Le pagine di Napoli

Napoli, Palazzo Reale

di Alfonso Grasso

La storia

Con la sua armoniosa struttura, Palazzo Reale domina Largo di Palazzo, l’odierna piazza Plebiscito. La costruzione della Reggia fu decisa alla fine del secolo XVI, in previsione di una visita di re Filippo di Spagna, per sostituire il preesistente Palazzo Vecchio, realizzato nella prima metà del ‘500 dagli architetti Ferdinando Maglione e Giovanni Benincasa e decorato da artisti quale Giovanni Tommaso Villani. Il progetto del nuovo Palazzo fu affidato, tra il 1593 ed il 1600, all'architetto Domenico Fontana [1], «ingegnere maggiore» del Regno, dal vicerè Ferrante Ruiz de Castro y Andrada conte di Lemos. Si iniziò a porre mano ai lavori nel 1600 ed il cantiere rimase aperto per oltre cinquant'anni. Dopo la sua costruzione il Largo si chiamò appunto «di Palazzo» mentre piazza San Ferdinando (oggi Trieste e Trento) era chiamata Largo di Santo Spirito.

La nuova Reggia era costituita da tre corpi, quello principale che si affacciava su Largo di Palazzo, quello verso il mare e quello settentrionale rivolto dove ora è il Teatro San Carlo. Il Palazzo fu adibito a residenza dei vicerè [2] che in quell’epoca reggevano il Regno di Napoli per conto del re di Spagna. Durante il successivo periodo dei vicerè austriaci (1713-1734), l'importanza della reggia scemò sensibilmente. Con la riacquistata indipendenza per opera di Carlo di Borbone, il palazzo conobbe finalmente il suo massimo splendore.

Il re e la regina Maria Amalia [3], fecero apportare migliorie e il Palazzo fu impreziosito da decorazioni ed affreschi eseguiti dai migliori artisti dell’epoca [4]. Con Ferdinando IV, grandi furono i festeggiamenti il 7 aprile 1768 in occasione delle nozze con Maria Carolina d'Austria. Nel 1778, fu portata a Palazzo Reale la fabbrica napoletana di arazzi, in precedenza dislocata a San Carlo alle Mortelle, che durante i moti della Repubblica Napoletana del 1799 andò distrutta quasi del tutto. Durante il decennio dei Napoleonidi la reggia fu oggetto di cure ed attenzione: gli appartamenti furono arricchiti di mobili e suppellettili francesi, che Carolina Bonaparte aveva portato con sé dall'Eliseo. La sorella di Napoleone fece rivestire il suo appartamento di raso bianco e specchi, e trasformare il «boudoir» e le «toilettes».

Le modifiche architettoniche

Nel corso degli anni, Palazzo Reale fu restaurato ed ampliato più volte. Nel Settecento Luigi Vanvitelli, a seguito di problemi statici, ne modificò il portico chiudendo alternativamente gli archi della facciata per rafforzare le strutture murarie. Nel 1888, dopo l’Unità d’Italia, nelle arcate chiuse verranno collocate le statue dei re di Napoli, da Ruggero II ai Borbone [5] nonché quella di Vittorio Emanuele. L’intervento maggiore fu quello dell’architetto Gaetano Genovese che, dopo l'incendio nel 1837, apportò sostanziali trasformazioni neoclassiche all'edificio, rielaborando lo scalone monumentale, aggiungendo il cortile del Belvedere sul lato meridionale ed il giardino pensile. La mole complessiva dell’edificio aumentò considerevolmente con la realizzazione di corpi di fabbrica ai lati e alle spalle, formando un complesso architettonico abbastanza omogeneo. Dopo l'incendio, i sovrani abitarono al secondo piano, mentre il primo venne usato per le feste e per la «pompa dei baciamani». Tutti gli ambienti e le sale furono decorati dai migliori artisti dell'epoca. Gli stucchi furono eseguiti da Andrea Cariello e Cosimo De Rosa, i saloni modellati da Gennaro Aveta, i soffitti affrescati da Giuseppe Cammarano, Filippo Marsegli, Camillo Guerra e Gennaro Maldarelli, mentre gli stucchi in bianco ed oro furono eseguiti da Costantino Beccalli e Gennaro De Crescenzo. Il secondo piano fu arricchito di suppellettili e dipinti dell'800 fra i quali spiccano i paesaggi di Filippo e Nicola Palizzi e di Consalvo Carelli, e fu destinato, come si è detto, ad appartamento privato dei sovrani.

