link alla lettura precedente
link alla lettura successiva
L’occupazione austriaca e il regno di Francesco I |
Tra il 1821 e il 1830 a dominare la situazione nel regno meridionale
furono preminentemente: la presenza militare austriaca,
totalmente a spese del bilancio dello stato delle Due Sicilie, la
restaurazione e la luogotenenza
per la Sicilia di Pietro Ugo delle Favare, dal 1825 al 1830,
in concomitanza con il regno di
Francesco I e con il governo napoletano di
Luigi Medici.
 |
Ferdinando I di Borbone |
I militari austriaci avevano il compito, una volta repressa la
rivoluzione carbonara, di
eseguire e mantenere le condizioni imposte da Metternich a Lubiana,
cioè l’unità statale del regno ma, data la palese ostilità tra
Palermo e Napoli, anche il mantenimento di due amministrazioni
distinte, presiedute da due apposite Consulte, deputate a esprimere
parere su disegni di legge, bilancio, debito pubblico, situazione
patrimoniale, ecc. Con le Consulte, in teoria si realizzava quanto
chiesto dalla delegazione siciliana e quanto concordato con il
generale Pepe. Ma quali poteri in realtà avevano queste Consulte? Il
loro ruolo fu chiarito direttamente da Metternich che così rispose
all’ambasciatore austriaco a Napoli, Ficquelmont che chiedeva
chiarimenti: “Con la creazione delle consulte – scrisse -
non si creano dei corpi rappresentativi, e la prova è data dalla
mancanza di ciò che sta alla base di corpi del genere, ossia la
elezione. La denominazione di “consulte” determina l’estensione
delle loro attribuzioni; esse consultano ma non accettano né
rigettano”
.
Come facilmente intuibile la sovranità dei Borbone era fortemente
limitata dall’Austria che con l’esercito si preoccupava non solo di
combattere la carboneria ma di far eseguire i “dictat” di Metternich.
Il regime borbonico era diventato in pratica una gestione
amministrativa e lo possiamo ben capire dal comportamento delle
persone implicate dettato, di volta in volta, dalla condizione
oggettiva del sistema. Basta prendere ad esempio il comportamento di
Francesco di Borbone. Prima di salire al trono Francesco si era
dimostrato aperto alle innovazioni liberali, moderato e capace di
gestire abilmente le
vicende siciliane
tra il 1812 e il 1814, collaborando con lord Bentinck e
successivamente, tra il 1816 e il 1820 aveva mediato con abilità la
sottomissione della Sicilia a Napoli continuando a dimostrare di
essere un ottimo vicario anche a Napoli durante la rivolta carbonara
del 1820. A tradire la costituzione giurata, non fu il vicario
Francesco ma il re suo padre.
 |
Francesco I di Borbone
|
Intanto il
4 gennaio 1825,
moriva
Re Ferdinando, dopo ben 65 anni di regno, e gli succedeva
Francesco pieno di buone intenzioni ma che a detta dei sudditi, si
dimostrò “disperatamente incapace”
.
Tutti si aspettavano, a Napoli come in Sicilia, che una volta salito
al trono Francesco istaurasse un regime se non proprio liberale,
vista l’opposizione della Santa alleanza e l’occupazione militare
austriaca, almeno moderato. Ma così non fu. Francesco aveva 47 anni,
ed era provato da problemi di salute e dalle responsabilità che
aveva dovuto assumersi, come vicario del regno. Si dimostrò incapace
di fronteggiare la situazione:
lasciò le
incombenze di governo al Medici e quelle della corte ad un suo
cameriere di nome Viglia, mentre la Sicilia era
succube del famigerato Pietro Ugo delle
Favare.
Come scrive il Paternò Castello: “Circondato il buon Francesco
dall’unione di tanti malvagi, gravato da un’asma micidiale, afflitto
dagli acerbissimi dolori della gotta, non poté giammai conoscere il
vero stato de’ suoi popoli, e particolarmente dei siciliani (…) il
Favare, assicurato da tutti i lati dall’impunità, ritornò a Palermo
per esercitare il più atroce dispotismo”
.
I
suoi cinque anni di regno furono, come dice molto severamente il
Doria, «quanto di peggio potesse esprimere la famiglia Borbonica»
.
