Numismatica

La serie di medaglie borboniche

degli uomini illustri delle Due Sicilie

a cura di Francesco di Rauso

Si ringrazia il sig. Francesco di Rauso per aver messo a disposizione del Portale le immagini della sua preziosa collezione

La bellissima serie di 17 medaglie del diametro di 40 millimetri coniata a Napoli e dedicata agli nomini illustri delle Due Sicilie, è stata a lungo considerata di committenza privata e quindi non facente parte della medaglistica borbonica. Tuttavia nel 2006 è stata meritevolmente inserita da Salvatore D'Auria nella sua opera Il medagliere.

Queste medaglie sono borboniche a tutti gli effetti in quanto regolarmente approvate dal Re con documenti ufficiali che ne autorizzano l'incisione e coniazione servendosi degli artisti della zecca di Napoli che in quel momento già lavoravano per la creazione di altre medaglie. La coniazione fu approvata dal Re in diversi periodi a cavallo tra il 1830 ed il 1834. Ecco i personaggi illustrati nella serie.

Torquato Tasso

Torquato Tasso in un'incisione del 1780, Caserta, collezione privata

Medaglia in bronzo dedicata a Torquato Tasso - 20 gennaio 1830 (collezione Francesco di Rauso, Caserta) clicca sull'immagine per ingrandire

 

Astuccio originale, clicca sull'immagine per ingrandire

Torquato Tasso (Sorrento 1544-Roma 1595) è stato un famoso scrittore e poeta. Figlio del poeta Bernardo Tasso, a diciotto anni esordì con il poema Rinaldo, dedicato al cardinale Luigi D'Este. Si trasferì alla corte di Ferrara dove condusse una vita intensa e di grande attività artistica. È in questo periodo che, tra l'altro, terminò il suo capolavoro, Gerusalemme Liberata. A causa del suo particolare carattere, pieno di insicurezze e contraddizioni, fu colto da uno squilibrio mentale, che lo portò ad una vita solitaria, viaggiando attraverso l’Italia, fino a che, tornato a Ferrara, il duca Alfonso lo fece rinchiudere nell'ospedale di Sant’Anna, dove rimase per sette anni. Liberato per intervento della duca di Mantova, riprese i suoi viaggi in Italia, finché morì a Roma nel monastero di Sant'Onofrio. La sua sensibilità così spiccata e talvolta addirittura malata, si riflette nelle sue opere, liriche e appassionate, anche nella tragedia e nell'epos.

Pietro Novelli

Pietro Novelli, monumento in marmo

Medaglia in bronzo dedicata a Pietro Novelli - 20 gennaio 1830 (collezione Francesco di Rauso, Caserta) clicca sull'immagine per ingrandire

Pietro Novelli detto il Monrealese (Monreale 1603 - Palermo 1647) è stato un famoso pittore. Si formò presso la bottega del padre pittore a Monreale. In seguito, a Palermo, subì l'influenza dei dipinti di scuola genovese presenti nell'Oratorio di Santo Stefano Protomartire al Monte di Pietà e dell’Adorazione dei Pastori di Caravaggio dell'Oratorio dì San Lorenzo. Furono anche forti le influenze dei pittori fiamminghi presenti all'epoca a Palermo, come per esempio Antoon van Dyck che soggiornò nella capitale siciliana nel 1624. I viaggi di Novelli ebbero una grande importanza nell’evoluzione della sua pittura. Visitò Roma tra il 1622 e il 1625, dove ebbe modo di studiare i maggiori pittori del Rinascimento. Nel corso di un viaggio a Napoli nel 1630 vide i lavori di Jusepe de Ribera e di alcuni pittori naturalisti napoletani che lo incoraggiarono a sviluppare una pittura più realistica. Fu uno dei maggiori pittori del suo tempo e fu nominato "pittore reale". Inoltre gli furono commissionati quadri religiosi per numerose chiese ed affreschi che adornarono le ville della nobiltà siciliana. Numerose sue opere sono esposte presso la Galleria Regionale di Sicilia di Palazzo Abatellis a Palermo.

