Nasce a
Molfetta l’8 novembre 1873, e la sua formazione avviene a Firenze,
dove nel 1876 si laurea in Lettere. Frequenta l’Istituto di Studi
Superiori e di Perfezionamento, dove si dedica all’approfondimento
dei metodi scientifici della ricerca storica
[1]. Studia la dottrina
marxista del divenire storico e la sociologia positivista. Si dedica
quindi con passione civile all’insegnamento. Nel 1901, a soli
ventotto anni, ottiene la cattedra universitaria di Storia moderna a
Messina. Sopravvive, unico della famiglia, al terribile terremoto
del 1908 [2].
Successivamente insegnerà all'Università di Pisa e, dal 1916, in
quella di Firenze. Tra i suoi allievi, ricordiamo Carlo Rosselli,
Ernesto Rossi, e Camillo Berneri.
L’impegno politico
Nel 1897
Salvemini aderisce al Partito Socialista, collaborando alla rivista
Critica sociale. Sostiene per tutta la vita la centralità della
Questione Meridionale, in tenace contrapposizione con il liberismo
allora (come adesso) imperante, che aveva determinato –
accrescendolo di giorno in giorno – l’odioso distacco civile ed
economico tra nord e sud del Paese. Vede nel progettato suffragio
universale uno degli strumenti per collegare le lotte operaie del
Nord con l’esigenza di riscatto dei contadini meridionali, succubi
dei clericali e dei latifondisti
[3]. Individua
lucidamente la negatività per il Sud del protezionismo introdotto a
suo tempo da quella parte del partito liberale passato alla storia
come “Sinistra storica”. Infatti, allora come ora, l’imposizione dei
dazi sulle mercanzie danneggia i meno abbienti, poiché fa aumentare
in maniera surrettizia i prezzi dei beni di più largo consumo,
inducendo recessione. L’intervento protezionistico sui mercati
alimenta inoltre le speculazioni finanziarie, come si può vedere
anche ai nostri giorni, perché falsa ai danni del risparmiatore il
reale valore delle aziende. Alimentando con aiuti di Stato i
potentati economici, il protezionismo è in definitiva il sistema cui
ciclicamente ricorre la Destra per accrescere l’amicizia e la
clientela dei ceti che contano, e per impedire la ridistribuzione di
risorse verso i ceti più poveri.
L’attacco più
eclatante di Salvemini al sistema liberale è rappresentato dal libro
del 1910 "Il ministro della malavita", in cui coraggiosamente
dimostra la contiguità della Destra alla malavita, il malcostume e
gli affari sporchi del primo ministro Giolitti, la complicità di
quest’ultimo nello scandalo della Banca Romana
[4]. Salvemini entra
quindi anche in contrasto con la corrente maggioritaria del suo
stesso partito, facente capo a Filippo Turati, per il voto
favorevole dato al governo Luzzatti nel marzo 1910. Nel congresso
socialista tenutosi alla fine dello stesso anno, Salvemini ottiene
che la lotta per il suffragio universale, esteso anche alle donne,
diventi il primo punto del programma politico del partito. Non passa
invece la richiesta di un radicale cambiamento che ponga fine a
quella che definisce "degenerazione oligarchica" e corporativa del
socialismo. La mancata manifestazione di protesta del partito contro
la dichiarazione di guerra alla Turchia del 1911 convince Salvemini
a lasciare il PSI. Da vita al periodico "L'Unità", che dirigerà fino
al 1920. Si dedica alla fondazione di un nuovo partito, la Lega
democratica, meridionalista, “socialista nei fini di giustizia e
liberale nel metodo, contro ogni privilegio”.
Il nome dato
al periodico, che vede come promotori anche i moderati Benedetto
Croce e Giustino Fortunato, sta a sintetizzare la posizione di
Salvemini, contraria a quel pseudo-federalismo che, allora come ora,
altro non è che razzismo antimeridionale
[5]. Gaetano Salvemini è
certamente nemico del centralismo burocratico, e promuove un
decentramento fondato sui valori del socialismo e della democrazia
partecipativa, in contrapposizione alle derive etno-regionaliste ed
autoritarie che caratterizzano la storia politica italiana a cavallo
tra ‘800 e ‘900, così come quella odierna, più avide di spartizioni
dei poteri che attente alla partecipazione democratica delle masse
popolari.
