L’avvento della sinistra al potere era stata definita
dai contemporanei “rivoluzione parlamentare”. La definizione
può sembrare oggi esagerata, ma in effetti una rivoluzione ci fu
davvero perché si affermò in quegli anni un nuovo equilibrio di
potere. Una “rivoluzione passiva”, secondo la definizione di
Vincenzo Cuoco, nei riguardi del Risorgimento. Si verificò una
progressiva assimilazione delle classi dirigenti regionali nel
processo di unificazione. In pratica, le classi dirigenti
meridionali si amalgamarono con quelle del centro-nord. Naturalmente
da parte degli storici del nord la penetrazione delle classi
dirigenti meridionali, elette con la sinistra, nel sistema di potere
del nord è stato descritta come un fatto negativo. Come sempre,
quando si vuole screditare qualcuno, sono state usate frasi del tipo
“l’uno vale l’altro”, “sono tutti corrotti”, e così via. Frasi e
definizioni che ancora oggi sono di gran moda, come possiamo
facilmente constatare aprendo qualsiasi giornale. In realtà non è
così, la destra non vale la sinistra e viceversa, e il peso nel
progredire della società è ben diverso. Fin dal 1860 infatti la
parte più conservatrice dell’aristocrazia meridionale confluì nel
partito di Cavour, mentre la parte più innovatrice divenne
garibaldina. In Sicilia ci fu sempre una dialettica tra la parte più
conservatrice dell’aristocrazia terriera, latifondista e la
borghesia imprenditrice.
La
borghesia imprenditrice del Sud |
Nel 1876 l’iniziativa politica passò in mano alla
borghesia progressista. Fondamentale per l’ancor giovane unità
d’Italia è stato il fatto che questa sorta di rivoluzione si
compisse nel meridione, in nome degli interessi fino ad allora
calpestati del sud. Le classi proprietarie meridionali, raccolte
sotto la bandiera della sinistra furono determinanti nel
garantire l’unità politica e territoriale del neonato Stato
italiano.
|
Camillo Finocchiaro Aprile
|
Non dobbiamo dimenticare che l’unità era figlia di una
brutale annessione militare delle regioni meridionali ed era stata
gestita e governata esclusivamente dal nord. Il meridione non era
stato altro che una terra di conquista da sfruttare ai fini dello
sviluppo delle regioni dominanti del nord. La vittoria della
sinistra meridionale fu indubbiamente un fatto di
“democratizzazione” dell’intero Paese e aiutò la crescita della
sinistra anche nel nord. Sbaglia nel giudizio Benedetto Croce nella
sua Storia d’Italia quando afferma che “il governo della
sinistra fu lo stesso di quello della destra ma peggiorato”,
così come sbaglia Tomasi di Lampedusa con il suo gattopardesco
“Cambiare tutto per non cambiare niente”. I cambiamenti profondi
in una società non si colgono nell’immediato e i loro effetti si
vedono a lungo termine. Un tessuto sociale di tipo feudale non
mostra chiari segni di democrazia solo perché ha un governo di
sinistra. Occorrono decenni se non secoli per “svezzare”le nuove
generazioni
.
Il partito della sinistra si propose come il partito “della
riparazione e della giustizia”dei torti consumati ai danni della
Sicilia e del meridione. La piattaforma del riparazionismo
trovò in Sicilia il suo ideologo in Camillo Finocchiaro Aprile…
“per noi democrazia non importa (comporta, N.d.R.) agitazione ad
ogni costo né sfrenato eccitamento delle masse popolari, importa
rispetto ai diritti e alle opinioni di tutti, importa ordine e
libertà…..E’ giusto, è ragionevole, che, come degli oneri,
abbia l’isola nostra la sua parte di benefici, e che i voti di
queste popolazioni siano ascoltati. E la difesa di codesti interessi
non sarà soltanto una questione economica ma anche una questione
politica”
Questa impostazione del Finocchiaro Aprile
rispecchiava, dopo un secolo, un reale cambiamento del clima
politico. Fin dagli inizi dell’800, infatti, la Sicilia si era
sempre trovata all’opposizione, con i Borbone prima e con i Savoia
dopo il 1860. Con l’avvento della sinistra finalmente la Sicilia
poteva entrare a far parte di un nuovo disegno politico, sostenuto
non solo da Finocchiaro Aprile ma anche da Crispi e da Francesco
Ingrao. che per prima cosa reclamava una riforma del sistema
elettorale che desse voce anche ai lavoratori della terra
.
