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Piano dell'opera di Angelo Renzi

La Barra di Napoli nella storia

11.4a Il Periodo Liberale (1896-1900)

di Angelo Renzi

Ti amo e ti odio. Come questo sia possibile,

non lo so. Ma lo sento. E mi tormento.

(da Catullo)

Né con te, né senza di te,

io posso vivere.

(da Ovidio)

olio su tela, 129x100 cm – anno 1705 (ca.). Tolosa, Musée des Augustins. Francesco Solimena (Canale di Serino, Avellino, 4 ottobre 1657 - La Barra di Napoli, 5 aprile 1747) "Ritratto di donna" Una donna, di cui non si conosce il nome, con i suoi gioielli deposti (o da indossare?) in un piatto d’argento: rappresenta forse, allegoricamente, la città di Napoli ... e perché non La Barra?

 

I “galantuomini” al bivio: la crisi di fine secolo

1. Negli ultimi anni del secolo, la classe dominante borghese attraversò un momento di grande difficoltà: da una parte, era sempre più incalzata dalle masse popolari che rivendicavano, in modo sempre più cosciente ed organizzato, migliori condizioni di vita e maggiori diritti; dall’altra, aveva perduto, con Crispi, un tradizionale e stabile punto di riferimento politico. 

2. La classe egèmone aveva due alternative possibili: o tentare di continuare la precedente politica crispina (fatta di: repressione + guerre coloniali + emigrazione) ma allora occorreva trovare un nuovo “uomo forte” ed instaurare un tipo di regime ancora più autoritario; oppure, cercare un dialogo con il movimento popolare emergente, sulla linea già abbozzata dal Giolitti nel suo breve intermezzo di governo [1] nel 1892-93.

3. Negli ultimi 4 anni del secolo (con i quattro successivi governi guidati da Antonio Di Rudinì e i due del generale Luigi Pelloux; ispiratore Sidney Sonnino) si tentò la prima strada, ma essa si dimostrò rapidamente impraticabile; fu richiamato allora al governo, nel 1900, quel Giovanni Giolitti che incarnava la seconda.

Le sommosse e la repressione nel 1898

4. I fatti si svolsero con grande drammaticità. Nella primavera del 1898 (cioè, pochi anni dopo gli eventi siciliani del 1894) scoppiarono, questa volta in tutta Italia, proteste e sommosse originate dall’aumento del prezzo del pane.

5. Già nel luglio dell’anno precedente, l’Avanti! scriveva: “In Italia è un grido solo: il prezzo del pane aumenta spaventosamente” e chiedeva l’abolizione dei dazi “sui grani e sulle farine”.

6. Fin dalle prime manifestazioni, non ci fu luogo ad equivoci: tutti le giudicarono proteste dello stomaco.

7. L’Osservatore cattolico, giornale milanese diretto da D. Davide Albertario e D. Enrico Massara, scrisse: “Manca il pane. Non riconoscono questa mancanza coloro che mangiano e bevono, e hanno bisogno di quiete per digerire … Essi hanno possedimenti, ville, cavalli, e guardano sicuri la folla di pezzenti che domanda lavoro e pane; la guardano e l’insultano come sobillata ed incontentabile … Il liberalismo ha derubato la popolazione e continua, col suo governo iniquo e insensato, a derubarla, onde le risorse tutte sono esauste …”

8. Gli accadimenti più gravi si ebbero a Firenze e soprattutto a Milano (6-9 maggio), laddove il criminale Fiorenzo Bava-Beccaris (1831–1924), come avevano fatto di regola i generali sabàudi prima di lui [2], ordinò alla truppa di sparare sulla folla inerme, provocando circa 400 morti (anche donne e bambini) ed un numero imprecisabile di feriti.

Il generale Fiorenzo Bava Beccaris (1831 - 1924)

9. Il re Umberto I di Savoia, naturalmente acceso fautore e punto di riferimento, insieme alla moglie regina Margherita, della politica autoritaria, insignì di varie ricompense e decorazioni le truppe che così disciplinatamente avevano risposto agli affamati col piombo, ed in particolare il 6 giugno 1898 scrisse, in un telegramma al generale Bava-Beccaris:

10. “… a Lei poi personalmente volli conferire motu proprio la Croce di Grand’Ufficiale dell’Ordine Militare di Savoia, per rimeritare il servizio che Ella rese alle istituzioni ed alla civiltà e perché Le attesti, col mio affetto, la riconoscenza mia e della patria”.

11. Furono nuovamente arrestati, e condannati come “istigatori” a vari anni di detenzione, tutti i principali esponenti socialisti e stavolta anche vari esponenti del movimento cattolico: D. Davide Albertario, il direttore dell’Osservatore cattolico, ebbe tre anni di carcere. In tutta Italia, ci furono processi sommari e condanne sproporzionate.

 L'arresto di Don Davide Albertario

Le sommossa e la repressione del 1898 a Napoli

12. Anche Napoli fu teatro di accesi tumulti; in particolare, ci furono sommosse il 28 aprile a S. Giovanni a Teduccio ed il 1° maggio a Ponticelli e Resìna [3].

13. Un ragazzo, un certo Filòsa, prese 3 mesi di detenzione per aver gridato “E bbi’ lloco!(= Eccoli!) per avvisare dell’arrivo degli agenti di polizia.

14. Un gobetto, di nome Verniero, ebbe 2 anni di reclusione perché, prima che si proclamasse lo stato d’assedio, in un caffé di Napoli leggeva i giornali e li commentava manifestando delle simpatie per il socialismo.

15. Tre donne ebbero rispettivamente 1 anno, 9 mesi e 7 mesi di reclusione, per aver preso parte ad una pacifica dimostrazione contro il rincaro del pane; tre ragazzi, 18 mesi ciascuno per aver abbattuto un palo.

16. Ecco un dialogo avvenuto al tribunale di Napoli nella causa per tumulti a Pomigliano d’Arco:

Imputato: “Presidente, debbo dire mezza parola…”

Presidente: “Dite pure”.

Imputato: “Domandi al signor brigadiere…”

Presidente: “Basta così. Ne avete già dette quattro, di parole”.

17. Il presidente di un tribunale di Napoli dichiarò che non occorrevano verbali, perché bastava che egli sentisse…

18. Nel processo per tumulti a Giugliano, un imputato dichiarò: “Ma io tengo i testimoni …” e il presidente, di rimando: “Per me i testimoni valgono zero; per me i testimoni buoni sono solo i carabinieri e le guardie”.

19. Persino Il Mattino, il giornale di Napoli, che era di tendenza filo-governativa e conservatrice, scrisse che, nelle condanne degli uomini politici e dei giornalisti di Milano, “v’era il concetto della vendetta, più che di un vero atto di giustizia”.

