Il “Vigliena”
1. L’ultimo viceré spagnolo di
Napoli, Giovanni Emanuele Fernàndez Pacheco,
duca di Escalona e marchese di Villena
(1702-1707), lasciò la città il 7 luglio 1707 e
si arrese agli austriaci nella fortezza di Gaeta
il 30 settembre, dopo aver invano chiesto
ripetutamente ai napoletani di battersi per
fermare l’avanzata dell’esercito dell’imperatore
austriaco Giuseppe I (1705-1711), un corpo di
spedizione di 8.000 uomini guidato dal
feld-maresciallo Wierech Philipp conte di Dhaun.
2. Il popolo
napoletano, però, non aveva in realtà alcun
motivo per preferire gli spagnoli agli
austriaci, ed in sostanza si limitò
semplicemente ad assistere al passaggio dei
poteri fra i vecchi ed i nuovi arrivati.
3. Un significativo
ruolo di mediazione, per impedire un inutile
spargimento di sangue e contemporaneamente per
scongiurare i consueti saccheggi cui il popolo
usava abbandonarsi in simili occasioni, fu
tenuto in città dai Gesuiti, in particolare da
S. Francesco De Geronimo (Grottaglie di
Taranto, 17 dicembre 1642; Napoli, 11 maggio
1716) che era allora responsabile del convento
del Gesù Nuovo e svolgeva, già da più di
trent’anni, un instancabile apostolato (le
“missioni al popolo”) per le strade e nelle
piazze di Napoli.
4. Il marchese di Villena non
poté far altro che tornarsene amareggiato in
Spagna, lasciando però il suo nome al fortino da
lui fatto costruire, in quei perigliosi
frangenti, presso il ponte della Maddalena e
risultato, in quel momento, praticamente
inutile.
5. Il fortino del Villena
rimase, però, parte della struttura difensiva
della città di Napoli per tutto il Settecento ed
ebbe il suo momento di gloria (e la sua fine)
nel corso delle vicende belliche legate alla
Repubblica napoletana del 1799, come si dirà più
estesamente in seguito, quando si tratterà di
quest’ultima.
Nobili e togàti
6. Nel 1707 iniziò, quindi, il
periodo di 27 anni, nel corso dei quali Napoli e
l’Italia meridionale furono governati da viceré
designati non più dalla Spagna bensì
dall’imperatore austriaco.
7. Per il popolo, non cambiò
sostanzialmente molto: i viceré si succedettero
numerosi, governando per periodi brevi e
talvolta brevissimi (il conte di Gallas meno di
un mese, il marchese di Portocarrero solo
quattro mesi), occupati prevalentemente dalla
riscossione dei “donativi” e dalla spartizione
degli “arrendamenti”, con scarsissima
considerazione delle condizioni di vita delle
classi più umili.
8. Quelli che poterono lasciare
impronta più duratura (ma non necessariamente
più positiva) furono: il conte di Dhaun (che
governò in due periodi, il primo di alcuni mesi
ed il secondo di 6 anni), il cardinale-conte di
Althann (6 anni) ed il conte di Harrach (5
anni).
9. Per buona parte del periodo,
gli imperatori austriaci (prima Giuseppe I, poi
Carlo VI) stettero in guerra con le altre
potenze europee (solo il decennio 1720-30 fu di
relativa pace) e questo si traduceva in continui
e sempre nuovi aumenti dei tributi, senza che
alcun vantaggio ne venisse alla nazione
napoletana.
10. La situazione interna
rimase caratterizzata dagli arbìtri e dagli
abusi del precedente periodo spagnolo ed anzi,
per alcuni versi, si aggravò.
11. La vita politica ruotava
intorno al conflitto di potere fra la vecchia
aristocrazia feudale ed il ceto sempre più
forte, ma anch’esso improduttivo, dei cosiddetti
“togàti” cioè gli esponenti delle categorie
forensi (magistrati, avvocati, cancellieri,
etc.) i quali costituivano una potente
corporazione, che si arricchiva navigando
abilmente e con pochi scrupoli fra i ben undici
diversi codici legislativi che erano in vigore
nel regno, con relative eccezioni e privilegi,
conflitti di competenze, incertezza nella
distinzione dei poteri, corruzione diffusa ed
abituale.
12. Basterà qui ricordare,
emblematicamente, la figura di Alfonso Maria de’
Liguori (1696-1787) il quale, quando si sentì
chiamato alla via della santità, comprese subito
che la prima cosa da farsi era quella di
lasciare la carriera di avvocato,
precedentemente intrapresa, per assoluta ed
evidente incompatibilità morale.
13. “La nostra
professione è pericolosa; per salvarci l’anima,
bisogna abbandonarla”. “Amico mio, la nostra
vita è troppo amara e troppo pericolosa; noi
facciamo una vita infelice e passiamo pericolo
di fare mala morte. Io voglio lasciare i
Tribunali, che non fanno per me, perché voglio
salvarmi l’anima”.
14. Dagli speculatori del
periodo spagnolo e dagli “azzecca-garbugli”
arricchiti, cominciava quindi a nascere quella
borghesia, di proprietari terrieri, di
professionisti e di commercianti, che sarà poi
vittoriosa “protagonista”, nell’Ottocento, della
lotta contro la feudalità e contro la monarchia
borbonica.
L’eruzione del Vesuvio nel 1707
15. Il periodo del vice-regno
austriaco fu inoltre caratterizzato da una
intensa ripresa dell’ attività vulcanica del
Vesuvio: vi furono eruzioni nel 1707, 1714,
1717, 1723, 1724, che procurarono non pochi
danni e grandi spaventi alle popolazioni dei
Casali ad oriente della città, anche se Barra,
in particolare, non patì alcunché di rilevante.
16. L’eruzione che provocò più
scompiglio fu quella del 1707, iniziata il 28
luglio, solo una ventina di giorni dopo
l’insediamento in città del primo viceré
austriaco, conte di Martinitz.
