L'impronta di Giovanni Giolitti nella politica
italiana è stata innegabilmente importante, tanto che questo
periodo politico passò alla storia come “Età
Giolittiana”. Furono gli anni delle
concentrazioni industriali, delle formazioni delle masse
popolari socialiste e cattoliche, dell’attività coloniale
italiana in Eritrea, Libia e Dodecaneso, delle rivolte per il
pane e della nascita del Partito Fascista.
Giovanni Giolitti
Dell’età giolittiana, resta impresso nella memoria il
fatto che la moneta nazionale faceva aggio sull’oro (1909), vale a
dire che la valuta circolante era proporzionale alle riserve auree
del Regno. Ciò accadeva in Italia, nei principali Paesi europei e
negli U.S.A., facilitando le transazioni ed i commerci
internazionali mediante la stabilità delle monete e la certezza dei
cambi tra diverse valute.
Tale risultato venne ottenuto ad un costo umano
incalcolabile. Dall’inizi del 1900 circa dieci milioni di italiani,
nessuna regione del Bel Paese esclusa, lasciarono l’Italia per
emigrare, principalmente verso l’America, sia negli Stati Uniti che
in Perù, Argentina e Cile. Viaggi senza ritorno: gli emigranti
partivano da analfabeti, parlando ognuno il dialetto d’origine, e
questa “verginità” formativa facilitava in qualche maniera il loro
inserimento nelle nuove patrie, unitamente alla “italica”
capacità di adattamento ad ogni luogo e situazione.[1]
Gli emigranti costituirono una solida base per la
politica giolittiana, il cui disegno si fondava sullo stimolo e la
protezione industriale, la protezione e la difesa del Bilancio del
Regno, l’eliminazione del monopolio da parte dei privati e
sull’opposizione alle forze finanziare estere. Da un lato, infatti,
l’emigrazione risolveva drasticamente problemi sociali incombenti ed
enormi, semplicemente espellendoli dal Paese, dall’altro il governo
poté contare sull’enorme massa di valuta pregiata che gli emigrati
stessi inviavano In Italia alle loro famiglie. Se, come detto,
l’emigrazione interessò tutte le regioni italiane, lo stesso non può
dirsi circa gli effetti e le conseguenze sui tessuti
economico-sociali delle diverse realtà locali. Il nord, infatti
risultò geograficamente e politicamente favorito dalle nuove
politiche industriali. Le ricche commesse statali per armamenti e
ferrovie vennero sempre più spesso affidate alle ditte del triangolo
Milano-Torino-Genova, mentre il sud restava indietro. Soprattutto,
furono i territori a più forte vocazione agricola e pastorizia
(Abruzzi, Calabrie, Sicilia e, soprattutto, Basilicata) a vedersi
disgregata la società contadina, senza che venisse attuata alcuna
riforma in grado di offrire prospettive diverse dall’emigrazione.
Popolazione residente per Regione
1.871
1.881
1.901
1.911
1.921
Piemonte
2.928.156
3.089.928
3.319.025
3.413.837
3.439.050
Valle d'Aosta
84.137
85.504
84.165
81.457
83.251
Lombardia
3.528.732
3.729.927
4.313.893
4.889.178
5.186.288
Trentino
660.847
Veneto
2.196.208
2.346.459
2.579.755
3.009.050
3.318.532
Friuli - Ve. G.
507.806
529.643
615.405
727.729
1.178.485
Liguria
883.864
936.476
1.086.213
1.207.095
1.337.979
Emilia - Rom.
2.227.665
2.288.969
2.547.201
2.812.974
3.077.080
Toscana
2.123.553
2.187.272
2.503.223
2.569.637
2.809.584
Umbria
479.149
496.769
578.769
613.695
657.952
Marche
957.505
972.466
1.088.763
1.145.005
1.200.586
Lazio
1.173.065
1.256.876
1.585.907
1.770.869
1.997.045
Abruzzo
906.001
946.430
1.070.361
1.116.497
1.131.087
Molise
374.415
381.712
394.953
396.070
382.653
Campania
2.520.095
2.659.688
2.914.073
3.101.593
3.343.293
Puglia
1.440.079
1.608.766
1.986.806
2.195.285
2.365.169
Basilicata
524.033
539.258
491.558
485.911
492.132
Calabria
1.218.842
1.281.799
1.439.329
1.525.745
1.627.117
Sicilia
2.590.165
2.933.154
3.568.124
3.811.755
4.223.160
Sardegna
636.413
680.450
795.793
868.181
885.467
Un dato significativo è quello della cantieristica
navale, un tempo “fiore all’occhiello” dell’industria borbonica, con
gli stabilimenti del Napoletano e siciliani. Ancora negli anni
intorno al 1870 la costruzione dell’ammiraglia della flotta militare
italiana, la corazzata Duilio, era stata affidata al regio cantiere
di
Castellammare di Stabia. Da allora la produzione fu
progressivamente trasferita a Genova, tanto che alla vigilia della
Grande Guerra, una sola delle sei grandi navi da battaglia era stata
costruita a Castellammare.