Dopo la repressione: l’ostruzionismo e le elezioni del 1900

20. Dopo la repressione immediata, il governo (Pelloux) tentò di far passare in Parlamento (giugno 1899) provvedimenti legislativi che limitavano la libertà di organizzazione, di stampa e di espressione, miranti evidentemente a reprimere ogni forma di opposizione.

21. Contro l’approvazione di queste leggi, si sviluppò, nel 1899, una accanita battaglia parlamentare (ostruzionismo) alla quale parteciparono non solo i socialisti, ma anche la componente liberale che si riconosceva in Giolitti.

22. Si ricorse allora allo scioglimento del Parlamento, ma le nuove elezioni (giugno 1900) segnarono un trionfale successo dei socialisti e della sinistra liberale, per cui si dovettero accantonare definitivamente i provvedimenti liberticìdi.

Dopo la repressione: la fine di Umberto I

23. Poco dopo, il 29 luglio del 1900, il re Umberto I fu ucciso in un attentato dall’anarchico [4] Gaetano Bresci (1869-1901) che intendeva così vendicare i morti nei tumulti di Milano del 1898 ed in Sicilia nel 1894.

 La celebre copertina della Domenica del Corriere dedicata all'evento

“Il re d’Italia, che si trovava nella sua villa di Monza, era intervenuto quella sera ad una festa della palestra ginnastica, allorché, appena uscito dalla festa, fu colpito da tre colpi di rivoltella spianati contro di lui e dopo poco cessava di vivere. L’assassino era certo Gaetano Bresci, di Prato, che si proclamò anarchico e dichiarò di avere agito da solo, in odio al re e alla monarchia” [5]

24. Il nuovo re, Vittorio Emanuele III (nato nel 1869; regnerà dal 1900 al 1947), chiamò al governo Giovanni Giolitti.

  Il giuramento di Vittorio Emanuele III

Barra nella sommossa del 1898

25. Gli eventi drammatici degli ultimi anni dell’Ottocento non mancarono di avere riflessi anche nella nostra zona.

26. Si è visto che i tumulti per il pane nel 1898 interessarono certamente anche S. Giovanni a Teduccio e Ponticelli (vedi sopra, n°12); stranamente, nel pur minuzioso elenco fatto dall’Angiolini [6], non risultano proteste a Barra.

Agli Atti del Consiglio comunale troviamo però la ratifica di due provvedimenti di urgenza presi in quella circostanza dalla Giunta: “Ratifica di atto d’urgenza della Giunta inerente a provvedimenti per i tumulti di maggio e il rincaro del pane” (Delibera N°149 del 6 giugno 1898); “Ratifica di deliberazione di Giunta circa sospensione di Dazio sul fiore per i moti di maggio” (Delibera N°150 del 6 giugno 1898).

Qualcosa dunque avvenne anche a Barra …

27. E’ molto probabile, quanto meno, che nei disordini in occasione del 1° maggio 1898 a Ponticelli siano stati implicati anche diversi Barresi, recàtisi nel paese vicino per celebrare insieme la festa dei lavoratori, la quale, ricordiamo, era stata istituita dalla “Seconda Internazionale” solo otto anni prima, nel 1890.

28. In ogni caso, è certo che in quegli anni l’organizzazione dei socialisti, nella nostra zona e in generale in tutta la regione, era ancora molto debole.

29. Nel 1896, in Campania, vi erano solo 5 sezioni del Partito socialista[7], per un totale di 274 iscritti: la Campania era cioè la quart’ultima fra le regioni italiane, seguita solo dall’Abruzzo-Molise (4 sezioni), dalla Sardegna (3) e dalla Basilicata (1).

30. Ciò agevolmente si spiega con la politica di smantellamento dell’industria meridionale, a vantaggio di quella del Nord, sistematicamente perseguita dal governo liberale “italiano” per tutta la seconda metà dell’Ottocento[8].

31. La Campania, che nel 1861 era la regione più industrializzata della nuova Italia, con l’11% di operai sul totale della popolazione occupata, alla fine del secolo aveva largamente perduto questo primato.

32. Erano quindi rimasti, anche nella zona orientale di Napoli, ben pochi nuclei di operai e, fra questi, un buon numero era sicuramente più vicino alla antica tradizione anarchica che non al socialismo della “Seconda Internazionale”.

33. Bisognerà attendere il periodo giolittiano e la Legge speciale per Napoli del 1904 per constatare una nuova crescita dell’industrializzazione nella zona ad oriente della città, con conseguente rapido sviluppo dell’organizzazione socialista (e poi anche comunista).

La “Associazione per il bene degli operai” (1899)

34. Comunque, il fermento del 1898 non passò invano: a Barra, lasciò come sua eredità la nascita, nell’agosto del 1899, della “Società operaia di mutuo soccorso”, tuttora esistente, unica nella zona orientale di Napoli.

35. Abbiamo già accennato, in precedenza, al rapido sviluppo delle “Società operaie di mutuo soccorso” negli anni successivi all’Unità, ed al loro riconoscimento giuridico, nel 1886, ad opera dei governi della Sinistra liberale[9].

36. A Barra, nel 1899, venne alla luce quella che allora si chiamò “Associazione per il bene degli operai” ed aveva sede in Corso Sirena n°36.

L’impianto di questa Associazione era presumibilmente molto simile a quello delle antiche confraternite laicali che, anche a Barra, come abbiamo detto[10], avevano una lunga e consolidata tradizione.

37. Basandosi sul principio mutualistico (= dell’aiuto reciproco), la Associazione garantiva, alle ancor poche famiglie operaie, alcuni servizi essenziali che lo Stato liberale non voleva o non poteva fornire [11].

Curava anche, per quanto possibile, la concessione di prestiti a tassi agevolati per i soci più bisognosi che ne avessero necessità: si trattava pur sempre di combattere l’antica piaga dell’usura, che abbiamo visto stigmatizzata esplicitamente dai predicatori al tempo di S. Alfonso [12], e passata indenne attraverso i secoli e le generazioni!

38. I fondi necessari, come detto, provenivano dai contributi mensili dei soci stessi o anche da benefattori, non-operai, che appartenevano evidentemente ai ceti più benestanti.

L’antico spirito di reciproco aiuto familiare (manifesto anche in alcune norme, come quella che prevedeva il subentro automatico del figlio al posto del padre defunto) si estendeva ai nuovi ceti sociali ed assumeva forma e coloritura dei tempi nuovi.

39. Dopo il 1904 (con la ripresa, cioè, dell’apparato industriale) si pensò anche di istituire delle “scuole professionali”, in particolare corsi di disegno geometrico e meccanico, evidentemente di grande utilità per lavorare meglio e a livelli più qualificati.

