Eboli terra antica e nobile è posta ai
piedi di una montagna e si rispecchia nella sua
vastissima pianura. Il suo territorio, fino al 1929, si
estendeva per oltre quaranta miglia adagiandosi come
l’antica Mesopotania tra due fiumi, il Sele ed il
Tusciano, che lo delimitavano fino al mare Tirreno.
La città di Eboli, dal suolo fertile e dal clima dolce
e temperato, in tempi remoti di volta in volta è stata
chiamata Eburi, Eburum, Ebulum, Ebolus o Evoli.
“….Est prope dulce solum, nobis satis utile sempre
Ebolus, aspirans quod petit urbis honor. ….”
“….Vi è presso il dolce suolo, a noi
sempre abbastanza utile,
Eboli che aspira a quello che richiede
l’onore della città. ….”
Dolce suolo cosi è declamata da Pietro da Eboli
nella sua opera: Liber ad Honorem Augusti…,
nella Particola XV, dal v. 404 al v. 405 dedicata
all’Imperatore di Germania Enrico VI di Svevia.
Antica: perché la sua origine si perde nella notte dei
tempi. La testimonianza è il ritrovamento di resti umani
in quattro fosse tutte del tipo a forno, caratteristico
della cultura del Gaudo,
scavate nel 1968 nella località Madonna della Catena
dal prof. Bruno d’Agostino. I reperti ossei furono
datati, studiati dagli archeologi prof. Gianni Bailo
Modesti (“Eboli, Necropoli Eneolitica”,
1969-70), e dai proff. Cleto Corrain, Mariantonia
Capitanio e Gabriella Erpamer (I resti scheletrici
della necropoli Eneolitica di “Madonna della catena”
Eboli, estratto dagli Atti dell’Istituto Veneto
di Scienze, Lettere ed Arti anno acc. 1972-73, Tomo
CXXXI). Le sepolture contenevano frammenti di vasi,
brocche, orci, punte di frecce e pugnali tutti dell’età
del rame. L’analisi degli scheletri delle quattro tombe
rivelò la presenza in esse di almeno centotre individui:
ottantacinque in età adulta (quarantasei maschi e
trentanove femmine) e diciotto in età giovanile e questo
conferma che già nell’età del rame in prossimità delle
tombe il sito fosse abitato da un numero ragguardevole
di persone.
Nobile: lo sostiene Virgilio, difatti nell’Eneide al
lib. I verso 531 dice:
“….Terra antiqua, potens
armis atque ubere glebae,….”
“….Terra antica, d’armi
potente e feconda di zolla,….”
Il suolo ebolitano per l’ubertosità e la ricchezza
donatole da una natura benevole è stato abitato da
antiche popolazioni a cominciare dai Pelasgi,
dagli Osci, dai Lucani,
dagli Etruschi dai Greci e
dai Romani. Infatti, in località
Montedoro fino al secolo scorso si potevano
ammirare costruzioni poligonali regolari e massi, detti
pelasgici o ciclopici, che
con la loro presenza confermano l’ubicazione dell’antica
Eburum, già esistente prima dell’arrivo
dei Lucani alla destra del Sele.
Il nome viene modificato in Ebulum da
Tolomeo come ci fa sapere Leandro Alberti nella sua
descrizione: “L’Italia nei Picentini”,
di Eburum ne parla Plinio nella sua
monumentale opera Historia Naturale nel V.
capitolo del libro II., come città abitata dal popolo
degli Eburini: “Lucanorum autem Atenates,
Bantini, Eburini…”. In epoca romana 183
d.C.la stele, trovata incassata nel campanile di Santa
Maria d’Intra nel XVII secolo, reca l’incisione che il
popolo Eburino si governava con proprie leggi
essendo Municipio Romano con a capo Tito
Flavio Silvano della prestigiosa famiglia
Flavia.
La scritta sulla stele venne decifrata dal celebre
storico tedesco Theodor Mommsen che risolse il
dilemma delle sillabe e delle parole che mancavano
studiando la pietra sul posto.
|
Eboli: Stele Eburina |
Sulla lapide si legge:
L. D. D. D.
T. FL. T. F. FAB. SILVANO. PATR.
MVN.
EBVR. II. VIR. II. QQ.
QVEST. ARK. CVR.
REI. FRVMENT.
HVIC. COLL. DEND
ROPHORR. OB. EXIMIAM.
ERGA.
