Antonio Genovesi vide nell’istruzione popolare un fattore
determinante di progresso civile. Una considerazione scontata, si
direbbe oggi. Non lo era nel ‘700, dove la cultura era appannaggio
esclusivo dell’aristocrazia e del clero. Ma la modernità di Antonio
Genovesi va ben oltre: egli sostenne il primato della ragione, la
necessità di studiare le scienze e l’economia, perfette sconosciute
in un’epoca in cui lo studio era quello del latino e dei classici
consentiti dalla Chiesa. Spirito illuminato, il Genovesi esaltò il
lavoro come motore di sviluppo e propugnò l’autonomia dello Stato da
ogni ingerenza del Papa.
Il Genovesi nacque il 1° novembre 1713
a Castiglione in provincia di Salerno, allora
Principato Citra, da famiglia modestissima
che, per assecondarne la propensione e
l’entusiasmo per gli studi, lo avviò alla vita ecclesiastica
. All’epoca, era quella l’unica maniera per
aggirare l’insormontabile barriera che separava i poveri
dall’istruzione.
Nel 1737 fu docente di retorica presso il seminario di Salerno.
L’anno successivo venne ordinato sacerdote e, grazie a 600 ducati
ricevuti in eredità da uno zio, si trasferì a Napoli. Nella capitale
entrò in contatto con
Giambattista Vico,
di cui fu allievo, e nel 1741 ottenne la cattedra universitaria di
metafisica e successivamente quella di etica. Maturava intanto in
lui l’avversione per le disquisizioni accademiche, così avulse dai
problemi concreti della società, e preferì sempre più dedicarsi alla
“cultura delle cose", cioè a quelle discipline pratiche, quali la
fisica e l’agraria, che potevano favorire il progresso, attraverso
l'autonomia della ragione e con l'affermazione della libertà.
Dal 1754, divenne titolare di una cattedra di Economia ("Commercio e
Meccanica"), istituita appositamente per lui
. Per la prima volta in Europa, quindi nel
mondo, una cattedra universitaria veniva dedicata all'insegnamento
delle discipline economiche. Era anche la prima cattedra assegnata
per pubblico concorso escludendo i membri del clero regolare, e la
prima ad imporre l'obbligo di tenere le lezioni in Italiano
. Il Genovesi usò sempre l’italiano nei suoi
corsi, indipendentemente dall’obbligo statutario, così come scrisse
la maggior parte dei suoi trattati in Italiano.
Morì a Napoli il 22 settembre 1769. La salma fu sepolta nella Chiesa del
convento di Sant'Eramo Nuovo. Oggi a Napoli resta un liceo classico
a lui dedicato, nella zona del Gesù Nuovo. Ma in città, del suo
“lume” c’è ancora traccia?
Le opere principali
Il Genovesi ci ha lasciato opere filosofiche, quali gli Elementi
di Metafisica (1743-52), Meditazioni filosofiche del
1754, Lettere filosofiche del 1759, Lettere Accademiche
del 1764, Logica del 1766, Memorie Autobiografiche e
Diocesinae o sia della Filosofia del Giusto e dell'Onesto uscito
postumo nel 1776. Pur avendo Antonio Genovesi cercato di salvare
nelle sue opere i valori cristiani, fu accusato di razionalismo
e ateismo
, e
rischiò la scomunica.
In campo economico, scrisse il Discorso sopra il vero fine delle
lettere e delle scienze, e le famose Lezioni di commercio o
sia di economia civile in due volumi (1766 e 1767), tradotti in
moltissime lingue. |
Genovesi considerò la nuova scienza economica come costituita non
solo da elementi mercantili, ma anche civili, storici, filosofici e
culturali. L’economia ha la finalità della “pubblica felicità”,
capace cioè di far progredire gli individui e le nazioni attraverso
riforme politico-sociali condotte in maniera razionale e
scientifica. Quello del Genovesi è, insomma, un pensiero “illuminata”,
sviluppato e concepito nella Napoli di Carlo di Borbone. Come
ampiamente riconosciuto, il Genovesi anticipò concezioni di economia
politica ancor oggi dibattute.
Al tempo di Genovesi, l'Illuminismo stava mettendo in discussione i
cardini della vecchia società, provocando quella che fu una delle
maggiori rivoluzioni culturali della storia. Venivano messe a punto
le teorie libertarie, nei circoli culturali europei spirava il vento
del relativismo anti-dogmatico e si avvertiva l’urgente necessità di
poter esprimere una critica libera, senza il pericolo di finire al
rogo. A Napoli era scoppiata la polemica antigesuitica e si
reclamava l’autonomia dello Stato dalla Chiesa. Re Carlo di Borbone
ben interpretava queste istanze con la sua concezione di monarchia
illuminata [vedi la monografia
“don Carlos e Bernardo Tanucci” in questo stesso sito].
Il Genovesi prese nettamente posizione a favore della distinzione
tra potere civile e potere ecclesiastico. Sostenne, fatto
rivoluzionario per l’epoca, che la Chiesa è infallibile soltanto in
materia di fede.
Per superare la piaga dell'arretratezza e favorire il benessere,
giudicò come fondamentale diffondere l'istruzione a tutti,
soprattutto nelle scienze e nelle arti. Egli esaltò il lavoro
produttivo per il bene dei singoli e della società, contrapponendolo
alle rendite parassitarie ed all’eccessivo numero di ecclesiastici e
di avvocati. Lo Stato secondo Genovesi deve concretamente schierarsi
per coloro che lavorano e producono, attraverso riforme della
proprietà fondiaria, interventi sul credito, sui dazi doganali e
sulla politica monetaria.
Alfonso Grasso
novembre 2006
Note
[1] In alcuni
testi viene riportato il 1712. Il cognome era
originariamente Genovese e fu successivamente cambiato in
Genovesi.
[2] Il padre
Salvatore era un umile calzolaio.
[3] La famiglia
fece enormi sacrifici per farlo studiare, affidandolo ai
parroci che intanto si succedevano. Proseguì sotto la giuda
di un parente, Niccolò Genovese, che gli insegnò la
filosofia peripatetica e la logica cartesiana. A diciotto
anni, si innamorò di una coetanea di Castiglione, Angela
Dragone, ma il padre stroncò la nascente relazione per
timore che il figlio rinunciasse alla carriera sacerdotale.
Successivamente, quando era già professore di retorica
presso il seminario di Salerno, studiò il Francese.
[4] La cattedra
si avvalse di un fondo donato da Bartolomeo Intieri,
mecenate toscano, di 300 ducati di rendita annui.
Evidentemente ai tempi di
Carlo di Borbone, a Napoli si potevano fare innovazioni
che in Toscana erano impossibili!
[5] Questi
vincoli erano inclusi nelle volontà testamentarie di
Bartolomeo Intieri.
[6] Seguace delle
idee del
Vico, Genovesi si basa sul pensiero di Cartesio, Newton,
Helvetius e soprattutto Locke.
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