17. Vi furono fragorose
esplosioni ed il vento spinse i prodotti
piroclastici in direzione di Napoli, suscitando
grande preoccupazione.
18. A quella circostanza è
legato l’altare con il busto di S. Gennaro che
ancor oggi si vede nella piazzetta avanti la
chiesa di S. Caterina a Formiello, vicino alla
Porta Capuana.
19. Già l’anno prima, 1706,
l’altare in onore del Santo patrono, disegnato
da Ferdinando Sanfelice, era stato commissionato
a Lorenzo Vaccaro, il quale però non fece in
tempo a finirlo, venendo ucciso da una
schioppettata in un litigio circa i confini di
alcuni suoi campi.
20. L’anno successivo, poi,
l’eruzione ebbe termine (e fu il 13 di agosto)
non appena la processione cittadina con le
reliquie del Santo giunse al luogo dove si
trovava l’ incompiuto altare; onde fu dato
incarico al figlio di Lorenzo, Domenico Antonio
Vaccaro, di completare rapidamente l’opera in
segno di ringraziamento.
21. Domenico
Antonio Vaccaro scolpì sull’altare il
caratteristico busto del Santo, che ancora si
vede: con il viso rivolto verso il Vesuvio,
sembra affacciarsi bonariamente sulla piazza a
benedire i passanti.
Barra all’inizio del Settecento
22. Il vicerè conte
di Harrach fece per la prima volta lastricare ed
ornare di fontane il tratto iniziale della
strada costiera “delle Calabrie” (fin presso il
ponte della Maddalena), lasciando di ciò memoria
in una lapide che fece apporre sul lato destro
della strada, venendo dal castello del Carmine.
23. Proprio
partendo dalla strada costiera, la nostra zona è
così descritta dal Parrino nel 1709: “Fuori
della città di Napoli, passato il borgo di
Loreto, si transita al ponte detto della
Maddalena, ov’è una larghissima strada, che in
due si divide: per una, si va a S. Maria
dell’Arco, Somma, Trocchia ... per l’altra,
lungo la riviera del mare sotto il monte
Vesuvio, a Portici, Resina, le Torri del Greco e
della SS. Annunziata, Castell’ a mare ...
Tirando avanti, è la Villa di S. Giovanni a
Teduccio, forse così detta per una famiglia
romana che vi abitava.
24. A sinistra è il Casale
della Barra, ricco di palazzetti di molti
cavalieri, che per godere delle ville ci vengono
l’estate ad abitare, e fra questi vi è quello
del marchese del Vasto, che fu già di Gaspare
Roomer, con bellissimi giardini, stanze e
giuochi d’acqua, oggi del principe di Marsico
Nuovo Pignatelli. Un altro del conte dell’Acerra
de Cardenas e altri”.
25. Bisogna
sottolineare, quindi, che il nostro Casale della
Barra, ancor prima che Carlo III di Borbone
fondasse la reggia di Portici (1738) dando così
inizio all’ epoca d’oro delle ville vesuviane
“di delizia”, era già rinomato come luogo ideale
per la “villeggiatura” estiva e “ricco di
palazzetti di molti cavalieri”, che andavano ad
aggiungersi a quelli della nobiltà stabilmente
residente già dal Seicento nelle ville-masseria,
come villa Mastellone, villa Amalia o villa
Filomena.
26. Come evidenziato dal
Parrino, all’ inizio del secolo, gli edifici più
significativi erano la villa del Roomer (attuale
Palazzo Bisignano)e quella de l conte dell’Acerra
(attuale Villa Spinelli).
27. Per Barra, però, il periodo
del vice-regno austriaco è importante
soprattutto perchè, in quegli anni, il nome del
Casale divenne noto in molte nazioni, essendo
associato a quello di Francesco Solimèna.
|
immagine di Carlo VI tratta da Bastian Biancardi, Le
vite dei re di Napoli, Venezia 1737 |
28. Francesco Solimèna, nato a
Canale di Serino (Avellino) il 4 ottobre 1657 e
morto in Barra il 5 aprile 1747, fu una delle
personalità di rilievo europeo che Napoli
vantava in quell’epoca.
29. Giambattista Vico
(1668-1744), nato da un povero libraio nei
vicoli di Napoli, proprio in quelle antichissime
ed anguste stradine concepiva, con mente vasta e
geniale, quella “Scienza nuova” che apriva
invece larghissime, ed ancora non percorse, vie
al pensiero europeo e la “Istoria civile del
regno di Napoli” pubblicata nel 1723 da Pietro
Giannone (1676-1748), nato ad Ischitella di
Foggia, era letta e commentata con attenzione
dagli uomini colti di tutto il continente, quale
fonte indispensabile per il nuovo pensiero
“illuminista” che si andava sviluppando.
30. Analogamente, le tele del
Solimena erano richieste da committenti laici ed
ecclesiastici di tutta Europa e giovani artisti,
da ogni paese, venivano nel nostro Casale alla
sua scuola.
31. Data l’importanza della
figura di Francesco Solimena per la storia di
Barra, si riportano in Appendice alcuni stralci
della sua classica biografia, scritta nel 1744
da Bernardo De Dominici
che lo conobbe personalmente e ne fu amico, in
particolare le parti che riguardano direttamente
il suo rapporto con il Casale della Barra.
|
Chiesa di San Nicola alla Carità, Napoli.
Volta della navata principale, affreschi di Francesco Solimena, 1696 |
Villa Solimèna
32. Sul finire del
Quattrocento, il grande Jacopo Sannazaro
(1456-1530) aveva concluso la sua celebre
“Arcadia” con la commossa descrizione dei luoghi
situati ad oriente di Napoli, che formavano
allora la ridente e fertile valle del fiume
Sebéto
.
33. Circa due secoli dopo, sul
finire del Seicento, pochi anni dopo la nascita
di quel movimento letterario che proprio di
“Arcadia” prendeva il nome
ed al quale egli aveva presto aderito, Francesco
Solimena, artista già affermato e di cospicue
disponibilità economiche, sceglieva i medesimi
luoghi, e precisamente le campagne del règio
Casale della Barra, per edificarvi una sua
solitaria dimora, immersa nel verde dei pini,
che egli stesso disegnò.
