A 150 anni dall’Unità, il Portale del Sud risponde ad
alcune “domande frequenti”,
in questo caso sottoposteci dal giornalista Lino Patruno
della Gazzetta del Sud
L’Unità d’Italia andava fatta o no?
Considerato il periodo storico in cui si inquadra, era
necessario ridurre la frammentazione della Penisola per
acquisire un maggior peso sia politico che economico.
Bisogna inoltre ricordare che il Risorgimento non fu un
movimento solo italiano, ma si collocò in un contesto
europeo, frutto della Grande Rivoluzione sociale del
1789 (cfr:
Dalla Rivoluzione Francese al Congresso di Vienna),
nell'ambito dei movimenti nazional-patriottici del XIX
secolo e servì a cancellare gli Stati paternalistici,
fondati su concezioni proprietarie del potere.
Il Risorgimento ebbe un carattere indubbiamente
emancipatorio a diversi livelli, da quello
economico-sociale a quello politico, a quello religioso
e culturale. La mala gestione da parte di Casa Savoia e
della classe dirigente, ricordiamo eletta solo dal 2%
della popolazione e che rappresentava esclusivamente gli
interessi degli aristocratici per nascita o per censo,
non deve farci ritornare indietro come desidera la Lega
degli ignoranti che riempie la testa vuota dei suoi
elettori con menzogne, come quella che il Sud drenerebbe
le risorse realizzate dal Nord. A costoro bisognerebbe
innanzi tutto ricordare che lo squilibrio tra le due
aree è stato favorito da un processo di
industrializzazione che si è “volutamente ed
erroneamente” localizzato quasi esclusivamente nelle
regioni settentrionali a scapito del Mezzogiorno e
ribadire che questo Sud, fu allora ed è tuttora un
mercato essenziale per le imprese produttrici del Nord a
scapito e a spese del Meridione (cfr:
Le province siculo-partenopee nel Regno d’Italia).
|
La Dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino |
Quale forma istituzionale il novello Stato unitario
avrebbe dovuto assumere?
La maniera migliore di unificare l’Italia, sarebbe stata
senza dubbio quella di una Federazione.
Il federalismo a cui pensava Carlo Cattaneo era tuttavia
ben diverso da quello di Bossi; non a caso Spadolini non
si stancava mai di rammentare l’importanza di realizzare
in Italia un federalismo solidale, di stampo liberale ed
europeo. Un Federalismo che unisce e non che divide. Ma
nessuno oggi lo ricorda agli “onorevoli leghisti”.
Comunque Mazzini paventò già allora il pericolo di una
nazione incapace di unirsi culturalmente e socialmente.
Cavour invece aveva in progetto di "piemontesizzare" il
Nord Italia e suddividere la penisola in tre Stati
federali: il Regno di Sardegna, lo Stato della Chiesa e
il Regno delle due Sicilie, sotto la virtuale presidenza
del Papa. Così Cavour nel 1859, prima della fine della
seconda guerra d'Indipendenza, si era accordato in gran
segreto con il governo borbonico: il Regno di Sardegna
avrebbe inglobato il Lombardo-Veneto, l'Emilia e la
Toscana, al Regno delle due Sicilie si sarebbero
aggiunte l'Umbria o le Marche, tolte allo Stato della
Chiesa mentre Roma sarebbe diventata capitale
dell'Italia federale. Tutto pareva organizzato, mancava
soltanto l'approvazione di Francesco II, re di Napoli,
che però, da devoto e timorato di Dio qual era, quando
fu informato che il suo Regno si sarebbe arricchito
delle due regioni papaline gridò al sacrilegio. E il
piano andò in fumo.
Ci fu chi, da Liborio Romano ad altri rappresentanti
(anche parlamentari) del Sud, suggerì a Cavour e al suo
entourage un’attenzione particolare verso un territorio
con alcune caratteristiche socio-culturali che
richiedevano una politica differenziata da altre zone:
non un territorio inferiore, ma diverso. Perché secondo
voi non furono ascoltati?