Gli ultimi restauri risalgono al 1994, allorché il Palazzo ospitò i lavori del "vertice" del G7 (i Sette Paesi più industrializzati del Mondo). La facciata e l'esterno conservano la forma originaria, tranne che per i balconi che prima erano isolati e poi furono uniti in un'unica loggia. Al piano terra del Palazzo si aprono tre ingressi. Nell'atrio, presso il bellissimo scalone d'onore secentesco del Picchiatti, rielaborato dal Genovese, vi è una porta in bronzo che proviene dal Maschio Angioino. Tra gli altri ambienti interni più significativi il Salone Centrale, il Salone del Trono ed il Salone d'Erede che, assieme a numerose altre sale dell'Appartamento Reale, costituiscono il Museo dell'appartamento storico di Palazzo Reale. Tra le numerose opere si distinguono quelle eseguite dal Tiziano, dal Guercino, da Andrea Vaccaro, da Mattia Preti, dallo Spagnoletto, da Massimo Stanzione e da Luca Giordano.

La visita del Palazzo ha inizio dall’ingresso centrale che da accesso al primo cortile, sostanzialmente rimasto come era nel disegno originario del Fontana. Si accede al primo piano attraverso il maestoso scalone costruito dal Picchiatti nel 1653, ai cui lati si ammirano quattro statue raffiguranti la Giustizia, la Fortuna, la Clemenza, e la Prudenza, rispettivamente opere di Gennaro Calì, Antonio Calì, Tito Angelini e del Solari. La balaustra e la scalea stessa furono restaurate dal Genovese dal 1838 al 1842 con marmi policromi di Trapani, di Vitulano e di Sicilia. Alla sommità dello scalone vi è una loggia che gira intorno al cortile e da accesso all'Appartamento Storico. Subito a destra vi è invece l'ingresso al Teatro di Corte.

Il Teatro della Corte

In origine Gran Sala, fu trasformata in teatro dai vicerè, a cui piacevano gli spettacoli teatrali, ma per questione di decoro dell’epoca non potevano recarsi nei teatri pubblici. Sotto i vicerè conte di Lemos, duca d'Ossuna, duca d'Alba, e conte di Monterey, furono rappresentate farse e commedie in spagnolo, in italiano e in napoletano. Sotto il vicerè conte di Monterey ogni lunedì a palazzo vi era una diversa rappresentazione teatrale che destava ammirazione, oltre che per la bravura degli attori anche «per i sollazzevoli intermedi e le macchine giranti» [6]. Nel 1631 [7] fu rappresentata per la prima volta a Napoli una commedia in musica, nel locale a piano terra adibito «per giuoco della palla». I migliori attori del tempi calcarono il palcoscenico del teatro di corte, fra cui Geronimo Favella, il Frittellino (Pier Maria Cecchino), Silvio Fiorillo, Gabriello Costantino, Giulia de Caro e quasi tutte le maschere napoletane con a capo Pulcinella, don Anselmo Tartaglia e Coviello.

Con la venuta di Carlo di Borbone, il teatro conobbe il suo periodo aureo: la sala fu arricchita di lampadari e specchi. Nel 1768 l’architetto Ferdinando Fuga ebbe l’incarico di trasformarlo in un teatro di corte vero e proprio. Le pareti furono dotate di lesene con capitelli dorati e mensole, fu creata una grande balaustra adornata con maschere dorate ed al centro fu messo il palco reale. Nel 1789 il soffitto fu affrescato da Antonio Dominici, Giovan Battista Rossi e Crescenzo La Gamba, mentre in dodici nicchie furono poste le statue di Angelo Viva rappresentanti le Muse, Apollo, Minerva e Mercurio.