Marco Tullio Cicerone

Marco Tullio Cicerone, busto in marmo, Roma, Musei Capitolini

Medaglia in bronzo dedicata a Marco Tullio Cicerone - 20 gennaio 1830 (collezione Francesco di Rauso, Caserta) clicca sull'immagine per ingrandire

Marco Tullio Cicerone (Arpino 106 a.C. - Formia 43 a.C.). Oratore, uomo politico e scrittore latino. Nacque in una famiglia ricca e influente dell'ordine equestre e fu avviato agli studi di retorica, diritto e filosofia, prima a Roma e in seguito ad Atene, a Rodi e a Smirne. Ritornato in patria nel 77 a.C., intraprese la carriera politica: divenne questore nel 75 a.C., senatore nel 74, edile curule nel 69, pretore nel 66 e console nel 63. Fu l'esilio in Macedonia (58 a.C.); un anno dopo riuscì a tornare a Roma grazie all'aiuto di Pompeo. Costretto a restare lontano dalla vita politica dal triumvirato di Pompeo, Cesare e Crasso, Cicerone si dedicò alla letteratura fino al 51 a.C., quando accettò la carica di proconsole in Cilicia (Asia Minore). Di nuovo a Roma nel 50, affiancò Pompeo, diventato nel frattempo nemico di Cesare. La sconfitta dei sostenitori di Pompeo a Farsalo (48 a.C.) lo convinse a venire a patti con Cesare, che gli perdonò la passata ostilità. Per qualche anno, fino all'uccisione di Cesare (44 a.C.), Cicerone rimase assente dalla scena politica, dedicandosi agli studi filosofici e alla letteratura. Nel conflitto che si accese tra il figlio adottivo di Cesare, Caio Ottaviano (che sarebbe stato insignito del titolo di Augusto) e Marco Antonio, Cicerone si schierò dalla parte del primo, ma la temporanea riconciliazione dei due nemici segnò la sua fine. Ottaviano non si oppose alla decisione di Antonio di inserirlo nelle liste di proscrizione. Catturato presso Formia, Cicerone venne giustiziato come nemico dello stato (43 a.C.).

Publio Ovidio Nasone

Medaglia in bronzo dedicata a Publio Ovidio Nasone - 20 gennaio 1830 (collezione Francesco di Rauso, Caserta) clicca sull'immagine per ingrandire.

Publio Ovidio Nasone (Sulmona 43 a.C. - Tomi sul Mar Nero 17 d.C). Fu un celebre poeta. Ancora molto giovane arrivò a Roma, dove studiò. Presto entrò in contatto con i maggiori poeti e filosofi del tempo. Frequentò la corte di Augusto, e condusse una vita agiata. La tragedia, Medea, da lui composta, ottenne molti riconoscimenti, e intorno al 14 a. C., compose un canzoniere in distici-elegiaci, gli Amores. A queste poesie leggere seguirono le Heroides e l'Ars amatoria. Quest'ultima opera contribuì notevolmente a estendere la sua fama. Compose le Metamorfosi ed i Fasti. I Fasti dovevano essere composti da dodici libri, uno per ogni mese dell'anno, ma Ovidio lo lasciò dopo la composizione del sesto. Nell'8 d. C. il poeta venne in disgrazia presso l'imperatore Augusto (per cause che non sono del tutto chiare) e fu colpito da un decreto che lo costringeva all'esilio a Tominella Scizia, dove rimase sino alla morte. In viaggio verso l'esilio compose il poemetto Ibis e i primi due libri dei Tristia (elegie). Nel luogo del suo esilio sul Mar Nero, compose le Epistulae ex Ponto, elegie in forma epistolare, ed un poemetto sulla pesca. Muore a Tomi, sul Mar Nero, nel 17 d. C.

Publio Ovidio Nasone, busto in marmo, Firenze, Galleria degli Uffizi

Archimede

Medaglia in bronzo dedicata ad Archimede - 3 agosto 1830 (collezione Francesco di Rauso, Caserta) clicca sull'immagine per ingrandire