SE. BENIVOLENTIAM. ET. SPEM. PER
PETVAM. STATVAM. DIGNISSIMO.
PATRONO. POSVERVNT. CVIVS. STA
TVAE.
HONORE. CONTENTVS. OB
TVLIT. COLL. SS. HS.
VIII. M. N. VT. QVOTANNIS.
NATALI. EIVS. DIE. III. IDVVM.
DECEMBR.
CON. FREQVENTENT.
(EIVS)
STATVAE. DE
DICATIONEM. CON. (II. VIR. I. D. SING.)
HS. XX. N.
QQ. II. VIR. AEDILIC. S(ING. HS. XX. N.)
ET.
CETE
RIS. CON. DEC. SING. HS. (XV. N. VI. VIR)IS.
AVGVS
TALIB. HS. XII. N. COLL. DENDROPHORR. ET.
FAB. SING. HS. MILLE. N. ET. EPVLVM.
PLEBEIS. SING. HS. XII. N. ET.
VISCERATIONEM.
DEDICATA. IV. KAL. APRIL.
….. MARC. STLACCIO. V. A.
….. STEIAN.
Traduzione:
Luogo assegnato per Decreto dei
Decurioni.
A Tito Flavio Silvano, figlio di Tito della tribù
Fabia, Patrono del Municipio degli Eburini, Duunviro, e
indi per la seconda volta Quinquennale, Questore della
pubblica Cassa, e Curatore dell’Annona. A costui il
Collegio dei Dendrofori, per la grande benevolenza e
perpetua speranza verso di sé, eresse una statua qual
degnissimo Patrono. Egli, contento dell’onore fattogli,
offrì al Collegio suddetto ottomila sesterzii. Affinché
poi, in ogni anno ai tre degli Idi di dicembre, giorno
di sua nascita, in radunanza, si celebrasse la
dedicazione della di lui statua, assegnò a ciascun
Duumviro di Giustizia sesterzii venti, e altrettanti
sesterzii a ciascuno dei Duumviri Quinquennali con la
potestà Edilizia. Ed agli altri in tal guisa: assegnò a
ciascuno dei Decurioni sesterzii quindici, ai Sestumviri
Augustali sesterzii dodici, al Collegio dei Dendrofori e
dei Fabri sesterzii mille ciascuno, ed un banchetto, a
ciascuno dei plebei sesterzii dodici ed una
eviscerazione.
Dedicata ai quattro delle Calende
di Aprile,
essendo Consoli Marco Stlaccio e
Vezio Albino.
Ai tempi di Eburum i locali dell’Annona dove si
conservava il grano erano situati nel rione Borgo,
(chiamato a quei tempi borgo dei romani alle
fornaci) il loro sito andava dalla chiesa dello
Spirito Santo alla cappella di Santa Maria di
Costantinopoli. Fino alla metà del XIX secolo si
potevano ancora ammirare i locali adibiti a magazzini
con le loro porte, furono demoliti nel 1870.
La statua di Tito Flavio Silvano fu eretta davanti
all’edificio dei Dendrofori esattamente al posto della
chiesa di Santa Maria ad Intra, infatti nel restauro
della parrocchia avvenuto nel XIX secolo erano ancora
visibili parti del porticato dell’entrata, mentre nel
soffitto era visibile l’ossatura della volta costruita a
mattoni alla maniera romana.
Non si conosce l’anno in cui la statua fu eretta, né
la pietra indica una data. La stele appartiene all’epoca
imperiale, perché l’uso della parola Curatore,
nell’epigrafe riferita a Silvano, patrono del Municipio
Eburino, si rapportava al Magistrato dei Municipi e
delle Colonie che prima di tale epoca esisteva solo in
Roma con titolo di Prefetto (carica creata quando il
bisogno lo richiedeva); fu Cesare Augusto che istituì il
Magistrato nelle Colonie e nei Municipi.
