Le Pagine di Storia

 

Il Regno Siculo-Partenopeo

Dalla Rivoluzione Francese al Congresso di Vienna

di Fara Misuraca ed Alfonso Grasso

Parte 2ª: 1799, la Repubblica Napoletana ed il primo soggiorno a Palermo di Ferdinando III

Gioacchino Toma, Luigia Sanfelice trasportata da Palermo a Napoli il 2 settembre per essere decapitata, 1884. Olio su tela, cm 114 x 177. Napoli, Museo Pignatelli

Gli effetti della Rivoluzione Francese

Negli anni immediatamente successivi alla Rivoluzione francese del 1789, in Italia molti uomini di cultura, intellettuali e borghesi si lasciarono sedurre dall’idea rivoluzionaria, tralasciando quella riformista. Pensarono che si potessero esportare dalla Francia non solo gli ideali della democrazia, ma anche le forme istituzionali, e che lo si potesse fare con l’uso della forza. Forse è il caso di guardare con indulgenza a questi pionieri, visto che l’idea di poter esportare la democrazia con la forza è perseguita ancora ai nostri giorni!

D’altro canto, gli eventi francesi misero in allarme i governi assoluti. Trono e altare si allearono per la difesa dei comuni interessi e privilegi, facendo leva sulla tradizione italiana e contando sulla religiosità e credulità di una popolazione ancora ignara dei diritti e doveri di cittadinanza.

Nel Regno siculo-partenopeo, il maggiore Stato italiano dell'epoca, la guerra civile del 1799 tra rivoluzionari e restauratori assunse dimensioni tali da lasciare una traccia indelebile. I rivoluzionari meridionali furono degli idealisti: alla prova dei fatti dimostrarono scarso senso dalla realtà, collaborando con dei "liberatori", che invece si mostravano interessati a portare via tutto il possibile. Nell’800 furono i liberali a impossessarsi in chiave anti-borbonica del loro mito, sicché si può affermare che i giacobini napoletani furono martiri due volte!

Anche il popolo meridionale uscì male dal 1799. Il sanfedismo lo screditò per la carica di barbarie e superstizione che portava. I liberali dell’800 alimentarono tale propaganda negativa, asservendola ai propri fini politici, ben diversi sia da quelli dei rivoluzionari. sia dei contro rivoluzionari del 1799, allo scopo di destabilizzare il Regno e determinarne la caduta [1]. Il discredito pesò tanto da contribuire a generare quel comune preconcetto antimeridionale che ancora oggi serpeggia in Italia.

Ferdinando e Maria Carolina a Palermo

La rivoluzione a Napoli fu vissuta come un’offesa personale dai due sovrani, Ferdinando e Maria Carolina. Specie quest’ultima era “poco illuminata”, ed ancorata alla concezione patrimoniale dello stato. Di ciò pensarono di approfittar i baroni siciliani, che videro l’opportunità di ripristinare gli antichi fasti di Palermo capitale.

Accolsero i sovrani, che non avevano mai messo piede in Sicilia a braccia aperte e si adoperarono a costruire per Ferdinando parchi e casine di caccia in terreni magnanimamente offerte dalla nobiltà. Sorsero in un batter d’occhio la Palazzina Cinese alla Favorita e il Casino di Caccia della Ficuzza [2]. L’offerta che i baroni fecero di una Sicilia quale Vandea del Mezzogiorno non ebbe tuttavia i risultati sperati. I sovrani vennero convinti a fare entrare nel governo almeno due siciliani. Furono ripristinate le cariche di corte e fu anche fatta balenare l’ipotesi di un trasferimento definitivo del re nella capitale siciliana. La direzione ministeriale rimase però nelle mani di Acton. Come osserva Rosario Romeo, la corte, invece di accattivarsene le simpatie che inizialmente erano addirittura entusiastiche, “considerò la Sicilia solo come una sorgente di imposte, i cui proventi erano dedicati in gran parte alla guerra per la riconquista del Napoletano, cioè ad un fine che il particolarismo siciliano, considerava estraneo, anzi dannoso alla Sicilia [3], infatti di lì a poco scoppiò una violenta insurrezione i cui contorni e le cui motivazioni sono tuttora nebulosi. L’unica cosa certa è che ad impugnare le armi furono i militari di basso grado arruolati dal maresciallo Jauch ed a loro si affiancarono le corporazioni artigiane dell’interno dell’Isola. Si astennero dal partecipare alla rivolta gli alti gradi militari e le corporazioni artigiane di Palermo, Messina e Catania. Le conseguenze della rivolta del ’99, prontamente sedata, furono innanzitutto la diminuzione della fiducia nel baronaggio perché dimostrò di non avere il controllo della situazione e la diffidenza perché parve impossibile alla corte che di una rivolta così estesa la classe baronale fosse completamente all’oscuro ! Si tornò quindi alla freddezza e alla diffidenza reciproca.