Archimede (Siracusa 287 a.C. - 212 a.C.). La sua tomba fu scoperta e restaurata da Cicerone nel 75 a.C. Il suo nome è legato a fondamentali studi dell'idrostatica (equilibrio dei liquidi) e soprattutto sul calcolo delle aree, dei volumi e delle spinte (il Principio d'Archimede). Archimede studiò ad Alessandria d'Egitto, dove conobbe Eratostene da Cirene (studioso dell'epoca). Rientrato a Siracusa, si applicò ai suoi studi: la matematica, la fisica, la geometria, l'ottica e l'astronomia. Egli riteneva anche di avere delle idee sulla quadratura del cerchio, il rompicapo di tutti i matematici. Il padre Fidia molto stupito dall’intelligenza del figlio, decise di presentarlo al re Gerone II, che lo tenne sempre in grande considerazione. Nel 212 a.C. le truppe romane saccheggiarono la città di Siracusa; un soldato entrò in casa di Archimede e gli chiese chi fosse, ma Archimede, preso dal suo lavoro, gli rispose male, quindi il soldato sentendosi offeso lo uccise. Archimede volle che sulla sua tomba fosse scolpita una sfera racchiusa da un cilindro (che indicava il rapporto fra il volume dei due solidi). Nella guerra contro Roma Archimede aveva partecipato genialmente alla difesa della città con l’invenzione degli specchi che, riflettendo la luce del sole, incendiavano le navi assedianti.

Archimede, busto in marmo, Napoli, Museo Archeologico Nazionale

Flavio Gioia

Flavio Gioia, monumento in bronzo, Amalfi

Medaglia in bronzo dedicata a Flavio Gioia - 3 agosto 1830 (collezione Francesco di Rauso, Caserta) clicca sull'immagine per ingrandire

 

Flavio Gioia, o Gioja (Amalfi o Positano XIV secolo), è stato un navigatore ed inventore vissuto tra il XIII ed il XIV secolo. È considerato da alcuni l'inventore della bussola magnetica. Flavio Gioia sarebbe nato ad Amalfi o a Positano nella seconda metà del Duecento. Intorno al 1302 egli avrebbe perfezionato la bussola inventata dai Cinesi, mettendo a punto un metodo per rendere lo strumento, già adottato in precedenza dai naviganti arabi, veneziani e gli stessi Amalfitani, più utilizzabile e pratico. Lo strumento, costituito da un ago magnetico sospeso su di un disegno a fleur-de-lis (il giglio araldico), racchiuso in una scatola con coperchio in vetro, indica il nord. Il giglio si presume fosse adottato in onore di Carlo I d'Angiò, re di Napoli. È da rimarcare che Marco Polo al suo ritorno dalla Cina nel 1295, può avere contribuito a diffondere la conoscenza di dispositivi magnetici per la navigazione usati dai Cinesi e dai popoli dell'Asia visitati.

Marco Vitruvio Pollione

Medaglia in bronzo dedicata a Marco Vitruvio Pollione - 3 Agosto 1830 (collezione Francesco di Rauso, Caserta) clicca sull'immagine per ingrandire

Marco Vitruvio Pollione - Marcus Vitruvius Pollio (Formia 80-70 a.C. ca - 23 a.C.) è stato un architetto, ingegnere e scrittore latino. Ex ufficiale sovrintendente alle macchine da guerra sotto Giulio Cesare ed architetto-ingegnere sotto Augusto (aveva progettato e costruito la basilica di Fano), è l'unico scrittore latino di architettura la cui opera sia giunta fino a noi. La sua autorità in campo tecnico e architettonico è testimoniata dai riferimenti alla sua opera presenti negli autori successivi come Frontino. Della sua vita si hanno scarse notizie. Scrisse il trattato De architectura (L'architettura), in 10 libri, dedicato ad Augusto (che gli aveva concesso una pensione), probabilmente tra il 27 e il 23 a.C. L'edizione dell'opera avvenne negli anni in cui Augusto progettava un rinnovamento generale dell'edilizia pubblica. Tale trattato, riscoperto e tradotto in epoca rinascimentale (1414) da Poggio Bracciolini per primo, è stato il fondamento dell'architettura occidentale fino alla fine del XIX secolo.

L’uomo Vitruviano di Leonardo da Vinci – disegno 1490 ca.

Leonardo da Vinci affermò: "Vetruvio architetto mette nella sua opera d'architettura che le misure dell'omo sono dalla natura distribuite in questo modo. Il centro del corpo umano è per natura l’ombelico; infatti, se si sdraia un uomo sul dorso, mani e piedi allargati, e si punta un compasso sul suo ombelico, si toccherà tangenzialmente, descrivendo un cerchio, l’estremità delle dita delle sue mani e dei suoi piedi."