Noi crediamo invece che Francesco conoscesse bene “il vero stato
de’ suoi popoli” ma che, forse a causa dei suoi mali non ebbe
più voglia di battersi e preferì delegare ad altri le responsabilità
di governo. Ottenne comunque, nel 1827, lo sgombero delle truppe
austriache sostituendole con forze d’ordine costituite da mercenari
svizzeri.
Durante il suo breve regno, rigidamente reazionario, come Austria
comandava, inevitabilmente i carbonari e altre sette si
moltiplicarono, mentre la carenza di un servizio d’ordine
efficiente, delegato a funzionari corruttibili, favorì il
contrabbando, gli incendi dolosi, i sequestri di persona e si
sviluppò nel territorio siciliano quella che qualche anno dopo
sarebbe stata chiamata “mafia”, che nata come guardia armata
privata dei feudatari lavorava ora contro i loro stessi datori di
lavoro allo scopo di impadronirsi delle loro ricchezze e in accordo
con mercenari e funzionari corrotti
.
Tutt’altra era l’immagine che il regno dava di sé ai visitatori
stranieri. Napoli e Palermo in quel periodo richiamavano folle di
viaggiatori e il traffico turistico e commerciale era notevole. Non
a caso, il regno delle Due Sicilie era uno dei più importanti e dei
più ricchi dell’epoca
.
Non era un regno povero anche se non mancavano i poveracci! Le
nostre città erano equipollenti alle città europee più avanzate così
come le nostre campagne erano arretrate allo stesso modo! Le
manchevolezze erano riferite alla politica, alla mancanza di libertà
che buona parte della società civile rimproverava al Re. Si
desiderava una costituzione, una partecipazione e non un potere per
“diritto divino”.
Dai resoconti di viaggio di Simon
, ad
esempio, apprendiamo che in quel periodo la Sicilia aveva una
popolazione di circa un milione e settecentomila anime [cfr.
La popolazione del regno nel 1832], ed aveva un potenziale di
crescita tale da sostenerne 4 o 5 volte tanto, se solo le imprese
non fossero state soffocate dagli assurdi regolamenti imposti dalla
restaurazione austriaca. In somma la gente evoluta si lamentava,
rimpiangeva Napoleone e la perdita della sovranità e della
costituzione. I germi della rivoluzione erano sempre in agguato. E
Francesco non riuscì a capire, o forse gli fu “sconsigliato” di
capire, che lo spirito costituzionalista e liberale doveva essere
assecondato perché ormai patrimonio della “società civile” di allora
.
Ma torniamo alla situazione nel quinquennio
1825-1830,
dominata da Pietro Ugo delle Favare in Sicilia e da Luigi dei Medici
a Napoli ma soprattutto era connotata da un sistema di potere
repressivo. Basti un solo esempio per tutti: la durissima
repressione della rivolta del 1828 nel Cilento ad opera del
colonnello Francesco Saverio del Carretto che come premio fu
promosso generale
.
Questo sistema di potere si trascinò fino alla morte di Francesco I
(21 settembre 1830)
cui successe il figlio primogenito
Ferdinando II. Già nel 1827, dopo la partenza delle forze
austriache dal Regno, era stato nominato dal padre Capitano Generale
dell'esercito, e l'8 novembre 1830 salì ancor giovanissimo sul
trono, emanando un
proclama in cui prometteva buon governo, giustizia e risanamento
delle finanze. Subito sostituì alcuni
ministri, diminuì notevolmente le spese di Corte, concesse una
larga amnistia ai detenuti politici e agli esuli, richiamò in
servizio gli ufficiali murattiani sospesi dai moti del 1820.
