata, Castell’ a mare ... Tirando avanti, è la Villa di S. Giovanni a Teduccio, forse così detta per una famiglia romana che vi abitava.

24. A sinistra è il Casale della Barra, ricco di palazzetti di molti cavalieri, che per godere delle ville ci vengono l’estate ad abitare, e fra questi vi è quello del marchese del Vasto, che fu già di Gaspare Roomer, con bellissimi giardini, stanze e giuochi d’acqua, oggi del principe di Marsico Nuovo Pignatelli. Un altro del conte dell’Acerra de Cardenas e altri”.

25. Bisogna sottolineare, quindi, che il nostro Casale della Barra, ancor prima che Carlo III di Borbone fondasse la reggia di Portici (1738) dando così inizio all’ epoca d’oro delle ville vesuviane “di delizia”, era già rinomato come luogo ideale per la “villeggiatura” estiva e “ricco di palazzetti di molti cavalieri”, che andavano ad aggiungersi a quelli della nobiltà stabilmente residente già dal Seicento nelle ville-masseria, come villa Mastellone, villa Amalia o villa Filomena.

26. Come evidenziato dal Parrino, all’ inizio del secolo, gli edifici più significativi erano la villa del Roomer (attuale Palazzo Bisignano)e quella de l conte dell’Acerra (attuale Villa Spinelli).

27. Per Barra, però, il periodo del vice-regno austriaco è importante soprattutto perchè, in quegli anni, il nome del Casale divenne noto in molte nazioni, essendo associato a quello di Francesco Solimèna.

immagine di Carlo VI tratta da Bastian Biancardi, Le vite dei re di Napoli, Venezia 1737

Francesco Solimèna (1657-1747)

28. Francesco Solimèna, nato a Canale di Serino (Avellino) il 4 ottobre 1657 e morto in Barra il 5 aprile 1747, fu una delle personalità di rilievo europeo che Napoli vantava in quell’epoca.

29. Giambattista Vico (1668-1744), nato da un povero libraio nei vicoli di Napoli, proprio in quelle antichissime ed anguste stradine concepiva, con mente vasta e geniale, quella “Scienza nuova” che apriva invece larghissime, ed ancora non percorse, vie al pensiero europeo e la “Istoria civile del regno di Napoli” pubblicata nel 1723 da Pietro Giannone (1676-1748), nato ad Ischitella di Foggia, era letta e commentata con attenzione dagli uomini colti di tutto il continente, quale fonte indispensabile per il nuovo pensiero “illuminista” che si andava sviluppando.

30. Analogamente, le tele del Solimena erano richieste da committenti laici ed ecclesiastici di tutta Europa e giovani artisti, da ogni paese, venivano nel nostro Casale alla sua scuola.

31. Data l’importanza della figura di Francesco Solimena per la storia di Barra, si riportano in Appendice alcuni stralci della sua classica biografia, scritta nel 1744 da Bernardo De Dominici [1] che lo conobbe personalmente e ne fu amico, in particolare le parti che riguardano direttamente il suo rapporto con il Casale della Barra.

Chiesa di San Nicola alla Carità, Napoli. Volta della navata principale, affreschi di Francesco Solimena, 1696

Villa Solimèna

32. Sul finire del Quattrocento, il grande Jacopo Sannazaro (1456-1530) aveva concluso la sua celebre “Arcadia” con la commossa descrizione dei luoghi situati ad oriente di Napoli, che formavano allora la ridente e fertile valle del fiume Sebéto [2].

33. Circa due secoli dopo, sul finire del Seicento, pochi anni dopo la nascita di quel movimento letterario che proprio di “Arcadia” prendeva il nome [3] ed al quale egli aveva presto aderito, Francesco Solimena, artista già affermato e di cospicue disponibilità economiche, sceglieva i medesimi luoghi, e precisamente le campagne del règio Casale della Barra, per edificarvi una sua solitaria dimora, immersa nel verde dei pini, che egli stesso disegnò.

34. Di questa villa, e del circostante “podere del Solimena detto Le Pigne”, è nota la esatta collocazione, grazie alla carta topografica di Napoli e dintorni, disegnata nel 1775 da Giovanni Carafa, duca di Noja.

35. Una bella immagine (forse l’unica tuttora esistente) se ne può vedere, in incisione, nei volumi del “Voyage en Italie” dell’abate di Saint-Non (1781): un ingresso, costituito da una volta a botte tra due piccoli bastioni cilindrici di piperno, introduce ad un ampio cortile, sul quale affaccia un nobile edificio a due piani, affiancato da una caratteristica torre [4]. L’insieme dà una sensazione di compatto rifugio, come un piccolo castello, e nello stesso tempo di leggerezza e di grazia.

36. La scelta del sito di Barra nasceva probabilmente dal desiderio di inverare, proprio nei luoghi dell’ “Arcadia” sannazariana, quell’ideale aristocratico di raccoglimento nel seno di una bucolica e composta bellezza che la nuova accademia omonima andava propugnando.