San Tommaso D’Aquino

Medaglia in bronzo dedicata a San Tommaso d'Aquino - 8 Agosto 1830 (collezione Francesco di Rauso, Caserta) clicca sull'immagine per ingrandire

San Tommaso d'Aquino (Roccasecca, 28 gennaio 1225 – Fossanova, 7 marzo 1274) è stato un filosofo e teologo della Scolastica, definito Doctor Angelicus o Doctor Universalis dai contemporanei. Rappresenta uno dei principali pilastri teologici della Chiesa cattolica, che lo venera come santo, lo considera Dottore della Chiesa. Tommaso fu forse il pensatore più importante del Medioevo e la sua influenza, nell’ambito della Chiesa cattolica, è tuttora fondamentale. Era un uomo grande e grosso, bruno, un po’ calvo ed aveva l’aria pacifica e mite dello studioso. Per il suo carattere silenzioso lo chiamarono "il bue muto". Tutta la sua vita fu spesa nell’attività intellettuale e la sua stessa vita mistica la sua ricerca instancabile di Dio. Fu canonizzato nel 1323.

Tommaso d’Aquino in un dipinto olio su tela del pittore del ‘700 Paolo de Majo, Caserta, collezione privata

Gian Lorenzo Bernini

Medaglia in bronzo dedicata a Gian Lorenzo Bernini - 14 gennaio 1832 (collezione Francesco di Rauso, Caserta) clicca sull'immagine per ingrandire

Autoritratto, 1630 ca, collezione Cassa di Risparmio di Calabria e Lucania

Gian Lorenzo Bernini (Napoli 1598 - Roma 1680). Dominatore del secolo in cui visse, con la sua personalità, il suo genio, le sue imprese artistiche, Gian Lorenzo Bernini è stato per Roma e per il Seicento quello che Michelangelo Buonarroti è stato per il secolo precedente. Nasce a Napoli il 7 dicembre 1598 dove il padre Pietro, sculture, e la madre Angelica Galante si erano da poco trasferiti. Nel 1606 la famiglia fa ritorno a Roma: Pietro ottiene la protezione del cardinale Scipione Borghese. In questo contesto ci sarà occasione per il giovane Bernini di mostrare il suo precoce talento. Gian Lorenzo si forma alla bottega del padre e con lui realizza i suoi primi lavori. Le opere del Bernini definiscono la sua personalità, forte degli insegnamenti del padre ma nello stesso tempo innovatore dello spirito di tutta una generazione. E' ancora giovanissimo quando papa Urbano VIII Barberini, con il quale l'artista stabilirà un durevole e proficuo rapporto di lavoro, gli commissiona il "Baldacchino di S. Pietro" (1624-1633), un colosso bronzeo di quasi trenta metri. Nel 1629 Papa Urbano VIII nomina Bernini architetto sovrintendente alla Fabbrica di S. Pietro. Le fontane sono un prodotto tipico del gusto barocco; Bernini inaugura una nuova tipologia, quella a vasca ribassata: sempre per il papa esegue la "Fontana del Tritone" in Piazza Barberini e la "Fontana della Barcaccia" in Piazza di Spagna, a Roma. Nel 1644 muore papa Urbano VIII e si scatenarono le gelosie rivali tra Bernini e Borromini, con il quale ci ebbe ripetuti attacchi e polemiche in occasione dei lavori per la facciata di Palazzo Barberini, sin dal 1630. Nel 1656 Bernini progetta il colonnato di San Pietro, compiuto nel 1665 con le novantasei statue del coronamento. Nel 1665 si reca in Francia per eseguire il busto di Luigi XIV. Rientrato in Italia porta a compimento i lavori in San Pietro e si dedica, tra altre attività. L'attività dell'artista si conclude sotto il pontificato di Innocenzo XI Odescalchi. L'ultima sua scultura è il "Salvatore" che si trova custodita nel Museo Chrysler di Norfolk in Virginia. Dopo una lunghissima vita dedicata all'arte, dopo aver imposto il suo stile a tutta un'epoca, Gian Lorenzo Bernini muore a Roma il 28 novembre 1680, all'età di 82 anni. A lui è intitolato il cratere Bernini presente sul pianeta Mercurio. La sua effigie è stata presente sulla banconota da 50.000 Lire italiane.