I bombardamenti anglo-americani del 1943 causarono disastri: andò distrutta la volta del teatro, ma si salvarono le statue del Viva. Per un certo tempo il Teatro di Corte fu addirittura adoperato per gli spettacoli per le soldatesche, e solo nel 1950 furono iniziati i lavori di restauro: si cercò di restituire al teatrino l'originaria linea settecentesca provvedendo alla ricostruzione del tetto e del palcoscenico ed al restauro delle decorazioni della sala, scrostando il rivestimento di cemento messo dagli alleati e rispettando le parti non colpite. Essendosi rivelato impossibile riprodurre fedelmente il soffitto, i pittori napoletani Vincenzo Ciardo, Antonio Bresciani, Alberto Chiancone e Francesco Galante, riuscirono a compiere un’opera decorosa: la decorazione centrale, di Francesco Galante, raffigura Anfitrite e Poseidone: vi sono inoltre dei Paesaggi del Chiancone, di Antonio Bresciani e del Ciardi, mentre i putti e gli amorini sono di Cesare Maria Cristini. Si provvide in seguito a dotare il palcoscenico di un gran sipario di velluto ed a tutte le rifiniture necessario al completo restauro, dopo di che il teatrino di corte ha potuto riprendere a funzionare.

L’appartamento storico

Nella I Sala, l’affresco del soffitto è di Francesco De Mura [8], le finte prospettive di Vincenzo Re, i due bellissimi arazzi in lana e seta alle pareti sono opere di Behagle e Latour della fabbrica di Gobelin: raffigurano l’Aria e il Fuoco. Completano l'arredamento mobili rococò, specchiere, orologi, candelabri e vasi di porcellana francese. Il balcone di questa sala è quello centrale della Reggia, a cui si affacciavano i reali.

La II Sala ha nel soffitto affreschi di Belisario Corenzio che illustrano le glorie della casa aragonese. Nei sei scomparti si possono ammirare i seguenti dipinti: Genova che offre le chiavi ad Alfonso d'Aragona, L'ingresso trionfale di Alfonso nella città di Napoli, Offerta ad Alfonso dell'Ordine del Toson d'Oro, Alfonso mecenate delle Arti e delle Lettere, Ad Alfonso il pontefice Eugenio da l'investitura delle terre conquistate. Alle pareti un dipinto di Giuseppe Ribera raffigurante la Vergine che mostra il Bambino a San Brunone, uno di Massimo Stanzione raffigurante la Vestizione di Sant 'Ignazio, un Orfeo che incanta gli animali di Gherardo Delle Notti ed un San Giovanni Battista della scuola di Guido Reni.

Nella III Sala, vi sono due grandi paesaggi della scuola di Paolo Bril, pittore nato ad Anversa nel 1354. Nella volta si ammira una Minerva che premia la Virtù di Giuseppe Cammarano, e sulla parete centrale un settecentesco arazzo del 1763 del Durante. Seguono un Gesù tra i dottori di Giovanni Antonio Galli e le Estasi di San Giuseppe del Guercino.

La IV Sala, quella del Trono, ha gli stucchi opera di Camillo Beccalili, i bassorilievi alle pareti raffiguranti le 12 Province del Regno del Cariello e del De Rosa; il trono ed il baldacchino furono eseguiti intorno al 1853. Di fronte al baldacchino vi è un'opera preziosissima: il Ritratto di Pier Luigi Farnese del Tiziano.

