Il nome
il Castel dell'Ovo sorge imponente sull'isolotto roccioso di Megaride, costituito da due faraglioni uniti tra di loro da un grande arco naturale. Sotto il Castello, si adagia il Borgo Marinaro ed il suo porticciolo, con le basse casette, i ristoranti ed capannoni per le imbarcazioni. Un breve ponte congiunge l'isolotto a via Partenope, che porta il nome della leggendaria sirena della città di Napoli: è una delle strade più belle, da cui lo sguardo può abbracciare l'intero arco del Golfo. Al suo posto, fino alla fine dell’Ottocento, vi era un lungo banco di tufo emergente dal mare chiamato Chiatamone, di cui ora resta l’omonima strada.
Castel dell'Ovo ha una lunga storia che risale ai tempi del ducato napoletano, e, prima ancora, al castrum Lucullanum, ed il suo nome è legato ad una delle più fantasiose leggende napoletane, di origine medioevale,secondo la quale Virgilio, il grande poeta latino, vi avrebbe nascosto all'interno di una gabbia un uovo incantato chiuso in una gabbia. Il luogo ove era conservato l'uovo, fu chiuso da pesanti serrature e tenuto segreto poiché da "quell'ovo pendevano tutti li facti e la fortuna del Castel Marino". Si cominciò a credere che finché l’uovo non si fosse rotto città e castello sarebbero stati protetti da ogni tipo di calamità, ma se qualcosa fosse accaduto all'uovo, guai a Napoli ed ai napoletani!
La legenda ha tenuto per secoli, ed il castello non ha mai avuto altro nome. Quando il Petrarca venne a Napoli ospite del re Roberto d'Angiò, apprese anch'egli, la storia dell'uovo incantato del castello. Al tempo della regina Giovanna I, il castello subì ingenti danni a causa del crollo parziale dell'arco che unisce i due scogli sul quale è poggiato e la Regina dovette solennemente giurare di aver provveduto a sostituire l'uovo per evitare che in città si diffondesse il panico per timore di nuove e più gravi sciagure. I lavori di restauro fatti a quell'epoca mutarono in parte la linea architettonica del forte normanno, che divenne per la leggenda popolare il teatro delle orge delle due regine Giovanna I e Giovanna II, che avrebbero fatto buttare a mare o cadere in oscuri trabocchetti i loro amanti occasionali.
Il Castrum Lucullanum
A metà VII secolo a.C. sbarcarono sull’isolotto di Megaride i Cumani, di origine greco-euboica, che fondarono Partenope sul retrostante Monte Echia, città che incorporò un centro abitato centro abitato più antico, e che in seguito furono insieme identificati come Palepoli. Nel I secolo a.C., durante la dominazione romana, sull'isolotto e sul Monte Echia, fu costruita la villa, o Castrum Lucullanum, del patrizio Lucio Licinio Lucullo che, probabilmente, si estendeva con parchi e fontane da Pizzofalcone fino all'attuale Piazza Municipio.
Lucullo era stato un valoroso combattente e, nominato console, aveva vinto la guerra contro Mitridate, restando a lungo in Asia per la riscossione dei tributi. Questi incarichi gli fruttarono enormi ricchezze e oggetti d'arte d'inestimabile valore, compresa una raccolta di papiri ricordata da Cicerone per la sua importanza ed il suo interesse, che portò nella sua sontuosissima villa napoletana. Proprio sull'isolotto di Megaride, egli dava feste e cene sontuose, ognuna delle quali costava un patrimonio. Così, Lucullo non è passato alla storia per le sue doti di uomo di cultura, diplomatico e guerriero, ma esclusivamente per i pranzi “luculliani” che dava nella sua villa. Oggi della sua dimora non rimane che i rocchi delle colonne nella cosiddetta "Sala delle Colonne" e i resti di un ninfeo sulla terrazza di Monte Echia.