Francesco Maurolico

Medaglia in bronzo dedicata a Francesco Maurolico - 14 gennaio 1832 (collezione Francesco di Rauso, Caserta) clicca sull'immagine per ingrandire

Francesco Maurolico (Messina, 16 settembre 1494-22 luglio 1575) è stato un famoso matematico. Ordinato sacerdote nel 1521, divenne in seguito abate benedettino. Fu matematico, astronomo, architetto, storico e scienziato dal multiforme ingegno. Per primo intuì e sviluppò il principio di induzione matematica, studiò metodi per la misurazione della Terra, fece osservazioni astronomiche come quella della supernova apparsa nella costellazione di Cassiopea, fornì le carte geografiche alla flotta cristiana, in partenza dal porto di Messina per la Battaglia di Lepanto, collaborò con lo scultore Giovanni Angelo Montorsoli nella realizzazione di due delle più belle fontane monumentali del Cinquecento, quella di Orione e quella del Nettuno, fornendo i distici latini incisi sulle fontane. Vasta fu la sua ricerca in moltissime discipline scientifiche e corposa la sua opera manoscritta e le pubblicazioni a stampa. Rimane uno dei geni del Rinascimento italiano anche se ancora oggi la sua figura è poco conosciuta. Uno dei più antichi crateri degli altopiani meridionali della Luna, il cratere Maurolycus dal diametro di circa 114 Km, è stato così denominato in suo onore dall'astronomo gesuita Giovan Battista Riccioli nel 1651.

Busto di Francesco Maurolico, Messina, Museo Regionale

Caio Mario

Medaglia in bronzo dedicata a Caio Mario - 14 gennaio 1832 (collezione Francesco di Rauso, Caserta) clicca sull'immagine per ingrandire

Caio Mario - Gaius Marius (Casamari, 157 a.C. - Roma, 13 gennaio 86 a.C.) è stato un generale e politico romano, per sette volte console della Repubblica Romana.Combatté in Spagna sotto il generale Scipione Emiliano; nel 119 a.C. diventò tribuno della plebe. Pretore nel 115 a.C., ritornò in Spagna per condurre una campagna contro i briganti che terrorizzavano il paese. Accompagnò poi il generale romano Quinto Cecilio Metello in Africa nel 109 a.C.; due anni dopo, eletto console, ebbe il comando della guerra contro il re di Numidia, che sconfisse e catturò nel 106 a.C. Dopo aver sottomesso la Numidia, Mario diventò console per la seconda volta, ebbe poi il comando nella guerra contro le tribù germaniche dei Teutoni e dei Cimbri: sconfiggendole entrambe nel 102 e 101 a.C. Considerato il salvatore della patria, nel 100 a.C venne riconfermato console per la sesta volta consecutiva. Quando a Silla, divenuto console, venne affidata la guida della guerra contro il potente re Mitridate VI il Grande nell'88 a.C., Mario, già da tempo in conflitto con Silla, cercò di privarlo dell'incarico. Scoppiò allora la guerra civile che oppose le due fazioni in cui si divise l'esercito romano: quella "popolare", sostenitrice di Mario, e quella "patrizia" di Silla. In una prima fase prevalse Silla, che costrinse l'avversario a fuggire dall'Italia, successivamente il conflitto volse a favore di Mario, grazie a Lucio Cornelio Cinna che si schierò con lui e organizzò tumulti a Roma. Sulla capitale si diressero le truppe di Mario e Cinna che, dopo la resa della città, massacrarono gli aristocratici della fazione di Silla. I due vincitori si proclamarono consoli (86 a.C.) ma, pochi giorni dopo, Mario morì.

Busto in marmo di Caio Mario, Monaco di Baviera, Gliptoteca

Alcmeone di Crotone

Medaglia in bronzo dedicata ad Alcmeone di Crotone - 14 gennaio 1832 (collezione Francesco di Rauso, Caserta) clicca sull'immagine per ingrandire

Alcmeone (Crotone 560 a.C. ca - ?) padre fondatore della medicina antica proprio negli anni della mitologica battaglia della Sagra perduta contro l'esercito di Locri Epizefiri. Non si conosce il luogo dei suoi studi di medicina, ma le sue qualità mediche e scientifiche si sviluppano da subito nell'antica Kroton, tanto che all'arrivo di Pitagora in città, avvenuto intorno al 536 a.C. la fama di Alcmeone è già nota e diffusa in tutta la Magna Grecia. Sezionando corpi umani e animali per studiarne attentamente l'anatomia, e la causa scatenante le disfunzioni corporali, Alcmeone diede origine al metodo della ricerca scientifica, basato sull'analisi reale delle cose. Scoprì nel cervello il centro motore delle attività umane, andava infatti dicendo, il medico crotoniate, che l'uomo sente tramite l'orecchio, ma capisce tramite il cervello, e che gli animali sentono ma non capiscono perché non dotati di cervello umano. Alcmeone studiò attentamente i nervi ed il sistema nervoso, intuendone le funzioni motorie.