Perché prevalse il desiderio e l’ingordigia di conquista
territoriale. Il desiderio di colonialismo di Vittorio
Emanuele prevaricò il buon senso e una tale soluzione
accontentava inoltre i piccoli e grandi proprietari
dell’ex Regno meridionale. Se la provincia napoletana
diveniva provincia piemontese, poco cambiava per il
baronaggio e ciò che cambiava, cambiava in meglio.
Inoltre i soldi del Sud servivano per ripianare l’enorme
debito contratto dal Piemonte tra il 1853 e il 1860.
Ci fu la costruzione di una <minorità> del Sud partita
già nel 1700 ad opera soprattutto degli Inglesi verso i
Borbone, continuata con la Restaurazione, fomentata dai
meridionali esuli politici in Piemonte. Come si sviluppò
secondo lei questo pregiudizio (se ritiene che ci fu),
quanto influì sugli eventi successivi, era meritato o
no, come avrebbe potuto essere fronteggiato?
l’Inghilterra, che aveva fatto della Sicilia una sua
base militare durante il periodo napoleonico, mantenne
con essa un rapporto economico privilegiato. Per
attenuare questa condizione di dipendenza economica il
governo di Napoli sottoscrisse anche trattati con la
Francia, la Spagna, il nord Africa e la Russia. Più che
i trattati, contavano però gli effettivi legami
siculo-inglesi rappresentati dalla cospicua presenza di
commercianti e imprenditori inglesi che godevano di un
doppio status: quello di cittadini inglesi e quello di
cittadini siciliani beneficiati dal governo locale di
particolari agevolazioni fiscali e doganali. Si era
venuto a creare una sorta di Stato nello Stato. Famiglie
come gli Ingham, i Woodhouse, i Whitaker si stabilirono
definitivamente in Sicilia, divennero siculo-inglesi e
con le loro immense fortune realizzarono nei fatti la
supremazia britannica nell’economia siciliana. Questa
situazione si ripercuoteva anche all’interno di tutto il
Regno.
Inoltre, il sogno autarchico di Ferdinando II (cfr:
Il Regno di Ferdinando II
di Borbone) fu inficiato dalla dipendenza
dalla Chiesa di Roma, soprattutto nell’istruzione, che
impedì di fatto la creazione di una classe dirigente
politica “nazionale” (cfr:
Istruzione ed educazione nell'ultimo cinquantennio
borbonico).
|
Ferdinando II |
L’aggettivo <borbonico> definisce da sempre una
condizione di antimodernità, di rozzamente burocratico,
di arretrato, di oscurantista, di retrivo, di sudista,
insomma di borbonico. E’ meritato o no? In definitiva,
la struttura statale, amministrativa, legislativa,
culturale, sociale del Regno delle Due Sicilie era
veramente questo o era frutto della propaganda? E da
questo punto di vista, il Regno era indietro rispetto
agli altri Stati e staterelli d’Italia o i tempi erano
quelli per tutti (per quanto quella sabauda fosse una
monarchia costituzionale, quindi un passo avanti?).
C’erano davvero, a parte quelli indipendentisti
siciliani, moti di ribellione per la libertà, per il
progresso, per la democrazia, per la civiltà? Ed
influirono, nel senso che la fiancheggiarono e
facilitarono, nell’impresa garibaldina?
il Regno delle Due Sicilie non era uno staterello
nato come contropartita ad una fuggevole alleanza ma era
lo Stato italiano preunitario più antico e più esteso
territorialmente. Lo studio, non preconcetto, della sua
storia ci trasmette l’immagine di un regno e di una
società non sradicati dalle correnti del pensiero
illuministico europeo, di una amministrazione che cerca,
a dispetto del ribellismo popolare e tra gli
sconvolgimenti sollevati dalla rivoluzione francese e
dalla occupazione napoleonica a metà regno, di spezzare
i tradizionali e duri a morire rapporti feudali e di
avviare una industrializzazione in alcuni settori chiave
come le miniere, la metalmeccanica, l’enologia, la
navigazione, ecc.
