I “galantuomini” al
bivio: la crisi di fine secolo
1. Negli ultimi anni del
secolo, la classe dominante borghese attraversò un
momento di grande difficoltà: da una parte, era sempre
più incalzata dalle masse popolari che rivendicavano, in
modo sempre più cosciente ed organizzato, migliori
condizioni di vita e maggiori diritti; dall’altra, aveva
perduto, con Crispi, un tradizionale e stabile punto di
riferimento politico.
2. La classe
egèmone aveva due alternative possibili: o tentare di
continuare la precedente politica crispina (fatta di:
repressione + guerre coloniali + emigrazione) ma allora
occorreva trovare un nuovo “uomo forte” ed instaurare un
tipo di regime ancora più autoritario; oppure, cercare
un dialogo con il movimento popolare emergente, sulla
linea già abbozzata dal Giolitti nel suo breve
intermezzo di governo
[1] nel 1892-93.
3. Negli ultimi 4 anni del
secolo (con i quattro successivi governi guidati da
Antonio Di Rudinì e i due del generale Luigi Pelloux;
ispiratore Sidney Sonnino) si tentò la prima strada, ma
essa si dimostrò rapidamente impraticabile; fu
richiamato allora al governo, nel 1900, quel Giovanni
Giolitti che incarnava la seconda.
Le sommosse e la repressione nel 1898
4. I fatti si
svolsero con grande drammaticità. Nella primavera del
1898 (cioè, pochi anni dopo gli eventi siciliani del
1894) scoppiarono, questa volta in tutta Italia,
proteste e sommosse originate dall’aumento del prezzo
del pane.
5. Già nel luglio dell’anno
precedente, l’Avanti! scriveva: “In Italia è un
grido solo: il prezzo del pane aumenta spaventosamente”
e chiedeva l’abolizione dei dazi “sui grani e sulle
farine”.
6. Fin dalle prime
manifestazioni, non ci fu luogo ad equivoci: tutti le
giudicarono proteste dello stomaco.
7. L’Osservatore cattolico,
giornale milanese diretto da D. Davide Albertario e D.
Enrico Massara, scrisse: “Manca il pane. Non riconoscono
questa mancanza coloro che mangiano e bevono, e hanno
bisogno di quiete per digerire … Essi hanno
possedimenti, ville, cavalli, e guardano sicuri la folla
di pezzenti che domanda lavoro e pane; la guardano e
l’insultano come sobillata ed incontentabile … Il
liberalismo ha derubato la popolazione e continua,
col suo governo iniquo e insensato, a derubarla, onde le
risorse tutte sono esauste …”
8. Gli accadimenti più gravi si
ebbero a Firenze e soprattutto a Milano (6-9 maggio),
laddove il criminale Fiorenzo Bava-Beccaris (1831–1924),
come avevano fatto di regola i generali sabàudi prima di
lui
[2], ordinò alla truppa di sparare sulla
folla inerme, provocando circa 400 morti (anche donne e
bambini) ed un numero imprecisabile di feriti.
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Il generale Fiorenzo Bava Beccaris (1831 - 1924) |
9. Il re Umberto I
di Savoia, naturalmente acceso fautore e punto di
riferimento, insieme alla moglie regina Margherita,
della politica autoritaria, insignì di varie ricompense
e decorazioni le truppe che così disciplinatamente
avevano risposto agli affamati col piombo, ed in
particolare il 6 giugno 1898 scrisse, in un telegramma
al generale Bava-Beccaris:
10. “… a Lei poi personalmente
volli conferire motu proprio la Croce di
Grand’Ufficiale dell’Ordine Militare di Savoia, per
rimeritare il servizio che Ella rese alle istituzioni ed
alla civiltà e perché Le attesti, col mio affetto, la
riconoscenza mia e della patria”.
11. Furono nuovamente
arrestati, e condannati come “istigatori” a vari anni di
detenzione, tutti i principali esponenti socialisti e
stavolta anche vari esponenti del movimento cattolico:
D. Davide Albertario, il direttore dell’Osservatore
cattolico, ebbe tre anni di carcere. In tutta
Italia, ci furono processi sommari e condanne
sproporzionate.
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L'arresto di Don Davide Albertario |
Le sommossa e la
repressione del 1898 a Napoli
12. Anche Napoli fu teatro di
accesi tumulti; in particolare, ci furono sommosse il 28
aprile a S. Giovanni a Teduccio ed il 1° maggio a
Ponticelli e Resìna
.
13. Un ragazzo, un certo Filòsa,
prese 3 mesi di detenzione per aver gridato “E bbi’
lloco!” (= Eccoli!) per avvisare
dell’arrivo degli agenti di polizia.
14. Un gobetto, di nome
Verniero, ebbe 2 anni di reclusione perché, prima che si
proclamasse lo stato d’assedio, in un caffé di Napoli
leggeva i giornali e li commentava manifestando delle
simpatie per il socialismo.
15. Tre donne ebbero
rispettivamente 1 anno, 9 mesi e 7 mesi di reclusione,
per aver preso parte ad una pacifica dimostrazione
contro il rincaro del pane; tre ragazzi, 18 mesi
ciascuno per aver abbattuto un palo.
16. Ecco un dialogo avvenuto al
tribunale di Napoli nella causa per tumulti a Pomigliano
d’Arco:
Imputato: “Presidente, debbo
dire mezza parola…”
Presidente: “Dite pure”.
Imputato: “Domandi al signor
brigadiere…”
Presidente: “Basta così. Ne
avete già dette quattro, di parole”.
17. Il presidente di un
tribunale di Napoli dichiarò che non occorrevano
verbali, perché bastava che egli sentisse…
18. Nel processo per tumulti a
Giugliano, un imputato dichiarò: “Ma io tengo i
testimoni …” e il presidente, di rimando: “Per me i
testimoni valgono zero; per me i testimoni buoni sono
solo i carabinieri e le guardie”.
19. Persino Il Mattino,
il giornale di Napoli, che era di tendenza
filo-governativa e conservatrice, scrisse che, nelle
condanne degli uomini politici e dei giornalisti di
Milano, “v’era il concetto della vendetta, più che di un
vero atto di giustizia”.
Dopo la repressione:
l’ostruzionismo e le elezioni del 1900
20. Dopo la repressione
immediata, il governo (Pelloux) tentò di far passare in
Parlamento (giugno 1899) provvedimenti legislativi che
limitavano la libertà di organizzazione, di stampa e di
espressione, miranti evidentemente a reprimere ogni
forma di opposizione.
21. Contro l’approvazione di
queste leggi, si sviluppò, nel 1899, una accanita
battaglia parlamentare (ostruzionismo) alla quale
parteciparono non solo i socialisti, ma anche la
componente liberale che si riconosceva in Giolitti.
