Benedetto Croce fu molto amato ed apprezzato dai suoi
contemporanei. Oggi è quasi dimenticato. Eppure la sua
figura dominò la scena della cultura italiana a cavallo fra
l’800 ed il ‘900. Il suo pensiero si impose all'attenzione
del mondo intero, coinvolgendo la storia, la filosofia, la
critica letteraria e l’arte. |
Nacque a
Pescasseroli, in provincia dell’Aquila, il 25 febbraio del 1866 da
famiglia di ricchi proprietari terrieri, di tendenze
filo-borboniche. Trasferitasi a Napoli, il Croce frequentò gli studi
secondari presso un collegio cattolico. Questa esperienza lo segnò
talmente che, già da adolescente si distaccò dal cattolicesimo, e
per tutta la vita non si riaccosterà mai più alla religione. La
famiglia fu praticamente distrutta mentre si trovava in vacanza ad
Ischia, a seguito del terremoto di Casamicciola del 28 luglio 1883:
perirono il padre Pasquale, la madre Luisa Sipari, e la sorella
Maria. Benedetto fu quindi preso in affidamento a Roma dallo zio
Silvio Spaventa, senatore del Regno e famoso storico di cultura
liberale, fratello del filosofo idealista Bertrando.
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Foto di Napoli del 1910 |
Nei tre anni
circa di permanenza romana, il Croce ebbe modo di frequentare, tra
gli altri, il corso di filosofia morale tenuto da
Antonio Labriola. Rientrò a Napoli nel 1886, in una casa che era
stata di Gianbattista Vico. Pur essendosi iscritto alla Facoltà di
Giurisprudenza, il Croce rimase un antiaccademico e preferì, al
conseguimento della laurea, gli studi storici e la lettura delle
opere del De Sanctis. Ebbe inoltre modo di viaggiare in Francia,
Germania ed Inghilterra. Continuò a tenersi in contatto con i
maggiori intellettuali dell’epoca: il Labriola lo interessò al
Marxismo, mentre con
Giovanni Gentile – di cui il Croce divenne
grande amico, tanto da fondare insieme
una rivista filosofico-culturale, La Critica.
La vita pubblica
Liberale di
idee e di partito, nel 1910 venne nominato senatore per diritto di
censo. Nel 1914 sposò Adelina Rossi, con la quale ebbe 4 figlie
(Alda, Elena, Livia e Silvia). Dal 1920 al 1921 fu ministro della
Pubblica Istruzione nel V e ultimo governo Giolitti.
A parte un
primissimo interesse dovuto all’influenza del Labriola, il Croce
maturò ben presto un’avversione alle idee marxiste e socialiste.
Vivendo egli stesso di rendita, non percepiva l’ideale di lotta di
classe e dell’emancipazione delle classi meno abbienti.
Nei confronti
del fascismo ebbe delle iniziali aperture, soprattutto perché visto
in funzione anti-comunista. A seguito del delitto Matteotti,
modificò l’atteggiamento. Nel 1925 il Gentile si schierò con il
fascismo con la pubblicazione del cosiddetto Manifesto degli
intellettuali fascisti. L’amicizia con Benedetto Croce ne risultò
definitivamente compromessa: il filosofo napoletano (d’adozione)
rispose, pubblicando a sua volta su Il Mondo, il Manifesto
degli intellettuali antifascisti, in cui denunciava la violenza e la
soppressione della libertà di stampa da parte del regime.
Il rapporto
con il regime non fu mai particolarmente duro. Da un lato, Croce si
limitava a catalogare il fascismo come passeggera "malattia morale",
senza tuttavia impegnarsi a fondo nel contrastare la dittatura.
Dall’altra parte, Mussolini lo tollerò, sia per la fama
internazionale di Croce,
che
sconsigliava interventi oppressivi, sia perché il filosofo non si
comportava in maniera oggettivamente pericolosa: si era ritirato a
vita privata, dedicandosi ai suoi studi. Quest’ambigua posizione del
Croce durò almeno fino al 1929, allorché Croce criticò fermamente il
Concordato
.