E’ necessario però tenere presente che stiamo pur sempre
parlando di uno stato assoluto , e che la ricchezza,
come il potere, era concentrata in poche mani: quelle
del sovrano e dell’aristocrazia. Scarsa era la presenza
della borghesia e praticamente ininfluente la presenza
operaia non organizzata e priva di una coscienza di
classe.
Con Carlo III di Borbone ed il ritorno alla indipendenza
dalla Spagna si avvia un processo di modernizzazione
della macchina burocratica con nuovi codici, leggi e
regolamenti e si avvia la sprovincializzazione della
cultura meridionale. Si cerca anche di fare sorgere una
coscienza unitaria che tuttavia cozza contro l’atavica
contrapposizione tra Napoli e Sicilia, aggravata ancora
di più dalle differenti vicende vissute dai due regni
tra il 1799 e il 1815 (La repubblica napoletana, il
periodo napoleonico, il protezionismo inglese).
Non ci sembra azzardato paragonare la situazione del
Regno delle Due Sicilie a quella dell’Italia di oggi:
tante piccole imprese, troppe forse, poche grandi
industrie. Esportazione di merce pregiata, destinata ad
un mercato ristretto, e importazione di beni di largo
consumo.
La popolazione si articolava in tre fasce a
distribuzione piramidale, un vertice costituito dall’aristocrazia
terriera che dilapidava i suoi patrimoni inseguendo
lussi e capricci, una borghesia di paglietta,
tranne qualche rara eccezione come i Florio, i Gallo o
gli Orlando che investivano nell’industria metallurgica
ma che nel tentativo di imitare il tenore di vita dei
nobili e di entrare nella loro cerchia, diedero il via a
quel fenomeno descritto come “pietrificazione dei
profitti”, l’acquisizione cioè di sontuose dimore urbane
e suburbane con relativi parchi, e il popolo
infine che versava in uno stato di generale povertà ci
si spostava nelle zone interne.
Era proprio il basso tenore di vita della maggior parte
della popolazione e la penuria di denaro circolante che
a lungo termine non avrebbe assicurato sbocchi a
qualsiasi attività produttiva, dai manufatti
metallurgici, ai tessili, dalle ceramiche all’editoria.
La situazione periferica rispetto ai principali mercati
inoltre, faceva sentire tutto il suo peso allora come
ancora oggi. La ricchezza del sovrano e delle classi
egemoni non si rifletteva nel resto del paese. Poche
isole felici per lo più concentrate nei centri marittimi
più importanti mentre il resto del Regno versava in
condizioni di miseria, di ignoranza e di arretratezza.
