Nell’epoca dell’illuminismo, un pensatore geniale che ci parlò della
storia e, soprattutto, degli uomini
Giambattista Vico, il grande filosofo napoletano, visse
la maturità nel ‘700, eppure ha del tutto ignorato il
pensiero del proprio tempo, elaborando un sistema
filosofico del tutto suo ed originale. È considerato un
profetico precursore di molte moderne teorie e ha
anticipato le numerose "filosofie della storia"
sviluppatesi sul terreno dell’illuminismo e del
romanticismo.
La vita, le opere
Vico nacque a Napoli il 23 giugno 1668 da famiglia di modeste condizioni
economiche [1],
la qual cosa non gli impedì di avviarsi agli studi e via via
approfondirli. All’età di 18 anni lo troviamo come precettore dei
figli del marchese di Vatolla, nel Cilento, dove rimase fino al
1694. Avendo a disposizione i tanti volumi della biblioteca del
castello, si dedicò allo studio dei classici e delle opere erudite:
il suo campo d’interesse spaziava dalla grammatica alla filosofia,
dalla letteratura al diritto. Contemporaneamente riuscì a
frequentare l'Università, e si laureò in giurisprudenza nel 1694. Si
trasferì quindi a Napoli dove aprì un studio privato di retorica e
esercitò l’avvocatura.
Nel 1699 si sposò, ed ottenne la cattedra universitaria di
Eloquenza, che mantenne per 45 anni, fino alla morte. Non riuscirà
mai, invece, ad avere l’ambita (e meglio remunerata) cattedra di
Giurisprudenza. La frustrazione per la mancata piena realizzazione
nella carriera accademica, in cui aveva sperato, influì non poco
all'isolamento intellettuale nel quale Vico è vissuto. Ma seppe
considerare con saggezza le frustrazioni della vita come uno sprone
verso qualcosa di più alto. Le ragioni di avversione alla cultura
contemporanea avevano un fondamento filosofico, e non certo nel
risentimento! Egli riteneva infatti che la cultura del suo tempo
avrebbe condotto, magari senza intenzionalità, alla "nuova
barbarie della riflessione", come al tempo del basso Impero
Romano e alla sua conseguente caduta.
Di riflesso, durante tutta la sua esistenza le sue idee e le sue
opere ebbero una diffusione molto limitata
[2].
Vico rimase pressoché sconosciuto per tutto il '700, per essere poi
fu rivalutato nell'800 e soprattutto nel '900.
Il pensiero di Vico fa il suo esordio nel 1708, in occasione
dell’apertura del nuovo anno accademico. Vico pronunciò l’orazione
De nostri temporis studiorum ratione [3],
nella quale egli comincia a denunciare i limiti del metodo elaborato
da Cartesio [4]
(la ragione, la critica e la dimostrazione), cui contrappone
l'ingegno, l’umanesimo e l'inventiva.
Nel 1710 entrò a far parte dell’accademia Arcadia e pubblicò il
De antiquissima Italorum sapientia ex linguae latinae originibus
eruenda. Seguono opere di carattere giuridico: Sinopsi del
diritto universale (1720), De uno universi juris principio et
fine uno (1720) e il De constantia philologiae.
Nel 1725 pubblicò un compendio
[5]
– per l'impossibilità di pagare l'edizione completa - de I
Princìpj di una scienza nuova d'intorno alla natura delle nazioni,
la sua opera più famosa, conosciuta comunemente come Scienza
Nuova[6],
in cui Vico elesse la storia a vera scienza.
In quel periodo scrisse l’autobiografia "Vita di Giambattista Vico
scritta da se medesimo" [scaricabile da questo stesso sito], in cui
riconosce come suoi maestri quattro pensatori; Platone, il grande
filosofo dell'antichità, del cui pensiero egli riprende la natura
ideale dell'uomo; Tacito, il più grande storico romano, da cui Vico
attinge la concretezza storica nella trattazione delle vicende
umane; Bacone, il filosofo fondatore del metodo empirico; Huig de
Groot
[7],
il fondatore del diritto internazionale basato sull’affermazione
dell'esistenza di un diritto naturale condiviso da tutte le
genti.