22. Si ricorse allora allo
scioglimento del Parlamento, ma le nuove elezioni
(giugno 1900) segnarono un trionfale successo dei
socialisti e della sinistra liberale, per cui si
dovettero accantonare definitivamente i provvedimenti
liberticìdi.
Dopo la repressione: la fine di Umberto I
23. Poco dopo, il 29 luglio del
1900, il re Umberto I fu ucciso in un attentato
dall’anarchico
[4] Gaetano Bresci (1869-1901) che intendeva
così vendicare i morti nei tumulti di Milano del 1898 ed
in Sicilia nel 1894.
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La celebre copertina della Domenica del
Corriere dedicata all'evento |
“Il re d’Italia, che si trovava
nella sua villa di Monza, era intervenuto quella sera ad
una festa della palestra ginnastica, allorché, appena
uscito dalla festa, fu colpito da tre colpi di
rivoltella spianati contro di lui e dopo poco cessava di
vivere. L’assassino era certo Gaetano Bresci, di Prato,
che si proclamò anarchico e dichiarò di avere agito da
solo, in odio al re e alla monarchia”
24. Il nuovo re, Vittorio
Emanuele III (nato nel 1869; regnerà dal 1900 al 1947),
chiamò al governo Giovanni Giolitti.
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Il giuramento di Vittorio Emanuele III |
Barra nella sommossa del
1898
25. Gli eventi drammatici degli
ultimi anni dell’Ottocento non mancarono di avere
riflessi anche nella nostra zona.
26. Si è visto che i tumulti
per il pane nel 1898 interessarono certamente anche S.
Giovanni a Teduccio e Ponticelli (vedi sopra, n°12);
stranamente, nel pur minuzioso elenco fatto
dall’Angiolini
[6], non risultano proteste a Barra.
Agli Atti del Consiglio
comunale troviamo però la ratifica di due provvedimenti
di urgenza presi in quella circostanza dalla Giunta:
“Ratifica di atto d’urgenza della Giunta inerente a
provvedimenti per i tumulti di maggio e il rincaro
del pane” (Delibera N°149 del 6 giugno 1898); “Ratifica
di deliberazione di Giunta circa sospensione di Dazio
sul fiore per i moti di maggio” (Delibera N°150 del 6
giugno 1898).
Qualcosa dunque avvenne anche a
Barra …
27. E’ molto probabile, quanto
meno, che nei disordini in occasione del 1° maggio 1898
a Ponticelli siano stati implicati anche diversi
Barresi, recàtisi nel paese vicino per celebrare insieme
la festa dei lavoratori, la quale, ricordiamo, era stata
istituita dalla “Seconda Internazionale” solo otto anni
prima, nel 1890.
28. In ogni caso, è certo che
in quegli anni l’organizzazione dei socialisti, nella
nostra zona e in generale in tutta la regione, era
ancora molto debole.
29. Nel 1896, in Campania, vi
erano solo 5 sezioni del Partito socialista[7],
per un totale di 274 iscritti: la Campania era cioè la
quart’ultima fra le regioni italiane, seguita solo dall’Abruzzo-Molise
(4 sezioni), dalla Sardegna (3) e dalla Basilicata (1).
30. Ciò agevolmente si spiega
con la politica di smantellamento dell’industria
meridionale, a vantaggio di quella del Nord,
sistematicamente perseguita dal governo liberale
“italiano” per tutta la seconda metà dell’Ottocento[8].
31. La Campania, che nel 1861
era la regione più industrializzata della nuova Italia,
con l’11% di operai sul totale della popolazione
occupata, alla fine del secolo aveva largamente perduto
questo primato.
32. Erano quindi rimasti, anche
nella zona orientale di Napoli, ben pochi nuclei di
operai e, fra questi, un buon numero era sicuramente più
vicino alla antica tradizione anarchica che non al
socialismo della “Seconda Internazionale”.
33. Bisognerà attendere il
periodo giolittiano e la Legge speciale per Napoli
del 1904 per constatare una nuova crescita
dell’industrializzazione nella zona ad oriente della
città, con conseguente rapido sviluppo
dell’organizzazione socialista (e poi anche comunista).
La “Associazione per il
bene degli operai” (1899)
34. Comunque, il fermento del
1898 non passò invano: a Barra, lasciò come sua eredità
la nascita, nell’agosto del 1899, della “Società operaia
di mutuo soccorso”, tuttora esistente, unica nella zona
orientale di Napoli.
35. Abbiamo già accennato, in
precedenza, al rapido sviluppo delle “Società operaie di
mutuo soccorso” negli anni successivi all’Unità, ed al
loro riconoscimento giuridico, nel 1886, ad opera dei
governi della Sinistra liberale[9].
36. A Barra, nel 1899, venne
alla luce quella che allora si chiamò “Associazione per
il bene degli operai” ed aveva sede in Corso Sirena
n°36.
L’impianto di questa
Associazione era presumibilmente molto simile a quello
delle antiche confraternite laicali che, anche a
Barra, come abbiamo detto[10],
avevano una lunga e consolidata tradizione.
37. Basandosi sul principio
mutualistico (= dell’aiuto reciproco), la
Associazione garantiva, alle ancor poche famiglie
operaie, alcuni servizi essenziali che lo Stato liberale
non voleva o non poteva fornire
[11].
Curava anche, per quanto
possibile, la concessione di prestiti a tassi
agevolati per i soci più bisognosi che ne avessero
necessità: si trattava pur sempre di combattere l’antica
piaga dell’usura, che abbiamo visto stigmatizzata
esplicitamente dai predicatori al tempo di S. Alfonso
[12], e passata indenne attraverso i secoli e
le generazioni!
38. I fondi necessari, come
detto, provenivano dai contributi mensili dei soci
stessi o anche da benefattori, non-operai, che
appartenevano evidentemente ai ceti più benestanti.
L’antico spirito di reciproco
aiuto familiare (manifesto anche in alcune norme, come
quella che prevedeva il subentro automatico del
figlio al posto del padre defunto) si estendeva ai nuovi
ceti sociali ed assumeva forma e coloritura dei tempi
nuovi.
39. Dopo il 1904 (con la
ripresa, cioè, dell’apparato industriale) si pensò anche
di istituire delle “scuole professionali”, in
particolare corsi di disegno geometrico e meccanico,
evidentemente di grande utilità per lavorare meglio e a
livelli più qualificati.
Così, troviamo agli Atti che
nel 1909 il Comune di Barra accordò un “Sussidio alla
Società Operaia di Mutuo soccorso per l’istituzione
della scuola serale di disegno meccanico per i figli
degli operai” (Delibere n°107 del 5 aprile 1909 e n°111
del 14 aprile 1909).
La costruzione della sede sociale (1912)
40. Infine, nel 1912, troviamo
da parte del Comune un “Concorso nella spesa per la
costruzione di una sede sociale, con annessi locali
ad uso di scuole operaie, della Società Operaia in luogo
di Mutuo Soccorso” (Delibere n°38 del 9 marzo 1912 e
n°58 del 15 aprile 1912).