34. Di questa villa, e del
circostante “podere del Solimena detto Le
Pigne”, è nota la esatta collocazione, grazie
alla carta topografica di Napoli e dintorni,
disegnata nel 1775 da Giovanni Carafa, duca di
Noja.
35. Una bella immagine (forse
l’unica tuttora esistente) se ne può vedere, in
incisione, nei volumi del “Voyage en Italie”
dell’abate di Saint-Non (1781): un ingresso,
costituito da una volta a botte tra due piccoli
bastioni cilindrici di piperno, introduce ad un
ampio cortile, sul quale affaccia un nobile
edificio a due piani, affiancato da una
caratteristica torre
.
L’insieme dà una sensazione di compatto rifugio,
come un piccolo castello, e nello stesso tempo
di leggerezza e di grazia.
36. La scelta del sito di Barra
nasceva probabilmente dal desiderio di inverare,
proprio nei luoghi dell’ “Arcadia” sannazariana,
quell’ideale aristocratico di raccoglimento nel
seno di una bucolica e composta bellezza che la
nuova accademia omonima andava propugnando.
37. In questa villa (pur
possedendo palazzo e case in Napoli), il
Solimena visse tutta la seconda parte della sua
lunga vita, che fu di quasi 90 anni. In questi
luoghi, cercò e trovò ispirazione per la sua
opera, tanto pittorica che letteraria.
38. Qui tenne la
sua celebre scuola di pittura e di vita, alla
quale accorrevano i figli delle più cospicue
famiglie del regno, alcuni dei quali diverranno
poi maestri dell’arte napoletana del Settecento
(e basti qui per tutti il nome di Ferdinando
Sanfelice), ma venivano anche da tutta
Europa giovani desiderosi di perfezionarsi sotto
la sua guida.
39. Il Solimena, però, mèmore delle sue umili
origini e consapevole che l’arte non è legata
alla nobiltà della nascita, volle tenere presso
di sé discepoli di ogni classe sociale, purché
volenterosi e promettenti.
40. Ciò spiega il fatto che,
oltre a figli di nobili napoletani ed europei (i
quali, secondo il suo biografo, pagavano
salatissimo il privilegio di averlo come maestro
per i propri rampolli), anche giovani Barresi
non di sangue blu, come Giambattista Vela,
trovassero posto alla sua scuola,
presumibilmente a costi molto più contenuti.
41. A Barra, il
Solimena aveva la possibilità di frequentare le
case dei nobili, che vi andavano in
villeggiatura già prima che il re Carlo di
Borbone costruisse la reggia di Portici, e con i
quali l’artista, pur non essendo aristocratico
per nascita, amava pareggiarsi.
42. Non a caso, pensò di
“nobilitarsi” comprando (al prezzo di 72 mila
scudi) il titolo ed il feudo dei signori d’Altavilla,
le cui origini risalivano addirittura all’epoca
normanna; e con questo titolo (“dei signori d’Altavilla”)
è menzionato anche nell’atto di morte, custodito
presso la parrocchia “Ave gratia plena” di
Barra.
43. Il Solimena frequentava
quindi la villa costruita dal Roomer, che
apparteneva ai suoi tempi a Girolamo Maria
Pignatelli principe di Marsico Nuovo;
frequentava la villa del conte dell’Acerra; e
poteva vedere, ancora in costruzione anche se
parzialmente già abitata, la grande villa dei
Pignatelli di Monteleone, iniziata nel 1728.
44. Frequentava anche la chiesa
di S. Maria della Sanità dei Domenicani di
Barra, che anzi contribuì a completare
disegnandone la facciata
e certamente partecipava agli incontri di
formazione religiosa e di preghiera che si
tenevano nell’attiguo convento, essendo iscritto
alla confraternita laicale del SS. Rosario,
istituita da quei Padri.
45. Era, fra l’altro,
“terziario” domenicano e, avendo scelto forma di
vita celibataria, veniva chiamato
affettuosamente, dal buon popolo e dagli amici,
“l’abate Ciccio”.
46. In effetti, appena arrivato
in Barra, egli si fece ben volere, oltre che dai
nobili, anche dal popolo, regalando alla chiesa
parrocchiale dell’ “Ave Gratia Plena” una sua
bellissima tela, raffigurante la “Madonna delle
Grazie con anime purganti”, che è tuttora
visibile nella seconda cappella a sinistra di
chi entra, e che reca la firma e la scritta “ex
sua devotione” con la data 1697.
47. Ed un’altra sua tela egli
lasciò in Barra, tela bella e misteriosa,
raffigurante l’apparizione della Vergine ad una
donna di nome Giovannetta de’ Vacchi, avvenuta
nella località di Caravaggio (provincia di
Bergamo, diocesi di Cremona) al tramonto del
lunedì 26 maggio 1432.
48. La tela è chiaramente
firmata FRANCISCUS SOLIMENA e datata 31 dicembre
1746, come accuratamente documentato dal prof.
Erminio Paoletta nel suo studio
effettuato in occasione del restauro ultimato
nel 1994.
49. La tela venne quindi
eseguita dal Solimena, ovviamente aiutato dai
suoi discepoli, nell’ultimo anno della sua vita,
quando aveva già 89 anni (morì infatti il 5
aprile del 1747), su commissione di Fabrizio III
Pignatelli (1718-1763), X duca di Monteleone, e
di sua madre Margherita Pignatelli (1698-1774),
V duchessa di Bellosguardo, per essere collocata
sull’altar maggiore della cappella gentilizia
(attualmente, parrocchia “Maria SS. di
Caravaggio”) che la famiglia Pignatelli di
Monteleone stava facendo costruire accanto alla
sua grande villa in Barra.