Disposta la spedizione del cardinale Ruffo e travolta la repubblica giacobina di Napoli i sovrani si affrettarono, con l’aiuto, non disinteressato, di Nelson [4], a ritornare a Napoli. Non solo, ma compensarono i loro paladini sottraendo sostanziosi patrimoni al Regno di Sicilia. A Nelson fu concesso, ad esempio, il titolo di duca e la ducea di Bronte, il cui patrimonio non era demanio dello stato, ma dei cittadini e del comune di Bronte [5]ed al Duca d’Ascoli i beni dell’Archidiocesi di Messina, tra le vivaci proteste dell’arcivescovo di Messina. I siciliani pertanto si sentirono traditi e truffati.

Horatio Nelson

Come vedremo, la rottura tra Napoletani e Siciliani divenne irreversibile dopo che in seguito alla battaglia di Austerliz (1805), il regno di “Napoli” fu nuovamente occupato dai francesi [6] e si rese necessario un nuovo trasferimento della corte borbonica a Palermo. Tale soggiorno durerà fino al giugno 1815 e fu più gravoso e meno gradito.

La rivoluzione a Napoli

Ma facciamo un passo indietro per seguire gli avvenimenti di Napoli, successivi alla partenza del re alla volta di Palermo.

Non appena si sparse a Napoli la notizia della tregua chiesta dal Vicario ai Francesi, iniziarono tumulti ed il Sedile del Popolo, riunito in San Domenico Maggiore, non riconobbe l'armistizio. I "lazzari" si impossessarono con la forza delle armi, assaltando i depositi militari, e liberarono i carcerati. Esautorato il generale austriaco Mack, il 16 gennaio 1799 fu creata la milizia popolare. [7]

Il Vicario fuggì in Sicilia, dove fu messo agli arresti. Il 19 e 20 gennaio iniziarono gli scontri tra i lazzari ed i francesi del gen. Championnet, che dovettero conquistare la città palmo a palmo [8]. Alcuni di aristocratici, considerati filofrancesi, vennero giustiziati, altri fuggirono. Mentre i lazzaroni si battevano, i giacobini napoletani si impossessarono di Castel Sant'Elmo [9]. Issarono la bandiera francese e cominciando a cannoneggiare le postazioni dei lazzari. Il 21 gennaio lo Championnet ordinò l’attacco [10]: i popolani continuarono a battersi per tre giorni. Gli scontri più sanguinosi avvennero a Porta Capuana e verso il Ponte della Maddalena. Intanto, il 22 gennaio i giacobini di Castel Sant'Elmo proclamavano la Repubblica Napoletana.

Lo stesso gen. Championnet, nella relazione al Direttorio, riconobbe il valore dei napoletani. Viste le bandiere francesi sventolare su tutte le fortezze, il 23 gennaio 1799 i lazzari posero fine alla resistenza. Nei combattimenti, i francesi ebbero circa 1.000 morti, mentre il numero dei caduti napoletani non fu accertato.

