Pietro
Giannone, giurista storico e filosofo, sostenne l'assoluta necessità
della separazione tra Stato e Chiesa: finché il regno di Napoli
fosse rimasto sotto l'influenza della Curia romana, non avrebbe
potuto progredire.
Tra i massimi pensatori italiani, Giannone pagò un prezzo altissimo alla
coerenza con cui difese la libertà di pensiero e le sue idee. Pugliese della Capitanata, nacque ad Ischitella (FG) il 7 maggio 1676 da una famiglia di giuristi. Studiò
dapprima in famiglia, quindi all’Università degli Studi di Napoli
dove si laureò in giurisprudenza, interessandosi anche di filosofia.
Nella capitale, la grande personalità di riferimento era all'epoca
Giambattista Vico, con la cui scuola di pensiero Giannone entrò
presto in contatto, ed ebbe modo così di approfondire le teorie di
Cartesio e di Nicholas Malebranche, nonché quelle empiristiche di
Pierre Gassend (detto Gassendi) e di John Locke.
Nel 1723 Giannone pubblicò la sua opera principale Dell'istoria
civile del regno di Napoli, cui aveva dedicato 20 anni di
lavoro. Un’opera storiografica moderna, che ricerca i problemi della
società nel Medioevo, nelle lotte per il potere e nella corruzione
dei ceti ecclesiastici. Altamente apprezzata in Inghilterra, Francia
e Germania, dove fu tradotta, studiata e ripetutamente pubblicata,
l’opera del Giannone riscosse l’ammirazione degli intellettuali
europei (Voltaire, Montesquieu, Gibbon, ecc.). In patria, invece,
gli costò la messa al bando e l’esilio. Giannone aveva infatti messo
a nudo con precisi riferimenti giuridici i mali antichi del regno
napoletano, e la nefanda influenza della Chiesa.
Per Giannone, la Chiesa cattolica coincide con il Male assoluto, ed
è sempre causa di involuzione ed oscurantismo ["...non solo i
corpi, ma, quel che è più, anche le anime, i cuori e gli spiriti de'
sudditi si sottopose a' suoi piedi e strinse fra ceppi e catene"].
Il cattolicesimo è una religione solo di “facciata”, che ha
costruito la propria esistenza soltanto su superstizioni, abusi,
leggende ed inganni, mirando esclusivamente all'accumulo di
ricchezze e potere. Non a caso, le istituzioni giuridiche dello
Stato pontificio sono volte alla distruzione dell'ordine civile e
dello Stato. Occorre quindi che l'autorità laica sia liberata da
ogni ingerenza ecclesiale. Lo Stato, ossia il Regno di Napoli, deve
emanciparsi dalla servitù al papa.
Il libro fu messo all’Indice (Index librorum prohibitorum) e
Giannone fu scomunicato e scacciato da Napoli. La sua partenza fu in
effetti una vera e propria fuga, poiché il clero gli aveva aizzato
contro il popolino. Riparò a Vienna, dove ebbe la protezione di
importanti personaggi della corte imperiale e gli venne assegnato un
appannaggio affinché potesse proseguire nei suoi studi.
Nel 1734, con l’avvento al trono di
Carlo di Borbone, Giannone tentò
il ritorno a Napoli, ma perseguitato della Chiesa, dovette riparare
a Venezia, da dove venne però espulso il 23 settembre 1735. Vagò,
sotto falso nome, tra Milano e Torino, finché arrivò a Ginevra dove
si converti al calvinismo. In questa città scrisse il Triregno,
rimasto inedito fino al 1895, con cui demolisce le fondamenta
filosofiche del potere temporale papale: il cristianesimo propose
l'ideale di un "regno celeste", da raggiungere però dopo la morte,
mentre la avida ed immorale Chiesa cattolica, ha fondato un indebito
"regno papale" terreno.
Gli ecclesiastici non lo perdono d’occhio e gli tendono un tranello:
attirato con un inganno in territorio sabaudo, viene arrestato e
internato. È il 1°aprile 1736, giorno di Pasqua. Trascorre i
rimanenti 12 anni della sua vita in prigione, nei castelli di
Miolans, di Ceva, ed infine di Torino, dove muore il 7 marzo 1748.
Alfonso Grasso
ottobre 2006 |