Il castello occupa una posizione privilegiata e strategica nel centro di Napoli, tra piazza Castello, piazza Municipio ed il palazzo reale, e si affaccia maestosamente sul porto e sul mare. La costruzione del Maschio Angioino iniziò nel 1279, sotto il regno di Carlo I d'Angiò che, non trovando adeguata la residenza reale di Castel Capuano, seppur resa fastosa ed accogliente da Federico II, volle costruirsi una reggia fortificata, preferibilmente prossima al mare. Scelse una zona fuori le mura, il Campus Oppidi, nel cui centro sorgeva una chiesetta francescana.
La chiesa fu demolita e ricostruita altrove a spese del sovrano e i lavori della nuova residenza, denominata "Castrum novum", furono affidati, secondo i registri angioini, agli architetti francesi Pierre de Chaulnes e Pierre d'Angicourt, anche se il Vasari assegna il progetto a Giovanni Pisano. La costruzione del maniero fu finita, in meno di tre anni, nel 1282. Carlo d'Angiò, però, non vi abitò mai mentre vi si stabilì il figlio Carlo II, che fece eseguire notevoli lavori di ampliamento.
Altri lavori di ristrutturazione e di abbellimento furono fatti eseguire da Roberto d'Angiò detto il Saggio, che si servì anche dell'opera di Giotto che lavorò a Napoli dal 1328 al 1333, affrescando anche la Cappella Palatina con "Scene del Nuovo e del Vecchio Testamento", opere che oggi non esistono più. Durante il regno di Roberto d'Angiò, che amava circondarsi di artisti e letterati, il Castello divenne un centro di cultura dove soggiornarono artisti, medici e letterati fra cui, appunto, Giotto, Petrarca, Boccaccio e tanti altri. Napoli divenne una delle corti più raffinate d'Europa. Gli Angioini erano la più grande dinastia d'Europa e contavano sull'appoggio del Papa e dei comuni guelfi del nord. L'arte napoletana differì da quella di Bologna o Padova, espressione della vitalità dei ceti borghesi: da noi prevalse un'espressione di tipo aristocratico e regale.
Il pittore che riuscì ad esprimere in modo perfetto lo stile napoletano-aristocratico stilizzato di questo periodo è Simone Martini. Durante il periodo angioino fra le mura di Castel Nuovo si verificò uno dei più noti eventi della storia medioevale: il "gran rifiuto" di Celestino V che il 13 dicembre dell'anno 1294, nella grande Sala detta del Tinello. Rinunciò al suo pontificato davanti al concistoro delle più alte cariche della Chiesa: si tolse la tiara dal capo, si liberò del manto, si sfilò l'anello e rimase in cotta bianca. Dopo dieci giorni, nella stessa sala, il conclave elesse Papa il cardinale Benedetto Caetani con il nome di Bonifacio VIII.
Alla morte di
Roberto, Castel Nuovo conobbe alterne fortune. Fu abitato da Giovanna d'Angiò, donna frivola e vogliosa che non esitò a commissionare l'assassinio del marito Andrea d'Angiò, fratello del re d'Ungheria. Anche la seconda regina di nome
Giovanna, sorella di re Ladislao, salita al trono nel 1414, fu donna di "liberi" costumi. La leggenda racconta che facesse gettare i suoi sfortunati amanti in pasto ad un grosso coccodrillo (nella "Cella del coccodrillo") per evitare che andassero in giro a parlare male di lei. Il castello fu sottoposto a ferro e fuoco dal re d'Ungheria Ludovico in due spedizioni. Anche
Alfonso d'Aragona, detto il Magnanimo, sottopose il castello ad un poderoso bombardamento: conquistata però nel 1442 la corona, Alfonso si insediò nel castello con la sua corte, ricostruendo il castello di sana pianta. Questo re fu un mecenate d'eccezione. Presso la sua corte sorse ad esempio la famosa Accademia Pontaniana che coinvolgeva i migliori ingegni del Mezzogiorno.
Napoli, Castel Nuovo, Arco di
Trionfo aragonese, particolare del sottarco con Serafini e
ottagoni.
Inserto a
cura di Pina Catino
(settembre 2009)
L’arco di
trionfo marmoreo, costruito per celebrare nel marmo il trionfo
di Alfonso I d’Aragona, a ricordo del suo ingresso in Napoli il
26 febbraio 1443, fu realizzato intorno al 1452 su disegno di
Francesco Laurana, con l’apporto di Pietro Martino, Domenico
Gagini, Isaia da Pisa, Paolo Romano e altri artisti.