Così, troviamo agli Atti che nel 1909 il Comune di Barra accordò un “Sussidio alla Società Operaia di Mutuo soccorso per l’istituzione della scuola serale di disegno meccanico per i figli degli operai” (Delibere n°107 del 5 aprile 1909 e n°111 del 14 aprile 1909).

La costruzione della sede sociale (1912)

40. Infine, nel 1912, troviamo da parte del Comune un “Concorso nella spesa per la costruzione di una sede sociale, con annessi locali ad uso di scuole operaie, della Società Operaia in luogo di Mutuo Soccorso” (Delibere n°38 del 9 marzo 1912 e n°58 del 15 aprile 1912).

E’ in quell’anno 1912 che venne dunque inaugurata l’attuale sede di Corso Bruno Buozzi, con il tradizionale e significativo stemma mutualistico (due mani che si stringono) tuttora visibile sulla facciata dell’edificio. Il primo presidente della S.O.M.S. di cui si abbia memoria documentata è Raffaele Migliori, che la diresse dal 1911 al 1924.

 La sede della Società Operaia di Mutuo Soccorso, inaugurata nel 1912

Il Comune di Barra nella crisi di fine secolo

41. Il Comune di Barra rimaneva comunque saldamente in mano alla piccola borghesia locale (avvocato, notaio, farmacista, proprietario agricolo, proprietario-sacerdote, negoziante, etc …), di ispirazione liberale e monarchica post-risorgimentale, con i suoi piccoli vizi e le sue piccole virtù[13]

42. Giunto alla fine, nel 1892, il terzo ed ultimo mandato del Sindaco Giovanni Mastellone[14] al Comune di Barra arrivò il Règio Delegato Straordinario Damiano d’Arcais.

Il secondo Delegato Straordinario: Damiano d’Arcais (1892)

43. Damiano d’Arcais (febbraio-maggio 1892) fu perciò il secondo “Règio Delegato Straordinario pel Municipio di Barra”: il primo era stato, come si ricorderà [15], l’Avv. Vincenzo Lugarési, al tempo della Destra liberale.

Stavolta, però, non si trattava di reprimere grossolane irregolarità, come era accaduto nel 1873, bensì di gestire la fase di transizione che si era comprensibilmente aperta, dopo la fine del periodo di relativa stabilità garantito dal Sindaco Mastellone.

Sarebbe stato sufficiente limitarsi a garantire l’ordinaria amministrazione in attesa della nomina di un nuovo Sindaco … se non che, a quanto pare, nel suo breve periodo di reggenza, il d’Arcais non badò a spese e largheggiò nobilmente in tutto.

44. Nei confronti del personale comunale: assunzioni, promozioni, aumenti di stipendio, straordinari e gratifiche; nomina, per concorso, di due nuovi impiegati “amanuensi provvisori” presso la Segreteria municipale … “Assegno straordinario alle guardie campestri Mastrogiovanni Aniello e Romano Pietro per il servizio provvisorio prestato di custodi al carcere mandamentale” (Delibera comunale N°13 del 24 marzo 1892) ... e così via.

45. Nei confronti delle strutture:

“Approvazione di spesa per restauri ed imbiancamento alle facciate esterne degli edifici municipali” (Delibera N°10 del 21 marzo 1892). “Spese per manutenzione e mobilia ai locali ed uffici municipali” (Delibera N°20 del 16 aprile 1892).

“Approvazione di spesa per provvista di mobilio alla Pretura mandamentale” (Delibera N°27 del 26 aprile 1892).

“Sistemazione della Piazza innanzi alla casa municipale” (Delibera N°31 del 30 aprile 1892) con relative “Disposizioni per la manutenzione del giardinaggio alla piazza municipale” (Delibera N°39 del 9 maggio 1892).

“Approvazione di spesa per l’acquisto ed impianto di un nuovo quadrante trasparente al pubblico orologio” (Delibera N°34 del 1 maggio 1892). 

“Ordinamento dell’archivio comunale” (Delibera N°41 dell’11 maggio 1892).

46. Nei confronti dei poveri e degli alunni delle scuole:

“Approvazione di spesa per la premiazione degli alunni delle scuole” (Delibera N°26 del 26 aprile 1892).

“Approvazione di spesa per somministrazione di carne ai poveri” (Delibera N°28 del 26 aprile 1892).

47. Ma come fece il d’Arcais ad essere così generoso nei confronti di tutti e di tutto? Il segreto di tanta liberalità ci è infine svelato: “Prelievo di somme dal fondo di riserva per impinguamento di fondi in bilancio” (Delibera N°30 del 27 aprile 1892).

Quindi, in buona sostanza, il Règio Delegato Straordinario attinse al pre-esistente “fondo di riserva” che era stato evidentemente fin’allora ben gestito, con paesana oculatezza, dalla coppia Mastellone-Cozzolino ...  

E tanto attinse, che alla fine non solo prosciugò tutto il fondo di riserva, ma dovette pre-impegnare anche soldi dai bilanci futuri, lasciando il “buco” in eredità al successivo Sindaco Beniamino Caccavale: “Rimando nel bilancio 1893 di una deliberazione d’urgenza del Règio commissario” (Delibera N°56 del 14 giugno 1892).

48. Esauriti i fondi, fece in modo di andarsene via subito, non senza aver prima badato prudentemente anche a se stesso: “Indennità spettanti al Règio commissario” (Delibera N°33 del 1 maggio 1892).

L’inaugurazione del Corso Garibaldi – IV Novembre (1892)

49. Damiano d’Arcais coronò in pompa magna il suo mandato con la cerimonia ufficiale di “Inaugurazione dell’apertura della nuova strada consortile” (Delibera N°32 del 30 aprile 1892).

La strada “consortile”, ovvero realizzata insieme dai due Comuni di Barra e S. Giovanni a Teduccio, è naturalmente l’attuale Corso IV Novembre, che diventa Corso Protopisani in territorio di S. Giovanni a Teduccio, e le cui vicende fino a questo momento, insieme a quelle della Piazza [16], abbiamo in precedenza illustrate [17].

Al momento di quell’inaugurazione, si chiamò Corso Giuseppe Garibaldi; divenne poi Corso Umberto I; poi Corso Francesco Spinelli [18]; ed ebbe infine il nome attuale dopo la Prima guerra mondiale, come vedremo più ampiamente in seguito.

50. Tuttavia, come spesso accade, l’inaugurazione avvenne quando l’opera non era ancora finita: abbiamo infatti già detto [19] che il Corso non era ancora congiunto con la Piazza Umberto I (attuale Piazza De Franchis) e con il Corso Vittorio Emanuele (attuale Corso Bruno Buozzi): per realizzare la famosa struttura a T, prevista dal Cozzolino, c’era ancora di mezzo un muro, che fu abbattuto solo in seguito, nel 1894.