Le
riforme della Sinistra |
Tra le riforme effettuate dalla sinistra una volta
salita al potere ricordiamo: la scuola elementare obbligatoria
(riforma Coppino del 1877); la soppressione della tassa
sul macinato; l’abolizione del corso forzoso; la riforma
elettorale: votavano gli uomini con più di 21 anni con il
biennio elementare o paganti almeno un'imposta annua di 19,80
lire; le prime riforme sul lavoro: infortuni, sciopero, lavoro
minorile e orari.
L’avvento della sinistra inoltre favorì la diffusione
del positivismo e rese possibile intraprendere anche una
unificazione culturale oltre che politica perché coinvolse gli
uomini di cultura e di scienza di tutte le regioni italiane; da ciò
nacque l’esigenza di usare uno stesso linguaggio. Si ripropose
pertanto la questione della lingua, questa volta non più con intenti
separatisti come nel settecento ma con intenti unitaristi. Tra le
due opposte posizioni, quella di Manzoni e quella di Isaia Ascoli
(l'Ascoli prese posizione riguardo alla questione della lingua
italiana, opponendosi alla soluzione di Alessandro Manzoni di usare
il fiorentino parlato come lingua nazionale e proponendo invece di
utilizzare l'italiano sovra regionale, che era già la lingua comune
della scienza, e che di fatto veniva già utilizzato da secoli da
tutti gli scrittori d'Italia, avendo anche il pretesto per innalzare
il livello culturale della popolazione), in Sicilia prevalse la
posizione dell’Ascoli. Gli scambi linguistici tra siciliano e
italiano divennero più intensi che mai e fiorirono studiosi
linguisti come Salomone Marino, Guastella, Vigo e Pitré. Tra il 1880
e il 1890 si ebbe una fioritura culturale di prim’ordine: letterati,
architetti, sociologi, storici e giuristi, come Verga, De Roberto,
Basile, Colajanni, Mosca, Orlando, Cannizzaro, Amari, ecc.
espressero il meglio della loro produzione. L’ambiente culturale era
vasto e gradevole e apprezzato dagli studiosi che anche dall’estero
venivano a insegnare o ad apprendere nelle Università siciliane.
Clamoroso è il caso del poeta
Mario Rapisardi, un ateo radicale
amato anche dai ceti popolari a tal punto che durante le
celebrazioni del 1° Maggio, a Catania, era d’obbligo sostare sotto
le sue finestre.
Nel raggruppamento politico denominato Sinistra
confluivano in realtà uomini di diversa provenienza e orientamento:
vi erano liberali riformatori, come il nuovo capo del Governo
Agostino Depretis; rappresentati della borghesia settentrionale,
terrieri meridionali; ex garibaldini e mazziniani, come Francesco
Crispi; professionisti e intellettuali meridionali, come
Francesco De Sanctis.
La
pesante eredità lasciata dalla Destra |
Gli ambiziosi programmi del governo cozzarono contro
una situazione internazionale sfavorevole e, per quanto durante
l'età di Depetris (1876-87) si registrasse un inizio di
industrializzazione, lo sviluppo economico generale dell'Italia
fu inferiore alle speranze e coincise con la grave crisi
agricola degli anni Ottanta. Inoltre la Destra aveva lasciato in
eredità alla Sinistra una serie di scottanti questioni: l’ordine
pubblico inesistente, la lacerazione nei rapporti tra le forze
politiche, le inchieste parlamentari non concluse, il
brigantaggio che imperversava da sedici anni e che la destra più
che combatterlo aveva arginato criminalizzando intere
popolazioni.