37. In questa villa (pur possedendo palazzo e case in Napoli), il Solimena visse tutta la seconda parte della sua lunga vita, che fu di quasi 90 anni. In questi luoghi, cercò e trovò ispirazione per la sua opera, tanto pittorica che letteraria.

38. Qui tenne la sua celebre scuola di pittura e di vita, alla quale accorrevano i figli delle più cospicue famiglie del regno, alcuni dei quali diverranno poi maestri dell’arte napoletana del Settecento (e basti qui per tutti il nome di Ferdinando Sanfelice), ma venivano anche da tutta Europa giovani desiderosi di perfezionarsi sotto la sua guida.

39. Il Solimena, però, mèmore delle sue umili origini e consapevole che l’arte non è legata alla nobiltà della nascita, volle tenere presso di sé discepoli di ogni classe sociale, purché volenterosi e promettenti.

40. Ciò spiega il fatto che, oltre a figli di nobili napoletani ed europei (i quali, secondo il suo biografo, pagavano salatissimo il privilegio di averlo come maestro per i propri rampolli), anche giovani Barresi non di sangue blu, come Giambattista Vela, trovassero posto alla sua scuola, presumibilmente a costi molto più contenuti.

41. A Barra, il Solimena aveva la possibilità di frequentare le case dei nobili, che vi andavano in villeggiatura già prima che il re Carlo di Borbone costruisse la reggia di Portici, e con i quali l’artista, pur non essendo aristocratico per nascita, amava pareggiarsi.

42. Non a caso, pensò di “nobilitarsi” comprando (al prezzo di 72 mila scudi) il titolo ed il feudo dei signori d’Altavilla, le cui origini risalivano addirittura all’epoca normanna; e con questo titolo (“dei signori d’Altavilla”) è menzionato anche nell’atto di morte, custodito presso la parrocchia “Ave gratia plena” di Barra.

43. Il Solimena frequentava quindi la villa costruita dal Roomer, che apparteneva ai suoi tempi a Girolamo Maria Pignatelli principe di Marsico Nuovo; frequentava la villa del conte dell’Acerra; e poteva vedere, ancora in costruzione anche se parzialmente già abitata, la grande villa dei Pignatelli di Monteleone, iniziata nel 1728.

44. Frequentava anche la chiesa di S. Maria della Sanità dei Domenicani di Barra, che anzi contribuì a completare disegnandone la facciata [5] e certamente partecipava agli incontri di formazione religiosa e di preghiera che si tenevano nell’attiguo convento, essendo iscritto alla confraternita laicale del SS. Rosario, istituita da quei Padri.

45. Era, fra l’altro, “terziario” domenicano e, avendo scelto forma di vita celibataria, veniva chiamato affettuosamente, dal buon popolo e dagli amici, “l’abate Ciccio”.

46. In effetti, appena arrivato in Barra, egli si fece ben volere, oltre che dai nobili, anche dal popolo, regalando alla chiesa parrocchiale dell’ “Ave Gratia Plena” una sua bellissima tela, raffigurante la “Madonna delle Grazie con anime purganti”, che è tuttora visibile nella seconda cappella a sinistra di chi entra, e che reca la firma e la scritta “ex sua devotione” con la data 1697.

47. Ed un’altra sua tela egli lasciò in Barra, tela bella e misteriosa, raffigurante l’apparizione della Vergine ad una donna di nome Giovannetta de’ Vacchi, avvenuta nella località di Caravaggio (provincia di Bergamo, diocesi di Cremona) al tramonto del lunedì 26 maggio 1432.

48. La tela è chiaramente firmata FRANCISCUS SOLIMENA e datata 31 dicembre 1746, come accuratamente documentato dal prof. Erminio Paoletta nel suo studio [6] effettuato in occasione del restauro ultimato nel 1994.

49. La tela venne quindi eseguita dal Solimena, ovviamente aiutato dai suoi discepoli, nell’ultimo anno della sua vita, quando aveva già 89 anni (morì infatti il 5 aprile del 1747), su commissione di Fabrizio III Pignatelli (1718-1763), X duca di Monteleone, e di sua madre Margherita Pignatelli (1698-1774), V duchessa di Bellosguardo, per essere collocata sull’altar maggiore della cappella gentilizia (attualmente, parrocchia “Maria SS. di Caravaggio”) che la famiglia Pignatelli di Monteleone stava facendo costruire accanto alla sua grande villa in Barra.

50. La raffigurazione della Vergine apparsa ad una umile donna nel paesino di Caravaggio fu, molto probabilmente, la sua ultima opera e quella dolcissima immagine lo accompagnò, nella sua cecità, fino alle soglie della morte.

51. Di lì a poco, infatti, egli si spense. Il suo atto di morte, contenuto nei registri della parrocchia “Ave Gratia Plena” di Barra, riporta testualmente:

“A dì 5 aprile 1747, il Sig. D.Franc.co Solimena, celebre pittore, dei Sig.ri d’Altavilla, è morto in età d’anni 89, mesi 6, ed un giorno, in questa villa della Barra, nel proprio palazzo. E’ stato inumato nella ven/le Chiesa della Sanità, nella Sua cappella gentilizia sotto il titolo del nome di Gesù, e quella proprio che sta in cornu Evangelii, dopo aver ricevuto tutti i Sant/mi Sagramenti, per mano di Don Salvatore Roselli Par/co”.