Salvemini non
è quindi personaggio statico e conformista, ma sa ridiscutersi e
rimettersi continuamente in gioco. Il programma della Lega
Democratica rifugge dagli schemi politici prefissati e dalle
“etichette” dell’epoca. Egli critica con asprezza la Destra, ma non
nasconde quella che considera l’involuzione del socialismo a sistema
conformato "che tende ad asservire il movimento proletario al
dispotismo di una classe sociale parassitaria, la burocrazia,
infinitamente peggiore della borghesia". Ma ne riconosce il merito
di aver scosso le coscienze di coloro “che erano abbrutiti nel loro
isolamento diffidente e servile”. Intravede per primo una possibile
via democratica e riformista in cui libertà e socialismo possano
“integrarsi a vicenda e funzionare reciprocamente da correttivo”.
Allo scoppio
della I Guerra Mondiale, Salvemini, convinto della necessità di
abbattere l’assolutismo degli imperi centrali, non esitò a
schierarsi per l’uscita dell’Italia dalla Triplice Alleanza e per
l’intervento al fianco delle potenze progressiste dell’Intesa. Si
arruola, ma viene posto quasi subito in congedo per motivi fisici.
Promuove l’idea di una pace “giusta”, basata sul principio
dell’autodeterminazione e della nazionalità, che porti finalmente i
vari Stati alla democrazia partecipativa.
L’antifascismo
Dopo la I
guerra mondiale, Salvemini riprende il progetto meridionalistico
della Lega Democratica e nel 1919 viene eletto deputato nel collegio
di Molfetta. Si schiera immediatamente contro il fascismo di
Mussolini. Con i fratelli Carlo e Nello Rosselli, Ernesto Rossi e
Nello Traquandi, personalità che possono essere considerate suoi
discepoli, Salvemini fonda nel 1925 a Firenze il giornale
antifascista clandestino “Non Mollare” ed il Circolo di Studi
Sociali, su cui si abbatte la violenza degli squadristi fascisti.
Salvemini
viene arrestato l'8 giugno del 1925 a Roma dalla polizia fascista.
Trascorre tre mesi di prigionia, poi riesce ad espatriare
clandestinamente, rifuggiandosi a Parigi. Qui viene raggiunto dai
fratelli Rosselli. Nel novembre del 1929 fonda insieme agli altri
democratici in esilio il movimento Giustizia e Libertà, di cui lo
statuto. Prosegue così la ricerca del Salvemini della sintesi del
metodo liberale, basato sulla libertà individuale, con l’ideale
socialista del comune benessere. Il movimento fa molti proseliti in
Italia, specialmente tra studenti ed intellettuali. Il regime
fascista ne arresterà molti, che per il solo fatto di pensarla in
modo diverso dal regime, vengono torturati e condannati a lunghe
pene detentive. Tra gli aderenti a Giustizia e Libertà finiti in
galera ricordiamo Ernesto Rossi e Ferruccio Parri).
Salvemini si
reca quindi in Gran Bretagna, dove impegna una dura polemica con
George Bernard Shaw, estimatore di Mussolini. Nel 1934 si
trasferisce all’Università americana di Harvard, dove insegna Storia
della Civiltà Italiana ed ottiene la cittadinanza americana.
Nel decennio
che segue il mondo cambia tragicamente. Il nazismo prende il potere
in Germania. Mussolini sbatte l’Italia nella guerra di Spagna, usa i
gas asfissianti per soggiogare l’Etiopia, emana le leggi razziali,
nel ‘40 dichiara guerra a Inghilterra e Francia, affiancando Hitler.
Tenta di invadere la Grecia, dichiara quindi guerra alla Russia ed
all’America… Sappiamo tutti come è finita.
L’Italia nel
1943 è costretta alla resa senza condizioni. Il re fugge da Roma. Il
“duce dell’impero” crea nel nord occupato dai Tedeschi uno stato
fantoccio che dura fino alla capitolazione nazista del 1945 e la
morte del dittatore. Alla fine dell’avventura fascista, l’Italia è
una nazione distrutta, la popolazione è ridotta alla fame
[6].
Durante
quegli anni tremendi il Salvemini tiene conferenze in varie parti
del Mondo Libero, battendosi sempre per la democrazia, informando le
pubbliche opinioni sulle nefandezze del fascismo. Nel 1939 fonda la
"Mazzini Society" ed il giornale “Nazioni Unite”, allontandosi da
Giustizia e Libertà a seguito del patto d’unità da questa
sottoscritto con gli stalinisti. Pubblica vari volumi antifascisti
in Inglese. Partecipa attivamente alla Resistenza contro
l’occupazione nazista dell’ Europa promuovendo la formazione di una
legione di volontari italiani.
