Le Pagine di Storia

Ferrante I di Napoli e la guerra dei baroni

di Alfonso Grasso

Busto di Ferdinando I d'Aragona (Ferrante), marmo dipinto, opera probabile di Pietro di Milano. Parigi, Museo del Louvre (immagine tratta da Storia d'Italia - Fratelli Fabbri Editori, 1965)

 

Ferrante (Ferdinando I di Napoli), regnò per trentasei anni, dal 1458 al 1494. È stato uno dei re che maggiormente hanno inciso nella nostra storia, anche se la sua figura è solo fugacemente accennata nella storiografia insegnata a scuola. Nacque nel 1431, figlio naturale di Alfonso di Aragona, detto il Magnanimo, e, secondo alcuni cronisti dell’epoca, di Giraldonna Carlino, bellissima consorte del nobile catalano Gaspare Reverter.

Ricordiamo che Alfonso, re d'Aragona e del Regnum Siciliae ultra Pharum, ossia dell’isola, aveva conquistato dopo lunghe lotte anche la parte continentale citra Pharum, definendosi rex utriusque Siciliae [1]. L’antico Regnum Siciliae, fondato dai Normanni nel 1139, che andava dalla Sicilia al Tronto, si era letteralmente sdoppiato a seguito dello spostamento della capitale a Napoli voluto da Carlo d’Angiò, e la conseguente Rivolta del Vespro del 1282. Per  quasi un secolo Angioini e Aragonesi si erano combattuti per riconquistare, ciascuno per proprio conto, l’unità politica dell’Italia meridionale (vedere al riguardo le nostre monografie su Federico III e Roberto d’Angiò). Alla fine prevalse per l’appunto Alfonso d’Aragona, designato dalla regina di Napoli Giovanna II d'Angiò-Durazzo come suo successore con il titolo di Duca di Calabria. Giovanna II poi cambiò idea e Alfonso dovette impegnarsi in lunghe guerre per cingere e poi mantenere la corona di Napoli. Ma i due Regni, quello ultra Pharum e quello citra Pharum sebbene avessero con Alfonso ritrovato un unico re, rimasero istituzionalmente e politicamente divisi. In particolare, la Sicilia fu sempre più risucchiata nella sfera spagnola.

Alfonso, avendo conquistato militarmente il Regno di Napoli, non si considerava feudatario del Papato. Questo pertanto appoggiò tutti i vari pretendenti angioini che si susseguivano a mano che venivano sconfitti da Alfonso, che dovette impegnarsi duramente anche contro la Repubblica di Genova, vero e proprio braccio armato sul mare delle pretese franco-angioine sul regno. Le lunghe guerre avevano spossato e immiserito il Regno, e provocato congiure e tradimenti dei baroni. Così, nel testamento redatto il giorno prima della morte, avvenuta il 17 giugno del 1458, Alfonso stabilì di lasciare Napoli al prediletto Ferrante, e gli altri possedimenti, Sicilia inclusa, al fratello Giovanni. Raccomandò al figlio di condurre una politica di pace.

Ferrante, se anche avesse voluto, non poté seguire quest'ultima volontà.

Morto Alfonso, papa Callisto III risollevò immediatamente la questione del vassallaggio al Papato del Regno di Sicilia. Si rifiutò di riconoscere la successione al trono di Ferrante e sobillò i baroni napoletani, instigandoli alla ribellione. Trascorso appena un mese e mezzo, anche Callisto III morì, e il nuovo papa Pio II ricorse a maniere più diplomatiche, ottenendo da Ferrante la restituzione di Benevento e Terracina, e l'impegno a pagare il tributo feudale annuo della Chinea: in cambio lo fece incoronare da un suo legato, a Bari il 4 febbraio del 1459.

Ferrante [2] aveva già avuto esperienze militari e di governo. Era stato Luogotenente durante le frequenti assenze di Alfonso, e nel 1452 aveva avuto il comando dell'esercito napoletano inviato in Toscana. Aveva quindi sposato la bella Isabella di Chiaromonte [3], che gli diede sei figli [4] e che morì ancora giovane nel 1465. Ferrante aspettò dodici anni prima di risposarsi con la cugina, Giovanna d'Aragona, da cui ebbe una sola figlia, Giovanna, che sposò poi il nipote Ferrantino (Ferdinando II di Napoli).