52. Della villa di Solimena in Barra, quasi nulla oggi rimane: l’immagine che ne abbiamo nei volumi del Saint-Non basta a farci rimpiangere quanto è andato perduto, a causa dell’incuria degli uomini più che dei bombardamenti della seconda guerra mondiale.

53. Rimane solo il nome della strada lungo la quale essa sorgeva, che ancora si chiama: via Pini di Solimena.

54. Nel 1997, in occasione del 250° anniversario della sua morte, fu apposta una lapide sul luogo della sua sepoltura, nella chiesa dei Domenicani in Barra. La lapide reca la scritta:

QUI RIPOSA

FRANCESCO SOLIMENA

GRANDE PITTORE E ARCHITETTO

NATO A CANALE DI SERINO (AV) IL 4-10-1657

MORTO A BARRA IL 5-4-1747

COMUNE DI NAPOLI PADRI DOMENICANI E CIRCOSCRIZIONE DI BARRA

POSERO

NEL 250° ANNIVERSARIO DELLA MORTE

5-4-1997

 Agar e l’Angelo, particolare, 1695-99

Appendice

La “Vita del Solimena” di Bernardo de Dominici (1683-1759)

55. “Vita del cavalier Francesco Solimena, pittore ed architetto, detto l’Abate Ciccio Solimena”:

56. Nacque Francesco Solimena l’anno del mondo redento 1657, a 4 Ottobre, nella città di Nocera de’Pagani [7], distante da Napoli 18 miglia.

57. Suo padre fu Angelo Solimena (1629-1716), che di tal nobile famiglia trae l’origine dalla città di Salerno: pittore ancor egli di chiaro nome, che fu scolaro di Francesco Guarino, discepolo del Cav. Massimo Stanzione … e di Angelo si vede un quadro nella Chiesa detta il Carminello al vicolo de’ Mannesi, che rappresenta S. Gregorio Taumaturgo, che basta a fargli ottener credito e lode di buon pittore.

58. Insin dalla puerizia, diede segni Francesco del suo elevatissimo ingegno, dando a divedére, in diverse azioni, aver talento attivo ad apprendere qualsivoglia scienza o studio speculativo; per la qual cosa fu dal padre applicato alle lettere e nella età di 12 anni avea assai bene appresa la Grammatica; indi passato all’arte oratoria ed alla Poetica, fu poscia applicato a’ severi studi di Filosofia, nel qual mentre, tirato da naturale inclinazione, si pose a disegnare di nascosto del padre con acquarella a chiaroscuro, che si stupivano coloro che i suoi disegni vedeano.

59. Continuava però lo studio delle lettere, perciocché il padre voleva applicarlo alle leggi, per avanzamento della sua casa.

60. Ma tutto che Francesco attendesse a quei studi per ubbidire a’ precetti paterni, ad ogni modo non tralasciava la sua applicazione al disegno, e rubando il tempo al natural riposo, sovente spendea le notti a disegnare, per soddisfare alla sua naturale inclinazione, e contentare il padre con lo studio legale.

61. Ma arrise la sorte a gli onesti desideri del giovanetto: o pur, cristianamente parlando, volle Iddio consolarlo nel suo giusto genial desiderio, perciocché l’avea trascelto ad esser singolare nella pittura fra molte migliaia d’uomini;

62. che però fece capitare a Nocera l’esemplar Cardinale allora Vincenzo Orsini, poi Benedetto XIII (papa dal 1724 al 1730), il quale trattenendosi per alquanto riposarsi in casa di Angelo Solimena, da lui ben veduto innanzi di farsi Religioso, a cagione delle Accademie di belle lettere che solea fare a Solofra, allora ch’egli era Duca di Gravina, essendo Angelo molto erudito in quelle, e che de’ bei sonetti componea,

63. perciò dunque famigliarmente discorrendo seco, gli domandò a che avesse applicato i suoi figliuoli, e rispondendogli Angelo, che studiavano legge, e che volea poscia incaminargli ne’ Tribunali per avanzar la casa;

64. Quindi, chiamato Francesco a baciar la Sacra Porpora del Cardinale, fu da quel Santo Prelato interrogato sopra alcuni argomenti filosofici, e sì bene sciolse le questioni, che molto se ne rallegrò il Cardinale;

65. ma accusato da Angelo, che lasciava lo studio delle lettere per disegnare di nascosto di lui, laonde veniva a perdere il tempo, volle perciò Sua Eminenza vedere i disegni che faceva Francesco, ed ebbe a stupire in vederli, considerando che quasi senza niuna direzione disegnava più figure insieme, giacché di nascosto e l’intiere notti disegnava, per non esser veduto dal padre, senz’altra direzione che di ciò che imitava e che osservava nel veder operare il proprio padre;

66. che però (il cardinale) disse ad Angelo che facea molto torto alla naturale abilità del figliuolo, anzi al dono che Iddio gli aveva conceduto, di renderlo forse più distinto da qualsivoglia professione, o altra scienza, perciocché molto più si apprezza un pittor di gran nome, che molti dottori insieme, per la rarità di quello e per lo gran numero di questi.