I primi
atti di Ferdinando, nato a Palermo, suscitarono molte speranze,
anche in Sicilia. Infatti destituì immediatamente il Delle Favare
che sostituì con il diciannovenne fratello Leopoldo, conte di
Siracusa, che il 7 Maggio 1932 giunse a Canicattì. Leopoldo si
rivelò sollecito ai problemi dell’isola, ristabilì a Napoli il
ministero per gli Affari di Sicilia ed emanò una serie di decreti
assai utili per l’industria, la viabilità e l’edilizia. Per contro,
fu inviato in Sicilia, come ministro della Polizia, quel generale
Del Carretto, tristemente famoso per i fatti del Cilento e che non
mancò di manifestare la sua natura nella repressione del moto
insurrezionale del
1831: un manipolo di popolani male armati, guidati da Domenico
di Marco, entrò in Palermo al grido di “Viva il Re, la
Costituzione e Santa Rosalia”, nessuno li seguì essendo il
popolo impreparato e dopo qualche scambio di colpi di fucile con la
polizia, furono presi, arrestati, processati e dodici di essi
condannati a morte per direttissima. La ripercussione non tardò a
farsi sentire a Napoli, persino in alcuni conventi; vi fu una
congiura, tra i cui promotori vi era un laico francescano del
convento della Sanità di nome Angelo Peluso, che mirava a far
ripristinare nel regno
la costituzione del 1820. Vi furono molti arresti, ma a calmare
gli animi non bastarono né le condanne né la clemenza, in quanto
sorse una seconda cospirazione sotto la guida di Giuseppe Rossaroll.
I congiurati furono scoperti ed arrestati
.
Il clima
di sospetto ed instabilità restò sempre latente nell’intero regno,
tanto che Ferdinando II, quando nel 1832 dovette recarsi a Genova
per sposare la principessa Maria Cristina di Savoia, lo fece sotto
falso nome.
Riguardo la Sicilia le idee di Leopoldo e Ferdinando non
coincidevano. Ferdinando era sempre convinto che le difficoltà
siciliane fossero da ascriversi esclusivamente al baronaggio,
Leopoldo comprese invece che le difficoltà della Sicilia erano
riferite alla miseria che aumentava sempre più e alla perduta
indipendenza. Fu così che nel 1835, re Ferdinando II, sospettando un
eccessivo interesse di Leopoldo per le cose di Sicilia e temendo
forse uno “scisma”, lo sostituì con il principe di Campofranco,
Lucchesi Palli, che rapidamente riportò la politica dello Stato
sulla linea del dispotismo fino a culminare nella brutalità nel
1837, anno del colera.
Il colera che aveva imperversato in Europa e l’anno prima a Napoli,
provocando circa 6.500 vittime, arrivò anche in Sicilia dove si
espresse con grande virulenza. Nell’isola si contarono circa 65.000
morti ed altri 14.000 nel napoletano. Si diffuse, come sempre in
questi casi, l’assurda “diceria dell’untore”, il governo “ladro”
diffondeva il morbo. Il popolino ignorante e facilmente manovrabile
(come oggi!) si sollevò contro gli aiuti, contro i soccorsi e subito
gli indipendentisti posero la loro bandiera gialla sulla tragedia
popolare. Furono abbattute le insegne e le statue di Francesco I,
furono distrutti e saccheggiati municipi, gendarmerie, farmacie,
innocenti furono massacrati e come al solito si eresse un governo
provvisorio e si organizzò un esercito di volontari. Ma quando ai
primi di agosto, il generale Del Carretto arrivò a capo di una
truppa ben equipaggiata, i capi della rivolta, vilmente e
opportunamente per loro, si associarono alla controrivoluzione e
lasciarono che il Del Carretto istituisse tribunali itineranti che
fecero giustizia sommaria di facinorosi e di sinceri liberali. Un
esempio seguito e applicato in seguito dai generali piemontesi.
Niente di nuovo sotto il sole! Nel giro di pochi mesi, grazie al
rapido voltafaccia di alcuni notabili che si trascinarono dietro le
loro plebi, il del Carretto ebbe la meglio.
