Sud Illustre

 


 

Francesco Saverio De Sanctis

di Fara Misuraca e Alfonso Grasso

 

Francesco Saverio De Sanctis nacque a Morra Irpina, il 28 marzo 1817, da famiglia borghese. Il padre, avvocato, partecipò ai moti carbonari del 1820-21 che sfociarono nella concessione della costituzione da parte del re Ferdinando I. La parentesi costituzionale fu poi violentemente interrotta dall’invasione austriaca e dall’abiura del re delle Regno delle Due Sicilie, che ripristinò l’assolutismo. Per l’approfondimento della vicenda, si rimanda all’apposita lettura del sito.

Il padre del De Sanctis venne costretto all’esilio, e nel 1826 il ragazzo fu avviato agli studi presso una scuola privata, appartenente allo zio Carlo De Sanctis. Nel 1831, proseguì gli studi liceali a Napoli presso gli abati Fazzini e Garzini, terminati i quali iniziò nel 1836 a seguire con entusiasmo le lezioni del marchese Basilio Puoti sulla letteratura italiana. Ebbe modo di conoscere, tra gli altri, il poeta Giacomo Leopardi, trasferitosi a Napoli per avvalersi del clima temperato della città.

Agli studi universitari, preferì l’insegnamento dell’italiano, dapprima privatamente al vico Bisi, poi come insegnante alla Nunziatella (1841-48). Tra i suoi allievi, ricordiamo lo storico Pasquale Villari. Gli appunti tratti dalle lezioni di quella che fu definita da Benedetto Croce “la prima scuola napoletana di letteratura”, saranno da quest’ultimo edite con il titolo "Teoria e storia della letteratura".

Nel corso di quegli anni, il De Sanctis approfondì gli studi filosofici, il pensiero degli illuministi napoletani (Giannone, Filangieri, Genovesi, Pagano, Galiani, Vico), nonché di quelli francesi e le opere di Hegel. Tali conoscenze lo spinsero man mano a maturare ed ad allontanarsi dalle primitive simpatie per il conservatorismo cattolico e reazionario, per abbracciare in pieno gli ideali rivoluzionari liberali, contrari all’assolutismo regio e all’oscurantismo religioso. Si iscrisse alla società segreta “Unità d’Italia”, di cui fecero parte tra gli altri Luigi Settembrini e Carlo Poerio. Nel maggio del 1848 prese parte diretta nell’insurrezione anti-borbonica.

A seguito del fallimento della rivolta, riparò in Calabria, guadagnandosi da vivere come precettore presso una famiglia nobile locale. Intanto a Napoli si svolgeva il processo contro gli adepti della “Unità d’Italia”, al termine del quale il De Sanctis venne condannato ad una lunga pena detentiva. Fu arrestato e tradotto a Napoli, dove restò in carcere per tre anni (1850-53). La pena fu poi commutata in esilio a vita, e venne fatto imbarcare per le Americhe. Nello scalo maltese della navigazione, fuggì e riuscì a raggiungere Londra. Di lì, si trasferì quindi a Torino, dove si dedicò all’insegnamento privato, collaborando altresì a vari giornali. Crebbe di notorietà grazie alle sue lezioni su Dante e Petrarca, che gli valsero nel 1856 la cattedra di Italiano al Politecnico di Zurigo [1].

Il 6 agosto 1860 fece ritorno a Napoli, ancor prima dell’entrata di Garibaldi in città. Prese parte al governo dittatoriale del Nizzardo come Governatore del Principato Ultra e poi come ministro della Pubblica Istruzione. Pur condividendo gli ideali mazziniani, si schierò con il Partito d’Azione accettando di fatto la monarchia sabauda. De Sanctis in quel periodo riteneva infatti prevalente l’impegno diretto nella realtà, all’idealismo utopico. Venne eletto deputato nelle prime elezioni del nuovo Regno d’Italia e fu nominato Ministro dell’Istruzione. Contemporaneamente, scriveva su giornali e riviste, insegnava e componeva saggi storici e letterari.

Nel 1862 uscì dal governo, vista l’impossibilità di operare una vera unificazione scolastica con la Destra Storica al potere. Con Settembrini formò uno schieramento di sinistra, di cui diresse l’organo di stampa. Deluso dall’esito delle elezioni del 1865, in cui prevalsero le destre reazionarie e guerrafondaie, si dedicò completamente all’insegnamento universitario, agli studi ed alla stesura della sua opera più importante, la "Storia della letteratura italiana".

