Ferrandino nacque a Napoli nel 1467, figlio primogenito di Alfonso II e di Ippolita Maria Sforza. Nel 1495, sotto l’avanzata dell’esercito del re di Francia Carlo VIII, che intendeva impossessarsi del Regno di Napoli, fu posto dal padre alla testa dell’armata napoletana di Romagna, ma fu costretto a ritirarsi. Salì al trono nel gennaio del 1495, allorché Alfonso II abdicò in suo favore, nell’estremo tentativo di ricompattare tutte le forze del regno contro l’invasore.
Il giovane re, ricordato per l'ardore e l'animo nobile, aveva 24 anni. Pur consapevole di dover affrontare una lotta senza speranza, cercò in ogni modo di arrestare l’avanzata di Carlo VIII. I tentativi di resistenza risultarono inutili. Molti territori erano caduti in mano dei Francesi, le città e le fortezze del regno capitolavano una dopo l'altra. Le truppe napoletane che erano attestate sul Liri e sul Garigliano furono costrette a ripiegare ed anche Capua si arrese senza opporre nessuna resistenza, e pochi giorni dopo cadeva anche Gaeta. I generali napoletani, invece di combattere, si alleavano all'ultimo momento con il nemico. Quest’attitudine sembra una costante della nostra storia, come dimostrato dalle precedenti invasioni, e dagli avvenimenti che si succederanno nel tempo [1]. Non fu sempre così, e non tutti passarono a vario titolo all’invasore di turno, ma indubbiamente il ripetersi nei secoli di tali episodi dovrebbe costituire motivo di riflessione. Resta il fatto che sovente, nel Sud, la dignità è stata sottoposta ad altri fattori, quando si è trattato di decidere con chi stare.
Il 20 febbraio 1495 Napoli apriva le porte a Carlo VIII, accolto come eroe e “liberatore” dal popolo in festa. Il giorno successivo Ferrandino (uno dei rari casi di re che non hanno abbandonato la capitale al sopraggiungere del nemico), deluso ma non rassegnato, con 14 galee al comando di Bernardino Villamarino, raggiungeva il Castello d'Ischia, la roccaforte
restaurata ed amata da Alfonso il Magnanimo. Lo accompagnavano la famiglia reale al completo, il capitano Innico d'Avalos ed il letterato Jacopo Sannazzaro. A difesa del Castel dell'Ovo in Napoli restava Alfonso d'Avalos.
Governatore del Castello d’Ischia era Giustino della Candida [2], che già si era segretamente accordato con i Francesi per consegnare la fortezza. Al sopraggiungere della flotta aragonese, Giustino alzò il ponte levatoio del Castello, impedendo al re l'accesso nella roccaforte. Ferrandino non si perse d'animo e chiese di parlamentare. Appena arrivato alla presenza del traditore, il re estrasse il pugnale dal fodero e colpì mortalmente il governatore. Ordinò, poi, che gli venisse tagliata la testa e che il resto del corpo fosse gettato a mare.
A Napoli intanto quasi tutti tradirono Ferrandino, compreso l’umanista e letterato Giovanni Pontano, che pur era stato tanto beneficato dagli Aragonesi. Fu proprio il Pontano a dirigere la cerimonia di consegna delle chiavi di Napoli a Carlo VIII, pronunciando una dotta allocuzione di benvenuto.
|
Busto
di Ferdinando I d'Aragona (Ferrante), marmo dipinto, opera probabile di
Pietro di Milano. Parigi, Museo del Louvre (immagine tratta da Storia
d'Italia - Fratelli Fabbri Editori, 1965) |
Carlo VIII non si lasciò commuovere, e diede ordine alla sua soldataglia di mettere al sacco tutta la città. Non fu risparmiata nemmeno la biblioteca reale del Maschio Angioino e molti oggetti preziosi presero la via della Francia. Il re di Francia tolse poi molti feudi ai baroni del regno, che pure in linea di massima gli erano stati favorevoli, per assegnarli ai suoi cortigiani, e ciò diede luogo alla nascita di una resistenza aragonese in Calabria. I soldati francesi intanto nella capitale sottoponevano la popolazione ad ogni genere di soprusi, diffondendovi, fra l'altro, la sifilide, che fu chiamato appunto «il mal franzese».