Antonio Di Rudinì
Giolitti introdusse il
suffragio universale maschile, facendo salire con
ciò il numero di elettori a quota 8.000.000. Il voto fu esteso anche
agli elettori analfabeti di età superiore ai 30 anni, il voto
femminile era ancora lontano e inimmaginabile.
Patrocinò l’avventura coloniale in Libia nel 1912, e
la conseguente guerra all’Impero Ottomano e anche se più tardi si
dimostrerà contrario all’ingresso dell’Italia nella Grande Guerra
Mondiale, che annegherà la Belle Epoque in un mare di sangue,
Giolitti partecipò alla “corsa agli armamenti”, preludio del
conflitto. Cercò di venire a patti con Mussolini. Nel 1921 gli
propose un governo di conciliazione, ma senza successo.
Giolitti
presidente del Consiglio
Per riassumere possiamo suddividere l’età
giolittiana in 5 tappe:
Giolitti 1° (maggio
1892 - dicembre 1893)
Inizia con la crisi del governo Crispi, messo in
minoranza nel febbraio 1981 a seguito di una proposta di legge di
inasprimento fiscale. Dopo un breve governo liberal-conservatore
guidato dal marchese Di Rudinì (6 febbraio 1891 - 15 maggio 1892),
Giovanni Giolitti, che apparteneva ancora al gruppo crispino, venne
nominato Primo ministro il 15 Maggio 1892.
Elezioni politiche dell’11 giugno 1892
Abitanti
31.900.000
Elettori
2.934.000
Votanti
1.639.000
La crisi economica aveva portato ad un aumento del
costo di prima necessità portando la popolazione a manifestare e
protestare in numerose piazze italiane. Giolitti si oppose all'uso
della forza per reprimere i moti di piazza. Ma le voci di tassazione
progressiva sui redditi fecero perdere i consensi dei cedi borghesi
e dei proprietari terrieri che vedevano minacciati i proprio
interessi economici e le accuse di aver coperto le irregolarità
fiscali della Banca Romana costrinsero Giovanni Giolitti a
dimettersi il 15 dicembre 1893.
Antonio Di Rudinì
Giolitti
2°
(novembre 1903 - marzo 1905)
Giovanni Giolitti torna al governo il 3 novembre
1903. Il secondo governo Giolitti varò norme a tutela del lavoro
infantile e femminile e su tematiche sociali quali invalidità,
infortuni e vecchiaia. Le cooperative cattoliche e socialiste furono
ammesse nelle gare di appalti e fu data indicazione ai prefetti di
usare una maggiore tolleranza verso gli scioperi apolitici.
Il secondo mandato di Giolitti fu caratterizzato
dall'apertura ai socialisti e dal tentativo di estendere il consenso
al governo alle aree popolari e operaie grazie a una retribuzione
salariale migliore, la quale avrebbe garantito un migliore tenore di
vita. Rimasero esclusi da questo miglioramento di condizioni sociali
i lavoratori meno qualificati concentrati maggiormente nelle regioni
meridionali.
Importanti provvedimenti furono anche presi nel campo
delle infrastrutture, nazionalizzando la rete ferroviaria e la
realizzazione del traforo del Sempione e nel campo economico mirando
alla sviluppo economico attraverso una stabilità monetaria.
Elezioni politiche dell’11 giugno 1904
Abitanti
35.860.000
Elettori
2.928.749
Votanti
1.903.687
Giolitti
3°
(maggio 1906 - dicembre 1909)
Nel febbraio 1906 Giolitti insidiò il suo terzo
governo a seguito della caduta del governo Fortis. In questo periodo
di congiuntura economica apparentemente positiva dovuta alla
stabilità monetaria che caratterizzò i primi anni del Novecento
l'Italia vide comparire il fenomeno dell'emigrazione, dovuta sia ai
dissesti economici da malapolitica che a disastri naturali come
l'eruzione del Vesuvio nel 1906 e il terremoto che devastò Messina e
Reggio Calabria nel 1908.
La distruzione di Messina
Nel suo terzo governo, Giolitti continuò le politiche
dei suoi primi due mandati e favorì lo sviluppo dell'industria
pesante, ancora arretrata rispetto al resto dell'Europa a causa
della mancanza di capitali da utilizzare per svilupparla.
Giolitti
4°
(marzo 1911 - marzo 1914)
Nel suo quarto governo Giolitti tentò di coinvolgere
il Partito Socialista, che ufficialmente rifiutò ma poi votò, come
si conviene, a favore. Il programma del governo prevedeva la
nazionalizzazione delle assicurazioni sulla vita e l'introduzione
del suffragio universale. Tematiche di notevole impatto sociale che
furono realizzate anche se dal suffragio “universale” rimanevano
ancor escluse le donne. Un universo solo maschile. Ma noi eravamo
italiani non turchi!
Nel settembre del 1911, dietro a crescenti spinte
nazionaliste Giolitti diede inizio alla guerra di Libia, conflitto
che divise il Partito Socialista e lo allontanò dal governo in
maniera irrimediabile.