Il segno tangibile della nostra subalternità ai mercati
esteri è dato dalla modalità di produzione e del
commercio degli zolfi. L’industria degli zolfi in
Sicilia nasce nel 1808, quando il governo diede i
consensi per lo sfruttamento del sottosuolo. La
necessità di estrarre in gran quantità lo zolfo era
dettata dalla nascita della moderna industria chimica
europea e la Sicilia aveva il monopolio naturale dello
zolfo. L’apertura delle miniere, avviata al tempo
dell’occupazione inglese durante le guerre napoleoniche
fece vivere alla Sicilia una sua particolare rivoluzione
industriale che cresceva al crescere dell’industria
inglese e francese. In Sicilia l’attività mineraria fu
tuttavia caratterizzata da uno sfruttamento della
manodopera a dir poco selvaggio. Gli operai lavoravano
in condizione disumane. Eppure furono tantissimi i
braccianti che preferirono lasciare i campi per lavorare
nelle miniere. Questo ci fa capire quanto drammatiche
fossero le condizioni dei lavoratori della terra. In
miniera avevano per lo meno la certezza del pane
quotidiano. L’esodo dalla agricoltura fu significativo e
influì non poco nella diminuzione della produzione
cerealicola dei latifondi. Nonostante si fosse venuto a
creare un “proletariato industriale” enorme per quei
tempi (le prime statistiche, risalenti al 1860,
registrano la presenza nelle miniere di un’occupazione
operaia di circa 16.000 unità) le connotazioni dello “sfruttamento”
delle zolfare era prettamente coloniale. Tutto il
prodotto era destinato all’estero allo stato grezzo e la
commercializzazione era prevalentemente in mano ad
operatori stranieri, per lo più inglesi che si
occupavano anche dell’aspetto creditizio assicurando il
pagamento anticipato sulle consegne. Il sistema però
accontentava tutti e cioè i proprietari delle miniere,
che erano i grandi proprietari terrieri, i gabelloti, a
cui era affidato lo “sfruttamento” cioè la
gestione dei singoli giacimenti e gli operatori
commerciali che agivano sul mercato estero. Da questa
situazione scaturiva una cultura di rapina e
sfruttamento nei confronti degli operai. I metodi di
estrazione, per risparmiare, rimasero in uno stato quasi
primitivo, tipico delle industrie coloniali. Con il
beneplacito al solito dei baroni e dei gabelloti. Una
tale corsa alla produzione a basso costo portò spesso a
crisi di sovrapproduzione e la situazione era diventata
talmente poco sopportabile per uno Stato che aspirava a
diventare moderno che il governo borbonico, nel 1838,
cercò di arginare questo stato di cose offrendo un
accordo vantaggioso alla società francese Taix-Aycard: i
ministri di Ferdinando II offrirono ai francesi il
monopolio del commercio degli zolfi, con un limite
massimo di produzione annua, in cambio della costruzione
di una moderna raffineria e di un impianto industriale
per la produzione di acido solforico e soda solforata e
l’impegno di addestrare manodopera locale. L’idea era di
allentare la morsa del predominio economico inglese.
Dobbiamo tuttavia osservare che fin dagli anni ’30
dell’800 si era sviluppato un vivace dibattito tra
protezionisti e liberisti, tra agraristi e
industrialisti per lo sviluppo economico ma continuava a
mancare un qualsiasi spirito di associazione che avrebbe
consentito di aumentare non solo il capitale in denaro
ma anche di macchine, di strumenti, di materie grezze e
soprattutto di operai e dirigenti specializzati. Non
dimentichiamo infatti che le nostre università vantavano
cattedre di teologia, di filosofia, di economia, di
lingue orientali, di astronomia ma mancavano di cattedre
di ingegneria e di qualsiasi materia inerente la
gestione dell’industria. Non si curava, in parole povere
quell’”arte” che oggi chiamiamo “gestione aziendale” né
di preparare operai qualificati
(cfr:
L’economia del Regno Siculo-Partenopeo tra il declino
mediterraneo e la rivoluzione liberale).
|
Un varo di fine '700 a Castellammare |
Quella di Garibaldi non si può definire una <guerra> di
conquista, perché non ci fu neanche la dichiarazione di
guerra, con la furbata di Cavour che sapeva e non
sapeva. Perché riuscì, perché l’esercito borbonico si
dissolse, perché tutta la struttura di uno Stato che era
il più grande e popoloso d’Italia (secondo alcuni la
vera Italia) implose nel giro di pochi mesi? Tradimenti,
corruzione, inanità, incapacità o interventi
internazionali (soprattutto inglese)? O forza di una
idealità nazionale e italiana che prevalse su tutto
anche al Sud?