Con la Destra il sud era stato criminalizzato in toto,
con la sinistra si chiedeva invece al sud la spinta a ricostruire il
paese: una spinta soprattutto culturale e progressista. In tutto
questo però, a causa delle lacerazioni tra le forze politiche, per
assicurarsi di volta in volta una maggioranza in parlamento,
Depretis cominciò a favorire il cosiddetto trasformismo,
contribuendo a rendere ancora più incerta la linea di demarcazione
tra destra e sinistra e tra i vari gruppi basati su antagonismi
regionali e clientelari.
|
Paesaggio vesuviano, foto del 1890 ca.
|
Il deterioramento dei rapporti italo-francesi, favorì
intanto l'orientamento della diplomazia italiana verso Berlino e
Vienna, così da portare nel 1882 alla stipulazione della Triplice
Alleanza
.
Questo indirizzo politico ebbe il suo sostenitore più intransigente
in Francesco Crispi. Inoltre per adeguare la politica estera
italiana a quelle delle potenze europee venne iniziata un'azione
coloniale
che nel 1885, dopo la forzata rinuncia della Tunisia
,
si indirizzò verso la conquista dell'Eritrea.
Dopo aver abbandonato la sinistra, Crispi era entrato
nel gioco del trasformismo, che nel 1887 gli consentì di
subentrare a Depretis. Crispi accentuò il protezionismo
economico in chiave essenzialmente antifrancese, provocando una
guerra doganale che ebbe effetti disastrosi sulla produzione
agricola, soprattutto meridionale
Egli cercò inoltre di instaurare un regime forte non privo di
aperture riformatrici, ma soprattutto teso alla ricerca di una
nuova grandezza coloniale nel tentativo di risolvere i problemi
relativi alla povertà nel
mezzogiorno e a tal fine firma il trattato di Uccialli con
Menelik, in base al quale era riconosciuto il controllo italiano
in Eritrea ed un ambiguo protettorato sull'Etiopia. La politica
coloniale porterà invece al disastro di Adua (marzo 1896). Al di
là della fallimentare impresa coloniale, il governo di Francesco
Crispi indirizzò il sistema politico italiano in direzione di un
rafforzamento dello stato e di un marcato autoritarismo.
Nonostante ciò Crispi realizzò importanti riforme (miglioramento
dell'efficienza della burocrazia; ampliamento del diritto di
voto nelle elezioni locali; eleggibilità dei sindaci; riforma
della sanità e della pubblica assistenza).
Per Crispi, un modello da imitare era Bismark: egli ai valori
risorgimentali aggiunge il conservatorismo e il nazionalismo. I
punti cardine della sua riforma furono:
Il nuovo Codice Penale e l'abolizione della
pena di morte;
Il
riconoscimento della
libertà di associazione, pensiero, sciopero
per i lavoratori.
Tra le altre varie riforme, sono da ricordare: la nuova legge
comunale e provinciale, che comprendeva l'elettività del sindaco. A
causa della crisi economica del 1892 il governo Crispi cade e sale
Giolitti. A sud intanto, prendono corpo i
Fasci dei Lavoratori, che chiedono un contratto di lavoro e una
soluzione riguardante la questione dello zolfo siciliano invenduto,
a causa della invasione dei mercati di quello americano. Giolitti
non interviene, neanche quando la situazione degenera in guerriglia.
A contribuire al suo declino interviene lo scandalo della Banca
Romana. Travolto dallo scandalo, Giolitti si dimette e Crispi torna
al governo.