La Repubblica Napoletana

Il gen. Championnet ordinò al clero di aprire le chiese e di predicare pace e ordine. Il 24 gennaio istituì il governo provvisorio, scegliendone personalmente i membri [11] e sottolineando l'esigenza di fedeltà alla Francia [12]. Il giorno dopo sciolse i Sedili. Si recò quindi in Duomo, dove avvenne il miracolo della liquefazione del sangue di San Gennaro, come sollecitato dal generale. Quello stesso giorno a Palermo Ferdinando nominò Vicario il Cardinale Fabrizio Ruffo, affidandogli il compito di liberare le province del Regno invase dai Francesi. [13]

Il gen. Championnet assiste al Miracolo della Liquefazione. Anonimo, olio su tela, Museo del Tesoro di San Gennaro (v. nota)

Nella Repubblica, tutti i decreti e le deliberazioni dovevano ricevere il placet di Championnet, che impose alla città di Napoli una “contribuzione” immediata di 2,5 milioni di ducati, ed una di 15 milioni di ducati alle Province. La Repubblica fu così costretta a subissare di tasse le popolazioni, e le condizioni del popolo si immiserirono. Incominciò, spontaneo, un movimento di guerriglia antifrancese, che gli occupanti chiamarono "brigantaggio". [14]

La Repubblica non fu riconosciuta da nessuna potenza, Francia compresa! [15]

Venne preparata la Comitato legislativo la Costituzione. Furono piantati alberi della libertà, aboliti i titoli nobiliari, proclamata la libertà di stampa, adottato il calendario rivoluzionario (pratile, pomodoro ecc.), cambiati i nomi dei quartieri (Umanità, Monte Libero, ecc.), delle piazze e dei teatri ... Ma i napoletani furono esasperati dal brutale comportamento e dalle continue spoliazioni dei francesi.[16]

La situazione si aggravò con l’arrivo, il 29 gennaio del commissario politico, Faypult, munito di pieni poteri. Questi prese possesso in nome della Francia dei beni ecclesiastici, di quelli della Corona, del Demanio, degli ordini cavallereschi, di coloro che avevano seguito il Re, dei cittadini di nazioni in guerra con la Francia. Divennero beni di proprietà della Francia: la Tesoreria, la Zecca, le regge, i castelli e le fortezze, i porti, gli arsenali, i monti di pietà, le banche, le industrie, i musei, le biblioteche, la dogana, le saline di Barletta, le abbazie, gli scavi di Pompei, le porcellane di Capodimonte ecc. Championnet, accusato di debolezza, venne sostituito dal gen. Macdonald, che dichiarò Napoli terra di conquista.

Mario Pagano

Ed il governo napoletano? Elogiò la condotta del MacDonald presso il Direttorio! Un atteggiamento che non lo salvò dallo scioglimento, decretato dai francesi il 15 aprile, a causa della scarsa raccolta delle “contribuzioni”. Il 15 pratile (3 giugno) la commissione legislativa di Mario Pagano attivò il Tribunale Rivoluzionario. che "procedeva secondo l'intelaiatura processuale del terribile Robespierre" [17]. Il 13 giugno furono condannati a morte i fratelli Gennaro e Gerardo de Gasero Baccher ed i fratelli Ferdinando e Giovanni La Rossa, arrestati per aver tentato un colpo di mano lealista [18].

Ruffo riconquista Napoli

Il 7 febbraio, Fabrizio Ruffo era sbarcato nella “sua” Calabria. In pochi giorni riunì migliaia di uomini. Il cardinale possedeva carisma: issò un vessillo bianco, con il motto In hoc signo vinces, i gigli borbonici e la Croce, simbolo della Santa Fede [19]. Indossò egli stesso un cappello con una croce bianca e partì da Pizzo il 13 febbraio, lanciando un proclama per sollevare le popolazioni in difesa della religione e della monarchia. In breve si unirono al Ruffo decine di migliaia di uomini, ovviamente di tutte le risme. Confiscò i terreni dei nobili, fra i quali suo fratello Vincenzo, che avevano aderito alla Repubblica. Il 25 marzo arrivò a Crotone, che era stata messa al sacco dalle bande sanfediste irregolari. Man mano che avanzava, si univano a Ruffo anche città e personalità che avevano aderito alla Repubblica [20]. Il 5 maggio era a Matera. I repubblicani contrattaccarono in Puglia [21], dove avvennero forse i fatti più sanguinari.