 |
Ferdinando II di Borbone |
Ferdinando, conscio del fatto che la Sicilia costituiva per lui una
spina nel fianco, cercò di migliorare l'amministrazione dell'isola e
di agevolare la parte fiscale e finanziaria, studiando anche la
possibilità di recarsi personalmente nell'isola per rendersi conto
della situazione. Fu abolito il ministero per gli affari siciliani a
Napoli, fu emanata la legge di promiscuità
che
permetteva ai siciliani di poter avere posti di governo a Napoli ed
ai napoletani in Sicilia. Fu sollevato dall'incarico di luogotenente
il principe di Campofranco, che venne sostituito da un napoletano,
il duca Onorato Gaetani di Laurenzana. Inoltre, Ferdinando II premiò
Messina, che non aveva partecipato ai moti, riaprendo l’antica
università
,
istituì una direzione di polizia a Palermo e declassò Siracusa
trasferendo il capoluogo a Noto. Infine inviò in tutti gli uffici
funzionari napoletani,in base alla già citata legge della
promiscuità. Cercò comunque in occasione della sua visita
nell’isola, nel 1838, di intervenire per migliorare le condizioni
economiche dell’isola agendo sui dazi, stendendo un progetto di
riforma agraria in cui si distribuivano in enfiteusi terreni ai
villani; fu deciso di costruire nuove strade, di aprire nuove banche
a capitale pubblico, di costruire ospizi.
Nel 1838 scoppiò la famosa “guerra degli zolfi”: Ferdinando tolse
agli inglesi il monopolio del commercio dello zolfo e lo concesse ad
una ditta di Marsiglia, la Taix Aycard
.
Occorre ricordare che lo zolfo all’epoca era un minerale strategico
per la produzione bellica, e che la Sicilia era uno dei pochi
produttori europei del minerale. Perciò, la decisione di Ferdinando
mandò su tutte le furie gli inglesi, Lord Palmerston reagì
violentemente e le relazioni diplomatiche si interruppero. I
commercianti di zolfo inglesi chiesero indennizzi enormi, che
gravarono sui siciliani arricchendo le tasche dei commercianti
inglesi e non
.
Re Ferdinando a causa della questione dello zolfo ebbe pessimi
rapporti con gli inglesi tra 1839 e il 1840: nell’aprile del 1840,
lord Palmerston ordinò alla marina britannica di bloccare i porti
napoletani e di impadronirsi di qualsiasi nave napoletana o
siciliana incontrata in alto mare. Per fortuna la marina britannica
non seguì alla lettera tali ordini, ma Re Ferdinando non intendeva
lasciarsi intimidire e inviò in Sicilia 12.000 uomini; non ebbe
però, come sperava, l’aiuto dell’Austria e così grazie alla
mediazione francese, il
21 luglio 1840
il contratto con la Taix-Aycard venne revocato e fu concesso, per
regio decreto, un indennizzo ai commercianti stranieri
 |
Lord
Palmerston |
Tutti questi eventi contribuirono ad indebolire sempre più i Borbone
nell’isola. Alienandosi gli inglesi Ferdinando si inimicò
contemporaneamente l’opinione pubblica isolana, da sempre
filoinglese, e non trovò l’appoggio internazionale che sperava. Alla
fine si ritornò ad una condizione di sfruttamento delle miniere e
dei minatori, senza ricorrere ad una modernizzazione delle strutture
e l’erario dovette risarcire sia i mercanti inglesi che quelli
francesi!
L’economia: Napoli cresce, ma la Sicilia segna il passo |
Nonostante tutti gli sforzi di Ferdinando però l’economia dell’isola
non decollava e alla base di tutto, come bene scriveva Lucchesi
Palli (Effemeridi scientifiche e letterarie, 1834), c’era la mancata
crescita del mercato finanziario, “Nuovi codici e procedure sono
stati promulgati…sono state costruite delle strade…Vari stabilimenti
si sono eretti…Ad onta di tutto ciò il paese non progredisce con
quella rapidità che a buon diritto si richiede… Altre cause dunque
esistono…e fra queste a mio credere, havvi quella mancanza de’
capitali circolanti. Non può sperarsi senza di questo un
miglioramento nelle tre sorgenti della pubblica prosperità. La
Sicilia non sarà mai né perfetta agricola, né commerciale, né
manifatturiera, se pria un’immissione di nuovi capitali circolanti
non ne vivifichi il suo stato.”