Con fare autoritario, da vastissimi poteri alla Polizia. Reprime nel
sangue rivolte in Sicilia, toglie il diritto di voto a 800.000
persone e si attira perplessità sul suo operato. L'ambiguità del
trattato con Menelik fece scoppiare una guerra che si concluse con
la disfatta italiana ad Adua, nel 1896, e con le dimissioni di
Crispi. |
Ma torniamo al 29 luglio del 1887,
quando, morto De Pretis, Francesco Crispi fu nominato presidente
del Consiglio. Ebbe così inizio quello che da molti viene
definito come periodo “crispino”, caratterizzato da un
predominio siciliano nell’alternanza tra Crispi e Di Rudinì.
Questo decennio fu fondamentale per la storia italiana, fu un
salto in avanti nonostante i traumi, le crisi economiche e
finanziarie, la guerra coloniale persa, un colpo di stato
sventato. Alla fine l’Italia ne uscì più matura e, almeno il
nord, economicamente più forte.
|
Francesco Crispi
|
Non così si può dire della Sicilia e del
meridione d’Italia. Alla fine del decennio “crispino”, la Sicilia ne
uscì indebolita e i livelli culturali, economici e politici si
abbassarono di conseguenza. A provocare il tracollo economico furono
principalmente la guerra commerciale con la Francia che causò il
tracollo dell’esportazione dei prodotti agricoli pregiati, la
fillossera che distrusse la gran parte dei vigneti, la protezione
daziaria in favore dell’industria e della cerealicoltura e la crisi
dello zolfo. L’industria zolfifera fu messa in ginocchio sul mercato
estero dalla concorrenza dello zolfo americano. La capacità di
iniziativa che la Sicilia aveva mostrato fu duramente colpita da
questi eventi. Non a caso è proprio in questo periodo che inizia la
fase discendente della famiglia più rappresentativa della economia
siciliana: i Florio. Mentre nel resto del paese
l’industrializzazione avanzava in Sicilia e nel meridione in genere
si ebbe una regressione. L’intero sud, protagonista dell’ascesa
della sinistra al potere, fu quello che pagò il pedaggio perché il
nord si sviluppasse. Lo stesso Francesco Saverio Nitti tristemente
notava “Tra il 1870 e il 1888 l’importanza del
mezzogiorno era molto maggiore nella vita sociale
ed economica dell’Italia che oggi non sia”
Ma perché avvenne questo?
Nascita
del divario Nord-Sud |
Con l’avvento della sinistra e dei
politici siciliani. la Sicilia divenne fulcro dei problemi
fondamentali del paese: la crisi economica esplosa nell’85-86
che determinò i provvedimenti doganali colpì essenzialmente la
Sicilia e le regioni meridionali, gli avvenimenti internazionali
che coinvolgevano l’area mediterranea, portarono al militarismo
e le riforme della società italiana che portarono alla
riorganizzazione dei settori fondamentali della vita
istituzionale come la promulgazione dell’enciclica Rerum
novarum nella chiesa e la nascita del Partito socialista
italiano e del Movimento sociale cattolico nello Stato, diedero
lo slancio alla affermazione dei
Fasci dei lavoratori che ebbero il loro culmine tra il
giugno del 1892 e il dicembre 1893. I Fasci furono il primo
esempio di organizzazione popolare, operaia e contadina insieme.
I primi Fasci operai sorti nell’Italia centrale erano
prevalentemente costituiti da proletariato urbano,
prevalentemente di matrice anarchica, i
Fasci
siciliani si rivolsero invece a tutta la classe
proletaria e popolare di città e di campagna. Non erano più,
come i fasci operai dell’Italia del centro-nord, agenzie
politiche ed elettorali di certa borghesia “illuminata”, ma
diedero voce a rivendicazioni economiche più ampie del semplice
mutuo soccorso tra i soci, e soprattutto sul piano politico non
rispondevano ad alcun esempio governativo.