E’ in quell’anno 1912 che venne
dunque inaugurata l’attuale sede di Corso Bruno Buozzi,
con il tradizionale e significativo stemma mutualistico
(due mani che si stringono) tuttora visibile sulla
facciata dell’edificio. Il primo presidente della
S.O.M.S. di cui si abbia memoria documentata è Raffaele
Migliori, che la diresse dal 1911 al 1924.
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La sede della Società Operaia di Mutuo
Soccorso, inaugurata nel 1912 |
Il Comune di Barra nella
crisi di fine secolo
41. Il Comune di Barra rimaneva
comunque saldamente in mano alla piccola borghesia
locale (avvocato, notaio, farmacista, proprietario
agricolo, proprietario-sacerdote, negoziante, etc …), di
ispirazione liberale e monarchica post-risorgimentale,
con i suoi piccoli vizi e le sue piccole virtù[13].
42. Giunto alla fine, nel 1892,
il terzo ed ultimo mandato del Sindaco Giovanni
Mastellone[14]
al Comune di Barra arrivò il Règio Delegato
Straordinario Damiano d’Arcais.
Il secondo Delegato
Straordinario: Damiano d’Arcais (1892)
43. Damiano d’Arcais
(febbraio-maggio 1892) fu perciò il secondo “Règio
Delegato Straordinario pel Municipio di Barra”: il primo
era stato, come si ricorderà
[15], l’Avv. Vincenzo Lugarési, al tempo
della Destra liberale.
Stavolta, però, non si trattava
di reprimere grossolane irregolarità, come era accaduto
nel 1873, bensì di gestire la fase di transizione che si
era comprensibilmente aperta, dopo la fine del periodo
di relativa stabilità garantito dal Sindaco Mastellone.
Sarebbe stato sufficiente
limitarsi a garantire l’ordinaria amministrazione in
attesa della nomina di un nuovo Sindaco … se non che, a
quanto pare, nel suo breve periodo di reggenza, il d’Arcais
non badò a spese e largheggiò nobilmente in
tutto.
44. Nei confronti del
personale comunale: assunzioni, promozioni, aumenti
di stipendio, straordinari e gratifiche; nomina, per
concorso, di due nuovi impiegati “amanuensi provvisori”
presso la Segreteria municipale … “Assegno straordinario
alle guardie campestri Mastrogiovanni Aniello e
Romano Pietro per il servizio provvisorio prestato di
custodi al carcere mandamentale” (Delibera comunale
N°13 del 24 marzo 1892) ... e così via.
45. Nei confronti delle
strutture:
“Approvazione di spesa per
restauri ed imbiancamento alle facciate esterne degli
edifici municipali” (Delibera N°10 del 21 marzo 1892).
“Spese per manutenzione e mobilia ai locali ed uffici
municipali” (Delibera N°20 del 16 aprile 1892).
“Approvazione di spesa per
provvista di mobilio alla Pretura mandamentale”
(Delibera N°27 del 26 aprile 1892).
“Sistemazione della Piazza
innanzi alla casa municipale” (Delibera N°31 del 30
aprile 1892) con relative “Disposizioni per la
manutenzione del giardinaggio alla piazza municipale”
(Delibera N°39 del 9 maggio 1892).
“Approvazione di spesa per
l’acquisto ed impianto di un nuovo quadrante trasparente
al pubblico orologio” (Delibera N°34 del 1 maggio
1892).
“Ordinamento dell’archivio
comunale” (Delibera N°41 dell’11 maggio 1892).
46. Nei confronti dei poveri
e degli alunni delle scuole:
“Approvazione di spesa per la
premiazione degli alunni delle scuole” (Delibera N°26
del 26 aprile 1892).
“Approvazione di spesa per
somministrazione di carne ai poveri” (Delibera N°28 del
26 aprile 1892).
47. Ma come fece il d’Arcais ad
essere così generoso nei confronti di tutti e di tutto?
Il segreto di tanta liberalità ci è infine svelato:
“Prelievo di somme dal fondo di riserva per
impinguamento di fondi in bilancio” (Delibera N°30 del
27 aprile 1892).
Quindi, in buona sostanza, il
Règio Delegato Straordinario attinse al pre-esistente
“fondo di riserva” che era stato evidentemente
fin’allora ben gestito, con paesana oculatezza, dalla
coppia Mastellone-Cozzolino ...
E tanto attinse, che alla fine
non solo prosciugò tutto il fondo di riserva, ma dovette
pre-impegnare anche soldi dai bilanci futuri, lasciando
il “buco” in eredità al successivo Sindaco Beniamino
Caccavale: “Rimando nel bilancio 1893 di una
deliberazione d’urgenza del Règio commissario” (Delibera
N°56 del 14 giugno 1892).
48. Esauriti i fondi, fece in
modo di andarsene via subito, non senza aver prima
badato prudentemente anche a se stesso: “Indennità
spettanti al Règio commissario” (Delibera N°33 del 1
maggio 1892).
L’inaugurazione del Corso
Garibaldi – IV Novembre (1892)
49. Damiano d’Arcais coronò
in pompa magna il suo mandato con la cerimonia
ufficiale di “Inaugurazione dell’apertura della nuova
strada consortile” (Delibera N°32 del 30 aprile 1892).
La strada “consortile”, ovvero
realizzata insieme dai due Comuni di Barra e S. Giovanni
a Teduccio, è naturalmente l’attuale Corso IV Novembre,
che diventa Corso Protopisani in territorio di S.
Giovanni a Teduccio, e le cui vicende fino a questo
momento, insieme a quelle della Piazza
[16], abbiamo in precedenza illustrate
[17].
Al momento di
quell’inaugurazione, si chiamò Corso Giuseppe Garibaldi;
divenne poi Corso Umberto I; poi Corso Francesco
Spinelli
[18]; ed ebbe infine il nome attuale dopo la
Prima guerra mondiale, come vedremo più ampiamente in
seguito.
50. Tuttavia, come spesso
accade, l’inaugurazione avvenne quando l’opera non era
ancora finita: abbiamo infatti già detto
[19] che il Corso non era ancora congiunto
con la Piazza Umberto I (attuale Piazza De Franchis) e
con il Corso Vittorio Emanuele (attuale Corso Bruno
Buozzi): per realizzare la famosa struttura a T,
prevista dal Cozzolino, c’era ancora di mezzo un muro,
che fu abbattuto solo in seguito, nel 1894.