I conventi
Il Castrum Lucullanum fu fortificato dall'imperatore Valentiniano III intorno alla metà del V secolo, ma poi fu messo a sacco da vandali e ostrogoti. Nel 476 Odoacre tenne prigioniero in quel che rimaneva del Castrum Lucullanum l'ultimo imperatore romano d'Occidente, Romolo Augustolo che dopo la morte del padre Oreste aveva preferito consegnarsi nelle mani del vincitore, il quale, peraltro, si limitò ad esiliarlo dandogli anche una rendita. Romolo Augustolo morì poco dopo, segnando coni la fine dell'impero romano d'Occidente.
Tra i ruderi della villa trovarono rifugio alcuni eremiti, che vi installarono un refettorio. Successivamente sull'isolotto e su Monte Echia furono costruiti numerosi conventi da parte di rifugiati provenienti dall'oriente, fuggiti dai loro paesi a causa della lotta iconoclastica promossa dall'imperatore Leone III Isaurico. Il primo convento sorto su Megaride fu quello dell'abate Marciano, venuto dalla Pannonia, che lo dedicò a San Severino, le cui spoglie furono qui tumulate. Vi sorsero quindi altri monasteri che alla fine del 600 si fusero tutti nell'accettazione della regola di San Benedetto. in questi conventi cominciò un paziente lavoro di ricerca e di copia di antichi codici e pergamene greche e latine. In questo periodo l'isolotto, sede di tanti conventi, iniziò ad essere chiamato “del Salvatore”.
Secondo la leggenda, sbarcò sull'isolotto una nipote dell'imperatore d'Oriente, Patrizia, fuggita dalla sua terra perché insidiata dallo stesso zio. Sarebbe lei la fondatrice del romitorio per donne che dal suo nome si chiamò Santa Patrizia.
Napoli ducale
Durante il periodo del ducato elettivo, l’isolotto di Megaride fu nuovamente fortificato dai napoletani per far fronte ai pericoli di invasione. I Mussulmani nel corso del 700 avevano conquistato la Sicilia e quasi tutta la Spagna, ed il Mediterraneo era diventato pericoloso per i continui scontri. Per la verità, non sempre i Saraceni furono considerati nemici, anzi ci furono numerose alleanze con Napoli, che ospitò a più riprese delle piccole comunità di mercanti e soldati arabi e siciliani. Nel secolo IX i monaci furono costretti a lasciare l'isolotto perché scacciati dal duca Sergio, che ne confiscò i beni. Sotto altri duchi invece ebbero vari privilegi. Agli inizi del X secolo, la fortezza fu distrutta dagli stessi napoletani, considerata in quel momento indifendibile.
Il castello normanno
Con la venuta dei Normanni, l'antico fortilizio venne completamente ricostruito, e re Ruggiero II vi riunì per la prima volta nel 1139 il suo parlamento. L’amministrazione normanna determinò per Napoli due direttrici di sviluppo, di comunicazioni e di commercio: una verso il mare, e l'altra verso l'entroterra, con Castelcapuano. Con il completamento di quest'ultimo, il Castel dell'Ovo fu abitato solo saltuariamente.
Successivamente, con gli Svevi il castello fu reggia, ma anche prigione di stato. Durante il regno di Carlo I d'Angiò vi furono trasferiti il tribunale della Camera regia e l'erario dello Stato. Il re vi relegò anche i figli di re Manfredi di Svevia e Margherita, la figlia di Federico II. Sotto il regno di re Roberto, il castello fu maggiormente fortificato dall'architetto Atanasio Primario con la costruzione di nuove torri. Anche durante il regno di re Roberto alcuni locali furono adibiti a prigione ed ospitarono la principessa d'Acaia, alla quale fu imposto in matrimonio un figlio del re.
La ricostruzione aragonese
Durante il XIV secolo, il castello fu danneggiato a seguito della guerra la guerra tra Carlo III e Giovanna I. Seguirono ad inizio del ‘400 le lotte tra Aragonesi e Angioini, ed il castello fu preda ora dell'uno ora dell'altro partito. Con la vittoria di Alfonso il Magnanimo, venne ricostruito, ed il re lo inaugurò solennemente il 6 maggio del 1456. Il castello assunse la forma rappresentata nella famosa Tavola Strozzi. Alfonso, quando si sentì prossimo alla fine volle farsi trasferire a Castel dell’Ovo, e fu lì che raccomandò all'erede, Ferrante, di puntare soprattutto alla pace per il suo popolo. Re Alfonso fu sepolto temporaneamente nel castello, poi il corpo fu trasportato in Catalogna, come disposto in precedenza.