Giolitti
5°
(giugno 1920 - luglio 1921)
Elezioni politiche
Abitanti
Elettori
Votanti
26 giugno
1913
36.134.000
8.672.000
5.100.615
304 seggi
ai giolittiani con varie tendenze liberali/cattoliche,
aumento socialisti 79 seggi.
16
novembre 1919
36.930.000
10.235.874
5.793.507
Svolta! 1°
partito PSI (156 seggi), Cattolici PPI (100), radicali (38),
PSI Riformatori (27). C'e' Mussolini ma non prende alcun
seggio.
15 maggio
1921
37.438.000
11.457.164
6.701.496
PSI 123
seggi, PPI 108, PRI 6, Nazionalisti 10, Slavi 9, Fascisti di
Mussolini 35 seggi
L'ultimo governo di Giolitti si insedia nel giugno
1920, durante il biennio rosso (1919-1920). Le frequenti agitazioni
socialiste spinsero Giolitti ad appoggiarsi alle squadre fasciste,
credendo che la loro violenza potesse in seguito rientrare
all'interno del sistema democratico.
Sviluppo
diseguale
In sintesi abbiamo riportato gli eventi più
significativi del periodo giolittiano. Ora riteniamo opportuno
riportare cosa succedeva nel frattempo nelle regioni meridionali
e in Sicilia
Come precedentemente detto l’età giolittiana è
contraddistinta da una notevole crescita della società nazionale. Il
paese, inizialmente, è ancora prevalentemente agrario e ogni regione
ha pochi legami di interesse comune con le altre. C’è comunque
un’aria di ripresa che investe tutta l’Italia. L’Italia del nord
vive la sua prima rivoluzione industriale assieme allo sviluppo di
un certo capitalismo agrario. La crescita è notevole in tutte le
regioni comprese quelle meridionali e la Sicilia. La velocità di
crescita è però diseguale tra regioni del nord e regioni del sud.
Perché?
Andando a vedere le sequenza dei governi ci
accorgiamo che dopo Crispi e Di Rudinì nessun meridionale e nessun
siciliano avrà più ministeri “forti” come gli Interni, la Guerra, le
Colonie, i Lavori pubblici e l’Agricoltura. L’assenza politica
meridionale e siciliana in questi ministeri ha avuto, senza dubbio,
la sua efficacia nel determinare la diversa velocità di sviluppo tra
nord e sud. I fondi in bilancio in questi ministeri venivano
dirottati in proporzione molto maggiore verso il centro nord che non
verso il sud. Gli stanziamenti ministeriali per l’agricoltura erano
destinati prevalentemente all’Emilia e alla Val Padana, in risposta
alle richieste socialiste per le opere di bonifica. La disattenzione
per l’industrializzazione dell’Isola era poi pressoché totale. Come
abbiamo avuto occasione di scrivere, all’inizio del secolo
i Florio avevano fondato un vero impero economico-finanziario ma
dopo la caduta di Crispi e poi del Di Rudinì la loro influenza su
Roma venne a cessare quasi di colpo. Per fare qualche esempio,
i Florio avevano chiesto finanziamenti per costruire il Cantiere
navale a Palermo ma degli 80 milioni di commesse della marina
militare ai Florio non arrivò neanche una lira e mentre le industrie
di Milano ottennero 150 milioni per le ferrovie ai Florio non fu
affidata neanche la commessa per la costruzioni dei carri ferroviari
per la Società Sicula. Anche in questo caso però non possiamo fare a
meno di notare che pur avendone la possibilità
i Florio anziché favorire la formazione di un partito
industriale nell’isola che perseguisse lo sviluppo industriale, cioè
quello che gli stessi Florio avrebbero dovuto perseguire, si
schierarono clamorosamente con gli obsoleti partiti agrari! Si
schierarono cioè con le famiglie aristocratiche e decadute delle
loro mogli! Di quelle mogli che avevano cercato e sposato per dare
una giustificazione alla loro ascesa sociale. Gli agrari, miopi e
conservatori non spinsero mai verso l’industrializzazione ma verso
il mantenimento della “industria agricola”.
Palermo, La Favorita
È in
questo periodo che Ignazio Florio fonda il giornale L’Ora
chiamando a dirigerlo Vincenzo Morello
[2]. Il giornale nasce come
un giornale d’opposizione ma l’opposizione era volta non a
difendere gli interessi industriali dell’isola ma gli
interessi degli agrari ed della vecchia aristocrazia
latifondista! Il maggior referente della politica dei Florio
fu il Sonnino
[3] che rappresentava gli
interessi agricoli nazionali e non Giolitti che
rappresentava invece l’avanguardia, cioè gli interessi
industriali nazionali. Fu proprio il fatto che Giolitti non
favoriva gli interessi degli agrari meridionali che portò il
Salvemini a definirlo “ministro della malavita”, perché,
Giolitti, vecchia volpe della politica, in cambio del
sostegno parlamentare della borghesia agraria e dei
latifondisti meridionali, tollerava che nel mezzogiorno
venissero calpestate la libertà e le più normali regole di
civile convivenza.[4]
Continuava nell’isola come nelle altre provincie meridionali
il dominio del padrone tanto è vero che nelle elezioni del
1900 mentre il nord elegge deputati che puntano alla
modernizzazione, a sud si continuano a mandare al parlamento
i rappresentanti dell’ala più restauratrice e conservatrice.