67. In ultimo gli predisse che sarebbe stato la maraviglia dell’arte e de’ professori. Vaticinio che poi felicemente si è veduto avverato nella persona del Solimena.

68. Persuaso Angelo Solimena da sì vive ragioni e dalla autorità del soggetto che le apportava, diede aperta licenza a Francesco di seguitare la sua naturale inclinazione,

69. ed egli, allegro di aver ottenuto il consenso del padre, si pose con grande assiduità a disegnare, e con la guida ed ammaestramenti di lui in poco tempo fece molto profitto…

70. … con tanta felicità, che il padre medesimo ne prendea maraviglia, laonde determinò inviarlo a Napoli, acciocché con gli esempi delle buone pitture, e con la direzione di alcun valentuomo che vi fioriva, si fosse perfezionato nell’arte nobilissima della pittura:

71. come in fatti eseguì, inviandolo a Napoli con Tommaso, suo fratello di minore età, acciocché l’uno della pittura, l’altro dello studio delle Leggi, avessero fatto acquisto; essendo allora Francesco di circa 17 anni o di poco compiuti (dunque all’incirca nell’anno 1674) ...

72. … Il cavalier Lanfranco (= Giovanni Lanfranco: Parma, 1582 – Roma, 1647) e il cavalier Calabrese (= Mattia Preti: Taverna di Catanzaro, 1613 – La Valletta, Malta, 1699) … le di cui opere egli sovente andava considerando … furono i due poli ove si aggirò sempre tutto lo studio della sua mente; nobilitando in appresso le idee dei volti da quei bellissimi e nobili di Guido Reni (Bologna, 1575-1642) e Carlo Maratta (Camarano, Ancona,1625 - Roma, 1713) … ; e cercando le tinte da’ bei colori usati dal Cortona (= Pietro Berrettini: Cortona, 1596 – Roma, 1669) e da Luca Giordano (Napoli, 1634-1705)…

73. Dipinse quattro quadri circa sei palmi di grandezza … quelli furono i primi quadri che dipinse Francesco, a richiesta di non so chi, e n’ebbe il tenue onorario di 30 scudi, del quale, come a giovanetto ch’egli era, molto si rallegrò col fratello…

74. Fu richiesto, da’ Padri Pii Operari della chiesa di S. Giorgio detta alli Mannesi, poiché egli ivi presso abitava dopo venuto da Nocera e propriamente alla Casa de’ Marotta, di sue pitture a fresco…

75. Avendo veduto queste prime opere del Solimena, Arcangelo Guglielmelli (Napoli, 1648-1735), architetto e pittore di prospettive, molto se ne compiacque… e lo propose a’ Padri Gesuiti del Gesù Nuovo… a’ quali piacque il nuovo stile…

76. Lavorava allora, in quella magnifica chiesa, il celebre cavalier Cosimo Fanzaga (Clusone, Bergamo, 1591 – Napoli, 1678) … Per la qual cosa, i PP. della Compagnia fecero vedere a quel celebre uomo la macchia del Solimena, per udire il suo parere. Molto il cavaliere la commendò, ed esortò i PP. a non variar pensiero in altro componimento, né a cercare miglior pittore, accertandoli che l’opera sarebbe ottimamente riuscita.

77. Udito da’ Padri Gesuiti il parere e il consiglio del cavalier Fanzaga, dissero al Guglielmelli che avesse condotto seco il pittore, e quando lo videro furon sorpresi da maraviglia, perciocché videro un giovanastro sbarbato, che di poco passava il diciottesimo anno dell’età sua; e fàttoli molte carezze, gli dissero perché non era egli venuto a farsi vedere in uno con l’opera sua; al che rispose il Guglielmelli che se avessero veduto lui prima dell’essergli stata accreditata la sua pittura, non l’avrebbero stimato degno di fare un’opera nella loro sontuosissima chiesa, e gli avrebbero cagionato sommo dispiacimento, a cagion del gran desiderio che aveva di aver l’onore di dipingere, ne’ suoi princìpi, in luogo così cospicuo… E vedutosi da’ PP. Gesuiti che riusciva felicemente, ne sparsero essi stessi la fama… In somma, il Solimena si cattivò, con l’opera e col tratto modesto, il cuor di ognuno, laonde in poco spazio di tempo crebbe molto il suo nome …

78. … Fu trascelto dalle Signore Monache di Donnaregina, Dame della prima nobiltà, per dipingere il Coro sopra l’Altar Maggiore, dappoiché quello su la porta era stato dipinto da Luca Giordano.