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la Tavola Strozzi |
Nel 1484, durante il regno di Ferrante I, Castel dell'Ovo fu saccheggiato dalle milizie francesi al soldo dei baroni ribelli [vedi la Congiura dei Baroni] e Ferrante per riprenderlo dovette bombardarlo con l’artiglieria. All'epoca della discesa di Carlo VIII di Francia, 1495, il Castello ospitò Alfonso II, che qui prese la decisione di abdicare in favore del figlio Ferrandino e di partire alla volta della Sicilia con cinque galee, sulle quali mise in salvo la preziosa biblioteca di re Alfonso I. In seguito, nel 1501, il castello fu ulteriormente danneggiato dai francesi di Luigi XII e dagli spagnoli di Consalvo de Cordova comandati da Pietro Navarro, che spodestarono per conto di Ferdinando il Cattolico, re di Spagna, l’ultimo re aragonese di Napoli, Federico.
Il Periodo dei Vicerè
Il Regno di Napoli era divenuto una dipendenza degli Spagnoli, che lo considerarono soprattutto un serbatoio di risorse cui attingere. Alla Chiesa vennero concesse ulteriori possedimenti e prerogative, e la l’Inquisizione acquistò un enorme potere. Castel dell'Ovo, ristrutturato dal vicerè duca d'Alba nel 1663, riassunse le sue funzioni di prigione: vi fu incarcerato il filosofo Tommaso Campanella prima di essere condannato a morte. Durante i moti di Masaniello, gli Spagnoli bombardarono la città dai bastioni del castello.
La Repubblica Napoletana
Castel dell'Ovo, come gli altri forti della città, fu presente nei moti che portarono alla costituzione della Repubblica Napoletana del 1799: Francesi e rivoluzionari vi si asserragliarono, ma quando giunsero le truppe del cardinale Ruffo furono costretti a capitolare.
L’Ottocento
Sotto i re napoleonidi furono costruite casematte e piazzole per artiglieria e quando nel golfo di Napoli nel 1809 avvenne la battaglia navale tra la Marina Napoleonide e quella Anglo-Borbonica, il castello si dimostrò all'altezza della situazione. Dopo il loro ritorno definitivo, i Borbone fortificarono ancor più il Castello con batterie e due ponti levatoi; in seguito, il forte fu nuovamente adibito a prigione ed ebbe tra i reclusi Francesco De Sanctis, Carlo Poerio, Luigi Settembrini e altri protagonisti dei moti del 1848.
Il Novecento
All'inizio del ‘900 su questo isolotto sorsero alcuni celebri «Café Chantants», quali l’Eldorado e il Santa Lucia, ove si davano piacevoli spettacoli che duravano tutta la notte, cui intervenivano personaggi come Edoardo Scarfoglio, Salvatore Di Giacomo, Ferdinando Russo e Roberto Bracco.
Oggi il Castello è adibito a convegni e cerimonie d’alto livello. Possono essere visitate le due torri, denominate Normandia e Maestra, i resti della Chiesa di San Salvatore, una sala gotica coperta a volte, una loggia ogivale del '300 trasformata nell'800 in cappella, la Sala delle Colonne, i resti di un loggiato quattrocentesco, le celle dei monaci, il cosiddetto carcere della regina Giovanna ed il grande terrazzo panoramico con i cannoni spagnoli rivolti verso la città.
Il Castello e Napoli sono sempre lì, sotto il Vesuvio, nella sfavillante cornice del Golfo. Contraddizioni e miserie ne vorrebbero appannare lo sfavillio, ma finché c’è l’Ovo …
Alfonso Grasso
Riferimenti ad altre pagine del sito
Fonti bibliografiche:
Castel dell'Ovo è anche su Trivago
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