50. La raffigurazione della
Vergine apparsa ad una umile donna nel paesino
di Caravaggio fu, molto probabilmente, la sua
ultima opera e quella dolcissima immagine lo
accompagnò, nella sua cecità, fino alle soglie
della morte.
51. Di lì a poco, infatti, egli
si spense. Il suo atto di morte, contenuto nei
registri della parrocchia “Ave Gratia Plena” di
Barra, riporta testualmente:
“A dì 5 aprile 1747, il Sig.
D.Franc.co Solimena, celebre pittore, dei Sig.ri
d’Altavilla, è morto in età d’anni 89, mesi 6,
ed un giorno, in questa villa della Barra, nel
proprio palazzo. E’ stato inumato nella ven/le
Chiesa della Sanità, nella Sua cappella
gentilizia sotto il titolo del nome di Gesù, e
quella proprio che sta in cornu Evangelii,
dopo aver ricevuto tutti i Sant/mi Sagramenti,
per mano di Don Salvatore Roselli Par/co”.
52. Della villa di Solimena in
Barra, quasi nulla oggi rimane: l’immagine che
ne abbiamo nei volumi del Saint-Non basta a
farci rimpiangere quanto è andato perduto, a
causa dell’incuria degli uomini più che dei
bombardamenti della seconda guerra mondiale.
53. Rimane solo il nome della
strada lungo la quale essa sorgeva, che ancora
si chiama: via Pini di Solimena.
54. Nel 1997, in occasione del
250° anniversario della sua morte, fu apposta
una lapide sul luogo della sua sepoltura, nella
chiesa dei Domenicani in Barra. La lapide reca
la scritta:
QUI RIPOSA
FRANCESCO SOLIMENA
GRANDE
PITTORE E ARCHITETTO
NATO A
CANALE DI SERINO (AV) IL 4-10-1657
MORTO A
BARRA IL 5-4-1747
COMUNE DI
NAPOLI PADRI DOMENICANI E CIRCOSCRIZIONE DI
BARRA
POSERO
NEL 250°
ANNIVERSARIO DELLA MORTE
5-4-1997
|
Agar e l’Angelo, particolare, 1695-99 |
Appendice
La “Vita del Solimena” di
Bernardo de Dominici (1683-1759)
55. “Vita del cavalier
Francesco Solimena, pittore ed architetto, detto
l’Abate Ciccio Solimena”:
56. Nacque Francesco Solimena
l’anno del mondo redento 1657, a 4 Ottobre,
nella città di Nocera de’Pagani
,
distante da Napoli 18 miglia.
57. Suo padre fu Angelo
Solimena (1629-1716), che di tal nobile famiglia
trae l’origine dalla città di Salerno: pittore
ancor egli di chiaro nome, che fu scolaro di
Francesco Guarino, discepolo del Cav. Massimo
Stanzione … e di Angelo si vede un quadro nella
Chiesa detta il Carminello al vicolo de’
Mannesi, che rappresenta S. Gregorio Taumaturgo,
che basta a fargli ottener credito e lode di
buon pittore.
58. Insin dalla puerizia, diede
segni Francesco del suo elevatissimo ingegno,
dando a divedére, in diverse azioni, aver
talento attivo ad apprendere qualsivoglia
scienza o studio speculativo; per la qual cosa
fu dal padre applicato alle lettere e nella età
di 12 anni avea assai bene appresa la
Grammatica; indi passato all’arte oratoria ed
alla Poetica, fu poscia applicato a’ severi
studi di Filosofia, nel qual mentre, tirato da
naturale inclinazione, si pose a disegnare di
nascosto del padre con acquarella a chiaroscuro,
che si stupivano coloro che i suoi disegni
vedeano.
59. Continuava però lo studio
delle lettere, perciocché il padre voleva
applicarlo alle leggi, per avanzamento della sua
casa.
60. Ma tutto che Francesco
attendesse a quei studi per ubbidire a’ precetti
paterni, ad ogni modo non tralasciava la sua
applicazione al disegno, e rubando il tempo al
natural riposo, sovente spendea le notti a
disegnare, per soddisfare alla sua naturale
inclinazione, e contentare il padre con lo
studio legale.
61. Ma arrise la sorte a gli onesti desideri del
giovanetto: o pur, cristianamente parlando,
volle Iddio consolarlo nel suo giusto genial
desiderio, perciocché l’avea trascelto ad esser
singolare nella pittura fra molte migliaia
d’uomini;
62. che però fece capitare a
Nocera l’esemplar Cardinale allora Vincenzo
Orsini, poi Benedetto XIII (papa dal 1724 al
1730), il quale trattenendosi per alquanto
riposarsi in casa di Angelo Solimena, da lui ben
veduto innanzi di farsi Religioso, a cagione
delle Accademie di belle lettere che solea fare
a Solofra, allora ch’egli era Duca di Gravina,
essendo Angelo molto erudito in quelle, e che
de’ bei sonetti componea,
63. perciò dunque
famigliarmente discorrendo seco, gli domandò a
che avesse applicato i suoi figliuoli, e
rispondendogli Angelo, che studiavano legge, e
che volea poscia incaminargli ne’ Tribunali per
avanzar la casa;
64. Quindi, chiamato Francesco
a baciar la Sacra Porpora del Cardinale, fu da
quel Santo Prelato interrogato sopra alcuni
argomenti filosofici, e sì bene sciolse le
questioni, che molto se ne rallegrò il
Cardinale;
65.
ma accusato da Angelo, che lasciava lo studio
delle lettere per disegnare di nascosto di lui,
laonde veniva a perdere il tempo, volle perciò
Sua Eminenza vedere i disegni che faceva
Francesco, ed ebbe a stupire in vederli,
considerando che quasi senza niuna direzione
disegnava più figure insieme, giacché di
nascosto e l’intiere notti disegnava, per non
esser veduto dal padre, senz’altra direzione che
di ciò che imitava e che osservava nel veder
operare il proprio padre;
66. che però (il cardinale)
disse ad Angelo che facea molto torto alla
naturale abilità del figliuolo, anzi al dono che
Iddio gli aveva conceduto, di renderlo forse più
distinto da qualsivoglia professione, o altra
scienza, perciocché molto più si apprezza un
pittor di gran nome, che molti dottori insieme,
per la rarità di quello e per lo gran numero di
questi.