Alcmeone nel monumento in bronzo di Ludovico Graziani, 1991, Crotone

Alcmeone e Pitagora nel monumento in bronzo di Ludovico Graziani, 1991, Crotone

Antonio Genovesi

Medaglia in bronzo dedicata ad Antonio Genovesi - 12 febbraio 1834 (collezione Francesco di Rauso, Caserta) clicca sull'immagine per ingrandire

Antonio Genovesi (Castiglione, Salerno 1713 - Napoli 1769), filosofo ed economista. Ordinato sacerdote nel 1737, si dedicò all'insegnamento ed agli studi nell'Università di Napoli, dove ottenne, nel 1741, la cattedra di Metafisica. Orientatosi in seguito verso gli studi economici, dal 1754 tenne la prima cattedra di economia politica istituita in Europa, dalla quale fu maestro e ispiratore per un'intera generazione di riformatori napoletani. Filosofo empirista influenzato da Locke nella Metafisica, che iniziò a pubblicare nel 1743, Genovesi volle dare maggiore concretezza alle proprie riflessioni affrontando i problemi dell'economia e suggerendo ai governanti le possibili soluzioni nelle Lezioni di commercio (1765-1767). Convinto della necessità di stimolare l'industria interna con alte tariffe doganali alle importazioni, sostenne invece, in accordo con il pensiero economico riformatore, il libero commercio del grano, la funzione positiva del lusso, la nocività dei privilegi nobiliari ed ecclesiastici; collaborò alle riforme introdotte nel Regno di Napoli da Bernardo Tanucci.

Visita la pagina dedicata ad Antonio Genovesi

Alessandro D'Alessandro

Alessandro d'Alessandro in un dipinto del XVI sec. proprietà della famiglia d'Alessandro

Medaglia in bronzo dedicata ad Alessandro D'Alessandro - 12 febbraio 1834 (collezione Francesco di Rauso, Caserta) clicca sull'immagine per ingrandire

Alessandro D'Alessandro (Napoli 1461 - Roma 1523), nacque da una famiglia patrizia è stato un umanista e giurisperito italiano ma anche giureconsulto. Discepolo del Fidelfo e studioso di A. Gello delle di lui Notti Attiche. Visse a Napoli in gioventù, ove si perfezionò negli studi giuridici, si spostò a Roma seppur a fine età ottenne la gestione di commenda di un monastero lucano. E’stato tra i membri maggiori dell'Accademia Pontaniana. A lui si devono, tra l'altro, le ricerche sulla legge delle Dodici tavole, che descrisse nel famoso libro "Dies geniales", commentato e tradotto in varie lingue da eminenti giuristi europei. (Un ringraziamento speciale al dr. Ettore D’Alessandro autore delle note bibliografiche sopraccennate).

Trotula De Ruggiero

Trotula de Ruggiero in una raffigurazione tratta da un codice medioevale

Medaglia in bronzo dedicata a Trotula de Ruggiero - 12 febbraio 1834 (collezione Francesco di Rauso, Caserta) clicca sull'immagine per ingrandire

Trotula De Ruggiero (Salemo - XI sec.) è stata un medico che nel XI secolo operò nell'ambito della Scuola medica salernitana. Nata a Salerno dalla nobile famiglia salernitana De Ruggiero (che rimase nella storia anche per aver ceduto a Roberto il Guiscardo una parte dei suoi terreni per la costruzione del Duomo di Salerno), Trotula ebbe l'opportunità di intraprendere studi superiori e di medicina. Sposò Giovanni Plateari, medico, i due figli della coppia proseguirono l'attività dei genitori. La maggiore notorietà di Trotula, la cui fama rimase per tutto il medioevo, era dovuta alla sua grande abilità nel campo medico ed in special modo ginecologico. Fu una delle più note Mulieres Salernitanae ovvero le studiose che insegnavano o erano attive intorno alla Scuola Medica Salernitana. I suoi trattati sulle malattie femminili sono stati la base della moderna medicina. La sua competenza si allargava anche alla chirurgia e alla cosmesi.

Giovanni Meli

Giovanni Meli in una incisione del XIX sec.