Evidentemente, anche in questo caso, la coppia Mastellone-Cozzolino aveva fin’allora agito con paesano buon senso ed aveva rinviato l’inaugurazione fino a che l’opera non fosse stata compiuta; ma il nobile Règio Delegato Straordinario Damiano d’Arcais volle pubblicamente attribuirsi un merito non suo …

Sindaci di fine e inizio secolo: Beniamino Caccavale e Antonio Napolitano

51. Dopo il d’Arcais, a reggere le sorti del Comune, troviamo nominati [20]: prima, per due mandati, Beniamino Caccavale (maggio 1892 – giugno 1899) e successivamente, nel passaggio da un secolo all’altro, Antonio Napolitano (luglio 1899-1903).

Il Sindaco Beniamino Caccavale si trovò subito al centro di spinose questioni economiche, da lui affrontate, per la verità, in modo non sempre trasparente … 

I Domenicani ri-comprano il loro convento (1894)

52. Abbiamo già descritto la vicenda dei Padri domenicani a Barra nell’Ottocento e quella, in particolare, del P. Giuseppe De Cristofaro[21].

Come detto, nel 1866 il convento dei Domenicani era stato espropriato dallo Stato italiano e successivamente assegnato, in gestione e manutenzione, al Comune di Barra.

53. Ben presto, però, il Comune si rese conto di non aver fatto un buon affare: il convento era molto grande e la chiesa piena di opere d’arte ed inutilizzabile a fini non di culto, così che la loro gestione e manutenzione ordinaria e straordinaria venivano a costare cifre che esorbitavano dai magri bilanci comunali.

Fino a quando, nel 1892, troviamo agli Atti una “Istanza al governo per la cessione in proprietà del locale degli ex-Domenicani” (Delibera n°78 del 12 agosto 1892).

54. Il permesso di vendere fu accordato rapidamente, perché già l’anno successivo rinveniamo le “Disposizioni per la vendita ad asta pubblica del convento dei Padri Domenicani in Barra” (Delibera n°195 del 26 giugno 1893).

La vendita “ad asta pubblica” non ebbe però alcun èsito, e così l’anno ancora successivo fu emessa la “Offerta a trattativa privata per la vendita del fabbricato degli ex-Domenicani” (Delibera n°268 del 4 luglio 1894).

55. Con questa “offerta a trattativa privata”, circa 30 anni dopo la “espropriazione senza indennizzo” subìta da parte dello Stato italiano liberale e massonico, i Domenicani poterono ricomprarsi il loro convento, versando al Comune di Barra “in moneta sonante, con i risparmi dei religiosi” [22] la bella cifra di 19.000 lire in contanti.

Agli Atti del consiglio comunale rimane lo “Svincolo, in parte, della polizza ricavata dalla vendita del convento degli ex-Domenicani e deposito della differenza di interessi” (Delibera n°25 del 17 settembre 1894).

Questa polizza darà luogo a vari sospetti ed è assai probabile che uno o più degli amministratori comunali si siano fraudolentemente intascati parte dei soldi. 

56. Se non altro, però, il Comune si liberò dagli òneri di gestione e di manutenzione, e da allora stette ben attento a non farseli eventualmente ri-accollare sotto altra forma:

“Voto negativo per concorso nella spesa dei restauri alla Chiesa annessa al convento dei Padri Domenicani” (Delibera n°63 del 28 settembre 1906).

Ricordiamo qui di passaggio che, in quello stesso periodo e per motivi praticamente analoghi, il Comune “cedette in perpetuo” alle Suore Stimmatine “l’uso della chiesa” di S. Maria del Pozzo [23]: “Approvazione di contratto per cessione della Chiesa comunale di S. Maria del Pozzo alle Suore Stimmatine” (Delibera consiliare N°207 del 30 gennaio 1899).

La rifioritura del convento

57. Il 16 luglio 1895 i Domenicani re-insediarono a Barra il Noviziato e lo Studentato per i frati: maestro dei novizi, fino alla sua morte nel 1898, risulta essere il P. Giacinto D’Auria.

Il P. Giuseppe De Cristofaro, oltre a contribuire in maniera discreta ma cospicua (era pur sempre di famiglia nobile e benestante …) al raggiungimento della somma necessaria per riscattare il convento, e nonostante l’età ormai avanzata, fu tra i più attivi collaboratori del P. D’Auria nella rinascita conventuale e nella formazione delle “nuove leve” domenicane.

Così che, nell’anno 1900, il convento di Barra risultava essere “la comunità più numerosa e importante dell’Italia meridionale”, con 8 Padri, 8 giovani sacerdoti e frati studenti, 3 novizi e 7 conversi [24].

Le Scuole municipali in Villa Salvetti-Torricelli (1894)

58. Quando nel 1894 i Domenicani rientrarono in possesso del loro convento, i locali risultavano “ancora danneggiati dalle Scuole municipali che vi erano state insediate in precedenza”[25].

Sembra quindi che, oltre che come Pretura, Ufficio del Registro e Deposito comunale [26], il convento sia stato utilizzato, almeno a partire dalla emanazione della Legge Coppino nel 1877 e fino al 1894, come sede delle famose 7 classi di Scuola municipale [27].

59. Non tutte e 7, però; perché almeno qualcuna di queste classi era sistemata nella storica Villa Salvetti [28], che l’allora proprietaria, donna Adelina Salvetti vedova Torricelli, aveva fittato al Comune.

Il contratto di affitto scadeva il 4 maggio 1894 e, con l’occasione, la Sig.ra Salvetti-Torricelli chiedeva al Comune i danni per le “deturpazioni” provocate alla Villa dalla presenza delle classi scolastiche.

Il Comune, oltre a dover pagare i danni, si sarebbe quindi venuto a trovare, in quel 1894, senza più alcuna sede per le sue scuole, visto che in contemporanea i Domenicani si ri-prendevano il loro convento.

60. Di sbrogliare la matassa si incaricò il Sindaco Beniamino Caccavale, che trattò “bonariamente” la questione con donna Adelina.

Alla fine, il Pretore di Barra stabilì che il Comune pagasse alla Salvetti la cifra di lire 180 per i danni provocati (più lire 59,40 al perito Giovanni Primicerio, che aveva “quantificato” questi danni) e il contratto di affitto venne rinnovato con “scrittura privata” fra il Sindaco e la stessa Salvetti. E quindi, a partire da quell’anno 1894, anche le classi che prima stavano nel convento dei Domenicani, passarono in Villa Salvetti:

“Indennità alla Sig.ra Salvetti per affitto di locali scolastici” (Delibera N°7 del 13 luglio 1894).