A partire dal 1837, l’insieme di leggi che Ferdinando comminò, volte
ad indebolire il potere baronale, non riuscirono a favorire le altre
classi anzi provocarono una diffusa conflittualità sociale tra
nobili, borghesi ed artigiani, tra contadini ricchi e contadini
poveri, tra cittadini e provinciali, ogni classe preoccupata, come
al solito, di accaparrarsi il beneficio maggiore. Come sempre ebbero
la meglio le classi più abbienti e ben presto la conflittualità da
sociale si tramutò in politica. Anche dal punto di vista
culturale-politico si ebbe una svolta storica. Non più un
sicilianismo isolazionista si cercava, come ai tempi di Balsamo,
Gregorio, Meli, ecc, ma un sicilianismo nuovo che rispondesse alle
esigenze delle diverse classi, un sicilianismo che vedeva la Sicilia
come parte di una confederazione di Stati. Era l’idea
autonomista-federalista che raccoglieva i maggiori consensi e non
quella Mazziniana unitaria, che tra gli intellettuali siciliani
aveva presa quasi unanime, come affermava il Malvica nel 1836
“l’Italia per sua felicità non dee né può avere un sol centro di
governo”
o lo stesso Michele Amari in un suo scritto, Catechismo siciliano,
pubblicato anonimo nel 1838 che sognava una Sicilia indipendente nel
quadro di un vincolo federativo.
Se In Sicilia l’industria segnava il passo, per Napoli e la
Campania, il Regno di Ferdinando II segnò un
grande sviluppo industriale, e si raggiunsero concentrazioni
produttive al passo con le zone più evolute del Lombardo-Veneto.
Anche il commercio e l’artigianato si espansero, così come il numero
dei piccoli proprietari terrieri. Tutta l'economia del napoletano si
risollevò. La costruzione della ferrovia Napoli-Portici, la prima in
Europa, anche se per la brevità del suo percorso non poteva dare un
vantaggio palpabile sul piano economico, fu importante dal punto di
vista dell’immagine, in quanto elevò il regno delle Due Sicilie al
rango delle più grandi potenze europee
.
 |
La statua di Ferdinando II a Pietrarsa |
Il modello di sviluppo non era però basato sull’iniziativa privata
locale, ma sul dirigismo governativo e sull’utilizzo di capitali
esteri. Inoltre era carente il processo formativo e scolastico.
Significativo di questo processo involutivo del Regno è il decreto
del 10 gennaio del 1843, con il quale Ferdinando II consegnava
l’istruzione primaria alla esclusiva direzione dei Vescovi
autorizzandoli "a destituire i maestri e le maestre delle scuole
primarie, a sospenderli e a rimuoverli…". Il decreto stabiliva
inoltre: "Art. 2 - Le scuole saranno di preferenza stabilite pe’
fanciulli ne’ Conventi e Monasteri, e per le fanciulle ne’ Ritiri e
ne’ Conservatori di donne. Art. 3 - Saranno stabilite altresì scuole
primarie, con il metodo di mutuo insegnamento, ne’ Capoluoghi di
Provincia ed in tutti gli altri comuni che ne avranno i mezzi.
Queste scuole saranno nello stesso modo affidate a’ Vescovi e da
loro esclusivamente dirette per ciò che riguarda la disciplina, co’
metodi e libri elementari approvati dalla Pubblica Istruzione
(…)".Ebbero così facile gioco, dopo l'invasione piemontese del 1860,
i "galantuomini", cioè i nuovi proprietari borghesi, che si
impossessarono delle terre demaniali e ecclesiastiche (solo quest’ultime
ammontavano al 40% del territorio), espropriate dai nuovi dominatori
con la legge del 1863: un enorme “lascito” che finì nelle mani dei
Piemontesi. Le terre furono vendute con aste frettolose, per fare
cassa, e così furono rastrellati risparmi e capitali meridionali,
che vennero investiti dai vincitori dappertutto tranne che nel Sud
stesso. Ne conseguì la creazione di latifondi privati scarsamente
produttivi e il conseguente immiserimento dei contadini, tanto che
dopo la sanguinosa resistenza ("brigantaggio": 1861-1866), i
superstiti degli stati d'assedio, delle stragi, delle rappresaglie e
le esecuzioni sommarie perpetrate dalle truppe d'occupazione,
cominciarono a espatriare in massa.
La mancata soluzione della
questione sociale, di proporzioni più vaste di quelle
sommariamente descritte in questa pagina, comportò per il Sud un
ruolo di sudditanza nei confronti del resto del Paese. Ma in
effetti, il Sud finanziò per più di un secolo lo sviluppo della
Penisola, senza riceverne corrispondenti benefici.