Gli studiosi hanno dato presumibilmente l’evento nel
183 d.C. sotto l’imperatore Commodo, quando Marco
Stlaccio era Console. La stele era murata nel campanile
della chiesa di Santa Maria ad Intra ed era di proprietà
di quella parrocchia; venne acquistata dal Comune di
Eboli nel 1903, per L. 450 dal Parroco Colasante con
delibera comunale n. 4535 del
18 giugno 1903,
venne tolta dalla base del campanile solo nell’anno 1918
e trasportata nell’ampio salone municipale dove rimase
fino al termine della seconda guerra mondiale, durante
la quale il Municipio subì un gravissimo bombardamento,
la stele rimasta integra venne trasportata nei locali
della biblioteca Augelluzzi nella scuola elementare
Vincenzo Giudice deve è rimasta fino all’apertura del
Museo Archeologico
.
|
Eboli: Acquedotto post medievale an. 1550 |
Eboli è menzionata nella cronaca d’Amalfi dove sta
scritto che nell’anno
339 a.C.:
“Romani dimessa Melfi ad
provinciam Principatus pervenerunt usque Ebolum prope
Salernum,
Et quia similiter dictus locus Ebuli non erat tutus
propter continua praelia, certamina, rapinas, violentias et tirannias quas,
et quae committebantur per praefatos principes
barbarorum in omnibus partibus Italiae, et
inquietas urgebat, et quies non erat in aliqua parte
ipsius, dubitantes praedicti Romani
antedictam deliberaverunt quietudinem requirere, quae
tunc temporis in Italiam non reperiebatur
nisi in solitudine, in heremis, in asperrimis locis, et
montaneis. Quidam ex eis has desiderantes evitare
rapinas, et alii huc illuc discurrentes
explarantes pervenerunt usque ad montaneam Camensem ubi
nunc Scala dicitur.”(un cronista Amalfitano).
“Lasciata Melfi, i romani giunsero nella
provincia del Principato fino a Eboli vicino a Salerno.
E poiché tale luogo di Eboli non era sicuro a causa di
continui scontri, scaramucce, rapine, violenze e tirannie le quali erano
messe in atto dai principi barbari in ogni parte
d’Italia, e rendevano insicuri e non c’era
pace in nessun luogo, preoccupati per questo, prima di
tutto i romani decisero di cercare la
tranquillità che in quel tempo non era possibile trovare
se non vivendo in solitudine, da eremita,
in luoghi irraggiungibili e fra i monti. Alcuni tra essi
desiderosi di evitare rapine, ed altri
esplorando di qua e di là giunsero fino alla località
montana Camense che oggi è chiamata Scala.”
|
Eboli: Fornace per produzione di Ceramica, III Sec. A.
C. (Epoca Romana) |
I Romani dimorarono molti anni ad Eboli, oggi le sole
tracce romane restano il quartiere artigianale, dove si
producevano ceramiche - III e II sec. a. C. -, alle
spalle della chiesetta dei SS. Cosma e Damiano; la
perimetrazione di una villa con parti di pavimento
maiolicato in località Paterno, nella zona
Fontanelle; le terme in località Spineta, ora comune di
Battipaglia, venute alla luce nel 2007 e la già
menzionata stele Eburina che in un completo anonimato si
trova nel Museo Archeologico senza alcuna traduzione e
spiegazione, dando al visitatore l’impressione di una
pietra qualsiasi, invece è prova dell’importanza avuta
da Eboli tanti secoli fa. I responsabili del museo e gli
amministratori comunali che si sono avvicendati non
hanno mai colmato questa lacuna culturale.
La ragione di così scarsi reperti dell’epoca romana è
dovuta alla distruzione della città al passaggio dei
Visigoti di Alarico nel 410 d.C. ed
alle devastazioni che recarono le incursioni saracene
del IX e X sec. d.C.
Si è avuto sempre difficoltà a precisare l’epoca della
fondazione di Eboli, forse legata al mito eroico greco o
alle prime immigrazioni dei Pelasgi nell’Italia
meridionale, però la maggioranza degli studiosi
convengono nell’assegnarle quell’antichità di cui
possono fregiarsi poche città lambite dal mar Tirreno,
Ionio ed Adriatico.
L’antica Eboli, sostengono alcuni storici, fu fondata
da Obolo capitano generale dell’armata di
Teseo, re di Atene, il quale, dopo aver patito tanti
travagli per l’ira degli dei, sbarcato sul suolo italico
si trovò sulle sponde di un fiume dove trovò la morte
per annegamento il suo compagno di nome Silaro.
Obolo, ormai stanco di peregrinare per terre e mari,
accortosi della bellezza del luogo e del clima mite,
edificò una città imponendole il nome di Ebalo e
chiamò Silaro, l’odierno Sele, il fiume,
fino allora senza nome, in onore dell’amico morto. Così
ebbe origine Eboli.