La Sala V “degli Ambasciatori” è riccamente arredata con mobili e divani impero. Anche qui troviamo quattro magnifici arazzi che raffigurano La morte dell'Ammiraglio Coligny nella notte di San Bartolomeo, di P.F. Cozette e II duca di Sully ferito, di Vincent del 1786. Di fronte ai primi vi sono gli altri due arazzi Gobelin che completano la serie degli Elementi, con quelli della prima sala: raffigurano la Terra e il Mare. Gli ultimi due sono  il Ritratto di dama del Laniée e il suonatore di flauto di Alexis Grimou. La decorazione della volta è di Belisario Corenzio, suddivisa in quattordici scomparti rappresentanti I fasti militari della casa reale di Spagna. Sulle pareti troviamo numerosi altri quadri [9].

La Sala VI è chiamata “di Maria Cristina” perché fu la camera da letto della regina Maria Cristina di Savoia, prima moglie di Ferdinando II di Borbone. La sala aveva affreschi di Francesco De Mura che durante l'occupazione militare americana furono totalmente distrutti: attualmente vi sono un Ritratto di Cardinale forse del Baciccia, una Circoncisione di Belisario Corenzio, Gli usurai di Marinus Claesz, una vecchia copia della Sacra famiglia di Filippino Lippi. Davanti ai balconi vi sono due imponenti vasi di Sèvres con vedute del Parco di Monfontaine di Saint Germain; sulle consolles fanno bella mostra due orologi francesi impero e quattro vasi di bronzo dorato, opere del parigino Filippo Thomire. Adiacente alla sala vi è la Cappellina privata di Maria Cristina di Savoia, che ha un grazioso altare barocco in legno dipinto e tre tele di Francesco Liani.

La VII sala riportò gravi danni durante l'occupazione militare americana. Si ammira nella volta La vittoria di Consalvo de Cordova attribuita a Belisario Corenzio; al centro un grazioso tavolo da lavoro settecentesco, dono della regina di Francia Maria Antonietta alla sorella Maria Carolina regina di Napoli. Alle pareti un bell'arazzo di Pietro Duranti del 1766, raffigurante la Purità e dodici tavole con i Proverbi illustrati. Ancora un Paesaggio di Jan Sons. Ai lati del balcone vi sono una Veduta di Venezia attribuita al Marieschi, due Marine di Carlo Growenbrock, che fu pittore di corte di Luigi XV e due Paesaggi del napoletano Gaetano Martoriello.

L'VIII sala, con l’affresco del napoletano Gennaro Maldarelli raffigurante Re Tancredi che rimanda Costanza ad Arrigo VI, ha alle pareti un Vasari, il Ritratto di giovanotta di Sofonisba Anguissola, il Calvario e la Vergine con Bambino di Andrea Sabatini, la Crocifissione di Francesco Curia. Su una mensola, un settecentesco orologio inglese di Carlo Clay. In mezzo alla sala, vi è una splendida fioriera con delicate pitture rappresentanti Pietroburgo e Fontainebleau, dono dallo zar Nicola I di Russia a Ferdinando II.

Nella Sala IX, chiamata delle Guardie del Corpo, si formava la guardia d'onore costituita da nobili napoletani. Alle pareti vi sono i grandi arazzi napoletani, intessuti dal 1746 al 1750, raffiguranti L'Aria, Il Mare, L'Acqua e La Terra.

La sala X fu affrescata da Gennaro Maldarelli sul tema Ruggiero il Normanno che sbarca a Palermo. Vi è inoltre una libreria impero di costruzione napoletana. Alle pareti si può ammirare la Galateo di E.H. Montagny del 1812, Lucrezia di Massimo Stanzione, e un paesaggio di Francesco Pergola.

Nell'XI Sala vi sono molti quadri di pittori napoletani: il Figliuol Prodigo di Mattia Preti; Orfeo e le baccanti e L'incontro di Rachele con Giacobbe di Andrea Vaccaro; Lot e le figlie di Massimo Stazione; Gesù fra i dottori di G.A. Galli detto lo Spadarino, la testa di Apostolo di Cesare Francanzano, Davide e Golia di Giovanni Lys.

Nella Sala XII vi sono dei quadri dipinti raffiguranti Scene di don Chisciotte di Antonio Guastaferro, Antonio Dominici, Giuseppe Bonito e Benedetto della Torre. Altri due dipinti raffiguranti Gli invitati straordinari del sultano furono eseguiti per Carlo di Borbone da Giuseppe Bonito.