Per ben capire quello che sta sviluppando in Sicilia, nel napoletano
e nel resto d’Italia non bisogna dimenticare quello che stava
avvenendo a partire dalla fine degli anni ’30 nel resto d’Europa: la
rottura del fronte Reazionario voluto dal Congresso di Vienna e la
circolazione delle idee liberali grazie all’organizzazione di
Congressi degli scienziati
.
Nei congressi non partecipavano poeti, letterati o storici ma
egualmente si discuteva delle nuove esigenze e in seno a tali
congressi nacque la proposta di promuovere una lega doganale fra gli
Stati italiani, una sorta di mercato unico italiano, cui Ferdinando
non diede seguito temendo ripercussioni per la sua industria.
Il regno, nonostante l'energia del sovrano, non era del tutto
tranquillo, e gli echi di quanto avveniva nel 1839 in Romagna ad
opera di Giuseppe Mazzini, provocarono dei gravi disordini con
conseguente energico repulisti con l'arresto di numerosi esponenti
liberali, tra i quali Carlo Poerio e Mariano d'Ayala. Quest'ultimo,
insegnando al Collegio Militare della Nunziatella aveva fatto
numerosi proseliti tra i suoi allievi tra i quali ricordiamo Carlo
Pisacane
ed Enrico Cosenz
.
Il del Carretto li fece imprigionare in Castel Sant'Elmo.
A Cosenza invece la repressione fu più severa, in quanto si verificò
lo sbarco dei fratelli Bandiera, figli di un ammiraglio della marina
imperiale austriaca, iscritti alla Giovane Italia. Essi sbarcarono
presso Crotone per dar man forte ai ribelli di Cosenza, ma la
notizia del loro sbarco trapelò e furono prontamente catturati. Il
marchese di Pietracatella, nuovo capo della polizia, costituì una
corte marziale che li giudicò con procedura d'urgenza e li condannò
alla pena capitale insieme ad altri sette rivoltosi. Queste
fucilazioni suscitarono molte critiche a re Ferdinando, che negò la
grazia. Ma la loro fu un’azione biasimata da tutti: Mazzini fu
accusato dai moderati di sprecare inutilmente vite umane per
realizzare disegni a cui pochissimi credevano, in un momento in cui,
come notava Massimo D’Azeglio
non c’erano ancora le opportune circostanze e non c’era il favore
dell’opinione pubblica europea.
 |
Attilio Bandiera |
Le circostanze cui aspirava D’Azeglio si presentarono con l’elezione
al soglio pontificio di Pio IX (papa Mastai), i cui primi atti
lasciarono sperare che si potesse realizzare la proposta
liberal-democratica neoguelfa, la formazione cioè di una Federazione
degli Stati italiani, presieduta dal papa.
In Sicilia i primi segnali iniziarono nel 1847: nel mese di luglio
a re Ferdinando, in visita a Palermo per i festeggiamenti di santa
Rosalia, fu gettata nella carrozza, da un ignoto, una copia della
Protesta di Luigi Settembrini; nello stesso mese, Giuseppe La
Masa, a Firenze, scrive la protesta Ai fratelli italiani, agli
inglesi, ai francesi a Poi IX e la presenta a lord Minto,
ambasciatore inglese a Napoli, di passaggio a Firenze; a settembre
Messina insorge al grido di “Viva Pio IX” , ma i tafferugli
furono facilmente sedati anche perché i rivoltosi di Reggio, che
secondo il comitato rivoluzionario, dovevano insorgere insieme a
quelli di Messina non furono puntuali e si mossero tre giorni dopo.
A fine novembre a Palermo si ebbero i primi scontri con la polizia.