Nel 1876 la Sinistra Storica vinse finalmente le elezioni. De Sanctis fu nuovamente nominato ministro dell’Istruzione [2] (1878-82), e diede inizio alla tanto attesa scuola pubblica, seppure – e certamente non per colpa del De Sanctis, bensì per responsabilità della destra – con 25 anni di ritardo.

Morì a Napoli nel 1883, a causa di una grave infezione agli occhi.

Considerazioni sul quadro storico culturale

L'unificazione italiana avvenuta nel 1860, tardi rispetto agli altri paesi europei (se si esclude la Germania) può essere considerato, almeno inizialmente, un movimento popolare rivoluzionario, ma si concluse con il tradimento della borghesia, che volle realizzare il compromesso con l'aristocrazia e la monarchia. La questione agraria, soprattutto al Sud, rimase irrisolta e anzi si aggravò, determinando la spaccatura fra un Nord che andava via via industrializzandosi ed un Sud mantenuto nel sottosviluppo. La borghesia era ben consapevole di questa contraddizione e sentiva il bisogno di un sistema ideologico-filosofico cui poter fare riferimento per giustificare i rapporti sociali esistenti. Questo sistema verrà poi trovato nel neoidealismo di Croce e Gentile.

Tra il 1830 e il 1860, la filosofia italiana e il pensiero politico ufficiale si evolsero sotto l'influsso del movimento di liberazione nazionale repubblicano. In questo periodo vi furono vari pensatori progressisti, come Pisacane, ed i rappresentanti del primo positivismo italiano, come C. Cattaneo e G. Ferrari. Essi rappresentavano l’ala repubblicano-democratica del suddetto movimento e avanzarono idee progressiste come ad esempio la concezione della rivoluzione sociale, l'idea della natura sociale dell'uomo, il nesso tra lo sviluppo della civiltà e la struttura materiale della società, tra la produzione e i rapporti tra le classi. Inoltre manifestavano idee chiaramente antiteologiche in opposizione alle dottrine di Rosmini e Gioberti. Sulle loro concezioni hanno esercitato un influsso significativo gli illuministi francesi, Vico, Hegel e Saint-Simon.

Ma L'indirizzo filosofico più significativo della metà dell’800, che ha esercitato la maggiore influenza sul pensiero filosofico italiano del XX sec., è stato l’hegelismo napoletano, in cui si espressero le forze progressiste. L'hegelismo napoletano non era una novità a livello europeo, ma nella sua "ala sinistra" diede contributi di notevole valore. Praticamente dalla sinistra hegeliana napoletana (De Sanctis, gli Spaventa, Tommasi e altri) è nato, da un lato, il pensiero progressista e marxista italiano, con Labriola, e dall'altro l'idealismo neohegeliano, di natura profondamente conservatrice, con Croce e Gentile.

Questa contraddittorietà negli sviluppi della scuola hegeliana napoletana è stata oggetto di accese controversie. Gli idealisti neohegeliani (Croce e Gentile) faranno di tutto per dimostrare d'essere gli unici eredi di questa sinistra, della quale però vorranno ignorare gli elementi più progressisti e materialisti che invece vennero colti dai filosofi marxisti, i quali cercarono di dimostrare come il percorso più significativo del pensiero italiano non andasse da De Sanctis a Croce ma da De Sanctis a Gramsci.

Le classi intellettuali italiane riuscirono a trovare il compromesso ideologico, all'inizio del secolo XX, nel neoidealismo hegeliano di Croce e Gentile. Si trattava di un sistema elaborato e qualificato, la cui sostanza consisteva nella lotta contro il materialismo ed il marxismo, nella giustificazione del sistema sociale esistente, nell'unificazione di diversi indirizzi ideologici conservatori, nell'affermazione di una cultura borghese laica, ma non anticlericale.

Il neohegelismo, nato alla fine dell'800 in Inghilterra, solo in Italia manifesterà un'influenza così pesante sulla cultura nazionale. Negli altri paesi fu soltanto uno dei tanti indirizzi filosofici mentre in Italia si trasformò, nel giro di pochi decenni, da fenomeno esclusivamente filosofico a “pensiero egemone” della cultura e dell'ideologia borghesi. Non a caso infatti Croce e Gentile determinarono la struttura di tutta la scuola italiana, l'organizzazione delle facoltà universitarie, il declino del pensiero e della ricerca scientifici, esercitando anche una forte influenza sull'orientamento della stampa. Sono stati infatti a capo di alcune delle maggiori iniziative editoriali e culturali quali, ad esempio, l'Enciclopedia italiana o i libri di filosofia pubblicati dalla Laterza. Il neohegelismo seppe conciliare i sentimenti religiosi popolari con l'anticlericalismo, ed i motivi positivistici e pragmatisti coll'idealismo, ponendosi a fondamento del liberalismo con Croce, del fascismo con Gentile, e dell'imperialismo della borghesia.