Erano difficili da collocare e non a
caso furono diversamente giudicati dagli studiosi dell’epoca: Il
filosofo marxista
Antonio Labriola
li definì “..il primo atto del socialismo proletario italiano”,
lo storico e politologo
Gaetano Salvemini,
con molta asprezza e poca comprensione, li definì “…una
convulsione isterica, nella quale il socialismo ci entrò solo
perché, essendovi nel resto del mondo un partito socialista
rivoluzionario, questi affamati saccheggiatori di casotti daziari
cedettero di essere socialisti anche loro.”. Il
filosofo Benedetto Croce arrivò a giustificarne la feroce
repressione con un giudizio su quegli uomini che cercavano equità
sociale a dir poco “classista”: “Il Crispi stroncò un movimento
che non conteneva nessun germe vitale ed era privo di avvenire... Il
torto di quegli uomini, di quei giovani era di eccitare e tirarsi
dietro masse ignoranti e inconsapevoli, credendo di potersene valere
per attuare idee che quelle non comprendevano… Cioè di tentare, sia
pure a fin di bene un imbroglio che non è cosa che possa mai
partorir bene e, tessuta con l’inganno, merita di essere distrutta
con la forza”.
Lo studioso inglese Hobsbawm
definì invece i Fasci “un movimento diretto ad ottenere
particolari miglioramenti economici” e li paragona al
“cartismo”
inglese.
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Antonio Labriola
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Gaetano Salvemini
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Checché ne dica Croce, i
Fasci siciliani
non sorsero dal nulla e nonostante la terribile repressione non
finirono nel nulla. La Sicilia e tutto il meridione d’Italia è
stata, dopo l’unità, la palestra in cui muove i primi passi il
socialismo marxista rivoluzionario ed è proprio grazie ai Fasci
Siciliani che viene proposto un marxismo creativo che con
Antonio Labriola
acquista rilevanza internazionale.
Tutto il meridione, stava cercando di
ridurre la disuguaglianza ed il rapporto di semidipendenza
istauratosi tra sud e nord dopo il 1860 e la nascita dei Fasci
siciliani si colloca proprio in quest’ottica. Solo la loro repentina
esplosione e diffusione, ma non la loro nascita, è determinata dalla
crisi del 1887. Con la crisi la Sicilia diventa il punto può
vulnerabile: tagliate le esportazioni, distrutti i vitigni,
costrette a chiudere le zolfare… I Fasci diventano l’opportunità per
una ristrutturazione del sistema economico e sociale non solo
siciliano ma nazionale, sono una opportunità per modificare il
rapporto nord-sud.
Purtroppo molta colpa nella sconfitta
dei Fasci è da attribuire al comportamento del Movimento socialista
internazionale, che in un primo tempo fu favorevole ai Fasci
siciliani, ma poi non ne accettò la forte presenza contadina. Una
tale distorsione nella visione socialista in Italia fu contrastata
fortemente dal Labriola, ma fu anche avallata da Croce e da
Salvemini. Ma quanto avveniva in Sicilia si verificava anche in
Francia, In Belgio, In Olanda, in Germania. Nonostante il Congresso
socialista di Marsiglia avesse equiparato i contadini agli operai
delle fabbriche ci si pose il problema se costoro e il proletariato
urbano potessero realmente partecipare alla formazione di una
società socialista.
L'intervento di Engels e la fine della "via meridionale"
all'emancipazione |
Fu chiesto anche il parere a Engels il quale,
purtroppo e con poca lungimiranza, rispose che bisognava considerare
i contadini come piccoli proprietari o come compartecipanti, nelle
vesti di affittuari o mezzadri del capitale e pertanto non potevano
essere considerati proletari! Il parere di Engels fu accolto senza
discussione anche in Italia. Intanto il socialismo siciliano aveva
ottenuto una serie di successi. Fra l’agosto e l’ottobre del 1893
aveva organizzato e portato alla vittoria il primo grande sciopero
italiano riuscendo a trasformare il terraggio in mezzadria . A
seguire, stava conducendo una battaglia contro le tasse municipali
chiedendone l’abolizione o la drastica riduzione, ma nel bel mezzo
di questa galoppata vittoriosa irruppero i divieti e i voltafaccia
del Partito socialista nazionale e internazionale. L’isolamento dei
fasci portò inevitabilmente alla sconfitta.