“Provvedimenti per l’affitto dei nuovi locali per le scuole elementari municipali” (Delibera N°10 del 13 luglio 1894).

“Autorizzazione per il prosieguo di fitto dei locali ad uso delle scuole municipali elementari” (Delibera N°61 del 21 luglio 1897).

Vicende oscure dell’illuminazione pubblica a gas

61. Abbiamo detto a suo luogo [29] che nel 1885 il Sindaco Luigi Martucci stipulò il contratto con la “Compagnia meridionale e vesuviana del gas”, che serviva anche i limitrofi Comuni di S. Giovanni a Teduccio e S. Giorgio a Cremano, per passare gradualmente dall’illuminazione pubblica a petrolio a quella a gas.

Abbiamo però anche anticipato che, con i successori del Martucci, non tutto filò liscio nella gestione di questo contratto.

Il sequestro dei Dazi comunali (giugno 1897)

62. Troviamo infatti che, il 15 giugno 1897, la “Compagnia meridionale e vesuviana del gas”, ottenuto dal Tribunale di Napoli l’apposito “decreto ingiuntivo”, richiese al Comune di Barra la somma di lire 66.627,97 (interessi compresi): somma dovuta, e non ancora pagata, per l’illuminazione pubblica a gas. 

In sostanza, il Comune non pagava la bolletta del gas … e la Compagnia minacciava, permanendo la morosità, di far mettere sotto sequestro tutti i cèspiti comunali “entro il termine di giorni 5”.     

63. E detto fatto, il giorno 30 giugno 1897, l’usciere Cortellese, del Tribunale di Napoli, si presentò a Barra e procedette al “sequestro dell’incasso giornaliero dei Dazi comunali” (senza toccare quelli governativi) ovvero di parte dei locali e del mobilio del Comune per provvedere lui stesso ad “incassare, giorno per giorno, i suddetti Dazi”. 

64. Per contro, immediatamente, il Comune incaricò l’avvocato municipale di procedere in giudizio sia contro la Compagnia sia contro l’Ufficiale giudiziario incaricato del sequestro, per le ingiurie da questi profferite contro il Sindaco, il Vice-brigadiere delle guardie comunali Giuseppe Cozzolino ed il Commesso daziario Raffaele Bottone, che si erano opposti al sequestro:

“Ratifica di atto d’urgenza concernente autorizzazione di giudizio contro la Compagnia meridionale e vesuviana del gas per insequestrabilità del cèspite daziario (Delibera n°56 del 21 luglio 1897).

“Ratifica di atto d’urgenza in ordine a nomina dell’avv. Rinaldi per difesa in giudizio contro la Compagnia del gas” (Delibera n°90 dell’8 novembre 1897).

65. L’avvocato municipale era infatti, in quel tempo, Antonio Rinaldi, che risulta poi aver svolto questo ruolo per molti anni ancora: almeno, fino al 1921.

Tuttavia, data l’eccezionalità della causa, il Comune non si limitò all’avv. Rinaldi ma si affidò, per l’occasione, anche ad un “prìncipe del fòro” di Napoli, ovvero l’allora trentaquattrenne ma già celebre e costosissimo avvocato Gennaro Marciàno (1863-1944), personaggio assai prestigioso, che diventerà in seguito anche deputato, nel periodo liberale, e senatore, in quello fascista.

 L'avvocato Gennaro Marciàno

66. La vicenda era indubbiamente assai spiacevole, ma il Comune di Barra aveva buone possibilità di cavarsela senza troppi danni, a parte l’oneroso compenso da versare all’avv. Marciano.

Invero, a quel tempo (e non solo a quello), pressoché tutti i Comuni italiani erano più o meno indebitati [30]; precedenti sentenze per cause analoghe avevano però sancìto il principio della “insequestrabilità del cèspite daziario”, vale a dire che, qualsivoglia fosse l’entità del debito, nessun creditore poteva mettere sotto sequestro le entrate comunali, di cui il Dazio sul consumo era magna pars [31].

L’avvocato Marciano, sicuro del fatto suo, non tardò infatti a portare la causa fin davanti alla Corte di Cassazione; ed agli Atti del Comune troviamo appunto la “Autorizzazione di ricorso in Cassazione nella causa contro la Compagnia del gas” (Delibera n°120 dell’8 gennaio 1898).

L’articolo del “Risorgimento antico” (25 luglio 1897)

67. La spinosa ma non irrisolvibile vicenda ebbe però, fin dall’inizio, una ulteriore complicazione, dovuta al fatto che il giornale “Il Risorgimento Antico”, in data 25 luglio 1897, pubblicò un incandescente articolo intitolato “Il fallimento del Comune di Barra”.

Il redattore usava la mano pesante: dopo aver raccontato gli eventi, aggiungeva “che il Sindaco non gode di alcuna fiducia personale; che i Consiglieri non solo sono pecore e pecoroni ma anche imbecilli; che gli Amministratori hanno fatto divenire, nelle loro mani, la cosa pubblica un mezzo iniquo per giovare ai propri interessi ed hanno accumulato enormi debiti nel Comune per sfacciati interessi personali … hanno fatto del patrimonio pubblico un largo scialàcquo … come i ladri che si appostano nella macchia, hanno aspettato l’ora opportuna, in ogni occasione, per addentare il danaro del Comune e commettere delle frodi più o meno mascherate …”

Proseguiva poi accusando specificamente il Sindaco e il Direttore dei dazi di aver “sperperato 3.000 lire incassate per scorte, apparecchiandosi a falsificare i pezzi d’appoggio per nascondere il reato”; e gli Assessori di aver “investite in proprio vantaggio le lire 8.000 di polizze accantonate per l’edificio scolastico, nonché le lire 15.000 (ma non erano 19.000? Vedi sopra, n°55) riscosse dalla vendita del Monastero dei Padri domenicani”.

68. Qualcuno non mancò di sospettare che l’articolo fosse stato “commissionato a pagamento” dalla stessa “Compagnia meridionale e vesuviana del gas”, onde “sollecitare”, per così dire, il versamento degli arretrati …

Comunque sia, agli Atti del Comune di Barra troviamo la “Istanza di N°11 consiglieri comunali per riparazione di offese pubbliche riportate nel giornale Il Risorgimento Antico datato 25 luglio 1897” (Delibera n°63 del 12 agosto 1897).

Seguita dalla “Autorizzazione per querela, da sporgersi dal Sindaco, per gli articoli di ingiurie e diffamazioni pubblicati nel giornale Il Risorgimento Antico n°21 e n°22” (Delibera n°83 del 25 ottobre 1897).