Rientra in
Italia nel 1947 e riprende l'insegnamento all'Università di Firenze,
affiancandolo all’impegno politico. È fautore di un riformismo
democratico, fondato sulla laicità, in contrapposizione al
dogmatismo clericale che, soprattutto al Sud, genera superstizione e
mantiene la popolazione nell’ignoranza. Sostiene pertanto la
necessità di abrogare i Patti Lateranensi sottoscritti dal Vaticano
con i fascisti. Difende la scuola pubblica dalle “riforme”, da lui
giudicate reazionarie [7].
Salvemini, da
vero democratico, è ben conscio del delicato equilibrio su cui si
fonda la democrazia, di come essa pretendi per reggersi di civiltà,
istruzione e partecipazione, di come essa possa essere facilmente
inquinata da corruzioni e condizionata da potentati economici. Ma
per Salvemini l’eventuale imperfezione dell’applicazione pratica dei
principi democratici non ne dequalifica in alcun modo la superiorità
etica e civile alla dittatura. Nei suoi scritti troviamo perciò un
duro attacco al qualunquismo, cioè a quella forma di demagogia
strumentale cui ricorrono coloro che, generalmente in mala fede,
vogliono far credere che tutte le imperfezioni siano uguali, che non
c’è differenza tra un sistema e l’altro
[8] ed, all’interno del
sistema democratico, tra destra e sinistra. Quest’ultima,
perseguendo i principi di giustizia, uguaglianza e benessere comune,
è intrinsecamente migliore dell’individualismo e dell’egoismo
liberista. Salvemini mette quindi in guardia dallo schematismo
tipico delle destre, che tende stupidamente (nella migliore delle
ipotesi) ad incasellare uomini e avvenimenti in categorie
semplicistiche e dogmatiche. Per Salvemini non ci sono dogmi ma
dubbi, in quanto "la tolleranza è frutto del dubbio". La democrazia
si fonda sul relativismo relazionale: la maggioranza ha il diritto
di governare e, in ugual misura, la minoranza ha il diritto di
opporsi. Salvemini infatti sa benissimo che la tentazione di
ricorrere all’autoritarismo ed alla reazione è sempre in agguato:
non certo perché risolve davvero i problemi reali, anzi li aggrava,
ma perché solleva i mediocri dal peso della responsabilità,
infondendo loro un falso senso di sicurezza.
Un meridionalista vero
Il socialismo
italiano nasce a Napoli nel 1869, quando viene aperta la prima
sezione della Prima Internazionale. I primi deputati socialisti
della Sinistra Estrema Democratica Radicale, furono Giuseppe Fanelli
di Napoli e Saverio Friscia di Sciacca (Agrigento). Eppure poco dopo
il Partito Socialista si disinteressa del Meridione, abbandonandolo
alle clientele mafiose del giolittismo e della destra in generale.
Il Salvemini non perdonerà mai questa scelta. La lotta della
sinistra porta a miglioramenti sociali, ma solo agli operai delle
industrie ed alle organizzazioni agricole della zona del nord. I
contadini ed i proletari del sud rimangono invece estranei alla
lotta per l’emancipazione, privi di formazione ed informazione, in
balia delle mafie, dei latifondisti e di un clericalismo pagano e
superstizioso, troppo spesso asservito alla reazione ed alla
conservazione.
Al sud non
sono scaturite le rivendicazioni economiche di classe, perché
mancano i requisiti minimi di autocoscienza dei propri diritti. Il
Sud ha ancora un’organizzazione sociale arcaica, le spinte di metà
Ottocento sono disperse da tempo, milioni di persone sono emigrate,
la classe media è tra le più conservatrici d’Europa, preoccupata
solo di incrementare i privilegi dovuti (per grazia divina?) ai
“signori” ed alle “persone per bene”. L’ottimo è il vivere di
rendita, possibilmente ereditata. L’erudizione è spesso un puro e
narcisistico esercizio di retorica, la comunicazione non è basata
sulla dialettica, bensì ridotta a scambio di battute sagaci, di
motti e proverbi, vuota di contenuti. Ciascuno si sente depositario
di verità assoluta. La condotta della propria esistenza non è basata
sull’etica, ma su di un cinico opportunismo, spesso spacciato per
fatalismo. È nel sud, secondo Salvemini che il socialismo è più
necessario, è lì che il Partito dovrebbe assumersi la responsabilità
storica del proletariato meridionale, che resta alla fame più nera,
inerme ed impossibilitato a reagire a qualsiasi forma di sopruso e
violenza, stretto com’è nella morsa dell’ignoranza e della
sottomissione. Uno stato di cose che avrebbe richiesto il massimo
impegno di cambiamento da parte del Partito Socialista, che invece
concentra tutti le lotte al Nord.