Poi però seguì un altro lungo periodo di silenzio, rotto solo in
occasione della promulgazione delle leggi razziali del 1938
.
Durante la guerra, in occasione della campagna per la “donazione
dell’oro alla patria”, Croce non solo non si oppose, ma aderì
offrendo la sua medaglia di senatore (oro puntualmente finito nelle
capaci tasche dei gerarchi fascisti). La posizione del Croce verso
il fascismo viene analizzata più compiutamente nell’ultimo capitolo
della presente lettura.
Caduto il
fascismo e terminata la guerra voluta dal regime, l’Italia era
distrutta. Vent’anni di dittatura e gli eventi bellici ad essa
connessi, avevano portato centinaia di migliaia di morti e ridotto
la popolazione alla fame ed alla miseria
.
Il Croce
rientrò in politica attiva, divenendo presidente del Partito
Liberale. Nel 1944 fu Ministro senza portafoglio, sia nel 2° governo
Badoglio, sia nel 2° governo Bonomi, da cui si dimise ben presto. Al
referendum sulla forma dello Stato del 1946 si schierò per la
Repubblica, in aperto contrasto con il suo stesso partito,
filo-monarchico. Partecipò all'Assemblea Costituente, essendovi
stato eletto a Napoli.
Nel 1946
fondò a Napoli l'Istituto per gli Studi Storici, al quale regalò la
sua imponente biblioteca, destinando per la sede un appartamento a
Palazzo Filomarino, di sua proprietà. Si spense a Napoli, il 20
novembre 1952.
Storia e letteratura
In
opposizione al positivismo, si era sviluppato a fine ‘800 il
cosiddetto “romanticismo gnoseologico”. Di qui sorse la “scuola
storica”, che portò a quella critica storica di cui fu, tra gli
iniziali artefici, il Carducci. Benedetto Croce, formatosi
sull'opere del
Vico, di Hegel, di Bertrando Spaventa e di Francesco De Sanctis,
divenne il maggiore esponente della reazione al positivismo,
acquisendo, nel campo della critica e dell'estetica, prestigio e
fama di livello internazionale.
Croce
sostenne che “non vi può essere storia senza filosofia” e che
“la storia non può essere altro che la
storia dello spirito nel suo svolgimento da idea a idea, e delle
azioni nelle quali ciascuna idea successivamente si concreta”
.
La ricerca
storica è per il Croce minuziosa analisi delle fonti e rigoroso
accertamento dei fatti. Lo storico dovrebbe essere sempre animato da
spirito libero, mai lasciarsi condizionare dalla emotività e dalla
partigianeria, mai imporre il proprio giudizio. Scisse: "la
storia non è giustiziera, ma giustificatrice". Il compito dello
storico è quello di “convincere e convincersi”, in maniera da
migliorare continuamente la conoscenza ed anche la formazione
civile.
Nel 1895 il
Croce scrisse “La critica letteraria”, in cui anticipò il suo
pensiero di storico anche in letteratura, indicando il metodo degli
studi scrupolosi per la valutazione delle opere letterarie. Il Croce
vide l'arte “come espressione del linguaggio dell'uomo, come
intuizione lirica”, come “l'immagine di un sentimento gagliardo,
nutrito della ricchezza spirituale ed umana del poeta, tradotto in
rappresentazione nitidissima a contemplazione universale”. Superando
l’estetica romantica, affermò l'impossibilità di scrivere una storia
letteraria “vera e propria”, essendo impossibile una
“classificazione delle arti” e quindi dei generi letterari come la
lirica, l'epica e cosi via. La critica crociana influì sull’intera
letteratura: l'indagine dotta e ragionata e la critica filologica si
diffusero in tutta la Penisola.