Francesco Caracciolo

Il 7 maggio 1799 l’evento decisivo: a seguito della sconfitta del gen. Chérer in Lombardia, l'esercito francese fu richiamato nel nord. A Napoli rimase una guarnigione di 5.400 uomini, comandati dal gen. Méjan. I sanfedisti strinsero d’assedio Napoli. A difesa della città intervenne anche l'ammiraglio Francesco Caracciolo, passato nel febbraio precedente alla Repubblica, cannoneggiando dal mare i sanfedisti con la piccola flotta repubblicana. Il 13 giugno, festa di Sant’Antonio [22], il Cardinale Ruffo entrava in Napoli, ed offrì al generale francese onorevoli condizioni di resa, che vennero accettate. Offrì un patto anche ai rivoluzionari napoletani affinché fossero liberi "di restare nel Regno sicuri di ogni persecuzione, o di partire, se questa sia la loro volontà, su navi provvedute dal governo del Re" [23]. I repubblicani chiesero a Ruffo il previo riconoscimento della Repubblica, ed il Cardinale acconsentì: l'unico che riconobbe la Repubblica Napoletana, alla fine risultò essere proprio il Cardinale Fabrizio Ruffo!

Fabrizio Ruffo

I repubblicani si prepararono ad imbarcarsi, ma nel frattempo, il 24 giugno, giunse nel porto di Napoli l’ammiraglio Nelson con la flotta inglese. Da vero padrone della situazione, dichiarò "infame" il patto sottoscritto da Ruffo. Fece impiccare l'ammiraglio Caracciolo, prigioniero di guerra, al pennone della nave inglese. Il cadavere fu buttato in mare [24]. Ruffo protestò per il mancato riconoscimento del trattato di capitolazione, ma Nelson gli fece rispondere dalla sua amante lady Hamilton che non era dignitoso per un ammiraglio inglese parlare troppo a lungo con un prete cattolico.

Anonimo, 1799, la presa di Ischia

Ruffo cercò allora di convincere i repubblicani a consegnarsi a lui, promettendo di farli espatriare via terra. Allora Nelson ricorse all’inganno: comunicò che si sarebbe attenuto al trattato. Ma appena i rivoluzionari si imbarcarono, Nelson li fece arrestare. Il 9 luglio Ferdinando giunse a Napoli e ratificò l'operato di Nelson. Circa 120 repubblicani vennero processati e giustiziati nei mesi seguenti. Tra di essi, Eleonora Fonseca Pimentel [25], Gennaro Serra, Giuliano Colonna ed il principe di Torella.

Eleonora Fonseca Pimentel

Secondo le valutazioni del generale francese Paul Thiébault, riportate nelle "Memorie", perirono circa 60 mila uomini nella guerra civile del 1799.

Il Cardinale Ruffo venne emarginato appena possibile. La storiografia è stata tutt'altro che benevola verso la sua figura, sottolineando gli aspetti deteriori e gli eccessi del sanfedismo.

Fara Misuraca, Alfonso Grasso

dicembre 2006

Parte I: 1798, La fine del sogno illuminista

Parte III: 1806, l'esilio siciliano di Ferdinando III


Note

[Il quadro] Si tratta di un dipinto di recente ritrovamento, presentato a Napoli il 19 maggio 2009. La foto ci è stata concessa dalla autrice, prof.ssa Pina Catino, che ringraziamo.