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Friedrich Engels
|
Alla luce di quanto
avvenuto in seguito il Partito socialista non avrebbe potuto
commettere errore più grande. E le conseguenze di tale errore non
sono state mai più riparabili. I Fasci dei lavoratori
rappresentavano la continuazione dell’iniziativa meridionale
sbocciata nell’80. La loro violentissima repressione determinò la
esclusione della Sicilia e in parte anche del meridione dalla vita
politica di sinistra. Il mancato sostegno o meglio l’abbandono del
Partito socialista italiano lasciarono libere le mani ai ceti
dominanti isolani che ripetutamente chiesero al governo lo
scioglimento dei Fasci dei lavoratori. Giolitti, presidente del
consiglio e ministro dell’interno dal maggio del '92 al novembre del
'93 si era sempre rifiutato di intervenire, ma le sue dimissioni in
seguito allo scandalo della Banca romana, cui non fu estraneo il Crispi, aprirono nuovamente le porte a quest’ultimo che ritornato
alla presidenza accondiscese facilmente a quell’atto liberticida
proclamando lo stato d’assedio.
I contadini furono considerati alla
stregua di pericolosi sovversivi capaci di rovesciare lo Stato. La
stampa nazionale poi cominciò a sfornare una serie di articoli volti
a denigrare i dirigenti socialisti siciliani. Si scriveva anche di
complotti tra la Francia e i socialisti siciliani volti ad azioni
anti-italiane. L’opinione pubblica fu pilotata contro i contadini
siciliani che venivano dipinti come esseri primitivi, affamati,
saccheggiatori e inconsapevoli! Nel 1893 la Sicilia fu
lasciata sola. Ebbe contro i latifondisti, i conservatori e i
reazionari di tutta Italia e l’Internazionale socialista. Crispi
prestò orecchio a tutto ciò e non solo volle vincere ma volle
stravincere. Le si schierò contro, la mise a ferro e a fuoco,
stroncò nel sangue i Fasci che vennero sciolti e i loro dirigenti
furono processati e condannati al carcere duro. La Sicilia e con
essa tutto il mezzogiorno cessarono di aver peso nella vita politica
italiana.
Ma ancora non è finita. La sconfitta di
Adua, cui abbiamo già accennato, avvenuta nel marzo del 1896 scatena
tumulti in molte piazze d’Italia tanto da costringere Crispi alle
dimissioni. Gli succede un altro siciliano, il marchese Antonio
Starabba di Rudinì
(il
cui governo verrà detto “dei galantuomini”), che concede un’amnistia
ai detenuti politici tanto per calmare le acque ma in sostanza la
politica governativa non cambia, anzi il nuovo governo intensifica
le misure repressive contro i “sovversivi”.
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Antonio Di Rudinì
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La pessima annata del
1897 e il rincaro della vita esasperano gli animi: il 1898 segna
l’esplosione di una irrefrenabile collera popolare accumulatasi in
quarant’anni. L’anno si apre con una vittima proprio in Sicilia: è
il 2 gennaio quando, a Siculiana, la polizia spara sulla folla che
protesta per avere pane e lavoro uccidendo un contadino. Ma le
manifestazioni e le rivolte si susseguono in tutta Italia per
l’aumento del prezzo del pane, per il lavoro e contro le imposte.