69. In sostanza, il Consiglio comunale deliberò di sporgere querela, oltre alle due precedenti contro la Compagnia e contro l’Ufficiale giudiziario, anche contro Achille Vaccaio fu Francesco, direttore e proprietario del Risorgimento antico, e contro Raffaele Guardi, gerente responsabile del giornale.

Incaricato dal Comune era ancora l’avvocato Gennaro Marciano, ma stavolta fu magnanimamente stabilito che il suo onorario dovesse essere pagato non dalla Cassa comunale bensì da tutti i Consiglieri personalmente.

Come andò a finire

70. Come andò a finire l’epica tenzone? 

L’avv. Marciano, a quanto sembra, riuscì ad ottenere il dis-sequestro del Dazio ed una onorevole rateizzazione del debito del Comune nei confronti della Compagnia:

“Convenzione con la Società meridionale e vesuviana del gas per pagamento di arretrati” (Delibera N°231 del 12 giugno 1899).

Egli convinse, peraltro, il Comune a rinunciare alle denunce per le ingiurie che erano state profferite, sia dall’Ufficiale giudiziario sia dal “Risorgimento antico”, contro il Sindaco, i Consiglieri ed alcuni dipendenti comunali. Evidentemente, nemmeno il grande avvocato Marciano era tanto sicuro di poter provare l’infondatezza delle accuse … 

71. Comunque, agli Atti troviamo che, quattro anni dopo (4 luglio 1901), la “Compagnia meridionale e vesuviana del gas” propose al Comune di Barra di realizzare essa stessa il passaggio dalla illuminazione a gas all’ancor più avveniristica illuminazione elettrica.

E la Giunta comunale, riunitasi in data 8 agosto 1901, deliberò “dare parere favorevole all’installazione della luce elettrica, giusta la domanda della Compagnia meridionale e vesuviana del gas”.

Si fa “pulizia” … nelle carceri

72. Inoltre, le ingiurie subìte nel 1897 a qualcosa pure servirono, perché l’anno dopo (1898) il Comune intraprese a fare un po’ di “pulizia” al suo interno.

Come spesso càpita in questi casi, però, la prima vittima della moralizzazione non fu qualcuno dei politici (evidentemente intoccabili …) bensì, nella fattispecie, il Capo delle guardie carcerarie: ricordiamo che a Barra si trovava il carcere mandamentale, che aveva sede al piano terra dell’edificio comunale[32].

Troviamo così agli Atti le “Disposizioni per una inchiesta a carico del Capo Guardiano Carcerario” (Delibera N°131 del 8 febbraio 1898).

73. Il “Capo Guardiano Carcerario” si chiamava Riccardo Venturelli e la Giunta comunale “visto i gravi indizi risultati a carico del Venturelli, il quale deve rispondere di:

- peculato … per aver distratto danaro dei detenuti che aveva in custodia;

- infrazione, per aver fatto entrare in carcere Nicola Campanile, alunno della Pretura di Barra, a confabulare in cella con il detenuto Cosimo Vaccaio;

- aver contratto debiti con Raffaele Sesto, rappresentante locale per le forniture carcerarie, a scopo di utilità propria …

delibera

piaccia al signor Prefetto decretare la immediata sospensione del Venturelli, invocando il provvedimento telegraficamente, e che sia poscia provveduto per la di lui sostituzione, stante la gravità dei fatti”.

Si fa “pulizia” … anche altrove

74. A seguire, l’ondata di moralizzazione del 1898, sempre salvaguardando i politici, colpì anche altrove:

“Provvedimenti disciplinari a carico del Commesso Daziario De Cristofaro Carlo” (Delibera N°163 del 23 luglio 1898).

“Provvedimenti a carico dell’Ufficiale Sanitario” (Delibera N°164 del 29 luglio 1898).

“Provvedimenti disciplinari a carico dell’Agente Daziario Minichini Ugo” (Delibera N°165 del 29 luglio 1898).

“Provvedimenti sull’atto di messa in mora del Sig.Fabozzi, mediatore del prestito, e sospensione da soldo e funzioni dell’impiegato municipale Armenio Girolamo” (Delibera N°177 del 30 settembre 1898). A cui segue addirittura la “Destituzione dell’impiegato municipale Armenio Girolamo” (Delibera N°199 del 13 dicembre 1898).

“Commissione di vigilanza alle Scuole elementari comunali” (Delibera N°184 del 25 ottobre 1890).

“Commissione di vigilanza ai Dazi di consumo” (Delibera N°185 del 25 ottobre 1898).

Ed al culmine dell’onda moralizzatrice troviamo, al principio dell’anno successivo: 

“Parere favorevole per l’istituzione di un Collegio dei probi viri” (Delibera N°209 del 30 gennaio 1899).

Contributo per un monumento al Re Carlo Alberto (1899)

75. Queste umane miserie, però, non impedivano di rimanere sempre fedeli, almeno ufficialmente, alla retorica liberale e sabàuda post-risorgimentale.

Già il Sindaco Beniamino Caccavale, sul finire del suo mandato, pensò di detrarre dalle disastrate casse comunali niente meno che una:   

“Offerta per contribuire alle spese per l’erezione di un monumento al Re Carlo Alberto” (Delibera N°238 del 12 giugno 1899).

Si voleva cioè onorare l’ormai defuntissimo Carlo Alberto di Savoia (1798-1849), capo-stipite della dinastia regnante: quello che nel 1848 aveva “concesso” il celebre Statuto, di cui abbiamo detto a suo luogo[33].

La lapide per Umberto I di Savoia (29 luglio 1901)

76. Peraltro, proprio l’anno dopo (29 luglio 1900) sopravvenne l’uccisione, ad opera dell’anarchico Gaetano Bresci, del Re Umberto I (vedi sopra, n°23).

E toccò al successivo Sindaco Antonio Napolitano (1899-1903) apporre, sulla facciata del Municipio dove tuttora si trova, la lapide in memoria dell’evento:

AD

UMBERTO I   RE

PER SPONTANEO DECRETO DI POPOLO

DENOMINATO IL BUONO

A   PERENNE   PROTESTA

CONTRO   IL   PIU’   INSANO   MISFATTO

DEL    SECOLO

NEL   PRIMO   ANNIVERSARIO   DI   SUA

MORTE

QUESTA   CITTADINANZA   REVERENTE

POSE

XXIX    LUGLIO    M CM I

(29 LUGLIO 1901)

La lapide venne “scoperta” con una cerimonia ovviamente solenne, alla presenza del Sindaco, del Consiglio e della Giunta comunali, del Corpo insegnante delle scuole elementari, della Società Operaia di Mutuo Soccorso e della Banda musicale municipale che eseguì musiche d’occasione.