Questo stato di cose avrebbe portato ad un divario sempre
più grave tra nord e sud.
Camillo Finocchiaro Aprile
Gaetano Salvemini
E’ strano che
il primo a non capire che il tentativo di mantenere certi privilegi
feudali avrebbe segnato una decadenza e uno sfruttamento delle
regioni meridionali sia stato proprio Ignazio Florio e che con
questo ha segnato in maniera irreversibile il declino e la fine
della dinastia. Eppure Florio non era un latifondista ma un
industriale. Il programma di Florio si realizzò parzialmente con lo
sviluppo del credito agrario e del movimento della cooperazione
agricola, Giolitti non era un fautore del partito agrario e non lo
appoggiò mai pur avvalendosi, per formare i suoi governi, delle
rappresentanza della borghesia agraria meridionale. Tuttavia se a
Palermo regnava Ignazio Florio, a Catania “regnava” Giuseppe de
Felice Giuffrida
[5]
che non era un industriale, ma era un socialista riformista.
Giolitti, mentre trattava il Florio con sufficienza, assicurava a
Giuffrida lo stesso sostegno politico che dava al nord tanto che
Catania divenne la capitale dell’industrialismo del sud. La Milano
del sud, come si autodefinì. Giolitti dal canto suo non chiamò mai
al suo governo i cosiddetti ascari, ma il fior fiore della
intellighenzia meridionale (Vittorio Emanuele Orlando
[6],
Angelo Majorana, Camillo Finocchiaro Aprile[7],
Luigi Sturzo[8]
e Napoleone Colajanni
[9])
ma che poco facevano se non assecondare i desideri di una certa
classe sociale o opporre loro uno sterile dissenso. Un po’ come
succede ora con l’attuale governo delle destre leghiste.
Giuseppe de Felice Giuffrida
Da un altro
punto di vista se il movimento agricolo siciliano avesse potuto
ispirarsi ai fasci siciliani e non all’aristocrazia del latifondo il
risultato avrebbe potuto esser diverso. Ma i
Fasci Siciliani erano stati repressi nel sangue, da siciliani
come Crispi, ed i contadini siciliani e meridionali non furono
riconosciuti come proletari e furono abbandonati dal partito
socialista che aveva già stabilita la “padanizzazione” a scapito
della meridionalizzazione o cosa più rara ancora
dell’italianizzazione.
In Sicilia
abbiamo avuto grandi capi sindacali ma non è mai stato concesso loro
di superare la provincia. Gente come Bernardino Verro o Nicola
Barbato hanno predicato o sono morti invano. È in questo triste
periodo che si acuisce il fenomeno dell’emigrazione. I poveri non
credono più a una rinascita. Possono solo andarsene e ricostruire
altrove. Fenomeno migratorio che arricchirà, e molto, chi resta e
gestisce questo traffico migratorio, in parte legalmente e in molta
altra parte illegalmente.
I
Socialisti si concentrano sul Nord
A rendere impotente il
movimento agricolo meridionale e siciliano contribuì inoltre la
soluzione alla questione agraria che il Partito socialista diede
a livello nazionale stabilendone la “padanizzazione” ed
escludendo il Meridione. Il socialismo dei contadini dei
latifondi non era considerato “ortodosso”. Non ci fu
collegamento tra le organizzazioni socialiste del sud e quelle
del centro-nord. La Federterra nazionale comprendeva solamente
braccianti emiliani e lombardi, la Confederazione del Lavoro
rappresentava soltanto gli operai delle industrie
settentrionali. In un tale contesto il socialismo meridionale
non aveva alcuna possibilità di crescita. Tuttavia nello
sciopero del 1902 in Sicilia avvenne un fatto di particolare
rilevanza storica nazionale: don Luigi Sturzo, in ossequio alla
enciclica Rerum Novarum di Leone XIII, che era stata in
un primo tempo interpretata in senso interclassista, reputò
utile che il movimento sociale cattolico, come e insieme al
Movimento socialista, riconoscesse legittimo fare ricorso allo
sciopero quando le condizioni lo rendevano necessario.
L’alleanza durò poco, l’anno successivo Luigi Sturzo, richiamato
da papa Leone XIII ad una “corretta” interpretazione, si sganciò
dai socialisti e organizzò da solo uno sciopero di mezzadri a
cui parteciparono 50.000 persone
[10].L’Enciclica papale, in
effetti, ad un certo punto recitava “ …gli operai cristiani
non hanno che due partiti; o ascriversi a società pericolose
alla religione o formarne di proprie e unire così le forze per
sottrarsi francamente da sì ingiusta e intollerabile
oppressione.”