Medaglia in bronzo dedicata al poeta Giovanni Meli - 12 febbraio 1834 (collezione Francesco di Rauso, Caserta) clicca sull'immagine per ingrandire

Giovanni Meli (Palermo 1740 - 1815) è stato poeta e drammaturgo. Nella Sicilia del Settecento, caratterizzata dalla monarchia riformista di Carlo di Borbone, grazie al buon governo del Vicerè Caracciolo che favorì con una serie di riforme la rinascita della vita culturale e civile specie di Palermo, nacque il 6 marzo 1740, da Antonio di professione orefice e da Vincenza Torriquas, il poeta Giovanni Meli, che raggiunse notorietà in tutt'Italia, aderendo ai modi e allo stile dell'Arcadia con una dimensione tutta sua e con l'uso della lingua siciliana. Per poter vivere aveva intanto intrapreso gli studi di medicina, spinto anche dalla madre, e nel 1764 conseguì il titolo professionale presso l'Accademia degli Studi di Palermo. Esercitò la professione di medico soprattutto a partire dal 1767, trasferendosi come condotto nel paesino di Cinisi, dove veniva chiamato l'abate Meli. La sua fama crescente lo richiamò a Palermo, conteso dalle dame dell'aristocrazia nei loro salotti. Sensibile alla bellezza femminile, questo singolare medico-poeta ebbe vari amori che cantò alla maniera arcadica nelle sue Odi e nelle Canzonette, che sarebbero state imitate da tanti poeti come il Goethe e il Foscolo e tutta la serie dei poeti dialettali siciliani. Divenne professore di chimica presso l'Università e venne chiamato a far parte come socio onorario delle più importanti accademie italiane come quella di Siena (1801) e quella peloritana di Messina. Nel 1810 il re Ferdinando gli concesse una pensione annua, ma nel 1815, dopo le rivolte giacobine gliel'avrebbe sospesa. Morì a Palermo il 20 dicembre 1815, mentre l'Europa dei Lumi assisteva al concludersi della vicenda napoleonica.

Giuseppe Gioeni

Giuseppe Gandolfo, Giuseppe Gioeni dei duchi d'Angiò, olio su tela, Catania, Università degli Studi, Palazzo Centrale

Medaglia in bronzo dedicata a Giuseppe Gioeni - 12 febbraio 1834 (collezione Francesco di Rauso, Caserta) clicca sull'immagine per ingrandire

Medaglia c.s. con la scritta; “V.CATENACCI F. / L.TAGLIONI CON.NEAP” (collezione Francesco di Rauso, Caserta) clicca sull'immagine per ingrandire

particolari delle firme dei due esemplari, clicca sull'immagine per ingrandire

Giuseppe Gioeni dei duchi d'Angiò (Catania 1747-1822) prese ad interessarsi di vulcanologia dopo aver letto l'opera sui campi flegrei edita a Napoli nel 1776 da William Hamilton, l'ambasciatore inglese che era a corte dei Borbone a Napoli. Cominciò a raccogliere produzioni mineralogiche e zoologiche con l'intento di allestire un museo. Nel 1780 l'Università di Catania gli affidò la cattedra di storia naturale e botanica legandola ad una procedura speciale, poiché tale conferimento venne concesso a vita. Negli anni ottanta compie frequenti soggiorni a Napoli, ove conosce sir Hamilton e si integra con successo nella vita di corte borbonica. All'apice della sua fama scientifica, la vita di Gioeni dopo il 1790 fu interamente legata a disavventure di carattere economico e politico, che lo distolsero praticamente in maniera definitiva dalla ricerca scientifica.