L’iscrizione sulla lapide: sua origine

77. A pronunciare per prima le parole riportate sulla lapide era stata, in realtà, colei che abbiamo definito “la primattrice della nuova Italia”[34] ovvero la Regina Margherita, la quale, un attimo dopo l’attentato, quando si avvide che Umberto era morto, si chinò sul cadavere del mai amato consorte[35] e declamò il seguente elegiaco lamento: “Hanno ucciso te, che tanto amavi il tuo popolo! Eri tanto buono, non facesti male a nessuno e ti hanno ucciso! Questo è il più gran delitto del secolo!”

78. Ed innegabilmente la commozione, che pervase tutta l’Italia dopo quella morte, fu reale, anche se ben alimentata ed orchestrata dagli apologèti della monarchia sabàuda.

Venne addirittura istituita una “Associazione Nazionale pel pellegrinaggio alla Tomba del Re Umberto I” alla quale anche il Comune di Barra dovette ovviamente dare il suo contributo (Cfr Delibera N°118 del 13 luglio 1901).

L’iscrizione sulla lapide: suo contenuto

79. Quanto al contenuto della lapide, esso rivela chiaramente un “eccesso di zelo” liberale e monarchico.

E’ già significativo il fatto stesso che si pensò di mettere una lapide per il re ucciso, ma non per i molti popolani uccisi nel 1898 dal règio esercito … 

80. Il titolo di re buono, a lui tributato post-mortem, non proveniva certo da uno spontaneo decreto di popolo: il popolo di Milano, ad esempio, che aveva visto donne e bambini uccisi dai soldati del “re buono”, il quale aveva poi anche decorato ed esaltato il loro uccisore Bava-Beccaris, difficilmente avrebbe emesso spontaneamente un tale decreto.

D’altronde, l’atteggiamento politico di Umberto I (e della regina Margherita) fu costantemente di intonazione anti-popolare, anti-democratica, anti-parlamentare, militarista, e di aperto appoggio ai gruppi più retrivi ed autoritari del paese. 

81. Il gesto omicida dell’anarchico Bresci fu veramente insàno perché, facendo di Umberto I un “martire”, conseguì il solo effetto di rinsaldare “sentimentalmente” il legame del popolo con una monarchia che di certo non era stata, fino ad allora, per esso particolarmente benèfica. 

82. Il fatto poi che l’attentato venga definito non un semplice delitto, ma il più insano misfatto del secolo, è indubbiamente una esagerazione retorica: il secolo che si chiudeva (l’Ottocento) aveva infatti conosciuto, tra guerre, massacri, repressioni, etc. misfatti ben più gravi, taluni anche specificamente imputabili alla borghesia liberale italiana ed alla Casa Savoia (basti pensare alla repressione del cosiddetto “brigantaggio”, alle  guerre coloniali, ai massacri compiuti per “difendere le istituzioni, la patria e la civiltà” contro i “fasci” siciliani o le masse affamate del 1898 …)  

83. La lapide ad Umberto I sulla facciata del Municipio di Barra rimane dunque essenzialmente come un documento storico di quella che era la mentalità della classe dirigente borghese, anche presso di noi, alla fine dell’Ottocento.

La sorte di Gaetano Bresci (maggio 1901)

84. A conferma di ciò, si può osservare che quasi nessuno, allora, si preoccupò della sorte di Gaetano Bresci, l’attentatore, che pure morì il 22 (?) maggio 1901, quindi circa due mesi prima dell’apposizione della lapide.

La pena di morte, come sappiamo [36], era stata abolita dal Codice penale “Zanardelli”, entrato in vigore il 1°gennaio 1890, e così Gaetano Bresci, dopo rapido processo, venne condannato “solo” all’ergastolo. Ma la pena di morte gli venne inflitta ugualmente …

Gaetano Bresci (1869-1901)

85. Fu portato prima nel Carcere di S. Vittore a Milano, poi sull’isola d’Elba, ed infine nel penitenziario che si trovava sull’isolotto di Santo Stefano, davanti alla costa Tirrenica.

Qui fu costruita per lui una cella appòsita, di 3 metri per 3, e controllato a vista: questo però non impedì, secondo la versione ufficiale, che il Bresci si suicidasse, appendendosi a un’inferriata con un asciugamano.

86. “Voci di dentro” uscite dal penitenziario, e riprese allora solo dalla stampa anarchica, dissero subito che in realtà “gli era stato fatto il santantonio” ovvero era stato semplicemente ammazzato a botte dalle guardie carcerarie, “con licenza de’ superiori”.

Questa ipotesi rimane la più probabile: è praticamente impossibile che un detenuto, guardato a vista in una cella di 3 metri per 3, abbia il tempo di predisporre e mettere in atto il suicidio, senza che nessuno se ne accorga; ed anche i medici del tempo, peraltro inascoltati, affermarono che il Bresci era già morto quando venne appeso all’inferriata …

L’impianto di una pubblica latrina in Piazza Umberto I (1902)

87. Lo Stato liberale e sabàudo consumò quindi, in modo del tutto illegale, la sua vendetta nei confronti di Gaetano Bresci.

Ma, a Barra, l’ironia della storia volle infine far rendere una sorta di più appropriato omaggio a quel Re così falsamente definito “buono”: meno di un anno dopo la sua inaugurazione, a pochi metri dalla lapide e proprio di fronte ad essa, venne infatti collocata “una pubblica latrina” …

88. “Il giorno 6 aprile 1902, in Barra, nella sala delle solite adunanze municipali, previo avviso di convocazione, si è riunita la Giunta comunale … (Sindaco Antonio Napolitano; Assessori Francesco Martorelli e Salvatore Scognamiglio; Segretario comunale Gaetano de Cristofaro) …

Il Sindaco presidente … riferisce che, agli effetti dello stanziamento previsto in bilancio, si provvede allo impianto di una pubblica latrina in piazza Umberto I, reclamata dall’igiene e dalla civiltà dei tempi, e la costruzione della stessa viene eseguita in due compartimenti distinti, assegnandone ad uno il diritto dell’uso gratuito ai cittadini e l’altro il pagamento di una tangente da fissarsi dalla Giunta stessa, in modo che i due compresi l’uno sia detto “pubblico” e l’altro “privato”.

(Siccome però) a mantenere la detta latrina sempre decente e pulita, mercè lavaggi, necessita una continua custodia, a che le pareti interne ed esterne non siano imbrattate e deturpate, pel decoro del Comune, e nello interesse igienico onde evitare esalazioni e miasmi … invita la Giunta a divenire alla nomina di un custode presso la suddetta latrina ed all’uopo sottopone pei competenti provvedimenti due istanze pervenute.