Un’altra leggenda vuole che la nostra città sia stata
fondata da Ebalo, figlio della ninfa Sebetide
e di Telone, re di Capri, di cui parla
Virgilio nel 7° canto v. 734 dell’Eneide ove
dice:
Oebale,
quem generasse Telon Sebethide nympha
Fertur, Teleboum Capreas cum teneret,
Iam senior;…
Ebalo, che Telone generò dalla ninfa
Sebetide,
quando, dicono, Capri, regno di Teleboi,
governava
ormai Vecchio;…
Anche una poesia di autore ignoto recita:
Ebalo al Rè di Capri unico figlio,
Perché l’alto valor gli scalda il petto,
In alte imprese per natura eletto,
Novi Regni acquistar prende consiglio.
Così lasciando i Monti de l’Esiglio,
Et i Regni paterni al Rè già detto,
Vien tra Campani, e sassi à se soggetto
Quanto dal Sarno al Silare m’appiglio.
Deposte l’arme al fin, con pace lieta,
Trà Silare, e Tusciano in mezzo à punto,
Trà più bei campi non pasco Dameta.
Fa del suo nome una Città ch’aggiunto
Ha per scudo gli elementi e vieta
Ai popoli vicin di star congiunto.
Altri suppongono che alla nostra città sia stato
imposto il nome greco Ebolos, che vuol dire
buona gleba o buon boccone,
perché circondata da terreno fertilissimo. Questa
ipotesi è accolta da Enrico
|
Eboli : “Il Regno di Napoli in prospettiva” dell’Abate
Battista Pacichelli. Na. 1703 |
Bacco, scrittore viaggiatore ed erudito, che nel
visitarla agli inizi del XVII sec. cosi la descrive
nella sua opera Il Regno di Napoli diviso in
dodici Provincie pp. 65 / 73
Napoli anno1620:
“Posta ai piedi di una collina, cinta al di sopra
da dilettevoli colli, e fertili monti, e da tutti i lati
ornata da vaghissime colline, valli, e piani
abbondantissimi di vigne, d’oliveti, di lentischi, e
d’odoriferi mirti, d’alloro e di edere, rose, gelsomini,
e fiori di specie diverse e di altre piante simili, che
rendano mirabile di soavità, i bellissimi giardini,
d’aranci, cedri, e limoni soavissimi; di fontane con
chiare, dolci, e fresche acque, di fruttiferi alberi,
che ne fanno sembrare una perpetua primavera; la cui
vista sommamente affascina chiunque vi soggiorna. Ha un
territorio vastissimo e diviso da una parte verso
l’Oriente dal fiume Sele che dista dalla città appena
quattro miglia, e che divide
la Campania dalla Lucania, detto da
Virgilio nel 3° canto della
Georgica, Silare: “Est Lucos
Silare…”. Nell’antichità si raccontava
che i legni ed altri oggetti che cadevano nelle sue
acque rimanendoci dopo un po si pietrificavano,
lo testimonia Plinio nel 2° lib. p.
103
in“Historia Naturalis”…. a quattro miglia
come il Sele vi è il Tusciano, Eboli appena fuori le sue
mura è bagnata dalle acque di un torrente che si chiama
Telegro citato nelle Georgiche nel 3°
Canto ove dice: “Sicci ripa Telegri,…”. In
pianura nel suo vastissimo territorio abbondano grano,
oli, vini e frutti di tutte le maniere, vi si trovano
ombrosi boschi, e verdeggianti pascoli con molte acque
per le greggi e armenti di capre, pecore, bufale,
vacche, buoi e tanti altri animali. Per patrimonio
possiede dodicimila ducati di entrata l’anno; questa
terra nobile si glorifica perchè ha usato fin dalla sua
edificazione nell’emblema delle sue armi i quattro
elementi come distintivo, il suo motto è: “Arme
stupende, e da pregiar non poco, la terra,
l’acqua infine, l’aria, e ‘l foco.” Marino
Freccia nel Libro De Subfendis, de provincijs, e
civitatibus Regni dopo aver annoverato altre
città parlando della magnificenza di Eboli verso la
fine soggiunse: “…hae sunt in Regno
civitates, secundum usum hodiernum à
dominatione Episcoporum: Sunt etiam praeclara oppia,
quae pontificiam dignitatem promerentur,ut
in Lucania Ebulum, e in Apulia Barolum….”.
