I ragazzi di Ischia l'hanno fatta cantare a Giovanni Paolo II. Pavarotti e Bocelli continuano a proporla nel loro repertorio. Eppure se esistesse un'anagrafe delle canzoni, sul certificato di nascita trovereste: nata ad Odessa, Ucraina, nell'aprile del 1898. La più italiana e la più napoletana delle nostre canzoni è nata infatti all'estero. Poliglotta, globale, come si dice oggi, meglio: universale come sa esserlo solo la poesia.
Un destino segnato misteriosamente fin dal suo inizio. E infatti nella storia di 'O sole mio ci sono un poeta e un musicista. Tutti e due napoletani. Ma quando quest'ultimo, Eduardo Di Capua, la compone si trova nell'Est Europa. Guarda sorgere il sole dell'alba da una finestra sul Mar Nero: il padre Giacobbe, anche lui musicista, probabilmente dorme ancora. Stanco della serata passata a suonare come "posteggiatore" e violinista. Sì, perché i due sono in tournée. Eduardo, 39 anni, si mette al piano e comincia a cercare le note giuste per quelle parole che a Napoli, prima della partenza, gli aveva dato l'amico poeta Giovanni Capurro.
Che bella cosa na jurnata 'e sole
n 'aria serena dopo la tempesta!
Pe Il'aria fresca pare già na festa...
Che bella cosa najurnata 'e sole.
Un inizio leopardiano con quella rima fra festa e tempesta, il sole dopo il temporale, l'aria fresca dopo l'acquazzone. E poi il refrain:
Ma natu sole
cchiù bello, oi né.
'O sole mio
sta 'nfronte a tè!
'O sole, 'o sole mio
sta 'nfronte a te,
sta 'nfronte a tè!
(Ma c'è un altro sole più bello, ragazza mia, è il sole che irradia dal tuo volto...)
Il miracolo avviene, quasi per caso. Di sfuggita. Fra una serata e l'altra di una tournée. La Napoli dell'Ottocento è un fervore di canzoni melodiche, di esecutori che girano prima i ristoranti e poi l'Europa, i "posteggiatori", appunto, come erano i due Di Capua. "In quegli anni", scrive Carmelo Pittarri nella sua Storia della canzone napoletana, "i posteggiatori napoletani, spesso artisti autentici, venivano invitati nei Paesi del Nord Europa, in Russia e in America, da personaggi celebri, dalla nobiltà e anche presso le corti dei regnanti". Un caso su tutti: Giuseppe Di Francesco, detto 'o zingariello, che nel 1879 andò a lavorare per Wagner, diventando un'attrazione del suo salotto musicale.
Dunque 'O sole mio nasce in un terreno fertile ma resta un segreto insondabile il suo immediato e folgorante successo. A dir la verità perde al primo concorso. Già, perché al ritorno dei Di Capua dall'Ucraina, i due autori decidono di iscrivere la canzone al concorso più importante di quei tempi: quello indetto dal giornale La Tavola rotonda dell'editore Bideri per la festa della Madonna di Piedigrotta.
Piedigrotta è l'Oscar della canzone, la prima ribalta per le melodie napoletane. Ebbene 'O sole mio arriva solo seconda dietro ad una (oggi sconosciuta ai più) Napule bello! Il fatto, ironico di per sé, è però importante storicamente perché in questo modo i diritti della canzone (in cambio di un modesto premio: 25 lire) passeranno a Ferdinando Bideri e nulla avranno dalla nascente Siae i due autori, Capurro e Di Capua, che moriranno in grande povertà durante la Prima Guerra Mondiale.