Scioperi e tumulti si contano a decine in Sicilia, in Campania,
nelle Marche, in Puglia. Il 16 febbraio la polizia interviene contro
una manifestazione a Palermo. Il 18, a Troina, la truppa spara su
disoccupati, donne e ragazzi: il bilancio è di cinque morti e
ventotto feriti. Il paese, posto in stato d’assedio, viene invaso da
due compagnie di fanteria. Il 22 febbraio, a Modica, soldati e
carabinieri fanno cinque morti. In marzo anche il nord scende in
campo: a Bassano sono gli alpini a intervenire contro la
popolazione, mentre a Molinella vengono arrestati un sindacalista e
cinquanta mondine, e sciolte le cooperative.
I
cannoni contro il popolo che manifesta |
In aprile scoppia la guerra ispano-americana, col
risultato di far aumentare il prezzo del grano e della farina, anche
grazie all’indifferenza del governo che avrebbe potuto benissimo
evitare il rincaro del pane sospendendo, almeno temporaneamente, il
dazio sulla farina.
La protesta divampa in tutto il paese, e Di Rudinì,
cedendo alle pressioni del re Umberto I e degli ambienti di Corte
che reclamavano una politica più dura, chiama le forze dell’ordine a
intervenire dovunque. Da Sud a Nord fino a culminare nelle cannonate
del generale Bava Beccaris sugli scioperanti di Milano e mettendo in
campo altre misure restrittive che portarono all’arresto di molti
esponenti dell’estrema sinistra. Senza comprendere l’importanza
crescente dell’opinione pubblica che gli era contraria, il Rudinì
cercò di far approvare dal Parlamento una serie di leggi illiberali,
che limitavano il diritto di sciopero, la libertà di stampa e di
associazione. Ma fu ben presto abbandonato dal Re e data l’ostilità
della maggioranza parlamentare, il
29 giugno 1898, fu costretto a dimettersi.
|
Viaggiatori in sosta in un casolare siciliano, foto
del 1895
|
La verità è che Di Rudinì
non aveva la statura politica di Crispi e le sue misure restrittive
stavano colpendo violentemente anche il nord. Fu sostituito dal
generale Luigi Pelloux (già responsabile della gestione militare
della Puglia in occasione dei disordini del 1898). Milano e il nord
non ebbero contro come la Sicilia tutte le forze politiche e
sociali, Milano e il nord ebbero l’opportunità di riprendere la
crescita economica a spese di un sud ancora una volta devastato e
calpestato.
continua ...
Fara Misuraca
Alfonso
Grasso
Febbraio
2009
Note
In Italia
c'erano due sinistre: quella "Meridionale", formata da
piccola e media borghesia artigianale e commerciale,
proprietari terrieri, ceti professionali che si vedevano
svantaggiati dall'unità; e quella "Settentrionale", formata
da media borghesia che invece godeva dei vantaggi
dell’unità. Gli industriali in pectore del nord chiedevano
al governo di attuare provvedimenti protezionistici al fine
di proteggere il debole mercato interno dalle importazioni
straniere ma la crescita industriale si accompagnava alla
arretratezza delle strutture di credito. Lo Stato pertanto
si limitava a sostenere lo sviluppo industriale, tassando i
cittadini e poiché le maggiori entrate venivano
dall'agricoltura e quindi dal sud, le tasse penalizzavano il
sud e finivano regolarmente a finanziare il nord.
Il Cartismo nasce in Inghilterra nel 1836,
grazie a un gruppo di operai e di artigiani londinesi che
rivendicano, nella propria "carta del popolo”(People's
Charter), un programma politico per tutto il movimento
operaio. Le rivendicazioni principali erano le seguenti:
suffragio universale (per gli uomini), elezione annuale del
parlamento, votazione segreta dei deputati , divisione del
paese in circoscrizione elettorali uguali in modo da
assicurare un'eguale rappresentanza , abrogazione del censo
per essere eletti e remunerazione dei deputati.
Bibliografia aggiuntiva della
parte terza