Si può affermare che sul Vico abbiano inciso anche il pensiero di
materialisti e naturalisti come Lucrezio, Machiavelli e Spinoza. In
effetti, la genialità di Vico è consistita proprio nel saper
integrare pensieri diversi in una filosofia “umanistica”.
Nel 1735, divenne storiografo regio. Morì a Napoli il 23 gennaio del
1744.
Molti hanno dibattuto di quali spunti ed influssi
abbiano concorso alla formazione del pensiero di
Giambattista Vico. Nelle varie critiche non ho trovato
cenno a quello che mi pare l’influsso più evidente:
Napoli, la sua (e mia) città, dove i corsi e ricorsi
storici si inseguono all’infinito e ogni giorno, in un
turbinio inarrestabile, in cui si alternano nobili atti
di civiltà ed abissi di barbarie, miserie e generosità,
ingegno creativo e inaudita violenza. Napoli: immutabile
nella “ vichiana” speranza del “storta va, dritta vene”.
Il pensiero filosofico
Il pensiero filosofico di Giambattista Vico è racchiuso nei cinque
volumi della sua opera maggiore, “La Scienza Nuova”.
Vico era, tra l’altro, un enciclopedico, un profondo
conoscitore di molte materie e lingue. Ci ha lasciato
un’opera complessa, di non facile lettura, né scorrevole
per chi (come me) ha fatto lo “scientifico” e una
disciplina universitaria tecnica. Eppure, la lettura
della Scienza Nuova sarebbe utile per tutti: è come
l’immersione in un mare conosciuto, impossibile da
afferrare tutto, ma familiare e generoso nel mostrare
ricchezze, bellezze e sorprese. Una volta fuori, resta
la sensazione che quelle ricchezze e quelle bellezze
siano un’ po’ anche tue.
La storia era stata considerata come una cronologia di eventi. Vico,
invece, dimostra come essa abbia in sé un ordine fondamentale e che
ci siano delle leggi immutabili che ne governano l’evoluzione.
Secondo Vico, la storia è l'unica scienza degna di studio, in
quanto é l'uomo stesso a generarla. Infatti, l’assunto da cui egli
parte è quello del verum ipsum factum [8]:
si può conoscere veramente solo ciò si fa. La storia del "mondo
civile", essendo opera dell’uomo, può essere pertanto oggetto di
una vera conoscenza: la Scienza Nuova.
"Ecco la tomba di Vico", il video del
ritrovamento. "Il Mattino", marzo 2012
Tra le basi della teoria vichiana, vi è l’osservazione che nella
storia delle varie culture esistono "elementi universali"
confrontabili. Indipendentemente dai luoghi e dalle culture di
provenienza, gli uomini hanno modalità comuni di pensare e di agire.
Così Vico dimostra il diritto naturale[9],
insito in tutte le nazioni. Il confronto tra culture lo porta ad
individuare le tre usanze fondamentali: la religione, i
matrimoni solenni, la sepoltura dei morti. Inoltre, Vico mette in
risalto come ogni popolo abbia la tendenza a rivendicare la
paternità di scoperte, conoscenze e ritrovati (boria delle
nazioni); e come gli uomini di studio tendano a ritenere che la
loro cultura sia la più importante (boria dei dotti).
La scienza storica di Vico non poggia solo sui principi astratti,
bensì sulla sintesi tra speculazione e fatti concreti. Le
metodologie di ricerca sono infatti due: la filologia,
scienza del particolare, per il rigoroso accertamento dei fatti, e
la filosofia,scienza dell'universale, per la
comprensione delle cause degli avvenimenti. La sintesi tra le due
discipline è pertanto indispensabile, e questa fu un’intuizione
geniale per l’epoca, che fa del Vico un precursore di molte moderne
teorie, ed un demolitore di antiche leggende
[10].