Evidentemente, anche in questo
caso, la coppia Mastellone-Cozzolino aveva fin’allora
agito con paesano buon senso ed aveva rinviato
l’inaugurazione fino a che l’opera non fosse stata
compiuta; ma il nobile Règio Delegato
Straordinario Damiano d’Arcais volle pubblicamente
attribuirsi un merito non suo …
Sindaci di fine e inizio
secolo: Beniamino Caccavale e Antonio Napolitano
51. Dopo il d’Arcais, a reggere
le sorti del Comune, troviamo nominati
[20]: prima, per due mandati, Beniamino
Caccavale (maggio 1892 – giugno 1899) e successivamente,
nel passaggio da un secolo all’altro, Antonio
Napolitano (luglio 1899-1903).
Il Sindaco Beniamino Caccavale
si trovò subito al centro di spinose questioni
economiche, da lui affrontate, per la verità, in modo
non sempre trasparente …
I Domenicani ri-comprano
il loro convento (1894)
52. Abbiamo già descritto la
vicenda dei Padri domenicani a Barra nell’Ottocento e
quella, in particolare, del P. Giuseppe De Cristofaro[21].
Come detto, nel 1866 il
convento dei Domenicani era stato espropriato dallo
Stato italiano e successivamente assegnato, in gestione
e manutenzione, al Comune di Barra.
53. Ben presto, però, il Comune
si rese conto di non aver fatto un buon affare: il
convento era molto grande e la chiesa piena di opere
d’arte ed inutilizzabile a fini non di culto, così che
la loro gestione e manutenzione ordinaria e
straordinaria venivano a costare cifre che esorbitavano
dai magri bilanci comunali.
Fino a quando, nel 1892,
troviamo agli Atti una “Istanza al governo per la
cessione in proprietà del locale degli ex-Domenicani”
(Delibera n°78 del 12 agosto 1892).
54. Il permesso di vendere fu
accordato rapidamente, perché già l’anno successivo
rinveniamo le “Disposizioni per la vendita ad asta
pubblica del convento dei Padri Domenicani in Barra”
(Delibera n°195 del 26 giugno 1893).
La vendita “ad asta pubblica”
non ebbe però alcun èsito, e così l’anno ancora
successivo fu emessa la “Offerta a trattativa privata
per la vendita del fabbricato degli ex-Domenicani”
(Delibera n°268 del 4 luglio 1894).
55. Con questa “offerta a
trattativa privata”, circa 30 anni dopo la
“espropriazione senza indennizzo” subìta da parte dello
Stato italiano liberale e massonico, i Domenicani
poterono ricomprarsi il loro convento, versando al
Comune di Barra “in moneta sonante, con i risparmi dei
religiosi”
[22] la bella cifra di 19.000 lire in
contanti.
Agli Atti del consiglio
comunale rimane lo “Svincolo, in parte, della polizza
ricavata dalla vendita del convento degli ex-Domenicani
e deposito della differenza di interessi” (Delibera n°25
del 17 settembre 1894).
Questa polizza darà luogo a
vari sospetti ed è assai probabile che uno o più degli
amministratori comunali si siano fraudolentemente
intascati parte dei soldi.
56. Se non altro, però, il
Comune si liberò dagli òneri di gestione e di
manutenzione, e da allora stette ben attento a non
farseli eventualmente ri-accollare sotto altra forma:
“Voto negativo per concorso
nella spesa dei restauri alla Chiesa annessa al convento
dei Padri Domenicani” (Delibera n°63 del 28 settembre
1906).
Ricordiamo qui di passaggio
che, in quello stesso periodo e per motivi praticamente
analoghi, il Comune “cedette in perpetuo” alle Suore
Stimmatine “l’uso della chiesa” di S. Maria del Pozzo
[23]: “Approvazione di contratto per cessione
della Chiesa comunale di S. Maria del Pozzo alle Suore
Stimmatine” (Delibera consiliare N°207 del 30 gennaio
1899).
La rifioritura del
convento
57. Il 16 luglio 1895 i
Domenicani re-insediarono a Barra il Noviziato e lo
Studentato per i frati: maestro dei novizi, fino alla
sua morte nel 1898, risulta essere il P. Giacinto D’Auria.
Il P. Giuseppe De Cristofaro,
oltre a contribuire in maniera discreta ma cospicua (era
pur sempre di famiglia nobile e benestante …) al
raggiungimento della somma necessaria per riscattare il
convento, e nonostante l’età ormai avanzata, fu tra i
più attivi collaboratori del P. D’Auria nella rinascita
conventuale e nella formazione delle “nuove leve”
domenicane.
Così che, nell’anno 1900, il
convento di Barra risultava essere “la comunità più
numerosa e importante dell’Italia meridionale”, con 8
Padri, 8 giovani sacerdoti e frati studenti, 3 novizi e
7 conversi
[24].
Le Scuole municipali in Villa Salvetti-Torricelli (1894)
58. Quando nel 1894 i
Domenicani rientrarono in possesso del loro convento, i
locali risultavano “ancora danneggiati dalle Scuole
municipali che vi erano state insediate in precedenza”[25].
Sembra quindi che, oltre che
come Pretura, Ufficio del Registro e Deposito comunale
[26], il convento sia stato utilizzato,
almeno a partire dalla emanazione della Legge Coppino
nel 1877 e fino al 1894, come sede delle famose 7 classi
di Scuola municipale
[27].
59. Non tutte e 7, però; perché
almeno qualcuna di queste classi era sistemata nella
storica Villa Salvetti
[28], che l’allora proprietaria, donna
Adelina Salvetti vedova Torricelli, aveva fittato al
Comune.
Il contratto di affitto scadeva
il 4 maggio 1894 e, con l’occasione, la Sig.ra
Salvetti-Torricelli chiedeva al Comune i danni per le
“deturpazioni” provocate alla Villa dalla presenza delle
classi scolastiche.
Il Comune, oltre a dover pagare
i danni, si sarebbe quindi venuto a trovare, in quel
1894, senza più alcuna sede per le sue scuole, visto che
in contemporanea i Domenicani si ri-prendevano il loro
convento.
60. Di sbrogliare la matassa si
incaricò il Sindaco Beniamino Caccavale, che trattò
“bonariamente” la questione con donna Adelina.
Alla fine, il Pretore di Barra
stabilì che il Comune pagasse alla Salvetti la cifra di
lire 180 per i danni provocati (più lire 59,40 al perito
Giovanni Primicerio, che aveva “quantificato” questi
danni) e il contratto di affitto venne rinnovato con
“scrittura privata” fra il Sindaco e la stessa Salvetti.
E quindi, a partire da quell’anno 1894, anche le classi
che prima stavano nel convento dei Domenicani, passarono
in Villa Salvetti:
“Indennità alla Sig.ra Salvetti
per affitto di locali scolastici” (Delibera N°7 del 13
luglio 1894).
“Provvedimenti per l’affitto
dei nuovi locali per le scuole elementari municipali”
(Delibera N°10 del 13 luglio 1894).