Dallo studio del Salvemini meridionalista, risulta evidente la sua
matrice culturale marxista per l’attenzione che dedica alla
evoluzione storica della società meridionale: secondo il Salvemini
le cause dell’arretratezza del Sud sono storico-politiche e
affondano al periodo delle guerre tra Angioini ed Aragonesi, durate
complessivamente due secoli e mezzo (dalla seconda metà del 1200
agli inizi del 1500), tra alterne vicende descritte in varie
monografie presenti nel sito. A tali eventi seguirono altri due
secoli di sfruttamento spagnolo. Il risultato fu deleterio: la
prevalenza della nobiltà feudale, che però non seppe mai andare al
di là della difesa della rendite, né esprimere un re; lo
spopolamento delle campagne, ed il sovraffollamento di Napoli; la
riduzione delle classi sociali più umili a strumento di mantenimento
del parassitismo della nobiltà. Il
pauperismo si radica
profondamente, la disperazione diventa stile di vita ereditario, la
dignità un’illustre sconosciuta. Nasce il popolino che sopravvive
grazie alle mance ed ai favoritismi, al tozzo di pane che ottiene
supplicando o rubacchiando. I contadini delle campagne sono come
degli schiavi. La dignità e il bene della comunità sono concetti del
tutto assenti, di cui si ignora l’esistenza. La classe intermedia è
sottile ed arroccata, allo stesso tempo servile e cinica, sogna a
sua volta la rendita ed ad un titolo qualsiasi. Il clero detiene la
cultura ed amministra le credenze popolari, usando queste
prerogative principalmente per il mantenimento dello status quo.
La
questione meridionale, che è questione economico-sociale, è il
frutto avvelenato di secoli di sfruttamento. Il Salvemini critica
giustamente il cosiddetto meridionalismo liberale, secondo il quale
i mali del sud trovano soluzione nel buon governo, non avvedendosi
che nel sud il governo continua ad essere interpretato come corpo
estraneo, di volta in volta deus ex machina o gravoso impositore o
assassino ed incarceratore dei figli. Per Salvemini è necessario che
propedeuticamente delle forze socialiste agiscano per emancipare la
popolazione. Le destre fondano il potere sull’alleanza di fatto
istauratasi tra borghesia industriale del Nord e latifondisti del
Sud, che vengono premiati con posti di potere nelle istituzioni
nazionali. I latifondisti a loro volta favoriscono la piccola
borghesia elargendo posti nelle istituzioni locali. È evidente come
lo Stato, in questo sistema di destra, non può svolgere alcuna
funzione riformatrice. Garantisce semplicemente alle classi
dominanti una fiscalità vantaggiosa e la repressione di ogni
ribellione delle classi subalterne. La destra, liberale o populista,
è quindi intrinsecamente antimeridionale. Ed è anche, come dimostra
la storia, dannosa all’intera nazione, giacché il parassitismo
meridionale di cui si nutre compromette le possibilità delle riforme
in tutto il Paese.
È
in tale contesto di analisi materialistica che il Salvemini
individua nel suffragio universale e nel decentramento istituzionale
alcuni degli strumenti indispensabili per l’educazione civile e
democratica delle classi subalterne. I meridionali non dovranno più
guardare alla politica come fonte di guai o, a seconda del vento, di
favori, bensì appropriarsi della cittadinanza e comprendere che
l’uguaglianza, il socialismo ed il benessere comune sono gli unici
valori di riferimento per cominciare il cammino del riscatto del
Sud. Salvemini vorrebbe che il Partito Socialista imprimesse al
proletariato rurale del meridione un ruolo da protagonista nella
lotta di classe. Il prevalere della linea politica di Turati
porterà, come già detto, il Salvemini ad abbandonare il Partito.
Dopo il periodo fascista e l’esilio, Salvemini si dissocerà
dall’idea federalista, avendo notato che il clientelismo e la
corruzione amministrativa locale siano aggravati dalla cessazione
della sorveglianza centrale.
Leggere Salvemini
Le opere di
Salvemini sono poco lette ai nostri giorni. È un peccato, anche
perché sono di facile lettura. Il suo linguaggio è infatti semplice
e comprensibile, privo di astrusità intellettualoidi, frutto di una
scelta etica e socialista: farsi capire degli ultimi, lottare contro
ogni privilegio, promuovere il bene comune.