La genesi di ogni avvenimento è sempre nella mente degli uomini
(singolo o nazione) che lo hanno prodotto: come per lo sviluppo
mentale dell’uomo (dall’infanzia alla maturità), anche la storia
segue quindi una successione di fasi naturali. Gli uomini pensano ed
agiscono anche in base alle passioni ed agli egoismi,
che però il più delle volte sortiscono effetti molto diversi da
quelli voluti nelle intenzioni
[11]
(eterogenesi dei fini). Soltanto la divina Provvidenza può
inserirsi nelle azioni individuali perseguendo un disegno generale:
la Scienza Nuova è quindi anche "teologia civile ragionata”
(ragionata, perchè la provvidenza non opera misteriosamente - come
nella tradizionale concezione cristiana - ma attraverso i "naturali
costumi umani", in modo da essere trasparente alla ragione
dell’uomo). La storia si sviluppa secondo queste leggi che la
governano, ripetendosi eternamente.
Le modalità con cui le nazioni si sviluppano, si differenziano come
detto nelle fasi di vita di ciascun uomo: infanzia (in cui
prevalgono i sensi), giovinezza (la fantasia e passione), maturità
(l’età della ragione).
Per ciascuna comunità o nazione, vi è quindi “l’età degli dei”
dei primitivi [12],
in cui il mito degli dei deriva da un’intuizione arcaica,
frutto dell’immaginazione e fantastica, ma di riflessione. Il
comportamento degli uomini in una cultura arcaica riflette quindi
quello dell’infanzia dell’individuo. Segue ”l’età degli eroi”
(la Grecia omerica) in cui avviene la separazione della società in
due ceti: da un lato i patrizi, che tendono a mantenere inalterata
l’organizzazione dello Stato che garantisce i loro privilegi, e
dall’altro lato i plebei, che mirano invece a sovvertirla per
migliorare la loro condizione
[13].
La tensione tra i due gruppi sociali è il “motore” che conduce al
progressivo riconoscimento dell’eguaglianza di tutti i cittadini.
Con la rivendicazione dell’eguaglianza tra gli individui inizia ”l’età
degli uomini” (la Grecia classica, la Roma repubblicana e la
civiltà moderna). Lo stato da aristocratico diviene popolare, e le
distinzioni sociali non sono più dovute all’appartenenza ad una
casta, ma all’operosità dei cittadini. Forse questa fu la più
geniale intuizione del Vico, che descisse il sistema sociale come
composto da classi che lottano tra di loro: egli così anticipa la
teoria marxista del materialismo storico e della "lotta di classe".
Lo schema che segna le fasi della storia non é irreversibile. A
causa di fattori quali lo scetticismo, l’anarchia, decadenza dei
costumi e perdita di austerità, le nazioni giunte all’età degli
uomini inesorabilmente ripiombano all’inizio del ciclo storico. Un
esempio classico di questa ritorno alla barbarie é il Medioevo, nel
quale Vico vede totalmente perduti i valori del mondo classico
greco-romano. L'imbarbarimento è anche spiegabile con il principio
della eterogenesi dei fini: la ragione, che è propria della terza
età storica, ritiene ancora di assecondare il progresso, ma invece
provoca la barbarie [14].
Il processo storico assumere quindi un carattere ciclico, perché il
ritorno alla barbarie ridarà nuovo slancio alla nazione attraverso
il ritorno al senso e alla fantasia, e l’evoluzione ricomincerà.
Vico chiama ricorso questo ritorno del corso storico.
La teoria differisce dalle interpretazioni cicliche del processo
storico elaborate nell’antichità specialmente dagli stoici, in
quanto Vico ritiene che i ricorsi siano soltanto una possibilità, e
che la successione delle tre età non abbia un carattere necessario o
definitivo, dipendendo dallo sviluppo delle struttura mentale umana.
In ogni caso, la dottrina vichiana ci dimostra come la civiltà
raggiunta non debba mai essere considerata come una conquista
definitiva, né la migliore di tutte.
Vico ha avvertito profondamente il problema della conoscenza delle
"età arcaiche", e quindi di cultura diverse dalla nostra. Egli è uno
dei primi filosofi a indicare la necessità di un'astrazione dai
nostri pregiudizi, dalla "boria dei dotti", per “avvertire” la
mentalità degli uomini appartenenti ad altre culture, e studiare il
loro agire.