“…d’altra parte, secondo l’uso odierno, vi sono
nel regno delle città sotto il dominio dei vescovi: ci
sono anche famose fortezze in cui si estende l’autorità
pontificia come Eboli in Lucania e Barletta in Puglia…”
Fra Filippo Ferraro Alessandrino
nel Martirologio Romano a pag. 44 dice:
Ebolum oppidum Picentinorum in
Principatu citeriore, Salerno Proximata apud Silarum
flumen inter regionis oppia da primaria
non infimum, ac urbibus multis praeferendum.
E benchè a Eboli non vi è sede vescovile vi è una
onorata chiesa Madre, denominata Santa Maria della
Pietà, colleggiata, istituita da papa Clemente VII
con due dignità, la prima di “Primicerio” la
seconda di “Cantore” con dodici canonici con i
loro “Armucci” di seta paonazza che di continuo
officiano sia per i cittadini, e sia per i forestieri.
Aveva questa mobilissima Terra sotto di se trenta
casali, o paghi i quali per calamità dei tempi sono
ormai tutti scomparsi, vi erano cinque Monasteri di
Monache che per la stessa ragione sono ridotti ad uno
sotto il nome di Sant’Antonio abate. Ha sette
Chiese Parrocchiali, vi sono sette Monasteri di Frati
Cappuccini, Conventuali, dove si studia Teologia,
Zoccolanti, Domenicani, Celestini, Paolotti di San
Francesco da Paola, e di Montevergine che per
bellezza stanno alla pari con i più belli delle
principali città del Regno. Vi erano due Ospedali, l’uno
chiamato Santa Maria, per i poveri sia cittadini
che forestieri, l’altro detto San Giacomo della famiglia
Fulgioni al servizio dei pellegrini che andavano
a San Jacopo di Campostela in Galizia. Vi erano
due monti di Pietà uno istituito da Dionora d’Alliegro
nobile Ebolitana, l’altro da Maria Saravia nobile
Spagnola. Eboli ha un monastero iniziato per volere di
Roberto il Guiscardo nel 1071 come è attestato da una
pergamena antica in possesso dei frati conventuali, fu
terminato nel 1156 sotto il Regno di Re Guglielmo 1°
il Malo col titolo di San Pietro Apostolo
(ora San Pietro alli Marmi) in esso vi sono le ossa di
San Berniero (pellegrino Spagnolo). Fuori Eboli
nella piana nei pressi del Sele vi è
la Chiesa
di San Vito dove si dice riposasse il suo Santo
Corpo insieme a quelli della nutrice Crescenza e
del tutore Modesto.
Eboli custodiva nelle sue chiese altre sante reliquie
e sempre Enrico Bacco ne dà notizia nel suo
libro:
“…nella Chiesa di San Francesco dei Padri Conventuali
dentro una carafa di vetro vi era il grasso di San
Lorenzo Martire, che per tutto l’anno si manteneva
duro liquefandosi, come olio color d’oro nella sua
festività annuale, vi si conservava il dito di San
Lorenzo, una mascella di San Leone Papa con i suoi
guanti, e un osso di San Romano. Nella Chiesa di
San Eustachio
(San Biagio una delle sette parrocchie ora
abbinata a San Nicola di Schola Greca) vi si
conservavano due spine della santissima Corona di N.S.
Gesù Cristo e il dito del Santo Vescovo. Nella
Chiesa con annesso monastero di San Pietro a Maiella
(ora non più esistente) si venerava il corpo del
Beato Fra Benedetto Giuliani appartenente
all’ordine dei Celestini di nobile casato ebolitano
discendente della famosa famiglia romana Julia,
che per la sua fama di santità e taumaturgo nel XVI°
sec. fu trasferito nel monastero del suo ordine a Napoli
dove le sue spoglie andarono arse per un incendio che
distrusse quasi interamente quel sacro edificio.