La stagione degli scioperi
agricoli non fu comunque destinata al successo e si concluse nel
1904 con il clamoroso fallimento dello sciopero generale indetto
dalla Confederazione Generale del Lavoro.
Nel 1906, la competizione tra
socialisti e cattolici socialisti si spostò nel campo della
cooperazione agricola. Nel 1906, infatti, era stata finalmente
approvata la legge Sonnino
[11]
che dava la possibilità di accedere al credito agrario per prendere
in affitto i grossi latifondi per dividerli tra i soci delle
operative. Si veniva a creare così un nuovo rapporto tra contadino e
rendita fondiaria senza l’intermediazione dei gabelloti. La prima
“affittanza collettiva” fu realizzata da Luigi Sturzo a Caltagirone
e subito dopo Bernardino Verro realizzò un’affittanza socialista a
Corleone. Le affittanze si diffusero rapidamente in Sicilia e
stranamente in Lombardia mentre non ebbero successo nel resto del
meridione e del centro Italia.
Verro inoltre si batteva per
queste affittanze che eliminavano la figura del gabelloto per la
evidente funzione antimafia che svolgevano. I gabelloti fino ad
allora erano stati i soli a potersi permettere di prendere in
affitto i feudi e potevano imporre sia ai proprietari che ai
contadini le condizioni che erano a loro (gabelloti) più favorevoli.
Non era certamente casuale che Verrò subì un primo attentato nel
1911 e fu poi ucciso nel 1915.[12]
Anche l’industria zolfifera entrò
nel 1905 in uno stato di crisi. Infatti in quell’anno scadeva il
contratto decennale con la “Anglo-Sicilian- Sulphur-Company”, voluto
nel 1895 dai Florio, che rilevava e collocava il prodotto a prezzi
prestabiliti, a causa della concorrenza dello zolfo fuso americano
che per l’estrazione si avvaleva del moderno metodo Frasch
[13]
che pare non potesse essere applicato in Sicilia per motivi
geologici. Venne perciò costituito il consorzio obbligatorio per
l’industria zolfifera e una Banca di Credito minerario che,
imponendo la riduzione della produzione in quantità tale da essere
smaltita, in qualche modo tamponò la crisi. Scaduto il contratto la
crisi fu inevitabile.
Il
crollo dell’economia meridionale
Il contrasto di interessi tra
il nord industriale, inserito nel contesto economico europeo e
atlantico e sostenuto dalla politica, e il sud agricolo,
condizionato dagli sfavorevoli fattori geopolitici e strutturali
e condannato al ruolo subordinato di consumatore e all’esercizio
di una economia depressa, gravò sempre più sul meridione e la
Sicilia. I produttori agricoli del sud subivano
contemporaneamente la caduta dei prezzi dei prodotti agricoli e
inoltre pagavano al nord per l’acquisto dei manufatti come
macchinari, fertilizzanti, ecc. che invece erano sovvenzionati
con lo sconto alla produzione per le pubbliche sovvenzioni che
ricevevano.
Gli intellettuali dell’epoca,
come De Viti De Marco o Azimonti, deploravano il “perfido gioco” di
una classe politica che favoriva l’industria contro l’agricoltura e
all’interno dell’agricoltura favoriva la coltura del grano a danno
di altre colture più ricche e accusavano lo Stato di sottrarre
capitali all’agricoltura per favorire l’industria a danno delle zone
agricole più povere e più deboli.
[14]
A contribuire pesantemente a
questo stato di cose vi era chiaramente una corresponsabilità della
classe politica e della borghesia meridionale (Vittorio Emanuele
Orlando, Angelo Majorana, Camillo Finocchiaro Aprile, Nunzio Nasi e
tanti altri meridionali si avvicendarono nei governi Giolitti ma
nessuno di loro fece mai qualcosa per migliorare realmente le
condizioni del sud) che si guadagnarono la critica e le requisitorie
di uomini del valore di
Gaetano
Salveminied
Antonio Gramsci.
Le rovine di Messina
Sempre durante il periodo
giolittiano, quasi non bastassero le condizioni di depressione e di
inferiorità in cui il Sud si dibatteva, il 28 dicembre 1908 un
cataclisma di immani proporzioni si abbatteva su Messina e Reggio
Calabria. Messina fu completamente rasa al suolo e sotto le macerie
rimasero oltre 100.000 vittime. Anche Reggio Calabria cadde con
oltre 12.000 vittime.
Carne da
cannone
La situazione del Meridione
si era già tanto deteriorata da indurre il Parlamento a
costituire una commissione parlamentare di inchiesta, che però
si limitò a constatare l’insufficienza della azione governativa.