67. In ultimo gli predisse che
sarebbe stato la maraviglia dell’arte e de’
professori. Vaticinio che poi felicemente si è
veduto avverato nella persona del Solimena.
68. Persuaso Angelo Solimena da
sì vive ragioni e dalla autorità del soggetto
che le apportava, diede aperta licenza a
Francesco di seguitare la sua naturale
inclinazione,
69. ed egli, allegro di aver
ottenuto il consenso del padre, si pose con
grande assiduità a disegnare, e con la guida ed
ammaestramenti di lui in poco tempo fece molto
profitto…
70.
… con tanta felicità, che il padre medesimo ne
prendea maraviglia, laonde determinò inviarlo a
Napoli, acciocché con gli esempi delle buone
pitture, e con la direzione di alcun valentuomo
che vi fioriva, si fosse perfezionato nell’arte
nobilissima della pittura:
71. come in fatti eseguì,
inviandolo a Napoli con Tommaso, suo fratello di
minore età, acciocché l’uno della pittura,
l’altro dello studio delle Leggi, avessero fatto
acquisto; essendo allora Francesco di circa 17
anni o di poco compiuti (dunque all’incirca
nell’anno 1674) ...
72. … Il cavalier Lanfranco
(= Giovanni Lanfranco: Parma, 1582 – Roma, 1647)
e il cavalier Calabrese (= Mattia Preti:
Taverna di Catanzaro, 1613 – La Valletta, Malta,
1699) … le di cui opere egli sovente andava
considerando … furono i due poli ove si aggirò
sempre tutto lo studio della sua mente;
nobilitando in appresso le idee dei volti da
quei bellissimi e nobili di Guido Reni
(Bologna, 1575-1642) e Carlo Maratta
(Camarano, Ancona,1625 - Roma, 1713) … ;
e cercando le tinte da’ bei colori usati dal
Cortona (= Pietro Berrettini: Cortona, 1596 –
Roma, 1669) e da Luca Giordano (Napoli,
1634-1705)…
73. Dipinse quattro quadri
circa sei palmi di grandezza … quelli furono i
primi quadri che dipinse Francesco, a richiesta
di non so chi, e n’ebbe il tenue onorario di 30
scudi, del quale, come a giovanetto ch’egli era,
molto si rallegrò col fratello…
74. Fu richiesto, da’ Padri Pii
Operari della chiesa di S. Giorgio detta alli
Mannesi, poiché egli ivi presso abitava dopo
venuto da Nocera e propriamente alla Casa de’
Marotta, di sue pitture a fresco…
75. Avendo veduto queste prime
opere del Solimena, Arcangelo Guglielmelli
(Napoli, 1648-1735), architetto e pittore di
prospettive, molto se ne compiacque… e lo
propose a’ Padri Gesuiti del Gesù Nuovo… a’
quali piacque il nuovo stile…
76. Lavorava allora, in quella
magnifica chiesa, il celebre cavalier Cosimo
Fanzaga (Clusone, Bergamo, 1591 – Napoli, 1678)
… Per la qual cosa, i PP. della Compagnia fecero
vedere a quel celebre uomo la macchia del
Solimena, per udire il suo parere. Molto il
cavaliere la commendò, ed esortò i PP. a non
variar pensiero in altro componimento, né a
cercare miglior pittore, accertandoli che
l’opera sarebbe ottimamente riuscita.
77. Udito da’ Padri Gesuiti il
parere e il consiglio del cavalier Fanzaga,
dissero al Guglielmelli che avesse condotto seco
il pittore, e quando lo videro furon sorpresi da
maraviglia, perciocché videro un giovanastro
sbarbato, che di poco passava il diciottesimo
anno dell’età sua; e fàttoli molte carezze, gli
dissero perché non era egli venuto a farsi
vedere in uno con l’opera sua; al che rispose il
Guglielmelli che se avessero veduto lui prima
dell’essergli stata accreditata la sua pittura,
non l’avrebbero stimato degno di fare un’opera
nella loro sontuosissima chiesa, e gli avrebbero
cagionato sommo dispiacimento, a cagion del gran
desiderio che aveva di aver l’onore di
dipingere, ne’ suoi princìpi, in luogo così
cospicuo… E vedutosi da’ PP. Gesuiti che
riusciva felicemente, ne sparsero essi stessi la
fama… In somma, il Solimena si cattivò, con
l’opera e col tratto modesto, il cuor di ognuno,
laonde in poco spazio di tempo crebbe molto il
suo nome …
78. … Fu trascelto dalle
Signore Monache di Donnaregina, Dame della prima
nobiltà, per dipingere il Coro sopra l’Altar
Maggiore, dappoiché quello su la porta era stato
dipinto da Luca Giordano.
79. Invidiosi, alcuni
professori, di avanzamento sì grande e della
fortuna del Solimena, fecero penetrare al
Cardinale Innico Caracciolo, Arcivescovo della
Chiesa napolitana (1667-1685), che non
conveniva fare entrare in clausura di Monache
Dame un giovane di bello aspetto, e che appena
dava segni di poca lanugine su la barba.
80. E perciò, volendo il
Cardinale esser giudice di tal causa, si fece
chiamare il Solimena e nel trattar seco conobbe
esser colpo d’invidia il cercare di vietargli
l’entrata nel Monistero, per contrastargli
quell’opera; dappoiché in vederlo conobbe la sua
modestia, e dal discorso il giudizio e la
cognizione delle lettere ch’ei possedeva. Anzi,
gli commise il quadro da situarsi nell’Altar
Maggiore della parrocchial chiesa di S. Giovanni
in Porta.
81. Sicché, avuta la
permissione da quel buon Prelato, dipinse a
fresco il Coro, con bella armonia di tinte, in
cui faceva vedere la mutazione anzi il
miglioramento della sua nuova maniera...