“Autorizzazione per il
prosieguo di fitto dei locali ad uso delle scuole
municipali elementari” (Delibera N°61 del 21 luglio
1897).
Vicende oscure
dell’illuminazione pubblica a gas …
61. Abbiamo detto a suo luogo
[29] che nel 1885 il Sindaco Luigi Martucci
stipulò il contratto con la “Compagnia meridionale e
vesuviana del gas”, che serviva anche i limitrofi Comuni
di S. Giovanni a Teduccio e S. Giorgio a Cremano, per
passare gradualmente dall’illuminazione pubblica a
petrolio a quella a gas.
Abbiamo però anche anticipato
che, con i successori del Martucci, non tutto filò
liscio nella gestione di questo contratto.
Il sequestro dei Dazi comunali (giugno 1897)
62. Troviamo infatti che, il 15
giugno 1897, la “Compagnia meridionale e vesuviana del
gas”, ottenuto dal Tribunale di Napoli l’apposito
“decreto ingiuntivo”, richiese al Comune di Barra la
somma di lire 66.627,97 (interessi compresi): somma
dovuta, e non ancora pagata, per l’illuminazione
pubblica a gas.
In sostanza, il Comune non
pagava la bolletta del gas … e la Compagnia minacciava,
permanendo la morosità, di far mettere sotto sequestro
tutti i cèspiti comunali “entro il termine di giorni
5”.
63. E detto fatto, il giorno 30
giugno 1897, l’usciere Cortellese, del Tribunale di
Napoli, si presentò a Barra e procedette al “sequestro
dell’incasso giornaliero dei Dazi comunali” (senza
toccare quelli governativi) ovvero di parte dei locali e
del mobilio del Comune per provvedere lui stesso ad
“incassare, giorno per giorno, i suddetti Dazi”.
64. Per contro, immediatamente,
il Comune incaricò l’avvocato municipale di procedere in
giudizio sia contro la Compagnia sia
contro l’Ufficiale giudiziario incaricato del sequestro,
per le ingiurie da questi profferite contro il Sindaco,
il Vice-brigadiere delle guardie comunali Giuseppe
Cozzolino ed il Commesso daziario Raffaele Bottone, che
si erano opposti al sequestro:
“Ratifica di atto d’urgenza
concernente autorizzazione di giudizio contro la
Compagnia meridionale e vesuviana del gas per
insequestrabilità del cèspite daziario (Delibera n°56
del 21 luglio 1897).
“Ratifica di atto d’urgenza in
ordine a nomina dell’avv. Rinaldi per difesa in giudizio
contro la Compagnia del gas” (Delibera n°90 dell’8
novembre 1897).
65. L’avvocato municipale era
infatti, in quel tempo, Antonio Rinaldi, che
risulta poi aver svolto questo ruolo per molti anni
ancora: almeno, fino al 1921.
Tuttavia, data l’eccezionalità
della causa, il Comune non si limitò all’avv. Rinaldi ma
si affidò, per l’occasione, anche ad un “prìncipe del
fòro” di Napoli, ovvero l’allora trentaquattrenne ma già
celebre e costosissimo avvocato Gennaro Marciàno
(1863-1944), personaggio assai prestigioso, che
diventerà in seguito anche deputato, nel periodo
liberale, e senatore, in quello fascista.
|
L'avvocato Gennaro Marciàno |
66. La vicenda era
indubbiamente assai spiacevole, ma il Comune di Barra
aveva buone possibilità di cavarsela senza troppi danni,
a parte l’oneroso compenso da versare all’avv. Marciano.
Invero, a quel tempo (e non
solo a quello), pressoché tutti i Comuni italiani erano
più o meno indebitati
[30]; precedenti sentenze per cause analoghe
avevano però sancìto il principio della
“insequestrabilità del cèspite daziario”, vale a dire
che, qualsivoglia fosse l’entità del debito, nessun
creditore poteva mettere sotto sequestro le entrate
comunali, di cui il Dazio sul consumo era magna pars
[31].
L’avvocato Marciano, sicuro del
fatto suo, non tardò infatti a portare la causa fin
davanti alla Corte di Cassazione; ed agli Atti del
Comune troviamo appunto la “Autorizzazione di ricorso in
Cassazione nella causa contro la Compagnia del gas”
(Delibera n°120 dell’8 gennaio 1898).
L’articolo
del “Risorgimento antico” (25 luglio 1897)
67. La spinosa ma non
irrisolvibile vicenda ebbe però, fin dall’inizio, una
ulteriore complicazione, dovuta al fatto che il giornale
“Il Risorgimento Antico”, in data 25 luglio 1897,
pubblicò un incandescente articolo intitolato “Il
fallimento del Comune di Barra”.
Il redattore usava la mano
pesante: dopo aver raccontato gli eventi, aggiungeva
“che il Sindaco non gode di alcuna fiducia personale;
che i Consiglieri non solo sono pecore e pecoroni ma
anche imbecilli; che gli Amministratori hanno fatto
divenire, nelle loro mani, la cosa pubblica un mezzo
iniquo per giovare ai propri interessi ed hanno
accumulato enormi debiti nel Comune per sfacciati
interessi personali … hanno fatto del patrimonio
pubblico un largo scialàcquo … come i ladri che si
appostano nella macchia, hanno aspettato l’ora
opportuna, in ogni occasione, per addentare il danaro
del Comune e commettere delle frodi più o meno
mascherate …”
Proseguiva poi accusando
specificamente il Sindaco e il Direttore dei dazi di
aver “sperperato 3.000 lire incassate per scorte,
apparecchiandosi a falsificare i pezzi d’appoggio per
nascondere il reato”; e gli Assessori di aver “investite
in proprio vantaggio le lire 8.000 di polizze
accantonate per l’edificio scolastico, nonché le lire
15.000 (ma non erano 19.000? Vedi sopra, n°55)
riscosse dalla vendita del Monastero dei Padri
domenicani”.
68. Qualcuno non mancò di
sospettare che l’articolo fosse stato “commissionato a
pagamento” dalla stessa “Compagnia meridionale e
vesuviana del gas”, onde “sollecitare”, per così dire,
il versamento degli arretrati …
Comunque sia, agli Atti del
Comune di Barra troviamo la “Istanza di N°11 consiglieri
comunali per riparazione di offese pubbliche riportate
nel giornale Il Risorgimento Antico datato 25
luglio 1897” (Delibera n°63 del 12 agosto 1897).
Seguita dalla “Autorizzazione
per querela, da sporgersi dal Sindaco, per gli articoli
di ingiurie e diffamazioni pubblicati nel giornale Il
Risorgimento Antico n°21 e n°22” (Delibera n°83 del
25 ottobre 1897).
69. In sostanza, il Consiglio
comunale deliberò di sporgere querela, oltre alle due
precedenti contro la Compagnia e contro l’Ufficiale
giudiziario, anche contro Achille Vaccaio fu Francesco,
direttore e proprietario del Risorgimento antico,
e contro Raffaele Guardi, gerente responsabile del
giornale.