L'ambasciatore austriaco Schwarzenberg, chiesta udienza al sovrano,
gli rese noto che le rivolte erano favorite da alcuni suoi ministri,
che riteneva i peggiori nemici del sovrano, e in seguito a questo
colloquio, Ferdinando sostituì il suo ministro delle Finanze, l'ex
repubblicano partenopeo Ferdinando Ferri
,
con Giustino Fortunato
e costrinse a dimettersi il ministro dell’interno Santangelo. Fu
modificato tutto il governo, e sembrò che questi cambiamenti
dovessero avere dei benefici effetti, in quanto i liberali si
limitavano a fare delle pacifiche dimostrazioni gridando «Viva
Pio IX» e «Viva il re»: essi si riunivano nel Largo della
Carità, ove era il Palazzo della Nunziatura Apostolica
e battendo le mani attendevano che il Nunzio si affacciasse per
applaudire a Pio IX, il papa liberale e democratico. Il sovrano
diede ordine al del Carretto di evitare manifestazioni che potessero
disturbare la quiete pubblica, ma questi incidenti continuarono a
ripetersi assumendo maggiore gravità in Sicilia.
Arriviamo finalmente al 1848. Le iniziative fioriscono in tutta
Italia:
il 1° gennaio inizia lo sciopero del fumo a Milano, Mazzini e
Gioirti si incontrano a Parigi. I romani sollecitano un incontro con
Pio IX. Il 2 gennaio Pio I esce per acclamato dal popolo, anche se
qualche striscione recitava “Viva il papa, morte ai gesuiti!”
Il 3 gennaio a Milano ci sono i primi scontri con la polizia, con
morti e feriti e a Genova si chiede a Carlo Alberto l’espulsione dei
gesuiti ;
si va avanti così in varie città d’Italia fino al 9 gennaio quando
per le strade di Palermo viene affisso il seguente manifesto,
elaborato da Francesco Bagnasco:
Siciliani!
Il tempo delle preghiere inutilmente passò, inutili le
proteste, le suppliche Le pacifiche dimostrazioni.
Ferdinando tutto ha spezzato. E noi popolo nato libero,
ridotto fra catene e nella miseria, ardiremo ancora a
riconquistare i legittimi diritti.
All’armi figli della Sicilia!
La forza dei popoli è onnipossente: l’unirsi dei popoli è la
caduta dei re. Il giorno 12 gennaio, all’alba, segnerà
l’epoca gloriosa della universale rigenerazione. Palermo
accoglierà con trasporto quanti siciliani armati si
presenteranno a sostegno della causa comune, a stabilire
riforme ed istituzioni analoghe al progresso del secolo,
volute dall’Europa, dall’Italia, da Pio IX. Unione, ordine,
subordinazione ai capi, rispetto a tutte le proprietà. Il
furto si dichiara tradimento alla causa della patria e come
tale punito. Chi sarà mancante di mezzi ne sarà provveduto.
Con questi principi il cielo seconderà la giustissima
impresa.
Sicilia, all’armi! |
continua ...
Fara Misuraca
Alfonso Grasso
Maggio
2007
Società civile che, grazie alle sorgenti associazioni carbonare,
cominciava ad avere un potere reale! I “piemontesi” se ne
servirono e realizzarono i loro disegni di conquista. Li
realizzarono a dispetto di tanti “garibaldini” e “mazziniani”
che passarono al “brigantaggio”. Molti di quei mille che
sbarcarono con Garibaldi, si associarono in seguito alle bande
reazionarie delusi da Garibaldi. Ma che si aspettavano?
Garibaldi aveva sempre combattuto “ad ingaggio” e, secondo gli
accordi, a Teano, o lì vicino, consegnò le sue conquiste a
Vittorio Emanuele.
Bibliografia
-
Colletta, P., Storia del Reame di Napoli, introduzione di
N. Cortese, L.S.E., 1969
-
Correnti, S., Storia della Sicilia, Periodici locali
Newton, 1997
-
Di Matteo, S. Storia della Sicilia, Edizioni Arbor, 2006
-
Paternò-Castello, F. Saggio storico e politico, intr. di
Massimo Ganci,
Edizioni della Regione Siciliana,
1969
-
Quatriglio, G., Mille anni in Sicilia, Marsilio, 1996
-
Renda, F., Storia della
Sicilia, Sellerio, 2003
-
Scorfani, F. Memorie
inedite, Edizioni della Regione Siciliana, 1970
-
Trevelyan, R., Principi sotto il vulcano, Rizzoli
editore, Milano, 1977
-
Gleijeses,
V., La Storia di Napoli, Società Editrice Napoletana,
1977
|