La situazione che Ferrante aveva ereditato era precaria: il regno era insidiato dall'esterno, mentre all'interno serpeggiava il malcontento popolare per i balzelli. Ferrante, tra i primi atti, dispose la soppressione della tassa sul sale. I baroni, dal canto loro, temevano la forte personalità di Ferrante, e pensavano che il re costituisse una seria minaccia per il mantenimento dei loro privilegi. La ribellione dei baroni in realtà covava sotto le ceneri già durante il regno di Alfonso ma aveva trovato il suo momento favorevole nel delicato ingranaggio della successione. I baroni napoletani, che in tutta la loro storia si dimostrarono sempre incapaci di esprimere un leader o un re autoctono, si affrettarono ad allearsi con Giovanni d'Angiò, figlio di Renato, che da Genova rivendicava per sé il regno di Napoli. Quindi, nell'ottobre del 1459 Giovanni, appoggiato dal re di Francia, raggiunse l'Italia meridionale, e prese il comando della insurrezione armata contro Ferrante. Iniziata in Calabria, la rivolta coinvolse la maggior parte dei baroni, persino parenti di Ferrante come Marino Marzano e Antonio Orsini, principe di Taranto.

Fu una vera e propria guerra, e Ferrante fu costretto a contrarre nuovi debiti e persino ad impegnare la sua stessa corona! La lotta durò cinque anni, senza esclusione di colpi. come dice il Pontieri, «fu come se [Ferrante] avesse dovuto conquistarsi il regno da sé, con le sole sue forze. E fu questa guerra la vera scuola a cui si formò la sua personalità politica». Ferrante, cosciente della precarietà del suo potere, agì con risoluta energia e crudeltà, e anche con atti sleali o scorretti.

Francesco Sforza e Pio II intervennero a favore di Ferrante. I ribelli filo-francesi furono sconfitta a Troia nel 1462. Ferrante si vendicò senza pietà alcuna di tutti gli insorti, di cui confiscò le terre e le incamerò nel demanio regio.

Con la vittoria su Giovanni d'Angiò però, Ferrante non aveva debellato completamente il partito angioino che aveva fatto dell'isola d'Ischia la sua roccaforte (vedi la battaglia di Ischia). L'isola era stata donata dal Magnanimo alla sua favorita, Lucrezia d'Alagni, che ne aveva affidato il governo al cognato Giovanni Torella.

Quest'ultimo dopo la morte di Alfonso passò subito al partito avverso a Ferrante e innalzò il vessillo angioino su quel castello che lo stesso Alfonso aveva collegato alla terra mediante un ponte.  Quindi Giovanni d'Angiò si rifugiò ad Ischia, ma quando vide che dalla Francia non giungevano gli aiuti promessi se ne ritornò in Provenza: tentò poi ancora di imporsi inviando una flotta nei pressi dell'isola, ma né gli isolani né i napoletani si sollevarono come egli aveva sperato: la flotta fu sconfitta e Ferrante riuscì ad impossessarsi definitivamente di Ischia. Con quest'ultima vittoria sulla marina provenzale-genovese Ferrante chiudeva un capitolo di una lotta che durava da oltre mezzo secolo, in quanto, almeno temporaneamente, gli Angioini si trovarono senza l'appoggio del re di Francia.

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Note

[1] Nella bolla con cui papa Clemente IV investì Carlo d’Angiò troviamo per la prima volta le dizioni ultra Pharum e citra Pharum

[2] L’aspetto di Re Ferrante non era aristocratico. Il viso, come appare nel busto in bronzo dello scultore Guido Mazzoni, è contraddistinto da guance flaccide e cascanti, per alcuni segno di carattere duro e dispotico. Ferrante aveva ricevuto una accurata educazione, nei limiti della pedagogia religiosa dell’epoca. Anche se molto meno proclive del padre alla promozione delle arti e delle lettere, non gli mancò un certo interesse verso la cultura. Favorì lo studio ed arricchì la biblioteca, anche per ragioni di prestigio. Ferrante teneva molto all'eleganza del vestiario e volle anche molto lusso per la sua corte.

[3] Una descrizione dell’epoca: «formosissima quanto mai regina se possa recordare: alta de corpo; con una grata macilentia, colorita bianchezza: li occhi che pendevano un poco nel bianco; li capelli biondi et longissimi». Oltre che bella, Isabella fu «morigera, fedel, casta prudente» e secondo il Pontano «di facile accesso, piuttosta franca che aspra nel rispondere... costante nelle avversità, temperata nelle prosperità, di eloquenza popolare, che non diceva cose finte o artificiosamente preparate, osservante del giusto e dell'onesto anche a prezzo di travagli». Fu insomma una ottima regina, nonostante l'irrequietezza del consorte, che invece mise al mondo tre figli naturali.

[4] Quattro maschi (Alfonso, Federico, Giovanni e Francesco) e due femmine (Eleonora e Beatrice). Alfonso sposò Ippolita Sforza, figlia di Francesco duca di Milano e di Bianca Maria Visconti, donna di solida cultura che morì poco precocemente nel 1488. Giovanni abbracciò la carriera ecclesiastica: fu abate di Montecassino e cardinale nel 1477. Eleonora andò in moglie al duca Ercole d'Este, figlio del marchese Niccolò III e di Ricciarda di Saluzzo. Beatrice sposò il re d'Ungheria Mattia Corvino .


Bibliografia e riferimenti

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