Cenni sulla filosofia crociana
Dal punto
di vista filosofico, il Croce elaborò un sistema, denominato
“Filosofia dello Spirito”, secondo cui la realtà è determinata dallo
Spirito, ossia dal pensiero razionalmente organizzato, capace di
sintetizzare la conoscenza del particolare e dell’universale, del
concreto e dell'astratto. La realtà è quindi storia e per storia si
intende il pensiero che si attualizza continuamente nel momento
presente. Se non esiste altra realtà che non sia attuale, se non
esiste metafisica, allora la filosofia è la stessa storia del
pensiero attuato nella realtà: la filosofia è "storiografia" del
pensiero. Croce afferma che "ogni vera storia è storia
contemporanea". La realtà più autentica è lo spirito (il pensiero)
che continuamente si individua nella contingenza storica.
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Georg Wilhelm Friedrich Hegel
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La forma
teoretica universale dello spirito è una sola, la logica. Con ciò,
Croce riprese la filosofia di Hegel della “dialettica degli
opposti”, e lo storicismo del Vico, ma vi sovrappose “i distinti”,
ovvero quelle categorie dello Spirito che non si oppongono tra loro,
quali l’estetica, la logica, l’economia e la morale. All’interno di
ciascun “distinto” va quindi mantenuta la dialettica degli opposti
(p.e.: bello e brutto nell'estetica), ma va ponderato il “nesso”, di
ciascun distinto con gli altri.
Per
chiarificare la definizione di “distinto”, basti considerare l’arte:
“l’arte è ciò che tutti sanno che cosa sia”. L’arte è
intuitiva, frutto del sentimento, libera di esprimersi in quanto non
contrapposta al vero, all’utile, o alla morale. È semplicemente una
forma di espressione dello Spirito funzionale solo a se stessa,
posseduta da ciascuno di noi, che altrimenti non saremmo in grado di
apprezzarla. L’artista, oltre all’intuizione ed al sentimento, ha la
tecnica per esprimerli. Il Croce critica la suddivisione dell’arte e
della letteratura in “generi”, considerati schemi di comodo
estranei, in quanto appartenenti alla logica.
Nell'estetica il Croce fa rientrare anche quella forma
dell'espressione che è il linguaggio, di cui egli stesso resta
davvero un impareggiabile maestro (anche se si dice che pensasse in
napoletano e scrivesse in italiano!).
In campo
linguistico il Croce rimase sempre tradizionalista, e perciò criticò
aspramente il Decadentismo, ed autori quali Pirandello, D’Annunzio e
Pascoli. Il suo pensiero estetico influenzò per decenni la vita
culturale, di cui divenne il "papa laico", secondo la definizione di
Gramsci. Eppure dopo la morte sono state messe in rilievo alcune
conseguenze negative dell’egemonia crociana, quali il ritardo
italiano nei campi delle scienze, della sociologia,
nell’apprendimento delle lingue straniere. Alcuni dei cosiddetti
liberali odierni (che con il loro clerical-fascismo fanno rivoltare
Croce nella tomba) hanno cercato di addossare la colpa di
quest’oblio all’egemonia di cui avrebbe goduto la “cultura di
sinistra” nella seconda metà del ‘900.
Niente di
tutto ciò, a nostro avviso. Il marxismo italiano, pur considerando a
lungo Croce come il "nemico principale", ne ha così riconfermato
indirettamente la centralità. Piuttosto, Croce è stato sconfitto
dall’orda del consumismo, dalla decadenza delle ideologie, da questa
pseudo-cultura populista e fascistoide, endemica in Italia,
culminata finalmente nella nullità del berlusconismo. Chissà cosa
avrebbe detto il grande filosofo napoletano del caravan-serraglio
del partito dei berluscones, coi suoi orchi, nani e
ballerine?