Nel 1903 Francesco Saverio Nitti aveva sostenuto la necessità di
evitare la deindustrializzazione di Napoli, presentando alla
Camera un programma di interventi. Non se ne fece nulla. Nel
1908 i deputati Porzio e De Nicola cercarono di insistere perché
fossero affrontate le questioni più urgenti di Napoli, ma
essendo di destra, dovettero conformarsi alla politica
liberista, che ormai aveva il suo radicamento nel capitalismo
del nord. Così come detto in precedenza, i politici meridionali
di destra assunsero una posizione subordinata al potere
capitalistico anche quando ebbero incarichi – talvolta
importanti – a livello governativo. Per questioni ideologiche,
non sostennero l’azione dei socialisti e del blocco popolare,
che anzi trovò nei monarchici e nei cattolici tradizionalisti i
più feroci avversari. La sinistra continuò da sola la battaglia
per il sud: Arturo Labriola si impegnò a fondo per affrontare i
problemi, ottenendo risultati non solo nella
industrializzazione, ma anche nel campo dell’istruzione
popolare, delle abitazioni e della riforma giudiziaria.
Arturo Labriola
Il Meridione era
diventato: «una immane colonia di sfruttamento umano,
dove nuovi negrieri razziavano ogni anno, non più
africani ma un crescente contingente di disperati
bianchi il cui numero salì progressivamente da 107 mila
- media annua del periodo 1876-1880 a 310 mila - media
annua del periodo 1896-1900; 554 mila - media annua del
periodo 1901-1905; 651I mila - media annua del periodo
I906-191O; 711 mila - media dell'anno 19I2; 872 mila -
nell'anno I913, anno di vigilia della prima guerra
mondiale, che troncò questa tratta sino alla fine delle
ostilità, per fornire carne da cannone in abbondanza
alle offensive, negazione della strategia di un altro
piemontese. Nessun documento meglio di queste cifre
potrebbe illustrare i risultati economici e sociali
della politica della borghesia italiana “liberale” di
quegli anni»
[15]
Allo scoppio della 1ª Guerra
Mondiale «Napoli partecipò con uno slancio di patriottismo che
manifestava il superamento del regionalismo sentimentale
sopravvissuto all'unificazione nazionale».[16]
Il Meridione lamentò due terzi
delle vittime del conflitto (più di 600.000 morti) pur avendo circa
un terzo della popolazione totale. La Grande Guerra finì per
favorire gli insediamenti industriali del Nord-Ovest, accrescendo lo
squilibrio nord-sud economico e di strutture quali strade, ferrovie,
acquedotti.
Inserto
Poesia,
musica e teatro
A cavallo dei due secoli
si affermano poeti come
Bovio,
Di Giacomo,
Russodi cui trattiamo in altra sezione del sito. La canzone
napoletana si afferma come melodia internazionale: sulle
orme dei classici Fenesta ca lucive, il cui motivo si
ripete nella Sonnambula di Bellini e con la bellissima Te
voglio bene assai di Raffaele Sacco, musicata da Donizetti,
si susseguirono Funiculi Funiculà di Giuseppe Turco e
Luigi Denza; Carulì e Era de Maggio, la
Luna nova, tutte tre del Di Giacomo, musicate da Mario
Costa; l'intramontabile Marechiaro ancora su versi
del Di Giacomo musicata da Francesco Paolo Tosti; Scétate
di Ferdinando Russo e Mario Costa e ancora di Salvatore Di
Giacomo 'E spingule francese musicata da Enrico De
Leva. Seguirono Lariulà musicata da Mario Costa e, se
non la più bella decisamente la più fortunata,
'O Sole mio di Giovanni Capurro ed Edoardo Di Capua.
Agli inizi del Novecento, al grande successo di I 'te
vurria vasà di Vincenzo Russo ed Eduardo Di Capua
seguirono altre canzoni che sono rimaste nel repertorio
classico napoletano: Torna a Surriento dei fratelli
De Curtis; 'A vucchella, poesia di Gabriele
D'Annunzio musicata dal Tosti; Uocchie c'arraggiunate
di Angelo Falcone e Rodolfo Falvo e Guapparia, ancora
del Falvo su versi di Libero Bovio. Anche durante la guerra
la canzone napoletana continua ad affermarsi in tutto il
mondo; basterebbe ricordare 'O zampugnaro 'nnammurato
di Armando Gill, Santa Lucia luntana di E.A. Mario,
Na sera 'e maggio di Gigi Pisano e Giuseppe Cioffi.
Il teatro a cavallo tra i
due secoli si impernia su un grande attore-autore: Eduardo
Scarpetta, che iniziò la sua carriera debuttando al San
Carlino. Seguì un altro grande: Raffaele Viviani. Una
citazione a sé merita il Cafè Chantant, come il lussuoso
Salone Margherita di Napoli, dove le si esibivano le glorie
del varietà, macchiettisti, vedettes internazionali e
sciantose locali per l’elegante e frivola gente della
Belle Epoque.
L’orchestrina suonava,
come sul Tinanic, colato a picco nel 1911. Il simbolo
di un’epoca mai compresa a fondo, e che perciò riesce
ciclicamente a riproporsi ed ad incubare nuove sventure.