La Giunta … ritenuta la necessità di provvedere a tale nomina per tutte le ragioni ed i motivi esposti dal signor Sindaco presidente; lette le due domande avanzate da Raffaele Cucciardi fu Francesco e Salvatore Becchimanzi fu Pasquale, che tendono a conseguire tale nomina; visti gli articoli 167 e seguenti del Regolamento comunale e proceduto a votazione segreta …

… dallo spoglio dei bollettini, fatto dal Sindaco presidente, è risultato nominato Raffaele Cucciardi fu Francesco, ad unanimità di voti tre, quale custode presso questa pubblica latrina …

… con l’obbligo di mantenere la nettezza sia al compreso pubblico che a quello adibito pei privati, stando a suo carico tutte quelle spese inerenti al mantenimento di detta pulizia; e con il diritto ad un assegno mensile, che resta fissato nella misura di lire 10, nonché agli altri proventi eventuali, non escluso quello di esigere a suo esclusivo vantaggio la tangente che verrà pagata dai cittadini che usufruiscono del compartimento riservato, la quale tangente viene fissata nella misura di centesimi 5 per ogni individuo”…

Una pubblica latrina

A proposito della latrina

89. La pubblica latrina era decisamente “reclamata dall’igiene e dalla civiltà dei tempi” visto che nelle case non c’erano né bagni né acqua corrente e la maggior parte delle persone continuava con il sistema tradizionale di orinare nei campi o per le strade, quando non poteva servirsi del domestico “càntaro” orinale.

Essa, d’altronde, per quanto “progredita” e “civile”, non sfuggiva alla ferrea distinzione classista fra chi poteva permettersi di pagare e chi no.

Nella càbala napoletana, l'orinatoio domestico corrisponde al numero 27

90. Si può altresì osservare che, siccome nell’Italietta post-unitaria tutto doveva venire dal Piemonte ed andare a vantaggio delle aziende torinesi [37], anche il più importante costruttore di questo genere di manufatti, sul finire dell’Ottocento e nella prima metà del Novecento, era la “Ditta Umberto Renzi” di Torino, della quale alleghiamo due pagine di un catalogo illustrativo della sua meritoria produzione.

Il Comune di Barra, però, forse anche per motivi economici, non sembra essersi rivolto alla prestigiosa Ditta Umberto Renzi, visto che nella Delibera si parla di “costruzione” … la quale fu, molto probabilmente, commissionata ad artigiani locali.

Modelli di chioschi orinatoi

Don Raffaele Guida (1844-1900)

91. Dal punto di vista religioso, gli ultimi anni del secolo furono segnati dalla personalità di Don Raffaele Guida, parroco di S. Anna [38] dall’agosto del 1896 al giugno del 1900. 

Il Guida fu uomo di vasta cultura e di profonda spiritualità, discepolo e poi successore di Don Raffaele Verolino [39] come Superiore del Ritiro da questi fondato nel 1868.

continua


Note

[1] Vedi n°80 in “Il periodo liberale dal 1887 al 1896”.

[2] Vedi nn°85-86 in “Il periodo liberale dal 1860 al 1879” e nn°7-10 in “Il periodo liberale dal 1887 al 1896”.

[3] Alfredo Angiolini – “Socialismo e socialisti in Italia”, Editori Riuniti, 1966.

[4] In quegli anni, caddero in attentati compiuti da anarchici: lo zar Alessandro II, in Russia; il presidente Carnot, in Francia; il presidente Cànovas del Castillo, in Spagna; l’imperatrice Elisabetta, in Austria; il presidente McKinley, negli USA.

[5] Alfredo Angiolini, op. cit.

[6] Alfredo Angiolini, op. cit.

[7] Alfredo Angiolini, op. cit.

[8] Vedi nn°18-21 e 29-34 in “Il periodo liberale dal 1860 al 1876”.

[9] Vedi nn°158 e segg. in “Il periodo liberale dal 1860 al 1876”.

[10] Vedi nn°117-132 e 152-153 in “Il periodo del Vice-regno spagnolo nel 1500”.

[11] Vedi n°159 in “Il periodo liberale dal 1860 al 1876”.

[12] Vedi nn°266-270 in “Il periodo borbonico dal 1734 al 1790”.

[13] Vedi n°164 e n°178 in “Il periodo liberale dal 1860 al 1876”.

[14] Vedi n°44 e segg. in “Il periodo liberale dal 1887 al 1896”.

[15] Vedi nn°180-188 in “Il periodo liberale dal 1860 al 1876”.

[16] Vedi nn°192 in “Il periodo liberale dal 1860 al 1876”.

[17] Vedi n°123 in “Il periodo liberale dal 1876 al 1887” e n°47 in “Il periodo liberale dal 1887 al 1896”.

[18] Vedi nn°66-78 in “Il periodo liberale dal 1887 al 1896”.

[19] Vedi n°47 in “Il periodo liberale dal 1887 al 1896”.

[20] Vedi n°43 in “Il periodo liberale dal 1887 al 1896”.

[21] Vedi nn°125 e segg. in “Il periodo liberale dal 1876 al 1887”.

[22] Gerardo Cioffari e Michele Miele – “Storia dei Domenicani nell’Italia meridionale” – EDI, 1993.

[23] Vedi nn°232-235 in “Il periodo liberale dal 1860 al 1876”.

[24] Cioffari e Miele, op. cit.

[25] Cioffari e Miele, op. cit.

[26] Vedi n°127 in “Il periodo liberale dal 1876 al 1887”.

[27] Vedi nn°53-57, ibidem

[28] Vedi nn°197-204 in “Il periodo borbonico dal 1734 al 1790”.

[29] Vedi nn°138-142 in “Il periodo liberale dal 1876 al 1887”.

[30] Vedi nn°167-168 in “Il periodo liberale dal 1860 al 1876”. 

[31] Vedi nn°169-170, ibidem. 

[32] Vedi nn°191-194 in “Il periodo liberale dal 1860 al 1876”.

[33] Vedi n°4, e nota 3, in “Il periodo liberale dal 1860 al 1876”.

[34] Vedi nn°4-7 in “Il periodo liberale dal 1876 al 1887”.

[35] Vedi nn°8-9 ibidem.

[36] Vedi n°36 in “Il periodo liberale dal 1887 al 1896”.

[37] Vedi n°8 in “Il periodo liberale dal 1860 al 1876”.

[38] Vedi l’elenco dei parroci di Barra in “Il periodo del Viceregno spagnolo nel 1500”.

[39] Vedi n°209 e segg. in “Il periodo liberale dal 1860 al 1876”, in particolare il n°221.

Angelo Renzi


Pubblicazione de Il Portale del Sud, ottobre 2017

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