Ma come in tutti i concorsi, e soprattutto a Piedigrotta, il verdetto finale spetta al pubblico. Scriveva il padre dello stesso Bideri: "Le mille fiaccole si spengono innanzi la brillante luce dell'alba, la piccola chiesa di Piedigrotta suona a messa, e immantinente il ballo termina, ma non il canto che si spande per tutta quella riviera, e come dal caos misteriosamente è uscito il mondo, così fra quei canti popolari s'ode intonare la nuova canzone che si canta poscia per tutta la capitale dell'armonia e spandesi quindi per tutta l'Europa, anzi per tutto il mondo musicale. La loro nascita è un mistero: chi sia l'inventore, chi il maestro di sì armoniose melodie, nessuno lo sa, ne cura di saperlo: tanto è vero che si ama spesso l'opera; e non l'autore di essa".
Dunque la melodia parte da Piedigrotta e si spande in tutto il mondo, al di là di ogni possibile previsione. Galoppa entrando nel repertorio dei posteggiatori, che cominciano ad aprirci o chiuderci i loro spettacoli. Viene interpretata anche da cantanti lirici di professione, soprattutto i tenori. C'è la celebrazione del sole, c'è la gioia serena del pericolo scampato, la felicità del bucato steso al sole. Come dice la seconda strofa:
Lùcene 'e llastre d'a fenesta toia;
'na lavannara canta e se ne vanta
epe tramente torce, spanna e canta
ùcene 'e llastre d'a fenesta toia.
(Riflettono la luce le tue finestre, una lavandaia orgogliosamente canta mentre fa il bucato e lo stende...
C'è anche un tu amoroso, un tema d'amore appena accennato: nella metafora del sole '"n fronte a te" e delle tue finestre. Come se dicesse: sei bella come il sole, più del sole... Sei il sole della mia vita...
Alla fine, la terza strofa si esplicita anche il senso di sperduta malinconia:
Quanno fa notte e 'o sole se ne scenne,
me vene quase 'na malincunia;
sott'a fenesta toia restarrìa
Il sole come la vita, la positività della vita, cantato come nemico della tempesta, del buio, della lontananza. Sole fisico, evento atmosferico e naturale, che rende l'aria tersa, cui la lavandaia offre il bucato, che luccica sulle tue finestre. Ma anche sole metaforico, come amore dell'amata, che anch'esso può tramontare.
Enrico Caruso, O Sole Mio
Giovanni Capurro, il poeta che l'ha scritta, era un giornalista e poi amministrativo del Roma. Capurro era un letterato, fervente socialista ma anche monarchico. Presto vedovo, con tre figli, una vita di stenti e di debiti. Anche Eduardo Di Capua ha sempre dovuto fare i conti con l'indigenza, se non con la miseria. Oltre a 'O sole mio ha musicato altre famose canzoni napoletane come i' tè vurrìa vasà e torna maggio, ma non è mai riuscito a vivere delle sue composizioni. Del suo pianoforte, sì. Soprattutto nell'accompagnare i primi film muti, suonando in sala, o dirigendo orchestrine improvvisate. Quel pianoforte che alla fine la moglie dovrà portare dal rigattiere per far quadrare i conti.
Ma se i due autori scompaiono negli anni Dieci, la fama della canzone aumenta. Olimpiadi di Anversa, 14 agosto 1920. Sfilano nello stadio le rappresentanze delle squadre nazionali. Quando tocca all'Italia il maestro dell'orchestra non trova lo spartito e fa intonare 'O sole mio: il pubblico la riconosce immediatamente e la canta accompagnando la musica. Persino Marcel Proust ne parla in Albertine scomparsa, sesto volume della Recherce.
La cantano tutti i grandi interpreti lirici, da Fernando De Lucia a Enrico Caruso. Se ne impossessa Josephine Baker. È anche il titolo di un film del filone neorealista del 1946, di Giacomo Gentilomo, sulla Napoli del dopoguerra. Elvis Presley nel I960 la trasforma in un successo rock planetario col suo It's now or never. E quelle tre semplici parole, in un napoletano comprensibile a tutte le latitudini, 'O sole mio fanno ancora piangere e cantare in tutto il mondo.
Articolo liberamente tratto da Roberto de Simone, Ulisse la rivista di bordo dell’Alitalia.
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