Ferrandino dopo un mese di soggiorno nel Castello, visto l'inutile tentativo di resistenza di Alfonso d'Avalos a Napoli, si trasferì a Messina, dove si trovava il cugino Ferdinando il Cattolico, re di Spagna e di Sicilia. Il comando del Castello d’Ischia fu affidato al fedele Innico d'Avalos. Carlo VIII, che pur aveva conquistato tutto il regno di Napoli, non riuscì mai ad espugnare la fortezza d’Ischia, nonostante l’assedio. La resistenza del castello aragonese destò l'ammirazione degli italiani, e diede coraggio al popolo oppresso dal conquistatore. Qualche decennio dopo, Ludovico Ariosto dedicherà alcuni versi del suo "Orlando Furioso" alla cittadella sullo scoglio
Vedete Carlo ottavo che discende
Dall'Alpe, e seco è il fior di tutta Francia,
Che passa il Uri, e tutto il regno prende,
Senza mai stringer spada e abbassar lancia,
Fuorché lo Scoglio ch'a Tifeo si stende
Su le braccia, sul petto e su la pancia;
Che del buon sangue d'Avolo al contrasto
La virtù trova d'Inico del Vasto.
|
Il Castello Aragonese di Ischia |
Papa Alessandro VI, intanto, a Venezia riusciva a organizzare contro Carlo VIII la Lega Santa, a cui partecipavano l'imperatore Massimiliano, la Spagna e Venezia. Ludovico il Moro, duca di Milano, vista la situazione, si affrettò ad abbandonare l’alleato francese, e a partecipare alla Lega Santa.
Carlo VIII, sentendosi in trappola, decise di ritornarsene in patria, ma prima di farlo chiese nuovamente al pontefice l'investitura del regno e avendo ancora ricevuto un nuovo secco rifiuto si presentò nel duomo di Napoli con i suoi stendardi, con la corona in testa e scettro in mano. All’incoronazione-farsa seguì una cerimonia fastosissima alla quale prese parte tutta la popolazione di Napoli, divertita di assistere all'incoronazione di un re fuggitivo.
Quindi, poco gloriosamente, Carlo VIII lasciò Napoli affidando le truppe al capitano Montpensier. In un estremo tentativo di rivolgere le sorti della partita a proprio favore, Carlo VIII si fermò a Roma per accordarsi col papa, che non si fece trovaree non lo degnò di risposta . Se ne tornò quindi in Francia senza più fermarsi, ostacolato a Fornovo dall’esercito della Lega Santa.
Ferrandino, intanto, da Messina sbarcava a Seminara in Calabria e iniziava a combattere duramente per riconquistare il trono perduto. Dal momento che le truppe francesi presso Palmi ostacolavano la marcia, decise di raggiungere la capitale via mare.
Il 7 luglio 1496 Ferrandino approdò ad Ischia. Prima di far rotta su Napoli, volle riconoscere ai cittadini del Castello molti privilegi, tra i quali quello di fregiare Ischia col titolo di "Città ed Isola fedelissima". Sulla porta della fortezza fece incidere le seguenti parole: "Ista sola civitas hispanarum inservit affectum"; "questa fu l'unica città (del regno) che conservò l'affetto degli spagnoli".
Lo stesso giorno giunse a Napoli dove il popolo, già dimentico delle accoglienze tributate all'invasore Carlo VIII, lo accolse con grandi feste. Effettivamente tutto il regno si sollevò allora in favore di Ferrantino. I Francesi batterono in ritirata e man mano tutti i castelli che erano stati occupati si arresero alle truppe di Ferrandino. Per ricompensare Venezia dell'aiuto datogli in seno alla Lega Santa, Ferrandino concesse alcuni porti delle Puglie.
Ad Atella, nel luglio del 1496, si arrendeva anche il generale francese Montpensier, accerchiato da truppe spagnole, veneziane e napoletane. Ai Francesi, decimati da una grave epidemia, fu concesso di imbarcarsi a Baia e a Pozzuoli. Ferrandino rimase finalmente padrone del Regnum Siciliae (citra Farum).
Con dispensa papale, Ferrandino sposò la sedicenne Giovanna d'Aragona, sorellastra di suo padre Alfonso, nipote di Ferdinando il Cattolico. Madre della sposa era la regina Giovanna, seconda moglie di Ferrante I e sorella del re di Spagna, Ferdinando il Cattolico. Il matrimonio tra zia e nipote doveva servire a rinsaldare i legami tra Napoli e Spagna.
|
Giovanna d'Aragona |
Pochi mesi dopo il matrimonio, il 7 ottobre del 1496, purtroppo Ferrandino moriva improvvisamente. In mancanza di eredi diretti, salì al trono lo zio Federico, fratello di Alfonso II. In tre anni Napoli aveva visto la presenza di ben cinque re!
Ferrandino, re per poco meno di due anni, non poté dimostrare altro che grandi doti di indomito combattente, e seppe restituire l'indipendenza e la dignità al Regno. Non è poco.
Alfonso Grasso
Bibliografia e riferimenti |