Riuscì perché ai contadini, che vivevano ancora come
servi della gleba anche se nominalmente il feudalesimo
era stato abolito, prometteva le terre e l’affrancamento
dai padroni. Riuscì soprattutto perché fu favorita dagli
inglesi con il beneplacito della Francia. In realtà
quello che si voleva da parte delle due grandi potenze
era impedire l’accesso al Mediterraneo alle altre due
grandi potenze: la Russia e l’Austria. L’Italia unita
governata dal Piemonte a spese del sud sottoposto
avrebbe costituito uno stato cuscinetto che avrebbe
favorito i traffici inglesi e francesi nel Mediterraneo
a scapito di Austria e Russia.
Parlare di tradimenti può risultare azzardato se si
pensa che a tradire fu tutta la Marina, metà
dell’Esercito, gran parte della Pubblica Amministrazione
e della Magistratura. Una tale dimensione non potè che
essere determinata dal suggello di vari fattori, alcuni
dei quali venivano da lontano (la divisione tra Napoli e
Palermo sulla questione della Capitale e
dell’indipendenza siciliana in primis); altri
contingenti, come la presenza sul trono di Francesco II,
bravissima persona ma del tutto inadatto al compito di
re. Complice l’educazione da seminarista che gli era
stata impartita.
Fa pensare anche la naturale tendenza meridionale ad
assumere, allora come oggi, posizioni subalterne e di
comodo verso il nord. Altrimenti come spiegare il voto a
Berlusconi e al suo governo del Nord (della parte più
biecamente ignorante del Nord)?
Tale tendenza, pur sinteticamente spiegabile con
l’eccesso di servilismo, clientelismo, opportunismo
individualista di noi meridionali, merita ben altro
spazio, perché è evidente che rappresenta una minaccia
costante al nostro progresso, ed ha permesso di
accettare con zelo non solo l’unificazione fatta in quel
modo, ma anche il fascismo, le guerre, e per ultimo la
lega nord al governo. Sulle origini di tale nociva
attitudine, abbiamo scritto nella monografia:
La questione sociale alla fine del '700.
|
Renato Guttuso, La Vucciria |
Quanto influì nell’atteggiamento verso il Regno delle
Due Sicilie il suo tradizionalismo religioso appiattito
sullo Stato pontificio, ci fu e influì il desiderio di
una resa dei conti non solo determinata dal <libera
Chiesa in libero Stato> di Cavour e dall’idealismo
patriottico ma anche dalla Massoneria internazionale
(complice Mazzini) e dal Protestantesimo europeo in
spregio della Chiesa cattolica? Quanto influì il ricordo
dei vincitori e dei vinti del 1799?
Influenzò certamente e ci mise contro gli Ebrei ed i
liberali, nonché le organizzazioni internazionali come
la Massoneria. La sponda difesa “dall’acqua santa” si
rivelò inconsistente in un’epoca che tendeva ad essere
laica e libera da influenze clericali. In effetti, il
“collante” cattolico su cui, secondo i tradizionalisti,
si basava la “nazionalità” italiana, era nient’altro che
uno strumento di potere sulle masse nelle mani
dell’Ancien Regime, buono a tener a freno il popolino
(insieme alla camorra di quell’epoca), ma
intrinsecamente dannoso per creare una cittadinanza
consapevole, in quanto devoluto a difendere il potere
temporale del clero.
Un giudizio su Garibaldi.
Garibaldi di mestiere faceva il soldato. Pronto a
mettersi a servizio di quello che lui riteneva un ideale
da perseguire per l’emancipazione dei popoli, solo che
alla resa dei conti non fece altro che combattere per il
miglior offerente e le sue battaglie si risolsero in
vittorie solo perché la corruzione la fece da padrona.
Oggi è odiato sia dai meridionalisti nostalgici , sia
dai secessionisti e federalisti del Nord, ai quali
servirebbe un piccolo ripasso di storia. I nostalgici
borbonici ritengono Garibaldi responsabile di aver fatto
cadere un regno. Per i secessionisti federalisti,
invece, Garibaldi fu una vera “disgrazia” in quanto unì
la parte più industriosa ed evoluta, che secondo loro
era il nord, a quella del Sud, che (sempre secondo
loro) altro non era che una palla al piede per il
progresso delle regioni del nord. Si evidenzia così una
spaccatura nel paese, che sta assumendo proporzioni
inaccettabili . Riteniamo che la politica, anche in
questo caso, non ha saputo assumersi le proprie
responsabilità, proprio perché qualunquista,
opportunista e priva di qualsiasi ideale che non sia
quello di portare acqua al proprio orticello con
dispregio e indifferenza dell’unione nazionale.