79. Invidiosi, alcuni professori, di avanzamento sì grande e della fortuna del Solimena, fecero penetrare al Cardinale Innico Caracciolo, Arcivescovo della Chiesa napolitana (1667-1685), che non conveniva fare entrare in clausura di Monache Dame un giovane di bello aspetto, e che appena dava segni di poca lanugine su la barba.

80. E perciò, volendo il Cardinale esser giudice di tal causa, si fece chiamare il Solimena e nel trattar seco conobbe esser colpo d’invidia il cercare di vietargli l’entrata nel Monistero, per contrastargli quell’opera; dappoiché in vederlo conobbe la sua modestia, e dal discorso il giudizio e la cognizione delle lettere ch’ei possedeva. Anzi, gli commise il quadro da situarsi nell’Altar Maggiore della parrocchial chiesa di S. Giovanni in Porta.

81. Sicché, avuta la permissione da quel buon Prelato, dipinse a fresco il Coro, con bella armonia di tinte, in cui faceva vedere la mutazione anzi il miglioramento della sua nuova maniera...

82. Da’ medesimi Padri del Gesù Nuovo, gli fu fatto dipingere l’arco della Cappella di S. Carlo… nel tempo stesso che il celebre Luca Giordano dipingea la Cappella contigua del Reggente Merlino, e l’uno andava a vedere dipinger l’altro, con somma soddisfazione di entrambi, venerando il Solimena Luca Giordano come a gran maestro e il Giordano stimò il Solimena singolare nella pittura, per la qual cosa vennero scambievolmente ad amarsi...

83. Correva l’anno 1702 quando il Solimena … fu mandato a chiamare per ordine del Re Filippo V, padre del nostro clementissimo Re Carlo, perciocché voleva fatto il suo proprio ritratto dalle sue mani, e con tale occasione volea conoscere un suo vassallo sì eccellente in pittura. Sicché … Francesco … ebbe l’onore di sedere e dipingere il ritratto di quel Sovrano, con trattenersi seco in familiari discorsi. Terminato il ritratto con applauso di tutta la corte, gli fu detto dal Re non aver bisogno di specchio per osservarsi in quello, dappoiché vedea dipinto al naturale il suo volto.

84. Varie città e terre vicine alla nostra Napoli si pregian di possedere opere di questo raro Soggetto …. alla Barra, luogo delizioso presso l’amena villa di Portici, ed ove per lo più fa soggiorno il nostro egregio pittore, è un quadro con la Beata Vergine, ed il Bambino, con l’Anime del Purgatorio, situato nella parrocchial chiesa di essa…

85. Il Cardinal Gualtieri, essendo Nunzio Pontificio in Francia, donò al gran Re Luigi XIV un capriccioso quadro del Solimena, nel quale era espressa Pàllade (= Minerva, la dèa della sapienza) in atto di ordinare alla Storia di narrare i fatti di quel glorioso Monarca … Ed allora fu che, invaghito di sì bell’opera, il gran Luigi fece premurose istanze per fare andare il suo artefice nella Francia, ma l’amor de’ cari nipoti e la soverchia lontananza non lo fecero risolvere ad accettare sì vantaggioso partito...

86. Ha notabilmente accresciuta la fabbrica della sua propria abitazione, aggiungendovi altri appartamenti con vari comodi, ed alla Barra (luogo ove per lo più suol starne a diporto) ha fatto bellissime fabbriche …

87. Nel modellare, ha fatto molta stima della virtuosa Caterina de Julianis, famosa anche appresso de’ forestieri per i suoi bellissimi e naturalissimi fiori fatti di seta e che hanno gli odori secondo le specie loro. Ma la parte più rara, per la quale viene ella lodata dal Solimena, è quella di modellare divinamente alcuni bambini di cera, di tanta bella idea di sembiante e perfezioni di parti, ch’è impossibile il superarli in tal materia; come pare impossibile uguagliare i suoi cimiteri, rappresentanti cadaveri ed ossa spolpate …

88. Ma qual vanto daremo noi, che sia proporzionato all’eccelsa virtù ch’egli possiede nel poetare, e del possesso di molte scienze? La perizia che ha, sì delle istorie e favole, che degli autori, così latini che italiani, e la felicità di sua memoria nel rammentargli?

89. Basta il dire, ch’egli ha ammaestrato, con suoi eruditi discorsi, non solo i suoi nipoti e i suoi più studiosi scolari, ma è servito di esempio anche ad altri ne’ dotti discorsi fatti con essi, ammirando specialmente le sue pregiatissime Rime, che vanno stampate nelle vulgate raccolte de’ migliori poeti del nostro secolo…

90. Per tante sue virtù, è stato in sommo pregio di tutta la nobiltà della nostra Napoli, che l’ha avuto in somma venerazione, così Cavalieri che Dame, e massime quelle che della poesia si dilettano.

91. Ma più che tutti ha egli, il nostro celebre Artefice, molto stimato la fu virtuosa Dama D. Aurora Sanseverino (1667-1726), veggendo essere il lei una soda virtù nella moral filosofia, e una perfetta cognizione delle scienze, e più nella poesia, come si vede dai di lei sonetti che vanno stampati in diverse raccolte sotto nome di Lucinda Coritesia.