Fara Misuraca
Alfonso
Grasso
Gennaio
2010
Note
[1] In realtà
la capacità di adattamento è caratteristica comune e peculiare della
specie homo sapiens, quella capacità che gli ha consentito di
colonizzare anche gli habitat più inospitali dalla Lapponia al
Sahara
[4]
“Nel Mezzogiorno d’Italia, la potenza sociale, politica, morale
della piccola borghesia intellettuale è assai più grande e più
malefica che nel Nord. Ed è questo uno dei flagelli più rovinosi
del Mezzogiorno. Si può dire che, nel Mezzogiorno, la piccola
borghesia intellettuale è nella vita morale quel che è nella
vita fisica del paese la malaria”….”La classe cosiddetta
intellettuale del Mezzogiorno vien su in una ignoranza mostruosa
e crassa, in una assoluta incapacità di costruirsi con le sue
iniziative personali, attraverso la vita, una seria
cultura”….”Avvezzi, fin dai primi anni, a sentir magnificare la
“raccomandazione” come il solo mezzo per andare avanti nella
scuola, nel Tribunale, nella banca, in municipio, a Roma, essi
non vedono nella vita se non un gioco di protezioni, uno
scontrarsi di influenze più o meno efficaci, un prevalere di
simpatie o antipatie capricciose. Per essi non esiste nessuna
scala di valori morali obbiettivi” …. “Si dice che noi
meridionali siamo intelligenti….Andate in un pomeriggio di
estate in uno di quei “circoli di civili” in cui si raccoglie il
fior fiore della poltroneria paesana; ascoltate per qualche ora
conversare quella gente corpulenta, dagli occhi spenti, dalla
voce fessa, mezzo sbracata, grossolana e volgare nelle parole e
negli atti; badate alle scempiaggini, ai non-sensi, alle
irrealtà di cui sono infarciti i discorsi”….”La vita pubblica è
assolutamente impraticabile per chi non sia una canaglia.
Dinanzi alla mischia furiosa e volgare dei partiti, all’uomo
onesto non rimane che chiudersi in casa, con la convinzione che
gli uni valgono gli altri, e che il Paese andrà alla malora
tanto con gli uni quanto con gli altri” (Da Gaetano Salvemini “
La piccola borghesia intellettuale nel Mezzogiorno d’Italia, da
“La Voce”, 16 marzo 1911).
[5]
Giuseppe de Felice Giuffrida (Catania, 11 aprile
1859 – Aci Castello, 19 luglio 1920) è stato un politico
italiano, d'ispirazione socialista. Eletto deputato nel 1892, fu
uno dei principali organizzatori dei Fasci siciliani. Subì la
repressione del governo Crispi, arrestato venne condannato a 18
anni di carcere dal tribunale militare di Palermo. Trascorrerà
in carcere solo 2 anni, ed usufruendo dell'amnistia tornerà
libero. Nel 1902 sarà eletto sindaco di Catania e guiderà la
prima amministrazione di sinistra della città. Nel 1914 sarà
eletto Presidente della Provincia di Catania il 10 agosto 1914.
(da Wikipedia)
[6]
Vittorio Emanuele Orlando (Palermo, 18 maggio 1860 – Roma, 1º
dicembre 1952) è stato un politico e giurista italiano. Nel 1897
fu eletto deputato del collegio di Partinico, in provincia di
Palermo, dove fu sempre rieletto fino al 1925. Schierato con
Giolitti, dovette subito affrontare da parlamentare il compito
di sventare, insieme con socialisti, repubblicani, radicali e
giolittiani, mediante il ricorso all'ostruzionismo parlamentare,
il tentativo reazionario del Pelloux. Nel 1903 fu ministro della
Pubblica Istruzione nel governo Giolitti; dal 1907 resse il
dicastero di Grazia e Giustizia. Alla caduta del governo
Giolitti nel 1909 ottenne l'apprezzamento di Pio X, che egli
aveva appoggiato nella sua opera di repressione del movimento
modernista. Tornò ad assumere un incarico ministeriale - quello
di Grazia e Giustizia - nel novembre
1914,
con il gabinetto
Salandra,
decisamente favorevole all'entrata in guerra dell'Italia a
fianco delle potenze dell'Intesa.
Orlando, già neutralista, dopo l'intervento si dichiarò
apertamente favorevole alla
guerra
ed esaltò le violente manifestazioni di piazza del maggio
1915.