[1] L'esempio più clamoroso di propaganda negativa fu rappresentato dall’accusa del ministro inglese Gladstone che nel 1851 definì il Regno la “negazione di Dio”.

[2] Il progetto del palazzo venne affidato all'ingegnere Carlo Conchi ma fu il famoso architetto Venanzio Marvuglia ad apportare una serie di correzioni stilistiche e a completarlo nel 1807. Il Casino di caccia è immerso in uno dei boschi più estesi di Sicilia (circa 8 mila ettari di vegetazione. Segue linee neoclassiche ma ha anche un solido impianto strutturale, con spesse mura e un tetto a falde inclinate adatto a sopportare i rigori dell'inverno montano. Ha pianta rettangolare ed è sovrastato da un gruppo scultoreo raffigurante il dio Pan e la dea Diana con al centro il blasone borbonico. Intorno ad esso nell'800 si sviluppò un villaggio abitato dalle famiglie dei guardaboschi e dei guardacaccia.

[3] R. Romeo, Il risorgimento in Sicilia, Bari, 1950, p. 122.

[4] Nelson soffocò la repubblica nel sangue (fece impiccare 99 rivoluzionari, tra i quali l’ammiraglio Francesco Caracciolo) e molti lo criticarono ascrivendone la colpa a Lady Hamilton, la bella Emma Liona, definita da molti “funesta amante”. Ma è usanza di molti biografi incolpare delle “malefatte” degli “eroi” le donne che gli stanno a fianco piuttosto che ammetterne la vera indole. Io credo tuttavia che il comportamento di Nelson più che dalla bella Emma fosse stato dettato da Maria Carolina che, non dimentichiamolo, era sorella di Maria Antonietta, ed era inorridita dal “Terrore” e ce l’aveva a morte con i giacobini per i fatti di Parigi.

Lady Hamilton

[5] La terra di Bronte per l’esattezza apparteneva all’Ospedale Grande e nuovo di Palermo, e contava allora una popolazione di circa 9500 abitanti. La concessione dello stato di Bronte col titolo di Duca e col diritto di sedere in parlamento nel braccio militare, comprendeva il diritto di”mero e misto imperio”, cioè la giurisdizione civile e criminale, lo jus gladii.

Nella storia delle concessioni feudali, […] è rimasta celebre questa di Ferdinando III a Nelson, nella quale innalzando la terra a Ducea si abbassarono i cittadini a vassalli, da liberi che s’eran fatti con sacrifici pecuniari enormi e rovina del proprio Comune per la compra del mero e misto impero […]. Così Bronte per la favola del nome ebbe l’onore della Ducea e confermata la sventura del vassallaggio, appunto come il cane a cui il padrone mette al collo una bella catena di argento o di oro.”(Benedetto Radice, Le memorie storiche di Bronte). Solo nel 1981 il comune di Bronte è riuscito a ricomprare la ducea dal duca Alexander Nelson Hood, ultimo discendente della famiglia, ponendo così termine alla presenza dei Nelson nel paese siciliano e soprattutto cancellando l’ultimo residuo di feudalesimo, almeno sulla carta.

[6] Fu proclamato re di Napoli in un primo tempo Giuseppe Bonaparte e successivamente Gioacchino Murat, rispettivamente fratello e cognato di Napoleone.

[7] La difesa della città fu affidata al colonnello Girolamo Pignatelli, principe di Moliterno ed a Lucio Caracciolo, duca di Roccarommana. Il generale austriaco Mack, già comandante dell'esercito napoletano, per sfuggire all’ira popolare, indossò la divisa austriaca e si consegnò al comandante francese, gen. Championnet, dal quale ricevette un salvacondotto. Sperava così di raggiungere il territorio austriaco; ma i salvacondotti in quell’epoca non avevano un grande valore, tanto che Mark fu arrestato a Bologna e deportato a Digione.

[8] Tra i difensori si distinsero due popolani, Paggio, mercante di farine, e Michele "il Pazzo", servo di un vinaio.