92. A quella virtuosa eroina fece capo egli, allor quando, avendo perduto un suo caro nipote, che sarebbe riuscito un grand’uomo scientifico nelle lettere, cercò con la di lei conversazione alleviare l’intensa doglia, che per molto tempo non gli fece far nulla.

93. E quindi è che, solennizzandosi il giorno natalizio di quella Dama a’ 28 di aprile, con varie poesie di vari letterati soggetti, il Solimena comparve con un sonetto, che quanto esprimeva la sua passione altrettanto spiegava con felicità il suo concetto, e faceva conoscere la sapienza di chi lo aveva scritto; ed acciocché sia noto a tutti, qui lo trascrivo:

Perché dell’alta mia fera sventura,

onde inferma ho la mente, oppresso il petto,

imparassi a soffrir l’orrido aspetto

che in me legge non serba e non misura,

a te mi volsi, invitta Donna, e cura

sperai dalla pietà ch’ha in te ricetto.

Ma invan n’attesi il desiato effetto,

tanto mia doglia è d’immortal natura.

Come dunque potrei sciogliere il canto,

e il dì celebrare, in cui giolìvo

il Ciel ti diede a noi, pietoso tanto?

Fora insano pensier, noioso, e schivo

con la cètera mia rivolta in pianto

formar eco dolente al dì festivo.

94. Fu, da tutti gli Accademici radunati in quel giorno, lodato questo sonetto, e in più d’una virtuosa radunanza fu recitato, con reiterate lodi del suo Autore, che n’ebbe i ringraziamenti da quella generosa Signora, che quanto lodò il sonetto altrettanto lo persuase ad acchetarsi della sua doglia, sul volere di Chi tutto opera per nostro bene…

95. Alla perfine, dàtosi pace, e consolàtosi con la nascita di altro nipote, a cui lo stesso nome di Orazio ha voluto imporre, ha atteso poscia a più lieti soggetti vergare in carte, ed a dipingere opere perfettissime, godendo udir dagli amici eruditi discorsi e dotte poesie, così fatte da essi che da altri virtuosi soggetti, prendendo molte volte piacere udir recitare alcun componimento anche dallo Scrittore della presente sua Vita…

96. Ora, per venire al particolare de’ suoi costumi, dico che infin dalla sua giovinezza non diede di sé alcun scandalo, né in materia di giuoco né d’illeciti amori,

97. ma, essendo amante della musica, solea la sera portarsi spesse volte in casa del Cavaliere Alessandro Scarlatti (1660-1725), uomo ammirabile in quella, e di cui pochi pari verranno al mondo nel componer l’opere con più espressione e melodia che rapiva i cuori nel destare le passioni.

98. In casa adunque dello Scarlatti, si divertiva a sentir cantare la Flaminia, figliuola di quel gran virtuoso, che divinamente cantava, e fu sì cordiale la sua amicizia che volle farne il ritratto con quello dello Scarlatti di lei padre.

99. Ma uno ne fece, rappresentandola involta in una giubba da camera, in tal positura e così ben dipinto, che era l’oggetto delle lodi di tutti; ed io mi trovai presente allorché una volta fu molto encomiato da alcuni virtuosi professori oltremontani, che non si saziavano di mirarlo.

100. Ammogliatosi poi il fratello, D. Tommaso Solimena, con onestissima, bella e civilissima Donzella, che tal quale era Angiola appellata, d’Angela avea le sembianze ed i costumi, Dio benedisse tal nodo, colmandolo di più nipoti, che sono stati li suoi diletti sopra ogni altra cosa, mentreché non ha avuto più passioni il di loro proprio padre de’ loro mali, infermità, e morte del primo figliuolo chiamato Orazio, che questo amoroso zio, che ebbe ad impazzare per lo dolore, come di sopra abbiamo accennato.

101. Il nominato Tommaso, suo fratello, ha esercitato il ministero di Giudice del grand’Ammiraglio oltre all’essere avvocato di diverse cause ne’ nostri Tribunali; e non ha molti anni che, attaccato da accidente apopletico, ha terminato i suoi giorni, rimanendo sol vivo nel bel ritratto che pochi anni innanzi gli avea fatto il fratello, il quale è di tanta perfezione, che non sembra dipinto ma che viva e che spiri… (dai registri della parrocchia “Ave Gratia Plena” di Barra risulta che “D. Tommaso Solimena, marito della Sig.ra D. Angiola, di anni 70 incirca” morì il 4 ottobre 1736).

102. Così pure è vivissimo il suo proprio ritratto che, dopo tante richieste fattegli dal gran Duca di Firenze, pur dipinse per la sua famosa galleria … dicendo poi il Duca di aver avuto la consolazione, prima ch’ei morisse, di vedere il signor Solimena, tanto gli era sembrato vivo il ritratto.