L’arco di
trionfo, un’invenzione dei Romani, ripreso nel ‘500, costituisce
una delle più rigogliose espressioni artistiche del Rinascimento
dell’intero Mezzogiorno d’Italia.
L’opera
del Laurana si compone di due archi in marmo sovrapposti e si
sviluppa su quattro livelli; gli archi sono affiancati ciascuno
da due colonne scanalate con capitelli corinzi.
Sulla
prima arcata, tra due leoni c’è lo stemma Aragonese, sul secondo
livello, il Trionfo di Alfonso col corteo e il re sul carro
coperto dal baldacchino.
Come
tributo di buoni auspici, sotto l’arco basso, una maglia di
ottagoni intervallati da piccoli rombi, simbolo di rinascita, di
rigenerazione spirituale. La maglia ottagonale, che manifesta il
delicato momento di passaggio tra il quadrato della terra e il
cerchio del cielo, è dedicata ad un Uomo, che rappresenta il
punto di giunzione tra i due mondi (materiale e spirituale).
All’interno degli ottagoni si alternano i Serafini, in tutto 28,
dai volti diversi, emblemi della Sapienza e della Carità. I
Serafini rappresentano il livello più alto della Gerarchia
celeste.
Il Ciclo
della Vita è rappresentato dall’infiorescenza dei fiori (semi),
dal corno dell’abbondanza e, soltanto in un ottagono, da un
volto leonino circondato da foglie. Il Leone è il simbolo
dell’Acqua e della Vita, l’autorità universale in rapporto con
l’infinito e la morte. |
Con
Alfonso il Magnanimo, il Maschio subì radicali opere di consolidamento, di rafforzamento e di ristrutturazione ad opera dell'architetto spagnolo Guglielmo Sagrera che diede alla costruzione l'aspetto che oggi conserva quasi integralmente. Furono creati ambienti sontuosi e tra questi citiamo la famosa Sala dei
Baroni nella quale nel 1486
Ferrante d'Aragona, figlio di Alfonso, vi riunì i baroni del regno che avevano tramato contro di lui e li fece arrestare in massa
(cfr. "La
congiura dei baroni").
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Il soffitto della Sala dei Baroni |
Alfonso fece inoltre erigere il magnifico arco di trionfo collocato all'ingresso del castello e ritenuto dagli esperti una delle più belle opere del Rinascimento italiano.
Nel corso degli avvenimenti bellici che videro i Francesi contrapposti agli Spagnoli il castello fu più volte saccheggiato e privato di ogni ricchezza quindi sopravvisse come fortezza militare per più di due secoli e solo nel 1734, con l'incoronazione di Carlo di Borbone, riassunse una certa dignità. L'ultimo avvenimento degno di nota si registrò nel 1799, quando i Francesi vi proclamarono la costituzione della Repubblica Partenopea. Il nome di Maschio Angioino, attribuito impropriamente al complesso, risale a fine '800, quando vennero demolite le fortificazioni cinquecentesche costruite attorno al nucleo iniziale. In effetti lo splendido castello che oggi possiamo ammirare e visitare è né maschio, né angioino: l'antica fortificazione angioina aveva una grande torre centrale, circondata tutto intorno da mura più basse. L'attuale "Castel Nuovo" di Alfonso il Magnanimo ha la pianta a quadrilatero irregolare, con poderose torri nei vertici, congiunte da mura di pari altezza.
L a porta bronzea del Maschio Angioino è conservata a Palazzo reale. I battenti sono formati da pannelli con cornici decorate e con medaglioni raffiguranti personaggi tra cui re Ferrante d'Aragona, la regina Isabella Chiaromonte ed il fonditore dell'opera, Guglielmo Monaco. La porta - chiamata «la vittoriosa», perché vi sono raffigurate varie imprese vittoriose di re Ferrante [1] - ha ben quattro squarci prodotti da proiettili di ferro, che alcuni ritengono causati da colpi di colubrina sparati nel 1503 dagli spagnoli che attaccarono il forte.
Note
L'incontro avvenuto il 30 maggio del 1462 tra il re ed alcuni capitani a Calvi; il re che si difende da un colpo di pugnale; la disfatta dell'esercito angioino da Accadia, e l'entrata vittoriosa dell'esercito napoletano in città; la battaglia di Troia nel 1462, vinta dall’erede di Ferrante, Alfonso duca di Calabria. |