82. Da’ medesimi Padri del Gesù
Nuovo, gli fu fatto dipingere l’arco della
Cappella di S. Carlo… nel tempo stesso che il
celebre Luca Giordano dipingea la Cappella
contigua del Reggente Merlino, e l’uno andava a
vedere dipinger l’altro, con somma soddisfazione
di entrambi, venerando il Solimena Luca Giordano
come a gran maestro e il Giordano stimò il
Solimena singolare nella pittura, per la qual
cosa vennero scambievolmente ad amarsi...
83. Correva l’anno 1702 quando
il Solimena … fu mandato a chiamare per ordine
del Re Filippo V, padre del nostro clementissimo
Re Carlo, perciocché voleva fatto il suo proprio
ritratto dalle sue mani, e con tale occasione
volea conoscere un suo vassallo sì eccellente in
pittura. Sicché … Francesco … ebbe l’onore di
sedere e dipingere il ritratto di quel Sovrano,
con trattenersi seco in familiari discorsi.
Terminato il ritratto con applauso di tutta la
corte, gli fu detto dal Re non aver bisogno di
specchio per osservarsi in quello, dappoiché
vedea dipinto al naturale il suo volto.
84. Varie città e terre vicine
alla nostra Napoli si pregian di possedere opere
di questo raro Soggetto …. alla Barra, luogo
delizioso presso l’amena villa di Portici, ed
ove per lo più fa soggiorno il nostro egregio
pittore, è un quadro con la Beata Vergine, ed il
Bambino, con l’Anime del Purgatorio, situato
nella parrocchial chiesa di essa…
85. Il Cardinal Gualtieri,
essendo Nunzio Pontificio in Francia, donò al
gran Re Luigi XIV un capriccioso quadro del
Solimena, nel quale era espressa Pàllade (=
Minerva, la dèa della sapienza) in atto di
ordinare alla Storia di narrare i fatti di quel
glorioso Monarca … Ed allora fu che, invaghito
di sì bell’opera, il gran Luigi fece premurose
istanze per fare andare il suo artefice nella
Francia, ma l’amor de’ cari nipoti e la
soverchia lontananza non lo fecero risolvere ad
accettare sì vantaggioso partito...
86. Ha notabilmente accresciuta la fabbrica
della sua propria abitazione, aggiungendovi
altri appartamenti con vari comodi, ed alla
Barra (luogo ove per lo più suol starne a
diporto) ha fatto bellissime fabbriche …
87. Nel modellare, ha fatto
molta stima della virtuosa Caterina de
Julianis, famosa anche appresso de’
forestieri per i suoi bellissimi e naturalissimi
fiori fatti di seta e che hanno gli odori
secondo le specie loro. Ma la parte più rara,
per la quale viene ella lodata dal Solimena, è
quella di modellare divinamente alcuni bambini
di cera, di tanta bella idea di sembiante e
perfezioni di parti, ch’è impossibile il
superarli in tal materia; come pare impossibile
uguagliare i suoi cimiteri, rappresentanti
cadaveri ed ossa spolpate …
88. Ma qual vanto daremo noi,
che sia proporzionato all’eccelsa virtù ch’egli
possiede nel poetare, e del possesso di molte
scienze? La perizia che ha, sì delle istorie e
favole, che degli autori, così latini che
italiani, e la felicità di sua memoria nel
rammentargli?
89. Basta il dire, ch’egli ha
ammaestrato, con suoi eruditi discorsi, non solo
i suoi nipoti e i suoi più studiosi scolari, ma
è servito di esempio anche ad altri ne’ dotti
discorsi fatti con essi, ammirando specialmente
le sue pregiatissime Rime, che vanno stampate
nelle vulgate raccolte de’ migliori poeti del
nostro secolo…
90. Per tante sue virtù, è
stato in sommo pregio di tutta la nobiltà della
nostra Napoli, che l’ha avuto in somma
venerazione, così Cavalieri che Dame, e massime
quelle che della poesia si dilettano.
91. Ma più che tutti ha egli,
il nostro celebre Artefice, molto stimato la fu
virtuosa Dama D. Aurora Sanseverino
(1667-1726), veggendo essere il lei una soda
virtù nella moral filosofia, e una perfetta
cognizione delle scienze, e più nella poesia,
come si vede dai di lei sonetti che vanno
stampati in diverse raccolte sotto nome di
Lucinda Coritesia.
92. A quella virtuosa eroina
fece capo egli, allor quando, avendo perduto un
suo caro nipote, che sarebbe riuscito un
grand’uomo scientifico nelle lettere, cercò con
la di lei conversazione alleviare l’intensa
doglia, che per molto tempo non gli fece far
nulla.
93. E quindi è che,
solennizzandosi il giorno natalizio di quella
Dama a’ 28 di aprile, con varie poesie di vari
letterati soggetti, il Solimena comparve con un
sonetto, che quanto esprimeva la sua passione
altrettanto spiegava con felicità il suo
concetto, e faceva conoscere la sapienza di chi
lo aveva scritto; ed acciocché sia noto a tutti,
qui lo trascrivo:
Perché dell’alta mia fera
sventura,
onde inferma ho la mente,
oppresso il petto,
imparassi a soffrir l’orrido
aspetto
che in me legge non serba e non
misura,
a te mi volsi, invitta Donna, e
cura
sperai dalla pietà ch’ha in te
ricetto.
Ma invan n’attesi il desiato
effetto,
tanto mia doglia è d’immortal
natura.
Come dunque potrei sciogliere
il canto,
e il dì celebrare, in cui
giolìvo
il Ciel ti diede a noi, pietoso
tanto?
Fora insano pensier, noioso, e
schivo
con la cètera mia rivolta in
pianto
formar eco dolente al dì
festivo.