De Sanctis e la sinistra hegeliana napoletana

Francesco De Sanctis può essere definito come letterato e critico, più filosofo, benché egli abbia operato un cambiamento epocale della concezione dell’estetica, della letteratura e della storia.

Quando era in carcere a Napoli, il De Sanctis aveva approfondito la filosofia di Hegel circa l’arte e l’estetica. Ne constatò il carattere teoretico, in quanto l’arte era considerata dal pensatore tedesco una forma “provvisoria” e romantica dello “Spirito”, e quindi subordinata alla filosofia. De Sanctis contrappose all'estetica hegeliana, l'estetica della forma, intesa come un'attività originale ed autonoma dello spirito, per mezzo della quale si realizza in figurazione artistica. In questo modo l’estetica non è una elaborazione di un contenuto astratto, ma unità di contenuto e forma. L’arte è “vivente”, in quanto sintetizza tecnica, pensiero ed inventiva.

Nella “Storia della letteratura italiana”, che come già detto fu la sua maggiore opera, il De Sanctis da continuità storica alla letteratura, fino ad allora descritta, in forma erudita, come una successione di biografie.

La targa nel Politecnico di Zurigo

Il De Sanctis si impegnò sempre da “militante” della cultura, per dimostrare l’unità tra l’intellettualità e l’impegno civile, così come vi era unità tra l'artista e l'uomo, tra la scienza e la vita. Soprattutto per quest’ultimo aspetto, venne contrastato dal positivismo della scuola storica. Più tardi sarà Benedetto Croce a rivalutare la critica estetica desanctisiana, ma bisognerà aspettare Gramsci, per avere uno sviluppo del pensiero del De Sanctis in senso compiuto, con la fusione di ispirazione marxista tra cultura ed emancipazione delle masse.

De Sanctis ed il Sud

Come molti altri intellettuali meridionali che avevano partecipato attivamente all’unità d’Italia, anche il De Sanctis poté rendersi conto del triste scenario d’abbandono del Sud postunitario. Nel suo Viaggio elettorale descrive lo stato dei luoghi dell’Irpinia attraversati. L’assenza di strade degne di tal nome gli impedì persino di raggiungere alcuni comuni del collegio. Descrisse l’incontro con un’umanità derelitta e cenciosi e oziosi, e mi addoloro che non ci sia ancora un asilo d’infanzia” [3].

A differenza di altri però (come ad esempio Giustino Fortunato) Francesco De Sanctis non sembrò individuare quella che sarà definita la “questione meridionale”, anche perché per impegno e mentalità era portato a confidare che "in piccol numero di anni si farà il lavoro di secoli. L’industria, il commercio, l’agricoltura saranno i motori di questa trasformazione. Vedremo miracoli."

De Sanctis, Croce e Gramsci: pensatori mediterranei

Ci piace a questo punto mettere a confronto le vicende umane e culturali di De Sanctis, Croce e Gramsci, che si inseriscono in quella serie di eventi che portarono l’Italia a diventare una nazione (De Sanctis), poi (Croce e Gramsci) a difenderne i “valori” risorgimentali, non sempre rispecchiati nei risultati ottenuti e compromessi irrimediabilmente dal fascismo.

Principio comune ai tre pensatori è il considerare la cultura come serio impegno morale, e non un mero esercizio di gusto formale o un gioco mentale. Emblematica a tal proposito è l’espressione di De Sanctis: ”leggere per costruire spiritualmente”.

Tutti e tre questi autori nella loro vita, come anche nelle loro opere e nell’impegno politico-culturale, furono, in misura diversa e con motivazioni diverse, in conflitto col potere: nel caso di De Sanctis contro l’assolutismo dei Borbone, nel caso di Croce e Gramsci contro il totalitarismo fascista, subendo il carcere (De Sanctis e Gramsci ), o l’emarginazione (Croce). Tutti e tre questi pensatori ricoprirono ruoli politici importanti (De Sanctis e Croce furono ministri della Pubblica Istruzione), ed influenzarono fortemente l’evoluzione culturale e sociale, con la scrittura di opere fondamentali e di riviste: De Sanctis con La storia della letteratura italiana; Croce con la sua opera filosofica e la rivista La Critica; Gramsci con la rivista Ordine nuovo e i Quaderni del carcere.