Tempo fa, confrontando alcuni doppioni, notai nella medaglia raffigurante Gioeni una variante al dritto; mancava infatti la scritta “L.TAGLIONI CON.NEAP.” sotto il taglio del busto. E’ chiaro che gli esemplari con suddetta mancanza vennero coniati per primi e che dopo essersi resi conto dell’errore si provvide ad aggiungere la frase mancante, continuando così la coniazione. Non posso stabilire con certezza quale sia la più rara tra le due varianti. Posso dire, però, che finora la maggior parte degli esemplari apparsi sul mercato sono quelli senza la scritta “L.TAGLIONI CON.NEAP.” Ritengo che chi ha collezionato queste medaglie abbia fatto un ottimo investimento. Sfogliando infatti alcuni cataloghi d’asta e listini a prezzi fissi, ho constatato che, nel decennio 1990-2000, potevano essere facilmente acquistate a cifre che oscillavano tra 80.000 e 130.000 Lit circa (40-65 Euro circa), da lì poi un balzo in avanti fino a toccare i circa 100-130 Euro nel triennio 2001-2003, oggi in conservazione spl/fdc valgono circa 250 Euro fino ad arrivare ad un massimo di 400 Euro in Fdc. Per quanto concerne, invece, quelle di Trotula De Ruggiero, Giovanni Meli e Giuseppe Gioeni, le quotazioni oscillano oggi, dai 350 euro per una splendida conservazione, fino ai 600 euro per il Fdc (vedi aggiudicazioni asta Varesi del 4-2007) … il motivo? Queste ultime sono sicuramente più richieste e quindi difficilmente più reperibili sul mercato rispetto alle altre. Mi risulta, infatti, che subito dopo la loro coniazione, ogni serie coniata completa da 17 esemplari complessivi (venduta ai privati su richiesta), era composta da 16 soggetti in bronzo più un esemplare in argento di un soggetto a caso. Non si sa quante serie complete furono fatte in quanto non sono stati ancora trovati i documenti ufficiali della zecca che ne stabilirono la tiratura. Una cosa è certa … queste medaglie hanno tutte lo stesso grado di rarità, mentre quelle in argento (anch’esse aventi lo stesso grado di rarità tra loro), sono ben “17 volte” più rare di quelle in bronzo. Gli esemplari in argento quindi, sono da considerarsi di grande rarità in quanto mancano nella maggior parte delle collezioni pubbliche e private. Va aggiunto, inoltre, che gli esemplari (sia in bronzo che in argento) giunti fino ai giorni nostri, corredati dall’astuccio originale, sono da considerarsi ancor più pregiati. A conclusione del presente articolo, va ricordato che il primo a fare degli studi su queste medaglie fu il celebre studioso dr. Giovanni Bovi, e difatti, possiamo trovarle anche nel volume riguardante gli “Studi di Numismatica (1934-1984)”, Napoli 1989.

La seguente parte è tratta da “Il Medagliere” di Salvatore D’Auria (2006)

Da una lettera del 5 Agosto 1829 diretta per conto del ministro delle finanze al ministro degli affari interni risulta che il direttore dell’Amministrazione delle monete faceva sapere con un rapporto del 28 Luglio …, “che alcuni incisori stan costruendo delle medaglie per diversi uomini illustri napoletani e che queste medaglie debbono battersi col torchio che il signor Lorenzo Taglioni fece venire dalla Francia tempo fa per la sua fabbrica di bottoni. Osserva il ridetto “direttore che siffatte operazioni non debbono essere permesse fuori dalla Regia Zecca perché potrebbe aversi il dispiacere di veder sotto l’occhio del Real Governo battute medaglie con figure scandalose, con segni simbologi e con leggende non convenienti e ciò per la parte politica, giacchè per ciò che concerne la parte fiscale a suo opinare questa operazione dovrebbe essere proibita, mentre i torchi che battono medaglie possono agevolmente battere le monete di una perfezione tale da potersi confondere con le vere. Senza dunque macchiare in minima parte la conosciuta onestà e delicatezza del Signor Taglioni, ma per regolare andamento della cosa, egli provoca quelle energiche misure che si crederanno più convenienti pel torchio anzidetto e per riguardo alle medaglie in discorso, che desse in qualunque stato si trovano per l’incisione, siano a lui presentate per esaminare le figure e le leggende, e quindi farle battere in Zecca: ov’è prossima ad istallarsi un gabinetto d’incisione. “Nel darmi dunque l’onore di manifestare quanto di sopra a V.E. “La prego a voler dare quelle disposizioni che crederà opportune per “l’oggetto in conseguenza degli antecedenti sufferiti. Il Taglioni ottenne i permessi di battere le medaglie servendosi del proprio “bilanciere” e dell’opera degli incisori addetti alla Regia Zecca di Napoli, quali i maestri Vincenzo Catenacci, Achille e Luigi (o Aloysius) Arnaud.

Si ringrazia per la gentile collaborazione il dr. Salvatore D'Auria.


Molte delle notizie sui personaggi illustrati in questa serie di medaglie qui riportate sono tratte da Wikipedia.


Articolo pubblicato nel Luglio 2008


Pubblicazione on-line del Luglio 2008

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