Nel 1955
ottiene ambiti riconoscimenti dall'Accademia dei Lincei e
dall'Università di Oxford. Muore il 6 settembre del 1957 a Sorrento,
dove continua a scrivere ed a riflettere fino alla fine. È sepolto a
Trespiano, sui colli fiorentini, nel "giardino di GL", con gli amici
Ernesto Rossi, Nello Traquandi, Enrico Bocci, Carlo e Nello
Rosselli..
Conclusioni
Come si è
visto, Salvemini non ci ha lasciato una dottrina politica, anche
perché non credeva nelle dottrine. Non ci ha nemmeno lasciato
soluzioni certe per i tanti problemi che ancora affliggono la
società meridionale. Ma ci ha dato, con l’esempio e con il pensiero,
delle linee guida per combattere privilegi e disuguaglianze. Ci ha
indicato il metodo riformista per un vero socialismo. Ha voluto
spingerci a ragionare con la nostra testa. Che sia questa la
soluzione?
Alfonso
Grasso
Novembre
2008
Note
[1] Ebbe docenti del
calibro di Cesare Paoli e Pasquale Villari. Si segnalò come
valente storico fin dal 1899 con il saggio "Magnati e popolani
in Firenze dal 1280 al 1295".
[2] Nel terremoto
perirono la moglie, i cinque figli e la sorella.
[3] Con l’Unità
d’Italia, i latifondi al sud aumentarono, anziché diminuire, a
causa dalla miope e frettolosa maniera con cui vennero venduti
i
terreni demaniali ed ecclesiastici dell’ex Regno delle Due
Sicilie.
[4] Quello dalla
Banca Romana fu il primo grande scandalo italiano venuto più o
meno alla luce, e coinvolse il governo, alcune grandi banche,
potentati finanziari ed ecclesiastici. Ma altrettanto lucroso fu
l’affare portato a termine già alcuni anni prima dalla Destra
Storica: quello legato alla distribuzione degli appalti (e
relative “tangenti”) per la realizzazione della rete
ferroviaria.
[5] Già allora, come
ora, il mito del federalismo era utilizzato allo scopo di
trattenere le risorse nazionali laddove la politica della Destra
le aveva concentrate all’indomani dell’Unità d’Italia, cioè al
nord. Circa gli strumenti utilizzati a tal fine si suggerisce la
lettura dell’apposita pagina del sito.
[6] C’è ancora oggi
chi sostiene l’ideologia fascista. Trattasi evidentemente di
persone che non hanno mai studiato la storia. Il fascismo, in
ogni parte del mondo in cui si è manifestato (Italia, Spagna,
Germania, Cile ecc) nasce per soffocare la democrazia in atto, e
porta fame, miseria e morte. Nulla a che vedere quindi neanche
con il comunismo, che invece storicamente nasce per riscattare
le masse dalla servitù della gleba degli zar di tutte le Russie.
A Mussolini qualcuno tende a riconoscere dei meriti iniziali (Inps,
settimana lavorativa ecc), ma sbagliano perché dimenticano le
conquiste sociali iniziano e maturano negli Stati democratici,
grazie alla presa di coscienza delle cittadini, e non in virtù
di qualche sedicente “superuomo” che approfitta della ignoranza
per distruggere la civiltà.
[7] Dando uno
sguardo ai nostri giorni, è facile individuare l’attualità delle
lotte del Salvemini. Allora come ora infatti, i vertici della
Chiesa Cattolica invitano i propri fedeli a contrastare il
relativismo, che invece è alla base della democrazia (il
contrario del relativismo, non dimentichiamolo, è l’assolutismo,
ovvero la dittatura di una idea considerata aprioristicamente
derivata da Dio, pertanto indiscutibile ed ineludibile: chi la
pensa diversamente è eretico e va torturato, ammazzato, bruciato
vivo, come ha fatto la Santa Inquisizione per lunghi secoli,
finché ha potuto). Nel campo dell’istruzione, allora come ora,
le Destre tentano di indebolire la scuola pubblica (vedi riforma
“Gelmini”). Perché è nella scuola pubblica che i docenti possono
esercitare la propria missione senza condizionamenti
politico-religiosi e formare i cittadini del domani, secondo i
valori della nostra costituzione repubblicana ed antifascista.
[8] "La differenza
[tra democrazia e dittatura] sta nella proporzione tra libertà e
costrizione".
Bibliografia
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Bollati Boringhieri
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G. Il ministro della mala vita e altri scritti, 2006 Palomar di
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Salvemini
G. Sulla democrazia, 2007, Bollati Boringhieri
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Lucchese
S. Federalismo, socialismo e questione meridionale in Gaetano
Salvemini, 2004, Lacaita.
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