Etica e religione
Nel sistema
crociano non c’è posto per il cattolicesimo. Torneremo su questo
punto nei paragrafi successivi. Il Croce considera la religione un
miscuglio irrazionale di elementi poetici, morali e filosofici, e
non come forma autonoma dello Spirito. Non c’è posto per la Chiesa
cattolica, di cui rifiuta la morale dogmatica e formalistica
priva
di contenuto reale. Da liberale, fu sempre un accanito e, a volte,
anche astioso anticlericale. Fu infatti in occasione del Concordato
Stato-Chiesa che il Croce fece sentire il suo dissenso, più che
nelle altre nefande avventure in cui Mussolini fece precipitare
l’Italia.
Per Croce,
l'etica ha sempre un nesso con l’economia, perché il comportarsi
correttamente ci da una ricompensa, se non altro una "soddisfazione
morale". Il nesso vale solo in questo senso e non al contrario: si
può inseguire il profitto senza badare al bene, non è possibile
invece volere il bene senza voler trarne un utile. Non si tratta di
una visione pessimistica, anzi. L’interesse pratico sospinge lo
Spirito alla conoscenza ed alla successiva attività teoretica, che è
il suo vero arricchimento.
Non bisogna
essere “buoni” perché altrimenti “Dio” ci punisce (morale
cattolica), ma perché è “conveniente” ed utile, per se stessi e per
gli altri. Quando nel 1932 Croce scrisse la "Storia d'Europa nel
secolo decimonono", in cui difendeva ed esaltava le filosofie atee,
propugnando una “religione della libertà” senza Dio, il Vaticano
mise il libro all'indice. Nel 1934 la misura fu estesa all'opera
omnia del filosofo.
Considerazioni sul quadro storico
culturale in cui si inserisce Croce
L'unificazione italiana avvenuta nel 1860, tardi rispetto agli altri
paesi europei (se si esclude la Germania) può essere considerato un
movimento popolare rivoluzionario, almeno inizialmente, ma si
concluse con il tradimento della borghesia, che volle realizzare il
compromesso con l'aristocrazia e la monarchia. La questione agraria,
soprattutto al Sud, rimase irrisolta e anzi si aggravò, determinando
la spaccatura fra un Nord che andava via via industrializzandosi ed
un Sud mantenuto nel sottosviluppo. La borghesia era ben consapevole
di questa contraddizione e sentiva il bisogno di un sistema
ideologico-filosofico cui poter fare riferimento per giustificare i
rapporti sociali esistenti. Questo sistema venne trovato nel
neoidealismo di Croce e Gentile.
Tra il 1830 e
il 1860, la filosofia italiana e il pensiero politico ufficiale si
evolsero sotto l'influsso del movimento di liberazione nazionale
repubblicano. In questo periodo vi furono vari pensatori
progressisti, come Pisacane, ed i rappresentanti del primo
positivismo italiano, come C. Cattaneo e G. Ferrari. Essi
rappresentavano l’ala repubblicano-democratica del suddetto
movimento e avanzarono idee progressiste come ad esempio la
concezione della rivoluzione sociale, l'idea della natura sociale
dell'uomo, il nesso tra lo sviluppo della civiltà e la struttura
materiale della società, tra la produzione e i rapporti tra le
classi. Inoltre manifestavano idee chiaramente antiteologiche in
opposizione alle dottrine di Rosmini e Gioberti. Sulle loro
concezioni hanno esercitato un influsso significativo gli
illuministi francesi, Vico, Hegel e Saint-Simon.
Ma
L'indirizzo filosofico più significativo della metà dell’800, che ha
esercitato la maggiore influenza sul pensiero filosofico italiano
del XX sec., è stato l’hegelismo napoletano, in
cui si espressero le forze progressiste. L'hegelismo napoletano non
era una novità a livello europeo, ma nella sua "ala sinistra" diede
contributi di notevole valore. Praticamente dalla sinistra hegeliana
napoletana (F. De Sanctis
[5],
gli Spaventa, S. Tommasi e altri) è nato, da un lato, il pensiero
progressista e marxista italiano, con A. Labriola, e dall'altro
l'idealismo neohegeliano, di natura profondamente conservatrice, con
Croce e Gentile.