[9] Trentuno rivoluzionari napoletani, tra cui Vincenzo Pignatelli di Strongoli, Vincenzo Pignatelli dei principi di Marsico, Vincenzo e Giuseppe Riario dei duchi di Corleto, travestiti e con il pretesto di rafforzare la guarnigione, si introdussero nella fortezza, presidiata da 158 tra soldati e lazzari capitanati da Luigi Brandi. Il comandante del forte, Nicola Caracciolo, era segretamente d’accordo con i giacobini ed aveva mandato in perlustrazione la maggior parte della guarnigione. Con il loro ingresso, il comandante riuscì a far disarmare gli altri soldati, e fece chiudere in prigione Brandi.

[10] La colonna del gen. Dufresse avanzò verso Capodimonte. Quella del gen. Duhesme verso Porta Capuana.

[11] La presidenza della Repubblica fu affidata al Laubert, un ex prete, di nazionalità francese, che in aprile fuggirà con la cassa della Repubblica. Un altro francese, Jullien, fu nominato segretario.

[12] Disse: "Pensate che i suoi [della Francia] sospiri saranno i vostri martirii; e se ella vacilla, voi cadrete".

[13] Il Cardinale Fabrizio Ruffo (16 settembre 1744, San Lucido CS - 13 dicembre 1827, Napoli) cardinale diacono del titolo di Sant'Angelo in Pescheria, era un uomo risoluto, ponderato e sapeva cogliere le opportunità che gli si presentavano. Apparteneva ad una delle più antiche famiglie del Regno, i Ruffo dei duchi di Baranello e Bagnara, ed in precedenza era stato responsabile della colonia di San Leucio.

[14] Circa sessanta anni dopo, altri occupanti di lingua francese, i piemontesi del Regno sabaudo, useranno lo stesso termine per bollare gli insorti contro la loro invasione.

[15] Ai primi di febbraio 1799, il governo della Repubblica aveva mandato al Direttorio una deputazione composta da Girolamo Pignatelli di Moliterno e da Marcantonio Doria, principe di Angri ma i deputati non furono neppure ricevuti. Questo fatto fece ammettere allo storico Vincenzo Cuoco, che pur aveva preso parte alla rivoluzione, che “il nostro fu un governo illegale”.

[16] "È cattiva la condotta dei Generali francesi e di quei che si sono posti alla testa degli affari. Tanto belle promesse di felicità, e libertà ed intanto siamo più infelici e schiavi di prima. I dazi e le imposizioni sono le stesse. Il numerario manca come prima. I viveri sono rari oltremodo; la tassa angustia tutti coloro che avevano qualche comodo; e ciò si rifonde anche a danno del restante della popolazione, perché chi meno ha meno spende: la gente non è impiegata, quelli che erano in corte non trovano padroni, gli artieri non hanno da poter fatigare, in conseguenza quelli che erano i malcontenti crescono e quelli che desiderarono la mutazione di governo ora hanno cangiato linguaggio. I francesi ufficiali per le case dei particolari finiscono a disgustare con le loro impertinenze e, se non altro, col peso che recano a chi deve darli quanto li bisogna per alloggio e mangiare, e non si contentano di poco. I soldati non lasciano di commettere impertinenze, e questo la Nazione non lo soffre. La Religione che si promise di non toccarsi, il Popolo crede che si vilipenda, perché i soldati francesi non hanno rispetto né per le chiese, né pel Santissimo, quando lo incontrano per Napoli.... I preti si veggono arrolati nella milizia urbana, si sente pubblicamente insegnare lo scioglimento dei voti, il matrimonio dei preti, il ripudio e il divorzio...". [Carlo De Nicola, Diario Napoletano. 1798 – 1825, Napoli, Società Napoletana di Storia Patria, 1906].