Incaricato dal Comune era
ancora l’avvocato Gennaro Marciano, ma stavolta
fu magnanimamente stabilito che il suo onorario dovesse
essere pagato non dalla Cassa comunale bensì da tutti i
Consiglieri personalmente.
Come andò a finire
70. Come andò a finire l’epica
tenzone?
L’avv. Marciano, a quanto
sembra, riuscì ad ottenere il dis-sequestro del Dazio ed
una onorevole rateizzazione del debito del Comune nei
confronti della Compagnia:
“Convenzione con la Società
meridionale e vesuviana del gas per pagamento di
arretrati” (Delibera N°231 del 12 giugno 1899).
Egli convinse, peraltro, il
Comune a rinunciare alle denunce per le ingiurie che
erano state profferite, sia dall’Ufficiale giudiziario
sia dal “Risorgimento antico”, contro il Sindaco, i
Consiglieri ed alcuni dipendenti comunali.
Evidentemente, nemmeno il grande avvocato Marciano era
tanto sicuro di poter provare l’infondatezza delle
accuse …
71. Comunque, agli Atti
troviamo che, quattro anni dopo (4 luglio 1901), la
“Compagnia meridionale e vesuviana del gas” propose al
Comune di Barra di realizzare essa stessa il passaggio
dalla illuminazione a gas all’ancor più
avveniristica illuminazione elettrica.
E la Giunta comunale, riunitasi
in data 8 agosto 1901, deliberò “dare parere favorevole
all’installazione della luce elettrica, giusta la
domanda della Compagnia meridionale e vesuviana del
gas”.
Si fa “pulizia” … nelle
carceri
72. Inoltre, le ingiurie subìte
nel 1897 a qualcosa pure servirono, perché l’anno dopo
(1898) il Comune intraprese a fare un po’ di “pulizia”
al suo interno.
Come spesso càpita in questi
casi, però, la prima vittima della moralizzazione non fu
qualcuno dei politici (evidentemente intoccabili …)
bensì, nella fattispecie, il Capo delle guardie
carcerarie: ricordiamo che a Barra si trovava il carcere
mandamentale, che aveva sede al piano terra
dell’edificio comunale[32].
Troviamo così agli Atti le
“Disposizioni per una inchiesta a carico del Capo
Guardiano Carcerario” (Delibera N°131 del 8 febbraio
1898).
73. Il “Capo Guardiano
Carcerario” si chiamava Riccardo Venturelli e la Giunta
comunale “visto i gravi indizi risultati a carico del
Venturelli, il quale deve rispondere di:
- peculato … per aver distratto
danaro dei detenuti che aveva in custodia;
- infrazione, per aver fatto
entrare in carcere Nicola Campanile, alunno della
Pretura di Barra, a confabulare in cella con il detenuto
Cosimo Vaccaio;
- aver contratto debiti con
Raffaele Sesto, rappresentante locale per le forniture
carcerarie, a scopo di utilità propria …
delibera
piaccia al signor Prefetto
decretare la immediata sospensione del Venturelli,
invocando il provvedimento telegraficamente, e che sia
poscia provveduto per la di lui sostituzione,
stante la gravità dei fatti”.
Si fa “pulizia” … anche altrove
74. A seguire, l’ondata di
moralizzazione del 1898, sempre salvaguardando i
politici, colpì anche altrove:
“Provvedimenti disciplinari a
carico del Commesso Daziario De Cristofaro Carlo”
(Delibera N°163 del 23 luglio 1898).
“Provvedimenti a carico
dell’Ufficiale Sanitario” (Delibera N°164 del 29 luglio
1898).
“Provvedimenti disciplinari a
carico dell’Agente Daziario Minichini Ugo” (Delibera
N°165 del 29 luglio 1898).
“Provvedimenti sull’atto di
messa in mora del Sig.Fabozzi, mediatore del prestito, e
sospensione da soldo e funzioni dell’impiegato
municipale Armenio Girolamo” (Delibera N°177 del 30
settembre 1898). A cui segue addirittura la
“Destituzione dell’impiegato municipale Armenio
Girolamo” (Delibera N°199 del 13 dicembre 1898).
“Commissione di vigilanza alle
Scuole elementari comunali” (Delibera N°184 del 25
ottobre 1890).
“Commissione di vigilanza ai
Dazi di consumo” (Delibera N°185 del 25 ottobre 1898).
Ed al culmine dell’onda
moralizzatrice troviamo, al principio dell’anno
successivo:
“Parere favorevole per
l’istituzione di un Collegio dei probi viri”
(Delibera N°209 del 30 gennaio 1899).
Contributo per un monumento al Re Carlo Alberto (1899)
75. Queste umane miserie, però,
non impedivano di rimanere sempre fedeli, almeno
ufficialmente, alla retorica liberale e sabàuda
post-risorgimentale.
Già il Sindaco Beniamino
Caccavale, sul finire del suo mandato, pensò di detrarre
dalle disastrate casse comunali niente meno che una:
“Offerta per contribuire alle
spese per l’erezione di un monumento al Re Carlo
Alberto” (Delibera N°238 del 12 giugno 1899).
Si voleva cioè onorare l’ormai
defuntissimo Carlo Alberto di Savoia (1798-1849),
capo-stipite della dinastia regnante: quello che nel
1848 aveva “concesso” il celebre Statuto, di cui abbiamo
detto a suo luogo[33].
La lapide per Umberto I di Savoia (29 luglio 1901)
76. Peraltro, proprio l’anno
dopo (29 luglio 1900) sopravvenne l’uccisione, ad opera
dell’anarchico Gaetano Bresci, del Re Umberto I (vedi
sopra, n°23).
E toccò al successivo Sindaco
Antonio Napolitano (1899-1903) apporre, sulla facciata
del Municipio dove tuttora si trova, la lapide in
memoria dell’evento:
AD
UMBERTO I
RE
PER
SPONTANEO DECRETO DI POPOLO
DENOMINATO
IL BUONO
A
PERENNE PROTESTA
CONTRO
IL PIU’ INSANO MISFATTO
DEL
SECOLO
NEL
PRIMO ANNIVERSARIO DI SUA
MORTE
QUESTA
CITTADINANZA REVERENTE
POSE
XXIX
LUGLIO M CM I
(29 LUGLIO
1901)
La lapide venne “scoperta” con
una cerimonia ovviamente solenne, alla presenza del
Sindaco, del Consiglio e della Giunta comunali, del
Corpo insegnante delle scuole elementari, della Società
Operaia di Mutuo Soccorso e della Banda musicale
municipale che eseguì musiche d’occasione.