Un giudizio sul feroce trattamento militare del Sud dopo
l’Unità (se condivide il racconto di Ciano, di Alianello
e compagni, posso riferirmi a quei testi attribuendo a
lei un parere di conferma. Se ha una sua versione
diversa, o più ricca, episodi che vuole segnalarmi,
testi che vuole suggerirmi, le sarò grato se vorrà farlo
venendomi incontro. Può anche inviarmi ciò che lei
eventualmente ha già scritto in altre occasioni e che io
possa utilizzare).
Non vorremmo sembrare cinici ma è, purtroppo, il
trattamento che i vincitori hanno da sempre riservato ai
vinti, specie se i vinti non accettano la sconfitta
perché ritenuta acquisita con l’inganno. E poi per
quanto riguarda gli italiani sappiamo bene quale sia
stato, in precedenza e successivamente il loro
comportamento nei confronti di popolazioni sottomesse
(cfr:
Il banditismo sociale nell’ex Reame siculo-partenopeo).
Un giudizio sul brigantaggio.
Iniziò come guerriglia di resistenza favorita e aiutata
inizialmente dai Borbone in esilio e dal papato ma in 10
anni ha avuto tutto il tempo di trasformarsi in
brigantaggio vero e proprio. La nostra idea è riportata
in
Il banditismo sociale nell’ex Reame siculo-partenopeo.
La vexata quaestio delle condizioni economiche
del Regno delle Due Sicilie prima dell’Unità e al
momento dell’Unità. Le condizioni economiche del Sud
dopo l’Unità e la responsabilità del nuovo Stato
unitario. Ritenete che l'azione dei vari governi
nazionali è stata ispirata dagli interessi e dalle
necessità della parte più forte del Paese, cioè il Nord?
Ciò che pensiamo sulla economia delle Due Sicilie è
descritto in
L’economia del Regno Siculo-Partenopeo tra il declino
mediterraneo e la rivoluzione liberale,
e certamente possiamo affermare che ogni decisione fu
presa in favore delle regioni del nord considerando e
sfruttando come colonia il Regno appena conquistato.
Un giudizio sulla grande emigrazione meridionale.
I dati post-unitari non sono affidabili perché la
statistica è una scienza moderna. Fatto sta che durante
il periodo di Giolitti la lira fece agio sull’oro anche
grazie all’emigrazione meridionale. Il giudizio,
comunque, dovrebbe unire anche altre contributi, come i
soldati morti al fronte nelle due guerre mondiali (2/3
meridionali contro 1/3 di popolazione) e l’emigrazione
del secondo dopoguerra. Senza dover fare tanti calcoli,
ci sembra giusto storicamente sostenere che non saranno
certo quei 4 soldi di c.d. “trasferimenti” (alla fine
dello scorso secolo XX) ad aver annullato l’enorme
credito che il Sud ha accumulato per fare l’Italia
unita.
|
|
Cassetta e locandina del film "Bronte, cronaca di un
massacro che i libri di storia non hanno raccontato" di Florestano
Vancini, 1972 |
Un giudizio sulle legislazioni d’emergenza o
straordinarie verso il Sud in 150 anni, compresa la
Cassa per il Mezzogiorno.
C'è stata un’epoca in cui al nord gli aiuti si
chiamavano IRI ed al sud “cassa per il mezzogiorno”! Il
giudizio più oggettivo si ricava guardando la carta
ferroviaria, autostradale, aeroportuale d’Italia: parla
da sola!