103. Ha il Solimena acquistato, col valore del suo pennello, infinite ricchezze, ascendendo il suo capitale oltre a 200 mila scudi, poiché dopo Guido niun pittore si è fatto, più di lui, ricompensare l’opere sue con prezzi esorbitanti … Essendo vivente Luca Giordano, assai meno ne chiedeva, fidato alla sua gran velocità, e molto meno ne potean pretender gli altri pittori.

104. Una delle più gran fortune del Solimena è l’esser stato solo, dopo la morte di più valenti pittori; che però ha potuto pretendere ciò che ha voluto delle sue opere, dappoiché in tutta Italia, Francia, Germania, Inghilterra, Fiandra e in Ispagna, non v’è di lui forse un più valente in pittura, anzi nemmen l’uguale, e universalmente perfetto in tutti i generi della pittura, che noi diciamo pittore universale, com’è dimostrato di sopra.

105. Egli, oltre alle fabbriche da lui fatte in Napoli per suo capitale, molte ne ha comperate nel distretto medesimo, che son quasi tutte le botteghe e case de’ segatori e lavoratori de’ marmi.

106. Molte ne ha fatte e comperate alla Barra ed a Nocera, sua patria, e ha fatto compera di buona parte delle Paduli, ove sono gli erbaggi, ed altri luoghi simili fruttuosi.

107. Ultimamente, ha comperato il Baronaggio di Altavilla a’ suoi nipoti, pel prezzo di 72 mila scudi, e molte migliaia ha pronte in contanti, per investirle in altro onorato capitale di baronaggio.

108. La sua casa è nobilmente addobbata, così in Napoli che alla Barra, ed è arricchita di sue preziose pitture, e massimamente di quantità di macchie e quadri fatti per suo proprio studio.

109. Nella sua stalla in Napoli mantiene otto generosi cavalli, ed alla Barra altri quattro, acciocché ognuno de’ suoi nipoti abbia la sua carrozza a suo volere, oltre alla sua propria, e vi son quattro cocchieri, con molti servitori, avendo ognuno i suoi, ed ha Cameriero con Gentiluomo.

110. Egli però, tuttocché signore di tanti gran beni, ha sempre trattato modestamente la sua persona, vestendo insin da giovane abito clericale cioè da abate, e perciò vien chiamato da ognuno: l’Abate Ciccio Solimena.

111. Egli è di bello aspetto, alto della persona, di membra grandi e robuste, e di gioviali fattezze, con naso e bocca alquanto eccedenti, e orecchie grandi, ma che han simmetria con gli altri membri del volto che sono ben grandi, e che lo rendono venerabile.

112. Il pelo biondo, incanutito ora per l’età già decrepita, lo rende più riverito ed ammirato da ognuno, contando, insino al presente anno 1744, 88 anni in circa dell’età sua, in sana e robusta salute, e con la mente chiara e tranquilla, atta a partorire bellissimi componimenti,

113. se non fusse impedito dalla vista, che da più anni è scemata in lui, perciocché non vedendo più con gli occhiali, de’ quali molte volte due paia ne aveva usate un sopra l’altro, gli tornò il vedere per alcuni anni, onde ha dipinto molte cose anche in figure picciole senza occhiali e finì la macchia della battaglia di Alessandro in tal modo; indi scematagli di nuovo la virtù visiva, tornò all’uso degli occhiali, facendone venire alcuni lavorati eccellentemente da Francia; e lavorando di nuovo, di nuovo gli ha dismessi, per non veder nulla più con l’uso di essi, e quindi è che si veggono alcune di queste sue ultime pitture con tinte diverse dalle bellissime usate prima…

114. Né egli può astenersi dal dipingere, poiché dice sentirsi morire senza far nulla, laonde merita scusa in queste sue debolezze, cagionate dall’età e dal non vedere bene le tinte; ma chi è dell’arte conosce che, sebben deboli queste sue ultime pitture, pur ravvisa che elle son dipinte da gran maestro.

115. Laonde possiamo gloriarci a ragione di avere in Napoli IL PRINCIPE DI TUTTI I PITTORI VIVENTI.

116. … del quale noteremo alcuni quadri da noi veduti ultimamente nella di lui casa alla Barra, ove di presente ei dimora … (laddove) per adornare le mura, ha dipinto il Solimena alcune istorie degli antichi Romani.

117. Tali sono quella del Coriolano che ascolta le preghiere della madre e della consorte; e il compagno rappresenta Scipione Africano che rende al marito la bellissima moglie e rifiuta i doni offertigli dal di lei padre; e due altre istorie anche dei Romani, secondo mi si disse. Lucrezia che si uccide, e Cleopatra che si fa mordere il seno dall’àspide, e tutti sono istoriati e pieni di concetti espressivi. Vi sono eziandio alcune figure sole alludenti a varie Virtù, le quali vanno tramezzate fra detti quadri, secondo il sito della stanza.

118. Circa questo tempo medesimo, ha fatto ritratto a monsignor Pietro Gaultier, incisore in rame … amando egli questo giovane non meno per sua virtù che per i suoi buoni costumi.