(da Wikipedia)
[8]Luigi Sturzo (Caltagirone, 26 novembre 1871 – Roma, 8 agosto
1959) Sacerdote e politico italiano. Tutta l'attività politica
di Sturzo è fondata su una questione centrale: dare voce in
politica ai cattolici. Sturzo si impegnò per dare un'alternativa
cattolica e sociale al movimento socialista. (da Wikipedia)
Luigi
Sturzo
[9]
Napoleone Colajanni (Castrogiovanni, 1847 – Castrogiovanni, 2
settembre 1921). Scrittore e politico italiano. Nel 1890 fu
eletto per la prima volta deputato nazionale, ma continuò la
carriera accademica, diventando professore di Statistica
all'università di Palermo nel 1892. Dopo avere svolto un ruolo
da leader di fatto dei repubblicani in Parlamento, muovendosi da
promotore di iniziative parlamentari come l'inchiesta
sull'Eritrea (1891) e la denuncia dello scandalo della Banca
Romana (1892), nei primi anni del decennio fu leader dei Fasci
dei lavoratori siciliani, rompendo duramente con Francesco
Crispi nel 1894 per lo stato d'assedio in Sicilia. L'anno
successivo prese parte da promotore al congresso fondativo del
Partito Repubblicano Italiano. Allo scoppio della prima guerra
mondiale, nonostante le sue idee antimilitariste, fu sostenitore
dello schieramento interventista, prima di condurre una vigorosa
campagna contro l'Avanti, organo del Partito Socialista Italiano
appena sottratto alla direzione di Benito Mussolini, e di
criticare apertamente le simpatie bolsceviche del PSI. (da
Wikipedia)
[11]Sonnino già nel
1893, aveva presentato alla Camera un disegno di legge per
disciplinare i rapporti tra i contadini e i cerealicoltori in
Sicilia, ma la proposta non fu approvata. Per alcuni il
Meridione era una appendice della penisola, solo il tacco e la
suola di uno stivale. Tuttavia Sonnino non rinunciò ai suoi
obiettivi. Il disegno di legge, presentato una prima volta nel
1902, venne riproposto durante i mesi del primo governo Sonnino,
che iniziò l'8 febbraio 1906 e si concluse il 29 marzo, ed aveva
come obiettivo specifico quello di dare assistenza economica ai
contadini del Sud, affinché questi non cadessero vittime degli
usurai. Il Governo cadde poco dopo, ma il 15 luglio dello stesso
anno, riconfermato Giolitti come Primo Ministro, la Legge
Sonnino venne approvata. Erano gli anni della crescita
demografica e dello sviluppo, gli anni in cui veniva
regolamentato il lavoro dei fanciulli e delle donne, affermato
l'obbligo del riposo settimanale, riconosciuto il diritto alla
maternità per le donne lavoratrici; erano gli anni delle leggi
speciali, quelle che si proponevano di finanziare opere di
sistemazione idrogeologica, di bonifica, di realizzazione di
nuove vie di comunicazione e di creare impianti industriali nel
Sud. Erano gli anni in cui la mancata incisività delle decisioni
normative diedero ampio spazio alla trasgressione:le clausole
sui patti agrari della Legge Sonnino vennero svuotate di
significato e nelle campagne Meridionali la condizione non subì
miglioramenti decisivi, sebbene la legge n.383, 15 luglio 1906
prevedesse l'esenzione dell'imposta sui fabbricati rurali, e la
riduzione del 30% dell'imposta erariale per i redditi inferiori
a 6.000 Lire. Il disegno di legge aveva tutti i requisiti per
contribuire ad un miglioramento delle condizioni sociali ed
economiche del Sud, ma in realtà non si concretizzò quanto
Sonnino aveva sperato: alla fine del 1907 erano stati emanati,
infatti, soltanto alcuni regolamenti per la diffusione
dell'istruzione elementare e per la costruzione di vie di
comunicazione per i comuni con i maggiori disagi. L'usura
continuava ad essere una delle piaghe sociali più diffuse e le
condizioni dei contadini non sarebbero migliorate di molto negli
anni successivi, quelli che videro un'accentuazione dello
squilibrio tra Nord e Sud, per l'ubicazione di nuovi impianti
industriali in quella parte d'Italia, il Settentrione, dove
maggiormente si era predisposti ad investire denaro, in grado di
dare concreti risultati anche a lungo termine. (Irene Quaresima
http://www.napoliontheroad.it/quaresimasonnino.htm).
[13]
Il metodo FRASCH permetteva di estrarre lo zolfo in profondità,
attraverso dei semplici pozzi dove veniva immessa acqua calda
che scioglieva lo zolfo dalla roccia e la soluzione acqua-zolfo
veniva aspirata attraverso delle pompe. Questo sistema eliminava
totalmente il lavoro di escavazione in galleria con un
notevolissimo abbattimento dei costi di estrazione.
[14]
In Salvo di Matteo, Storia della Sicilia, pag, 517
[15] Ritter F., La via mala, Milano, 1973, p.
13 e seguenti
[16]
Pontieri E., in Gleijeses V., La Storia di Napoli, p. 853.
Bibliografia aggiuntiva della
parte quinta
AA.VV.
Storia della Sicilia, Società Editrice Storica di Napoli e
Sicilia
Di Matteo, F., Storia della Sicilia,
Edizioni Arbor, 2006
Lupo, S.,
Quando la Mafia trovò l’America, Einaudi 2008
Mack Smith, D., Storia della Sicilia
medievale e moderna, Laterza, 1971
Montanelli, I., L’Italia di Giolitti, BUR
Renda,
F., Socialisti e cattolici in Sicilia, S. Sciascia Ed., 1972
Renda,
F., rancesco Storia della Sicilia, Sellerio Editore 2003
Renda,
F., Storia della mafia, Pietro Vittorietti edizioni, 1998
Centro Culturale e di Studi Storici "Brigantino - il Portale del Sud" - Napoli e Palermo
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