Esaminando la loro vita e le loro opere, ci accorgiamo che tutti e tre hanno avuto a che fare col marxismo, in una chiave di lettura che ne privilegia l’aspetto umanistico: De Sanctis ne influenzerà l’esperienza italiana con la sua ispirazione laica e democratica. Croce lo modella come strumento interpretativo della storia. Gramsci evidenzia la centralità dell’uomo nella produzione del divenire storico: è sua l’espressione “i bolscevichi non sono marxisti…si pone sempre come fattore di storia non i fatti economici, bruti, ma l’uomo, ma la società degli uomini” (La rivoluzione contro il capitale).

Riguardo al Risorgimento, diventato un termine di paragone per la nascita del fascismo ed elemento in cui inserire, con minore o maggiore responsabilità da parte dello Stato, la nascita della questione meridionale, essi hanno posizioni diverse.

De Sanctis, che ha vissuto in prima persona i moti del ’48, considera l’unità d’Italia, che pur mortifica il Sud e la sua specificità, irrinunciabile a tal punto che tace volutamente sulle opere di Verga, forse perché vede nella riflessione dello Stato assente nel Sud (che emerge con forza in Verga), un pericolo per la coesione della ancor giovane unità.

Anche Croce è su queste posizioni e, come De Sanctis, è per l’ordinamento accentrato dello stato, che definisce “il cemento dell’unità nazionale” [4]. Croce, giudica positivamente il risorgimento e considera il fascismo una parentesi della nostra storia, una malattia morale, un fenomeno antistorico, che ha arrestato lo sviluppo democratico incominciato lentamente in Italia dopo il 1861.

Gramsci invece addebita, senza mezzi termini, il malessere italiano – e meridionale, in particolare - al tipo di percorso e di svolgimento che è stato dato al Risorgimento. Lo considera una rivoluzione passiva, a causa della direzione dall’alto dei suoi processi senza una partecipazione consapevole e attiva del popolo.

È da aggiungere che sia Croce che Gramsci non hanno avvertito, diversamente da Gobetti, che il fascismo non era altro che “l’autobiografia della nazione”, il rigurgito di tutti i difetti opportunamente travestiti da virtù.

De Sanctis, Croce e Gramsci sono meridionali e meridionalisti e vedono nell’impegno e nella funzione dell’intellettuale la possibilità del riscatto dell’Italia e del Mezzogiorno.

Oggi le condizioni politiche e l’idea liberale di Nazione, per la quale si era battuto De Sanctis, non esistono più, come non esistono più i totalitarismi vissuti da Croce e Gramsci. La stessa questione meridionale assume connotazioni diverse, sia negli studi sia nella consapevolezza da parte degli stessi meridionali. La questione meridionale oggi non riguarda solo l’Italia, ma è diventata una contrapposizione tra il nord del mondo, ricco e capitalistico, e il sud del mondo, povero e sfruttato, a cui spesso si aggiunge una diversità culturale, etnica, ed a volte religiosa.

Queste riflessioni invitano a un riutilizzo del pensiero di De Sanctis, Croce e Gramsci, puntando tutto sulla loro intransigenza morale, l’impegno sociale e la “flessibilità” del loro pensiero, che può definirsi “mediterraneo” [5]. De Sanctis, Croce e Gramsci hanno infatti onorato la cultura mediterranea, con il loro spiccato senso della considerazione dell’uomo, con il primato del pensiero e del valore della libertà, con il rispetto del fondamento giuridico di ogni società, insieme alla capacità del sincretismo e della ”pietas”.

“Il Mediterraneo”, attualizzando il loro pensiero, riassume la sua funzione di transito, di mediazione, di filtro tra culture diverse.

Fara Misuraca

Alfonso Grasso

maggio 2009


Note

[1] Nel corso degli anni trascorsi in prigione aveva imparato il Tedesco, per studiare le opere di Hegel. Agli studenti era solito rivolgere una esortazione di tipica matrice napoletana “Prima di essere ingegneri voi siete uomini”. Il concetto napoletano di “uomo” (omm’) troverà la sua sublimazione umana nell’ironico “siamo uomini o caporali?” di Totò.

[2] Su quella importante poltrona, oggi riservata alla Gelmini, sedettero per l’appunto personalità del calibro di Francesco Saverio De Sanctis, Benedetto Croce, Giovanni Gentile…

[3] F. De Sanctis, Un viaggio elettorale, pag. 117

[4] Croce, Storia d’Italia dal 1871 al 1915, Laterza, Bari,1929

[5] Cassano, Il pensiero meridiano, Laterza, Roma-Bari, 1996


Bibliografia essenziale


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