119. Ultimamente, ma prima di mancargli totalmente la vista, ha dipinto il quadro per la cappella della sua propria casa alla Barra, la quale sarà fabbricata nel mezzo del prospetto di essa, secondo si vede dal modello fatto di legno da Alessandro Ricciardelli, con disegno del Solimena e sua assistenza almeno nel dirigerlo con la voce; che certamente, compiuta che sarà la fabbrica, sarà molto magnifica, essendo ornata con soda e ben regolata architettura.

120. Rappresenta, questo quadro, la Beata Vergine col Bambino in gloria e da lato S. Giovannino; nel piano è, da un canto, S. Sebastiano inginocchioni e S. Antonio da Padova in piedi dall’altro lato, che si appressa per baciare il piede al Bambino Gesù; e dietro vedesi S. Gennaro, S. Francesco d’Assisi e S. Domenico, essendo il quadro accompagnato da bella gloria d’angeli e di puttini alla grandezza del naturale.

121. E tuttoché sian quelle ultime opere dipinte da vecchio, e con tinte diverse alquanto da quelle bellissime usate prima da lui, ad ogni modo si conoscono essere state dipinte da gran maestro, nel disprezzo del colore maneggiato con ammirabile franchezza di pennello.

Mezza Piastra in argento del 1732. Clicca sull’immagine per ingrandire.

Cronologia dei Viceré Austriaci di Napoli

Nominati dall’imperatore Giuseppe I (1705-1711):

Conte Giorgio Adamo di Martinitz (7 luglio - 31 ottobre 1707)

Conte Wierech Philipp di Dhaun (1707 - 30 giugno 1708)

Cardinale Vincenzo Grimani (1708 - 26 settembre 1710)

Conte Carlo Borromeo di Arona (1710 - 20 maggio 1713)

Nominati dall’imperatore Carlo VI (1711-1740):

Conte Wierech Philipp di Dhaun, per la seconda volta (1713 - 1719)

Conte Giovanni Venceslao di Gallas (dal 4 al 25 luglio 1719)

Cardinale Volfango Annibale di Schrattenbach (1719 - 21 aprile 1721)

Principe Marcantonio Borghese di Sulmona (1721 - 23 giugno 1722)

Cardinale Michele Federico di Althann (1722-1728)

Marchese Gioacchino Fernandez Portocarrero di Almahara (1 agosto-9 dicembre 1728)

Conte Luigi Tomaso di Harrach (1728 - 12 giugno 1733)

Conte Giulio Visconti (1733 – 1 giugno 1734)


Note

[1] Bernardo De Dominici - “Vite de’ più celebri pittori, scultori e architetti napoletani” - Napoli, 1742-45.

[2] Vedi nn.43-48 de “Il periodo aragonese”.

[3] “Nell’ottobre del 1690, alcuni letterati e studiosi, che già prima solevan trovarsi insieme a discutere e recitare versi e prose nel salotto dell’ ex-regina Cristina di Svezia a Roma, decidevano di creare, con quel nome appunto di Arcadia, una nuova accademia; una delle tante, ma ispirata, almeno nel programma, a princìpi e criteri nuovi: esterminare il cattivo gusto... perseguitandolo continuamente ovunque si annidasse e restaurare il senso della grande poesia italiana mandata quasi a soqquadro dalla barbarie dell’ultimo secolo. Fra i primi fondatori erano il Crescimbeni e il Gravina” (N. Sapegno). Principale esponente dell’ Arcadia fu Pietro Trapassi (1698-1782), detto il Metastasio, allievo del Gravina. Nacque a Roma ma visse a lungo a Napoli dove, fra l’altro, conobbe la nobile Marianna Pignatelli, contessa di Althann, che fu sua amica e protettrice fedele per 25 anni. Grazie alla raccomandazione di costei, divenne nel 1730 “poeta cesàreo” alla corte dell’imperatore Carlo VI a Vienna ed ivi morì, dopo una lunga carriera, acclamato come il più grande poeta del secolo.

[4] Vedi anche: Roberto Pane et alii – “Ville vesuviane del Settecento” , Ed. Scientifiche Italiane, Napoli,1959.

[5] Vedi il paragrafo “Il convento e la chiesa dei Domenicani” nel capitolo dedicato a “La Varra di Serino nel Cinquecento”.

[6] Erminio Paoletta-“La venerata tela della parrocchia di S.Maria di Caravaggio, a Barra, fra matrice pre-cristiana, simbolismo baronale e confessione del morituro Solimena” nell’opuscolo “L’antica chiesa parrocchiale di Maria SS. di Caravaggio (in occasione del restauro)”, Napoli, 11 giugno 1994, stampato a cura della stessa parrocchia.

[7] La civitas di Nucèria Paganòrum comprendeva gli attuali Comuni di Nocera inferiore, Nocera superiore, Pagàni, S. Egidio del Monte Albino e Corbàra. In realtà, Francesco nacque a Canale di Serino (Avellino), paese di origine della madre, Marta Resigniano, nel quale i suoi genitori si erano temporaneamente trasferiti per sfuggire alla peste che allora imperversava.

Angelo Renzi


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Pubblicazione de Il Portale del Sud, settembre 2016

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