L’iscrizione sulla
lapide: sua origine
77. A pronunciare per prima le
parole riportate sulla lapide era stata, in realtà,
colei che abbiamo definito “la primattrice della
nuova Italia”
ovvero la Regina Margherita, la quale, un attimo dopo
l’attentato, quando si avvide che Umberto era morto, si
chinò sul cadavere del mai amato consorte
e declamò il seguente elegiaco lamento: “Hanno ucciso
te, che tanto amavi il tuo popolo! Eri tanto buono, non
facesti male a nessuno e ti hanno ucciso! Questo è il
più gran delitto del secolo!”
78. Ed innegabilmente la
commozione, che pervase tutta l’Italia dopo quella
morte, fu reale, anche se ben alimentata ed orchestrata
dagli apologèti della monarchia sabàuda.
Venne addirittura istituita una
“Associazione Nazionale pel pellegrinaggio alla Tomba
del Re Umberto I” alla quale anche il Comune di Barra
dovette ovviamente dare il suo contributo (Cfr Delibera
N°118 del 13 luglio 1901).
L’iscrizione sulla lapide: suo contenuto
79. Quanto al contenuto della
lapide, esso rivela chiaramente un “eccesso di zelo”
liberale e monarchico.
E’ già significativo il fatto
stesso che si pensò di mettere una lapide per il re
ucciso, ma non per i molti popolani uccisi
nel 1898 dal règio esercito …
80. Il titolo di re buono,
a lui tributato post-mortem, non proveniva certo
da uno spontaneo decreto di popolo: il popolo di
Milano, ad esempio, che aveva visto donne e bambini
uccisi dai soldati del “re buono”, il quale aveva poi
anche decorato ed esaltato il loro uccisore
Bava-Beccaris, difficilmente avrebbe emesso
spontaneamente un tale decreto.
D’altronde,
l’atteggiamento politico di Umberto I (e della regina
Margherita) fu costantemente di intonazione
anti-popolare, anti-democratica, anti-parlamentare,
militarista, e di aperto appoggio ai gruppi più retrivi
ed autoritari del paese.
81. Il gesto omicida
dell’anarchico Bresci fu veramente insàno perché,
facendo di Umberto I un “martire”, conseguì il solo
effetto di rinsaldare “sentimentalmente” il legame del
popolo con una monarchia che di certo non era stata,
fino ad allora, per esso particolarmente benèfica.
82. Il fatto poi che
l’attentato venga definito non un semplice delitto, ma
il più insano misfatto del secolo, è
indubbiamente una esagerazione retorica: il secolo che
si chiudeva (l’Ottocento) aveva infatti conosciuto, tra
guerre, massacri, repressioni, etc. misfatti ben più
gravi, taluni anche specificamente imputabili alla
borghesia liberale italiana ed alla Casa Savoia (basti
pensare alla repressione del cosiddetto “brigantaggio”,
alle guerre coloniali, ai massacri compiuti per
“difendere le istituzioni, la patria e la civiltà”
contro i “fasci” siciliani o le masse affamate del 1898
…)
83. La lapide ad Umberto I
sulla facciata del Municipio di Barra rimane dunque
essenzialmente come un documento storico di quella che
era la mentalità della classe dirigente borghese, anche
presso di noi, alla fine dell’Ottocento.
La sorte di Gaetano Bresci (maggio 1901)
84. A conferma di ciò, si può
osservare che quasi nessuno, allora, si preoccupò della
sorte di Gaetano Bresci, l’attentatore, che pure morì il
22 (?) maggio 1901, quindi circa due mesi prima
dell’apposizione della lapide.
La pena di morte, come sappiamo
[36], era stata abolita dal Codice penale “Zanardelli”,
entrato in vigore il 1°gennaio 1890, e così Gaetano
Bresci, dopo rapido processo, venne condannato “solo”
all’ergastolo. Ma la pena di morte gli venne inflitta
ugualmente …
|
Gaetano Bresci (1869-1901) |
85. Fu portato prima nel
Carcere di S. Vittore a Milano, poi sull’isola d’Elba,
ed infine nel penitenziario che si trovava sull’isolotto
di Santo Stefano, davanti alla costa Tirrenica.
Qui fu costruita per lui una
cella appòsita, di 3 metri per 3, e controllato a vista:
questo però non impedì, secondo la versione ufficiale,
che il Bresci si suicidasse, appendendosi a
un’inferriata con un asciugamano.
86. “Voci di dentro” uscite dal
penitenziario, e riprese allora solo dalla stampa
anarchica, dissero subito che in realtà “gli era stato
fatto il santantonio” ovvero era stato
semplicemente ammazzato a botte dalle guardie
carcerarie, “con licenza de’ superiori”.
Questa ipotesi rimane la più
probabile: è praticamente impossibile che un detenuto,
guardato a vista in una cella di 3 metri per 3, abbia il
tempo di predisporre e mettere in atto il suicidio,
senza che nessuno se ne accorga; ed anche i medici del
tempo, peraltro inascoltati, affermarono che il Bresci
era già morto quando venne appeso all’inferriata …
L’impianto di una pubblica latrina in Piazza Umberto I
(1902)
87. Lo Stato liberale e sabàudo
consumò quindi, in modo del tutto illegale, la sua
vendetta nei confronti di Gaetano Bresci.
Ma, a Barra, l’ironia della
storia volle infine far rendere una sorta di più
appropriato omaggio a quel Re così falsamente definito
“buono”: meno di un anno dopo la sua inaugurazione, a
pochi metri dalla lapide e proprio di fronte ad essa,
venne infatti collocata “una pubblica latrina” …
88. “Il giorno 6 aprile 1902,
in Barra, nella sala delle solite adunanze municipali,
previo avviso di convocazione, si è riunita la Giunta
comunale … (Sindaco Antonio Napolitano; Assessori
Francesco Martorelli e Salvatore Scognamiglio;
Segretario comunale Gaetano de Cristofaro) …
Il Sindaco
presidente
… riferisce che, agli effetti dello stanziamento
previsto in bilancio, si provvede allo impianto di una
pubblica latrina in piazza Umberto I, reclamata
dall’igiene e dalla civiltà dei tempi, e la costruzione
della stessa viene eseguita in due compartimenti
distinti, assegnandone ad uno il diritto dell’uso
gratuito ai cittadini e l’altro il pagamento di una
tangente da fissarsi dalla Giunta stessa, in modo che i
due compresi l’uno sia detto “pubblico” e l’altro
“privato”.
(Siccome però)
a mantenere la detta latrina sempre decente e pulita,
mercè lavaggi, necessita una continua custodia, a che le
pareti interne ed esterne non siano imbrattate e
deturpate, pel decoro del Comune, e nello interesse
igienico onde evitare esalazioni e miasmi … invita la
Giunta a divenire alla nomina di un custode presso
la suddetta latrina ed all’uopo sottopone pei competenti
provvedimenti due istanze pervenute.