Vico non chiarisce se i ricorsi portino a nazioni
migliori, in quanto il suo metro di “progesso” –
concetto peraltro alla sua epoca ancora non ben
delineato – è quello sopraccitato dell’uguaglianza
sociale. Ci sono quindi nel pensiero di Vico, che pure
si è sempre definito cristiano, elementi molto diversi
rispetto all'idea della società e della storia di
matrice cristiana: la convinzione che il disegno divino
non sia imperscrutabile e che i cicli storici si
ripetano eternamente anche se ci fossero infiniti mondi;
l’ammonimento che la civiltà raggiunta non debba mai
essere considerata come una conquista definitiva, né la
migliore di tutte; il principio che la maturazione della
civiltà avvenga con la lotta tra le classi sociali;
tutti questi sono
indubbiamente elementi estranei alla dottrina cattolica.
Alfonso Grasso
novembre 2006
Medaglia in bronzo del 1845 per il VII Congresso
degli Scienziati italiani a Napoli – fronte: Giovan Battista
Vico
(collezione Francesco di Rauso,
Caserta) clicca sull'immagine per ingrandire
Note
[1] Il
padre era un modestissimo libraio di San Biagio de’ Librai a
Napoli.
[2]
Così come precaria rimarrà per tutta la vita la sua
condizione economica, anche a causa della numerosa
figliolanza.
[3] In
quanto professore di Eloquenza, spettava a lui il compito di
pronunciare la "orazione inaugurale" di apertura dell'anno
accademico
[5]
Vico fu costretto a vendere un
anello per pubblicare il compendio: prima il cardinale
Orsini, poi Papa Clemente XII, si erano tirati indietro e
non sovvenzionarono la pubblicazione. Ma, come scrisse lo
stesso Vico, questo fu un bene, perchè gli consentì di
riscrivere l’opera in maniera più completa efficace.
Tradotto in Napoletano: storta va, dritta vene!
[6] Fu
questa la prima edizione dell’opera. La seconda edizione è
del 1730, la terza (integrale) fu edita nel 1744, anno della
morte del Vico, postuma di 7 mesi.
[7] In
italiano Ugo Grozio (conosciuto anche come Hugo Grotius o
Hugo de Groot; Delft, NL 10 aprile 1583 - Rostock, 28 agosto
1645) giurista e filosofo, fu l’enunciatore dei principi del
diritto internazionale, basato sul diritto naturale.
[8] Per
gli uomini il “vero” (cioè l’oggettivamente conosciuto) è
solo ciò che è fatto dagli uomini stessi.
[9] Qui
la parola “diritto” assume il suo significato originale, di
complesso di leggi, e non quello oggi diffuso di “ciò che mi
spetta”.
[10]
Per esempio, Vico dimostrò che “Omero” non era unico poeta,
ma un simbolo, e che le sue opere sono state scritti
nel corso di secoli. La scoperta fu poi convalidata dallo
storico Friedrich Wolf nell''800 e dalle ricerche effettuate
nel XX secolo. Precorrendo la nuova storiografia, Vico
sostenne che i re di Roma non sono personaggi storici, ma
simboli delle antiche istituzioni romane.
[11]
L'impulso sessuale, per esempio, nasce per la mera
soddisfazione fisica, ma poi ha dato luogo all'istituto
della famiglia.
[13]
Vico, memore della sua origine sociale e dei sacrifici
patiti, non nascose mai la sua simpatia per i plebei romani,
e per le classi oppresse di ogni epoca.
[14]
Quanto temuto dal Vico circa la sua epoca, e quanto accaduto
nei nostri tempi, allorché studiando l’atomo si è poi
arrivati a buttare bombe atomiche su città indifese.
Bibliografia
Vico Giambattista,
la Scienza Nuova, 1730 a cura di Paolo Cristofolini,
con la collaborazione di Manuela Sanna - Napoli: Alfredo
Guida Editore, 2004
Centro Culturale e di Studi Storici "Brigantino - il Portale del Sud"
- Napoli e Palermo
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