[17] Vincenzo Cuoco, Saggio storico sulla rivoluzione napoletana del 1799. Il Tribunale Rivoluzionario si componeva di 5 membri e giudicava all'istante, a maggioranza, senza appello, senza garanzie.

[18] Gerardo Baccher, ufficiale del Re, aveva organizzato un colpo di mano lealista, ma commise una leggerezza: per proteggere la sua bella amante, Luisa De Molino, moglie di Andrea Sanfelice dei duchi di Lauriano, le consegnò un salvacondotto. La Sanfelice, per salvare un altro suo amante, il giacobino Ferdinando Ferri, consegnò il biglietto a quest'ultimo. Ferri si confidò con Vincenzo Cuoco, altro amante nonché avvocato della Sanfelice. Nella notte del 5 aprile tutti i membri della famiglia Baccher furono arrestati, così pure i fratelli Ferdinando e Giovanni La Rossa e Natale d'Angelo, appartenenti all'unione lealista del Molo Piccolo. Nei giorni successivi finirono in prigione molte altre persone, sospette di cospirazione, fra cui il duca di Colabritto. Luisa Sanfelice fu acclamata salvatrice della Repubblica, guadagnandosi le lodi di Eleonora Fonseca, che dal suo "Monitore", il giornale della Repubblica, diede ampio risalto al gesto "patriottico" della donna, che invece le costerà la testa al rientro del Borbone.

[19] Perciò il suo esercito fu chiamato Armata Cristiana e Reale, o semplicemente “sanfedista”.

[20] Tra i notabili repubblicani che chiesero e ottennero perdono dal Cardinale, ci fu il principe di Moliterno che, nominato comandante dell'esercito dai popolani nel gennaio 1799, era poi passato alla Repubblica.

[21] I francesi presero Troia, Lucera, Bovino, Foggia e San Severo. Il 16 marzo giungeva il gen. Broussier conquistò Barletta ed Andria, che venne abbandonava al saccheggio. Fecero allora atto di sottomissione Giovinazzo, Bisceglie e Molfetta. Trani volle resistere, ma il 1° aprile venne assalita e saccheggiata dai Francesi. Bari, all'avvicinarsi dei Francesi, fu abbandonata dalle bande sanfediste, che si ritirarono a Casamassima, dove però furono raggiunte e massacrate da Broussier. Il 5 aprile i francesi presero anche Mola, Monopoli, Fasano ed Ostuni.

[22] Patrono della città in sostituzione di San Gennaro, “reo” di aver compiuto il miracolo su imposizione dello Championnet.

[23] Cesare Spellanzon, Storia del Risorgimento e dell'Unità d'Italia, Rizzoli.

[24] Recuperate da pescatori, le spoglie di Caracciolo furono tumulate nella chiesa di Santa Maria della Catena, a Santa Lucia.

[25] Eleonora al momento dell'arresto era travestita da ufficiale francese. Nonostante non si fosse macchiata di reati di sangue, e che nel processo fosse difesa da 2 eminenti avvocati, Gaspare Vanvitelli e Girolamo Moles, che si impegnarono strenuamente, fu condannata alla massima pena, in quanto riconosciuta colpevole di insurrezione armata. Il 20 agosto fu giustiziata in piazza del Mercato dal boia Tommaso Paradiso. Venne sepolta nella monumentale chiesa di Santa Maria di Costantinopoli.


Bibliografia

  • Gleijeses Vittorio, La Storia di Napoli, Società Editrice Napoletana, 1977

  • De Nicola Carlo, Diario Napoletano. 1798 – 1825, Napoli, Società Napoletana di Storia Patria, 1906

  • Cuoco Vincenzo, Saggio storico sulla rivoluzione napoletana del 1799, Editore Laterza, 1980

  • Spellanzon Cesare, Storia del Risorgimento e dell'Unità d'Italia, Rizzoli, 1965

  • Romeo Rosario, Il Risorgimento in Sicilia, Laterza, 1950

  • Correnti Santi, Storia di Sicilia, Editori Riuniti

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