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Francesco de Sanctis
|
Questa
contraddittorietà negli sviluppi della scuola hegeliana napoletana è
stata oggetto di accese controversie. Gli idealisti neohegeliani
(Croce e Gentile) faranno di tutto per dimostrare d'essere gli unici
eredi di questa sinistra, della quale però vorranno ignorare gli
elementi più progressisti e materialisti che invece vennero colti
dai filosofi marxisti, i quali cercarono di dimostrare come il
percorso più significativo del pensiero italiano non andasse da De
Sanctis a Croce ma da De Sanctis a Gramsci.
Le classi
dirigenti italiane riuscirono a trovare il compromesso ideologico,
all'inizio del secolo XX nel neoidealismo hegeliano di Croce e
Gentile. Si trattava di un sistema elaborato e qualificato, la cui
sostanza consisteva nella lotta contro il materialismo e il
marxismo, nella giustificazione del sistema sociale esistente,
nell'unificazione di diversi indirizzi ideologici conservatori,
nell'affermazione di una cultura borghese laica ma non
anticlericale.
Il
neohegelismo, nato alla fine dell'800 in Inghilterra, solo in Italia
manifesterà un'influenza così pesante sulla cultura nazionale. Negli
altri paesi fu soltanto uno dei tanti indirizzi filosofici mentre in
Italia si trasformò, nel giro di pochi decenni, da fenomeno
esclusivamente filosofico a “pensiero egemone” della cultura e
dell'ideologia borghesi.
Non a caso
infatti B. Croce e G. Gentile determinarono la struttura di tutta la
scuola italiana, l'organizzazione delle facoltà universitarie, il
declino del pensiero e della ricerca scientifici, esercitando
anche una forte influenza sull'orientamento della
stampa. Sono stati infatti a capo di alcune delle maggiori
iniziative editoriali e culturali quali, ad esempio, l'Enciclopedia
italiana o i libri di filosofia pubblicati dalla Laterza.
Il
neohegelismo seppe conciliare i sentimenti religiosi con
l'anticlericalismo popolare, ed i motivi positivistici e pragmatisti
coll'idealismo, ponendosi a fondamento del liberalismo con Croce,
del fascismo con Gentile, e dell'imperialismo della borghesia.
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L'Istituto per gli Studi Storici
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L'idealismo
neohegeliano attacca il materialismo (specie quello marxista) e la
filosofia religiosa perché entrambe ammettono l'esistenza di qualche
cosa esterno allo spirito (la materia il primo, Dio la seconda), per
cui sono trascendenti. Tuttavia, se nei confronti del materialismo
l’ostilità è netta, lo stesso non è nei confronti della religione.
In effetti Croce (come Gentile) non ha mai negato Dio, l'anima o
l'immortalità, ma solo la concezione tradizionale, ecclesiastica di
questi concetti. E' peraltro famoso l'articolo di Croce, “Perché
non possiamo non dirci cristiani”.
Il rapporto col fascismo
Tuttavia
l'esperienza del regime fascista e l'opposizione ad esso ha favorito
la trasformazione, in Croce, del rapporto tra morale e politica.
Egli finì col maturare la convinzione che la vita politica deve
realizzare un impegno morale con al suo centro l'idea di libertà
(religione della libertà). La stessa concezione della storia diventa
quella di una storia della libertà.
La libertà
però continua a restare solo quella giuridico-morale o formale, cui
Croce non aggiunge mai quella socio-economica o sostanziale. Non a
caso, Croce ha sempre difeso la necessità dei rapporti feudali e
semifeudali nel Meridione, ha sempre appoggiato il gerarchismo
sociale (solo un'élite aristocratica può governare), la monarchia
(almeno fino al 1946) e l'uso statale della forza contro le
rivendicazioni dei lavoratori.