Come il suo movimento si fa espressione delle sue
teorie, quali manifestazioni, quali iniziative anche
politiche, quale rapporto con altri movimenti simili,
quale adesione, quale consistenza, quale prospettiva.
Soprattutto è unitario, del tutto o criticamente, è
antiunitario, separatista, secessionista, autonomista (e
come)?
Non siamo molto portati ad assumerci “etichette”!
Certamente non siamo un movimento, né un partito, bensì
solo un sito che desidera dare una corretta informazione
storica, non fare storia o revisione storica
o un “gridare” al ladro al ladro come se tutto ci fosse
piovuto dall’alto, come se politiche sbagliate e
arroccamenti su posizioni anacronistiche rispetto
all’evolversi dei tempi non avessero favorito le mire
espansioniste del Piemonte. Si va alla ricerca di
fatti, documenti, vecchie affermazioni che possano
dimostrare come l’Unità d’Italia si poggia solo su
artefatte ricostruzioni storiche, manipolate ad uso e
consumo di interessi ben lontani dalle forme di eroismo
e patriottismo decantati dai nostri libri di storia. E’
indubbio che la storia raccontata nelle scuole
elementari e medie alle future classi NON dirigenti fino
alla caduta del regno savoiardo e del regime fascista
era una storia scritta ad uso e consumo dei vincitori.
All’indomani della seconda guerra mondiale tuttavia
nessuno si preoccupò di riformare i programmi
ministeriali e la storia raccontata nei libri per le
scuole elementari e medie continuò a mostrare un nord
operoso e un sud parassita . Di questo dobbiamo dolerci
con noi stessi e con i nostri rappresentanti in
parlamento.
Oggi è in corso, secondo noi, una pericolosa
rivisitazione del nostro percorso storico, non più posto
in essere da seri studiosi, bensì da improvvisati
“storici” che traggono conclusioni solo per aver
sentito, letto, o visto un documento la cui veridicità e
validità in tanti casi è alquanto discutibile e
soggettiva. Viviamo un momento in cui il livello
culturale, soprattutto di coloro che hanno le redini e
le sorti di questa nostra nazione, si è abbassato di
molto e quello che riteniamo il peggiore dei mali è
l’arrogante prerogativa che il ricoprire una eventuale
carica pubblica, possa consentire di proferire sentenze
in materia di storia e di cultura in genere, emettendo
solenni giudizi sulla sua qualità e veridicità. Non
metto in dubbio minimamente che la critica e la
discussione e l’apporto di nuovi elementi aiuta ad
approfondire tutte le argomentazione del nostro
discernere, però che siano svolte sulla base di
ricognizioni scientifiche, se si vorrà dare delle vere e
proprie interpretazioni e, per favore, cerchiamo di
ricordarci ogni tanto che alcune delle doti più
apprezzate, restano sempre l’umiltà e la capacità di
riconoscere i propri limiti, soprattutto quando si
desidera affrontare argomentazioni di così grande
profilo storico culturale.
Ciò che ci interessa, è partecipare e contribuire alla
crescita di una cittadinanza solidale e consapevole, che
si ritrovasse e riconoscesse nel principio di
uguaglianza.
|
Napoli,
le distruzioni della guerra voluta dai
fascisti |
Cosa dovrebbe fare oggi politicamente e culturalmente il
Sud in base alle sue convinzioni?
Partecipare al superamento del berlusconismo, combattere
l’individualismo e la logica dell’orticello, cercando,
culturalmente, di recuperare almeno un po’ delle proprie
radici “pagane”, cioè di pensiero immanente, di
praticità. Meno cultura autoreferenziale, meno
tradizionalismo, molto meno “accattonaggio”. Una cultura
nuova, che possa essere finalmente diffusa e non
seppellita in poche menti. Ma una cultura vera,
oggettiva, e non di parte, anche se questa volta
risulterebbe essere a favore dell’altra parte
Quali politiche dovrebbero essere adottate per una
soluzione o un miglioramento della Questione
Meridionale?