La Giunta
… ritenuta la necessità di provvedere a tale nomina per
tutte le ragioni ed i motivi esposti dal signor Sindaco
presidente; lette le due domande avanzate da Raffaele
Cucciardi fu Francesco e Salvatore Becchimanzi fu
Pasquale, che tendono a conseguire tale nomina; visti
gli articoli 167 e seguenti del Regolamento comunale e
proceduto a votazione segreta …
… dallo spoglio dei bollettini,
fatto dal Sindaco presidente, è risultato nominato
Raffaele Cucciardi fu Francesco, ad unanimità di voti
tre, quale custode presso questa pubblica latrina …
… con l’obbligo di mantenere la
nettezza sia al compreso pubblico che a quello adibito
pei privati, stando a suo carico tutte quelle spese
inerenti al mantenimento di detta pulizia; e con il
diritto ad un assegno mensile, che resta fissato nella
misura di lire 10, nonché agli altri proventi eventuali,
non escluso quello di esigere a suo esclusivo vantaggio
la tangente che verrà pagata dai cittadini che
usufruiscono del compartimento riservato, la quale
tangente viene fissata nella misura di centesimi 5 per
ogni individuo”…
|
Una pubblica latrina |
A proposito della latrina
89. La pubblica latrina era
decisamente “reclamata dall’igiene e dalla civiltà dei
tempi” visto che nelle case non c’erano né bagni né
acqua corrente e la maggior parte delle persone
continuava con il sistema tradizionale di orinare nei
campi o per le strade, quando non poteva servirsi del
domestico “càntaro” orinale.
Essa, d’altronde, per quanto
“progredita” e “civile”, non sfuggiva alla ferrea
distinzione classista fra chi poteva permettersi di
pagare e chi no.
|
Nella càbala napoletana, l'orinatoio domestico
corrisponde al numero 27 |
90. Si può altresì osservare
che, siccome nell’Italietta post-unitaria tutto doveva
venire dal Piemonte ed andare a vantaggio delle aziende
torinesi
[37], anche il più importante costruttore di
questo genere di manufatti, sul finire dell’Ottocento e
nella prima metà del Novecento, era la “Ditta Umberto
Renzi” di Torino, della quale alleghiamo due pagine di
un catalogo illustrativo della sua meritoria produzione.
Il Comune di Barra, però, forse
anche per motivi economici, non sembra essersi rivolto
alla prestigiosa Ditta Umberto Renzi, visto che nella
Delibera si parla di “costruzione” … la quale fu, molto
probabilmente, commissionata ad artigiani locali.
|
Modelli di chioschi orinatoi |
Don Raffaele Guida (1844-1900)
91. Dal punto di vista
religioso, gli ultimi anni del secolo furono segnati
dalla personalità di Don Raffaele Guida, parroco di S.
Anna
[38] dall’agosto del 1896 al giugno del
1900.
Il Guida fu uomo di vasta
cultura e di profonda spiritualità, discepolo e poi
successore di Don Raffaele Verolino
[39] come Superiore del Ritiro da questi
fondato nel 1868.
continua
Note
[1] Vedi
n°80 in “Il periodo liberale dal 1887 al 1896”.
[2] Vedi nn°85-86
in “Il periodo liberale dal 1860 al 1879” e nn°7-10
in “Il periodo liberale dal 1887 al 1896”.
[3] Alfredo
Angiolini – “Socialismo e socialisti in Italia”,
Editori Riuniti, 1966.
[4] In
quegli anni, caddero in attentati compiuti da
anarchici: lo zar Alessandro II, in Russia; il
presidente Carnot, in Francia; il presidente
Cànovas del Castillo, in Spagna; l’imperatrice
Elisabetta, in Austria; il presidente McKinley,
negli USA.
[5] Alfredo
Angiolini, op. cit.
[6] Alfredo
Angiolini, op. cit.
[7] Alfredo
Angiolini, op. cit.
[8] Vedi nn°18-21
e 29-34 in “Il periodo liberale dal 1860 al
1876”.
[9] Vedi nn°158
e segg. in “Il periodo liberale dal 1860 al
1876”.
[10] Vedi
nn°117-132 e 152-153 in “Il periodo del
Vice-regno spagnolo nel 1500”.
[11] Vedi
n°159 in “Il periodo liberale dal 1860 al 1876”.
[12] Vedi
nn°266-270 in “Il periodo borbonico dal 1734 al
1790”.
[13] Vedi
n°164 e n°178 in “Il periodo liberale dal 1860
al 1876”.
[14] Vedi
n°44 e segg. in “Il periodo liberale dal 1887 al
1896”.
[15] Vedi
nn°180-188 in “Il periodo liberale dal 1860 al
1876”.
[16] Vedi
nn°192 in “Il periodo liberale dal 1860 al
1876”.
[17] Vedi
n°123 in “Il periodo liberale dal 1876 al 1887”
e n°47 in “Il periodo liberale dal 1887 al
1896”.
[18] Vedi
nn°66-78 in “Il periodo liberale dal 1887 al
1896”.
[19] Vedi
n°47 in “Il periodo liberale dal 1887 al 1896”.
[20] Vedi
n°43 in “Il periodo liberale dal 1887 al 1896”.
[21] Vedi
nn°125 e segg. in “Il periodo liberale dal 1876
al 1887”.
[22]
Gerardo Cioffari e Michele Miele – “Storia dei
Domenicani nell’Italia meridionale” – EDI, 1993.
[23] Vedi
nn°232-235 in “Il periodo liberale dal 1860 al
1876”.
[24]
Cioffari e Miele, op. cit.
[25]
Cioffari e Miele, op. cit.
[26] Vedi
n°127 in “Il periodo liberale dal 1876 al 1887”.
[27] Vedi
nn°53-57, ibidem
[28] Vedi
nn°197-204 in “Il periodo borbonico dal 1734 al
1790”.
[29] Vedi
nn°138-142 in “Il periodo liberale dal 1876 al
1887”.
[30] Vedi
nn°167-168 in “Il periodo liberale dal 1860 al
1876”.
[31] Vedi
nn°169-170, ibidem.
[32] Vedi
nn°191-194 in “Il periodo liberale dal 1860 al
1876”.
[33] Vedi
n°4, e nota 3, in “Il periodo liberale dal 1860
al 1876”.
[34] Vedi
nn°4-7 in “Il periodo liberale dal 1876 al
1887”.
[36] Vedi
n°36 in “Il periodo liberale dal 1887 al 1896”.
[37] Vedi
n°8 in “Il periodo liberale dal 1860 al 1876”.
[38] Vedi
l’elenco dei parroci di Barra in “Il periodo del
Viceregno spagnolo nel 1500”.
[39] Vedi
n°209 e segg. in “Il periodo liberale dal 1860
al 1876”, in particolare il n°221.