Nonostante la
decisione di passare all'opposizione, Croce può essere considerato,
come Gentile, un precursore del fascismo. L'apologia della violenza,
delle guerre, del machiavellismo politico, contenuta negli scritti
del periodo della I guerra mondiale rientrò nella dottrina fascista
come un elemento fondamentale.
Croce non
divenne mai progressista, e se da un lato la sua filosofia della
"libertà" poteva garantire agli intellettuali l'ultimo spiraglio di
opposizione al regime, dall'altro la sua posizione di astensione
dalla lotta attiva contro il regime, la sua estraneazione,
nell’attesa di una fine “naturale” della dittatura, ostacolarono di
fatto la lotta antifascista.
Si trattava
di un antifascismo conservatore, per il quale il regime autoritario
non era che un fenomeno "casuale" nella storia italiana, destinato a
estinguersi da solo. Nell'analisi di Croce mancavano completamente i
riferimenti alle cause storico-sociali che l'avevano generato. Egli
in pratica non aveva aderito al fascismo più che altro per motivi
personali, non ideologici.
D'altra parte
il fascismo non ebbe mai una propria dottrina filosofica pienamente
elaborata. Essa era composta da idee di vario genere, variamente
mutuate: mistico-religiose, irrazionalistiche, nazionaliste,
positiviste, neohegeliane, sindacaliste, comparativiste, ecc.
Il fascismo
eserciterà la sua influenza sulle masse come dottrina mistica e
irrazionale, in cui l'uomo è visto nel suo rapporto con una "legge
superiore", una "volontà obiettiva", cosa che permise al fascismo
d'ottenere l'appoggio delle correnti religiose neo-scolastiche e
neo-tomiste (Gemelli, Olgiati, ecc) e spiritualiste cristiane (A.
Carlini), nonché l'appoggio di quelle irrazionaliste, razziste, ecc.
Esattamente come avviene ora con il berlusconismo.
Le opere
Le opere del
Croce, frutto di una lunga vita di studio, sono numerosissime, e ne
ricordiamo solo le maggiori: La critica letteraria (1895), Filosofia
della pratica, economica ed etica (1909), Estetica come scienza
dell'espressione e linguistica generale (1902), Breviario di
estetica (1912), Teoria e Storia della storiografia (1917), La
Storia del Regno di Napoli (1925), La Storia d'Italia dal I870 al
I9I4, La Storia d'Europa nel secolo XIX (1932), Poesia e non poesia
(1923), La Poesia (1936).
Fara
Misuraca e Alfonso Grasso
Marzo 2009
Note
La sinistra dell'hegelismo napoletano cercò
di superare l'interpretazione dogmatica dell'hegelismo:
l'hegelismo diventava fruttuoso solo per coloro che lo
superavano in direzione del materialismo. L'esponente di
maggior spicco fu De Sanctis che rifacendosi anche al
realismo filosofico e scientifico di Bacone, Locke e Hume ha
finito con l’esprimere molte idee che lo avvicinano al
marxismo. Più accademico è invece B. Spaventa, che si
soffermò sull'immanentismo idealistico, che sfocerà nel
neo-idealismo di Croce e Gentile. Ma nell'ultimo periodo
della sua vita, Spaventa sviluppò motivi antropologici,
naturalistici e materialistici, avvicinandosi alla filosofia
di Feuerbach e finì col rifiutare l'idea della priorità
assoluta dello spirito preferendo collegare natura e spirito
in un'unica sostanza, dando però alla parte materiale di
questa sostanza un ruolo subordinato.
Bibliografia essenziale
-
B. Croce,
Filosofia della pratica, economia ed etica, a cura di M.
Tarantino, Bibliopolis 1996.
-
B. Croce,
Contributo alla critica di me stesso, a cura di F.
Audisio, Bibliopolis 2006
-
Emanuele
Severino, La Filosofia Contemporanea, 2004, BUR
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