94. Fu, da tutti gli Accademici
radunati in quel giorno, lodato questo sonetto,
e in più d’una virtuosa radunanza fu recitato,
con reiterate lodi del suo Autore, che n’ebbe i
ringraziamenti da quella generosa Signora, che
quanto lodò il sonetto altrettanto lo persuase
ad acchetarsi della sua doglia, sul volere di
Chi tutto opera per nostro bene…
95. Alla perfine, dàtosi pace,
e consolàtosi con la nascita di altro nipote, a
cui lo stesso nome di Orazio ha voluto imporre,
ha atteso poscia a più lieti soggetti vergare in
carte, ed a dipingere opere perfettissime,
godendo udir dagli amici eruditi discorsi e
dotte poesie, così fatte da essi che da altri
virtuosi soggetti, prendendo molte volte piacere
udir recitare alcun componimento anche dallo
Scrittore della presente sua Vita…
96. Ora, per venire al
particolare de’ suoi costumi, dico che infin
dalla sua giovinezza non diede di sé alcun
scandalo, né in materia di giuoco né d’illeciti
amori,
97. ma, essendo amante della
musica, solea la sera portarsi spesse volte in
casa del Cavaliere Alessandro Scarlatti
(1660-1725), uomo ammirabile in quella, e di
cui pochi pari verranno al mondo nel componer
l’opere con più espressione e melodia che rapiva
i cuori nel destare le passioni.
98. In casa adunque dello
Scarlatti, si divertiva a sentir cantare la
Flaminia, figliuola di quel gran virtuoso, che
divinamente cantava, e fu sì cordiale la sua
amicizia che volle farne il ritratto con quello
dello Scarlatti di lei padre.
99. Ma uno ne fece,
rappresentandola involta in una giubba da
camera, in tal positura e così ben dipinto, che
era l’oggetto delle lodi di tutti; ed io mi
trovai presente allorché una volta fu molto
encomiato da alcuni virtuosi professori
oltremontani, che non si saziavano di mirarlo.
100. Ammogliatosi poi il
fratello, D. Tommaso Solimena, con onestissima,
bella e civilissima Donzella, che tal quale era
Angiola appellata, d’Angela avea le sembianze ed
i costumi, Dio benedisse tal nodo, colmandolo di
più nipoti, che sono stati li suoi diletti sopra
ogni altra cosa, mentreché non ha avuto più
passioni il di loro proprio padre de’ loro mali,
infermità, e morte del primo figliuolo chiamato
Orazio, che questo amoroso zio, che ebbe ad
impazzare per lo dolore, come di sopra abbiamo
accennato.
101. Il nominato Tommaso, suo
fratello, ha esercitato il ministero di Giudice
del grand’Ammiraglio oltre all’essere avvocato
di diverse cause ne’ nostri Tribunali; e non ha
molti anni che, attaccato da accidente
apopletico, ha terminato i suoi giorni,
rimanendo sol vivo nel bel ritratto che pochi
anni innanzi gli avea fatto il fratello, il
quale è di tanta perfezione, che non sembra
dipinto ma che viva e che spiri… (dai
registri della parrocchia “Ave Gratia Plena” di
Barra risulta che “D. Tommaso Solimena, marito
della Sig.ra D. Angiola, di anni 70 incirca”
morì il 4 ottobre 1736).
102. Così pure è vivissimo
il suo proprio ritratto che, dopo tante
richieste fattegli dal gran Duca di Firenze, pur
dipinse per la sua famosa galleria … dicendo poi
il Duca di aver avuto la consolazione, prima
ch’ei morisse, di vedere il signor Solimena,
tanto gli era sembrato vivo il ritratto.
103. Ha il Solimena acquistato,
col valore del suo pennello, infinite ricchezze,
ascendendo il suo capitale oltre a 200 mila
scudi, poiché dopo Guido niun pittore si è
fatto, più di lui, ricompensare l’opere sue con
prezzi esorbitanti … Essendo vivente Luca
Giordano, assai meno ne chiedeva, fidato alla
sua gran velocità, e molto meno ne potean
pretender gli altri pittori.
104. Una delle più gran fortune
del Solimena è l’esser stato solo, dopo la morte
di più valenti pittori; che però ha potuto
pretendere ciò che ha voluto delle sue opere,
dappoiché in tutta Italia, Francia, Germania,
Inghilterra, Fiandra e in Ispagna, non v’è di
lui forse un più valente in pittura, anzi nemmen
l’uguale, e universalmente perfetto in tutti i
generi della pittura, che noi diciamo pittore
universale, com’è dimostrato di sopra.
105. Egli, oltre alle fabbriche
da lui fatte in Napoli per suo capitale, molte
ne ha comperate nel distretto medesimo, che son
quasi tutte le botteghe e case de’ segatori e
lavoratori de’ marmi.
106. Molte ne ha fatte e
comperate alla Barra ed a Nocera, sua patria, e
ha fatto compera di buona parte delle Paduli,
ove sono gli erbaggi, ed altri luoghi simili
fruttuosi.
107. Ultimamente, ha comperato
il Baronaggio di Altavilla a’ suoi nipoti, pel
prezzo di 72 mila scudi, e molte migliaia ha
pronte in contanti, per investirle in altro
onorato capitale di baronaggio.
108. La sua casa è nobilmente
addobbata, così in Napoli che alla Barra, ed è
arricchita di sue preziose pitture, e
massimamente di quantità di macchie e quadri
fatti per suo proprio studio.
109. Nella sua stalla in Napoli
mantiene otto generosi cavalli, ed alla Barra
altri quattro, acciocché ognuno de’ suoi nipoti
abbia la sua carrozza a suo volere, oltre alla
sua propria, e vi son quattro cocchieri, con
molti servitori, avendo ognuno i suoi, ed ha
Cameriero con Gentiluomo.
110. Egli però, tuttocché
signore di tanti gran beni, ha sempre trattato
modestamente la sua persona, vestendo insin da
giovane abito clericale cioè da abate, e perciò
vien chiamato da ognuno: l’Abate Ciccio Solimena.