Politiche solidali e collettiviste, atte a fruttare la
fantasia e la voglia di “fare insieme”, perché
l’individualismo non ha portato da nessuna parte.
L’individualismo e l’opportunismo sono le palle al piede
del sud, perché fanno credere che esista un “riscatto”
individuale. Che invece è solo nuova sopraffazione.
Che futuro vede in sintesi per il Sud?
Siamo pessimisti, per l’epoca attuale, per la nostra
generazione che ha fallito completamente gli ideali di
gioventù. Non sappiamo davvero vedere il futuro, date le
circostanze. Però continuiamo a impegnarci, a scrivere,
a lavorare… sperando che serva a qualcosa!
Cosa ne pensa di un Partito del Sud?
Non sentiamo il bisogno di imitare Pontida.
Il parere sulla Lega Nord: un nemico, un alleato?
Un nemico pericoloso, che odia pregiudizialmente il Sud,
che ha basato le sue fortune sul razzismo
antimeridionale, che sta trascinando l’intero paese in
una miscela di incultura, di arroganza, di intolleranza
e di nanismo intellettuale.
|
Palermo 1943: le conseguenze del fascismo |
L’atteggiamento suo e del suo movimento verso i 150 anni
dell’Unità, come si sta andando verso l’anniversario,
cosa farete voi, cosa suggerite.
Daremmo ampio risalto al contributo determinante che il
sud ha dato all’Italia in questi 150 anni. La revisione
storica più che rivangare vecchie questioni
risorgimentali alle quali non si può più porre rimedio
dovrebbe far risaltare quanto il SUD, nel dopoguerra, ha
contribuito alla crescita dell’Italia repubblicana con
il lavoro dei suoi emigranti e dei lavoratori e
intellettuali che operando nelle regioni e nelle città
del nord le hanno arricchite. Daremmo risalto non a
qualche pensione d’invalidità erogata più che per
leggerezza per pietà, ma al contributo materiale e
intellettuale che l’intero sud ha dato all’Italia intera
.
Perché sopravvivono dopo 150 anni (caso forse unico
nella storia europea) movimenti come il suo: quale il
primo sentimento (o risentimento) che lo anima (e li
anima), di tipo storico, economico, religioso,
sentimentale, culturale, civile?
Per un malinteso senso di appartenenza o per malafede: i
nostalgici confondono l’ieri con l’oggi, antepongono un
sentimento fascista agli interessi delle popolazioni
meridionali. Dominati dall’idea totalitaria, scambiano
la ricerca storica con la politica. Il personalismo
individuale porta loro a cercare uno spazio e un ambito
che, per capacità, sarebbe loro negato.
Qualsiasi parere finale sul tutto, anche estremo e
muscolare se crede. Un’idea che vuole lanciare, un
appello, un anatema, un colpo di comunicazione, un atto
di pace o di guerra sull’Unità e i suoi 150 anni.
L’indipendenza è il non dipendere. L’autonomia è il fare
da solo. Non sono pezzi di carta, statuti, concetti
astratti. Non sono ideali o valori. Sono invece capacità
misurabili, che dipendono dalle risorse a disposizione.
Più si è ricchi, più si può diventare autonomi ed
indipendenti. Questo vale ancor più per gli Stati, in
cui l’economia e la produzione di beni e servizi li
rendono più o meno autonomi ed indipendenti, cioè capaci
di distribuire servizi e beni ai cittadini. Chiarito
ciò, è evidente che mentre al nord di oggi (forse)
converrebbe staccarsi dall’Italia, al sud di oggi non
conviene affatto. Chi, pertanto, lavora in tal senso, o
scimmiotta la lega, o vota Berlusconi, ed è
oggettivamente un “traditore”.
Indietro non si torna.
Fara Misuraca, Alfonso Grasso
Luglio 2010 |