La XIII Sala offre al visitatore soprattutto opere di pittori esteri: Giovanni Massijs, Vigèe Lebrun, Abramo Van Der Temple da Leeuwarden, Ludolf de Yong, Abraham Tempel, Nicola Maes, Alessio Grimou, e paesaggi di Viviano Codazzi, Luigi Rocco e Gabriele Smargiassi.

La sala XIV contiene i ritratti di Augusto III di Sassonia e Giuseppina d'Austria di G. Doyen, Ferdinando IV del Camuccini, Barbara Maddalena, regina di Spagna, di ignoto, Ranuccio Farnese di Giacomo Denys.

La XV Sala presenta dipinti a carattere sacro: Gesù sotto la croce di Giorgio Vasari, Calvario di un discepolo di Andrea Sabatini, San Francesco attribuito a Carlo Dolci, Sacra famiglia e San Giovanni Battista e Carità di Bartolomeo Schedoni, San Giuseppe in estasi della scuola del Guercino.

Nella Sala XVI nature morte del sec. XVII e XVIII. La Sala XVII, o salone dei Ricevimenti, dopo l’incendio del 1840 fu chiamata Sala d'Ercole perché vi era un modello dell'Ercole Farnese. I grandi lampadari di Murano che illuminavano questa sala furono distrutti dagli americani durante l'occupazione militare (Mussolini tra il 1940-41 aveva dichiarato guerra a U.S.A Inghilterra Francia, Russia ecc.). La sala XVIII è adorna di arazzi napoletani del XVIII secolo: cinque raffigurano scene allegoriche da La favola di Amore e Psiche; sugli altri quattro sono raffigurati Licurgo, Solone, Ermete e Numa Pompilio. Vi sono inoltre degli splendidi vasi di Limoges, finemente decorati da A. Giovine. La Sala XIX è adorna di bei dipinti di Coccorante, Marieschi, Ma rullo, Joli ed altri e ricca di mobili di epoca barocca. La Sala XX espone una bella fioriera al centro della sala. Nella XXI vi sono quadri di Francesco Vervloet, Giovanni Serritelli e Pasquale Mattei. Le altre sale, XXII, XXIII XXIV sono di minore interesse ad eccezione che per un magnifico dipinto di Pacecco De Rosa, il Bagno di Diana.

La Cappella Palatina

Di grande suggestione è la Cappella, ideata da Cosimo Fanzago intorno al 1640 e dedicata all'Assunta. Nel 1656 fu abbellita dal vicerè conte di Castrillo e fu apposta dal Modanino la stuccatura in oro. Dal 1668 la Real Cappella fu adibita alla celebrazione di matrimoni, battesimi e funzioni solenni, come i «Te Deum» ai quali interveniva tutta la corte. Tra il 1808 e il 1815, il real architetto Antonio De Simone e Gaetano Genovese vi effettuarono radicali modifiche costruendovi una tribuna con balaustra, e le pareti vennero affrescate da Giuseppe Cammarano. Andarono pertanto perse le decorazioni più antiche del 1705, di cui restarono soltanto alcune figure di angeli. Ferdinando II ne dispone un nuovo ingrandimento, e quindi Francesco II nel 1859 fece rinforzare il soffitto e le arcate, realizzando due cappelle laterali. La magnifica Assunta che si ammira sul soffitto fu dipinta da Domenico Morelli nel 1863. L'opera fu ideata dall'artista, come egli stesso narrò, in una delle tante belle giornate napoletane in cui «alzando gli occhi allo zenit s'incontra un turchino profondo e se in quel momento passa una leggiadra nuvola bianca è quella la nota più bella e più pittorica che si possa immaginare». L'altare maggiore, in pietre dure e bronzo dorato, opera di Dionisio Lazzari del 1687, è tra le cosa più belle di Palazzo reale: in origine era in Santa Teresa al Museo, fu poi trasferito a Palazzo nel 1858 per volere di Ferdinando II. La cappella fino all’invasione piemontese del 1860 fu officiata del clero «palatino»: 64 persone tra cappellani e chierici, oltre ai musici, cantori e maestri di cappella, tra i quali ricordiamo Scarlatti, Porpora, Cimarosa e Paisiello. Famose furono le funzioni delle «Quarantore», originate nel 1686 quando l'arcivescovo dispose che il Sacramento venisse esposto in otto delle novantasei chiese della città ogni mese per quattro giorni continuativi incominciando dalla cattedrale. In questa occasione alla Real Cappella poteva accedere il popolo. Purtroppo a seguito della guerra fascista, durante l'occupazione militare alleata, la cappella fu adibita a deposito.