111. Egli è di bello aspetto,
alto della persona, di membra grandi e robuste,
e di gioviali fattezze, con naso e bocca
alquanto eccedenti, e orecchie grandi, ma che
han simmetria con gli altri membri del volto che
sono ben grandi, e che lo rendono venerabile.
112. Il pelo biondo, incanutito
ora per l’età già decrepita, lo rende più
riverito ed ammirato da ognuno, contando,
insino al presente anno 1744, 88 anni in
circa dell’età sua, in sana e robusta salute, e
con la mente chiara e tranquilla, atta a
partorire bellissimi componimenti,
113. se non fusse impedito
dalla vista, che da più anni è scemata in lui,
perciocché non vedendo più con gli occhiali, de’
quali molte volte due paia ne aveva usate un
sopra l’altro, gli tornò il vedere per alcuni
anni, onde ha dipinto molte cose anche in figure
picciole senza occhiali e finì la macchia della
battaglia di Alessandro in tal modo; indi
scematagli di nuovo la virtù visiva, tornò
all’uso degli occhiali, facendone venire alcuni
lavorati eccellentemente da Francia; e lavorando
di nuovo, di nuovo gli ha dismessi, per non
veder nulla più con l’uso di essi, e quindi è
che si veggono alcune di queste sue ultime
pitture con tinte diverse dalle bellissime usate
prima…
114. Né egli può astenersi dal
dipingere, poiché dice sentirsi morire senza far
nulla, laonde merita scusa in queste sue
debolezze, cagionate dall’età e dal non vedere
bene le tinte; ma chi è dell’arte conosce che,
sebben deboli queste sue ultime pitture, pur
ravvisa che elle son dipinte da gran maestro.
115. Laonde possiamo gloriarci
a ragione di avere in Napoli IL PRINCIPE DI
TUTTI I PITTORI VIVENTI.
116. … del quale noteremo
alcuni quadri da noi veduti ultimamente nella di
lui casa alla Barra, ove di presente ei dimora …
(laddove) per adornare le mura, ha
dipinto il Solimena alcune istorie degli antichi
Romani.
117. Tali sono quella del
Coriolano che ascolta le preghiere della madre e
della consorte; e il compagno rappresenta
Scipione Africano che rende al marito la
bellissima moglie e rifiuta i doni offertigli
dal di lei padre; e due altre istorie anche dei
Romani, secondo mi si disse. Lucrezia che si
uccide, e Cleopatra che si fa mordere il seno
dall’àspide, e tutti sono istoriati e pieni di
concetti espressivi. Vi sono eziandio alcune
figure sole alludenti a varie Virtù, le quali
vanno tramezzate fra detti quadri, secondo il
sito della stanza.
118. Circa questo tempo
medesimo, ha fatto ritratto a monsignor Pietro
Gaultier, incisore in rame … amando egli questo
giovane non meno per sua virtù che per i suoi
buoni costumi.
119. Ultimamente, ma prima di
mancargli totalmente la vista, ha dipinto il
quadro per la cappella della sua propria casa
alla Barra, la quale sarà fabbricata nel mezzo
del prospetto di essa, secondo si vede dal
modello fatto di legno da Alessandro
Ricciardelli, con disegno del Solimena e sua
assistenza almeno nel dirigerlo con la voce; che
certamente, compiuta che sarà la fabbrica, sarà
molto magnifica, essendo ornata con soda e ben
regolata architettura.
120. Rappresenta, questo
quadro, la Beata Vergine col Bambino in gloria e
da lato S. Giovannino; nel piano è, da un canto,
S. Sebastiano inginocchioni e S. Antonio da
Padova in piedi dall’altro lato, che si appressa
per baciare il piede al Bambino Gesù; e dietro
vedesi S. Gennaro, S. Francesco d’Assisi e S.
Domenico, essendo il quadro accompagnato da
bella gloria d’angeli e di puttini alla
grandezza del naturale.
121. E tuttoché sian quelle
ultime opere dipinte da vecchio, e con tinte
diverse alquanto da quelle bellissime usate
prima da lui, ad ogni modo si conoscono essere
state dipinte da gran maestro, nel disprezzo del
colore maneggiato con ammirabile franchezza di
pennello.
|
|
Mezza Piastra in argento del 1732. Clicca sull’immagine per ingrandire. |
Cronologia dei Viceré Austriaci di Napoli
Nominati dall’imperatore Giuseppe
I (1705-1711):
Conte
Giorgio Adamo di Martinitz (7 luglio - 31
ottobre 1707)
Conte
Wierech Philipp di Dhaun (1707 - 30 giugno 1708)
Cardinale
Vincenzo Grimani (1708 - 26 settembre 1710)
Conte Carlo
Borromeo di Arona (1710 - 20 maggio 1713)
Nominati dall’imperatore Carlo VI
(1711-1740):
Conte
Wierech Philipp di Dhaun, per la seconda volta
(1713 - 1719)
Conte
Giovanni Venceslao di Gallas (dal 4 al 25 luglio
1719)
Cardinale
Volfango Annibale di Schrattenbach (1719 - 21
aprile 1721)
Principe
Marcantonio Borghese di Sulmona (1721 - 23
giugno 1722)
Cardinale
Michele Federico di Althann (1722-1728)
Marchese
Gioacchino Fernandez Portocarrero di Almahara (1
agosto-9 dicembre 1728)
Conte Luigi
Tomaso di Harrach (1728 - 12 giugno 1733)
Conte Giulio
Visconti (1733 – 1 giugno 1734)
Note
Bernardo De Dominici - “Vite de’ più
celebri pittori, scultori e architetti
napoletani” - Napoli, 1742-45.
Erminio Paoletta-“La venerata tela della
parrocchia di S.Maria di Caravaggio, a
Barra, fra matrice pre-cristiana,
simbolismo baronale e confessione del
morituro Solimena” nell’opuscolo
“L’antica chiesa parrocchiale di Maria
SS. di Caravaggio (in occasione del
restauro)”, Napoli, 11 giugno 1994,
stampato a cura della stessa parrocchia.