La Biblioteca Borbonica

Il 13 gennaio 1804 sotto il regno di Ferdinando IV di Borbone fu aperta al pubblico la Reale Biblioteca di Napoli, destinandole come sede il Palazzo degli Studi, oggi sede del Museo Archeologico. La fondazione della Biblioteca risale in effetti al 1784, quando si cominciarono a trasferire dalla Reggia di Capodimonte le raccolte librarie fino a quel momento ivi conservate. Tra queste la grandiosa raccolta Farnese che Carlo di Borbone, figlio ed erede di Elisabetta Farnese, aveva fatto trasportare nella nostra città nel 1734. Gli anni intercorsi furono dedicati alla sistemazione ed alla catalogazione del ricco materiale librario che si era andato man mano sempre più accrescendo sia con i fondi provenienti dalla soppressione degli ordini religiosi, sia con l'acquisizione di biblioteche di privati, sia con i ritrovamenti negli scavi archeologici: vi furono annesse l'officina dei papiri trovati ad Ercolano nel 1732, la Biblioteca Lucchesi Palli, la San Giacomo, la San Martino, la Brancacciana, quella di Maria Carolina d'Austria e la Provinciale. La Biblioteca nel 1816 divenne poi Reale Biblioteca Borbonica e nel 1860, con decreto n. 130 del 17 ottobre, fu dichiarata Biblioteca Nazionale. L'originaria sede del Palazzo degli Studi divenne nel tempo inadeguata alle dimensioni ed alle necessità di una Biblioteca che tanto si era accresciuta nel tempo. Iniziò così il dibattito sulla scelta dell'edificio da destinare a tale uso, protrattosi fino al 1922 quando, grazie soprattutto all'interessamento di Benedetto Croce, ne fu deliberato il trasferimento a Palazzo Reale in piazza del Plebiscito. La biblioteca è stata altresì arricchita dai volumi del Fondo Aosta, da diecimila libri della Palatina e da quelli della biblioteca del Collegio Militare della Nunziatella. Attualmente raccoglie 1.589.966 volumi oltre a 4580 incunaboli, 12983 manoscritti e 1786 papiri ercolanesi. Riteniamo interessante menzionare gli incunaboli più rari che sono raccolti in questa biblioteca: il Catholicon di Giovanni Baldi del 1460, una Bibbia del 1462, un Lattanzio del 1465, il Bartolo da Sassoferrato del 1471, un Omero del 1488, e vari incunaboli napoletani tra i quali una Bibbia del 1476, un Esopo del 1485, ed alcuni finemente illustrati e decorati come il De re militari del 1472, una Divina Commedia del 1481 che riporta alcuni disegni del Botticelli, il Sogno di Poli filo del 1499 e un Liber Chronicarum di Hartmann Schedel. Vi sono inoltre importanti manoscritti e palinsesti le cui scritture risalgono al periodo dal III al VI secolo. Molto interessanti sono alcuni codici, come quello dell'Alessandra di Licofrone, alcuni frammenti biblici in dialetto copto del V secolo e manoscritti anche miniati.

A seguito della guerra fascista, la Biblioteca fu gravemente danneggiata dai bombardamenti alleati del 1940-'43.

Le statue equestri di Largo di Palazzo (Piazza del Plebiscito)

Al centro di Largo di Palazzo (Piazza del Plebiscito), simmetricamente disposte, vi sono le statue equestri di Carlo di Borbone e Ferdinando IV di Borbone, anche se l’assenza di scritte e lapidi sembra volerle lasciare nell’anonimato. La statua di Ferdinando è opera del Canova ed il bellissimo cavallo ha tutte le caratteristiche della razza Persano, oggi praticamente scomparsa. La scultura raffigurante Carlo è del Calì ed il cavallo del Canova. Le due statue si salvarono dalle devastazioni garibaldine del settembre 1860 solo perché al cappellano dei garibaldini, padre Gavazzi, venne l’idea di mettervi su Vittorio Emanuele e il dittatore Garibaldi! Fortunatamente, i due personaggi risorgimentali optarono poi per statue più vistose, che furono sistemate rispettivamente a Piazza Municipio e a Piazza Garibaldi. Sicché i monumenti equestri di Carlo e Ferdinando rimasero al loro posto ed ancora oggi le possiamo ammirare nella loro purezza neoclassica.

Alfonso Grasso


[1] Domenico Fontana era già stato l’architetto di papa Sisto V. Si era già distinto per il Palazzo Lateranense, la scalinata di Trinità dei Monti, l'acquedotto dell'Acqua Felice.  Aveva inoltre curato la sistemazione del Quirinale e degli obelischi di piazza San Pietro, di Santa Maria Maggiore e di San Giovanni in Laterano, oltre alla costruzione della cupola di San Pietro sul tamburo di Michelangelo.

[2] I viceré spagnoli vi diedero in questa reggia memorabili feste, come quella del 1657 per la nascita dell’erede di re Filippo IV.

[3] figlia del re di Polonia Augusto III di Sassonia.

[4] Ricordiamo, tra gli altri Domenico Antonio Vaccaro, il Ricciardello, ed il De Mura.

[5] Da sinistra: Ruggiero il Normanno di Emilio Franceschi, Federico II di Svevia di Emanuele Caggiano, Carlo I d'Angiò di Tommaso Solari, Alfonso I d'Aragona di Achille d'Orsi, Carlo V di Vincenzo Gemito, Carlo di Borbone di Raffaele Belliazzi, Gioacchino Murat di Giovan Battista Amendola.

[6] Vittorio Gleijeses, La guida storica artistica monumentale turistica della città di Napoli e dei suoi dintorni, Società Editrice Napoletana S.r.l., 1979

[7] Vicerè il conte d'Ognatte

[8] un dipinto allegorico eseguito per espresso desiderio della madre di Carlo di Borbone, Elisabetta Farnese, che fece elaborare i disegni a Madrid, come allegoria delle Virtù del figlio Carlo e della regina Maria Amalia.

[9] La Guerra contro Alfonso di Portogallo, La guerra contro Luigi di Francia, Genova attaccata dai francesi e difesa dagli spagnoli, la presa delle Canarie, la conquista di Granada, la battaglia sui monti di Alpuxaerras, L'entrata dei vincitori a Barcellona, Gli ebrei messi al bando, La scoperta del nuovo mondo, I siciliani giurano fedeltà a Filippo II, L'imbarco della sposa di Filippo III l'arciduchessa Marianna a Finale, L'entrata dell'arciduchessa a Madrid, Le nozze reali e Ferrante d'Aragona che riceve San Francesco di Paola.


Pagine di riferimento


Bibliografia

  • Vittorio Gleijeses, La guida storica artistica monumentale turistica della città di Napoli e dei suoi dintorni, Società Editrice Napoletana S.r.l., 1979

  • Biblioteca Nazionale di Napoli, sito ufficiale http://www.bnnonline.it/

Centro Culturale e di Studi Storici "Brigantino - il Portale del Sud" - Napoli e Palermo

 admin@ilportaledelsud.org ®copyright 2010: tutti i diritti riservati. Webmaster: Brigantino.

Sito derattizzato e debossizzato