Ad Eboli i Greci dopo la loro presenza in tempi antichi
lì si ritrova una seconda volta a ridosso del medioevo
con la presenza Bizantina dovuta alla fondazione della
chiesa di San Nicola detta di Schola Graecae e di
un quartiere ancora oggi chiamato “Magnagrecia”
Sul bollettino dell’Istituto Nazionale d’Archeologia
dell’anno 1832 i corrispondenti sigg. Matta
e Romano, nostri concittadini, pubblicano le
scoperte fatte nell’antico sito di Eboli, sul Montedoro,
in località Santa Tecchia: “Eboli dopo la sua
distruzione avvenuta per mano di Alarico re dei
Visigoti gli abitanti scampati a quell’eccidio la
ricostruirono mantenendole l’antico nome continuando
come sempre ad essere fedelissima di Roma e tenendo
sotto di se i trenta villaggi o paghi disseminati a sé
intorno, parte in collina e parte sulla vasta pianura
nelle vicinanze del mare. Gli abitanti di questi
villaggi per evitare i frequenti saccheggi pirateschi
vennero a mancare a mano a mano andando ad abitare
nell’antica Eburi che era ben fortificata con mura
altissime e torri che ancora si potevano immaginare
dalle tracce lasciate sul suolo. Dopo aver tracciato una
pianta dell’antica Eburi con grande stupore scoprimmo
che il suo antico castello era fatto tutto da sodi e
grossi marmi messi uno sull’altro a meraviglia senza
calce, come le sue antiche mura, era di struttura
ellittica e comunicava con un tunnel sotterraneo col
castello d’Eboli esistente sopra S. Sofia di proprietà
del principe d’Angri”.
Inoltre, narrano di aver appreso da persone
anziane che “quelle salde mura rimasero fino al
1640, quando furono di là tolte per lastricare la
nuova città costruita mille metri più a valle. Negli
scavi del sito da loro effettuati trovarono sepolcri
Romani costruiti sopra fossa Greci, e sotto un cumulo di
pietre trovarono un idolo di bronzo, alto circa mezzo
palmo, rappresentante Ercole imberbe, coperto della
pelle di leone nel momento di brandire la clava con la
mano destra.
Gli abitanti dei paghi sparsi a macchia sul territorio
per sentirsi al sicuro, alcuni si ritirarono entro le
mura di Eboli altri si addentrarono all’interno nel
montagnoso territorio alle loro spalle fondando altri
nuclei abitativi. Questi villaggi pur scomparsi da molti
secoli possiamo intuirne l’antica ubicazione per le
tombe venute alla luce dagli svariati sepolcri sparsi a
macchia nel territorio pedemontano e della pianura
sottostante. Le sepolture tovate in svariate località
sparse sul vasto territorio, forse portono il nome degli
antichi paghi”.
I siti o “Paghi” portano i nomi: Arenosola,
Albiscende, Battipaglia, Fontaone, Cozzolino, Paradiso,
Olive delle Corte, Paterno, Borgo, San Giovanni, Abadia
San Pietro, Santa Sofia, Crispi, Boscariello, Filette,
Madonna del Castello, Monteaureo, Madonna del Carmine,
Fanfarone, o Ferrafavone, Pezza delle Monache, Pescara,
San Mattia, Santa Cecilia, Serracapilli, Le Fiocche,
Licignano, Vuccariello, Costa del Campo, Coda di Volpe,
Tempone e Olibano.
Un documento dell’anno 869 parla per la prima
volta dell’Eboli attuale: è il Codice Cavense da cui si
apprendono i nomi dei componenti di una famiglia
longobarda ebolitana: “Gariperga, è moglie d’Ermenardo
servo di Palazzo, è figlia di Gariperto che fu anch’egli
servo di Palazzo a Eboli, Gariperga passa al servizio di
Landelaica moglie del principe salernitano Guaiferio
insieme a quattro figli maschi e tre femmine”.
Nel 1047 fu conte ad Eboli Lamberto, figlio di
Adalberto, che sposò Urania, figlia del
conte Ademario, dalla quale ebbe quattro figli:
Ebulo, Pietro, Adalberto e Landoario.
Dal 1070 al 1075 fu signore di Eboli
Guglielmo d’Altavilla (normanno).
Fu signora d’Eboli dal 1082 al 1090
Emma de Ala, figlia di Gioffredo de Ala,
moglie di Raone Tricanotte. Alla morte del marito
Emma sposò in seconde nozze Gismondo dei
Mulisi, armigero di Guglielmo I d’Altavilla,
figlio di Tancredi, che per la fedeltà dimostrata
concesse altre terre limitrofe ad Eboli.
Nel 1100 fu feudo di Roberto, normanno,
marito di Mabilia che alla morte del marito
nell’anno 1119 venne chiamata signora di Eboli.
Nel 1130 fu signore di Eboli Guglielmo,
gli succede il figlio Nicola.
Nell’anno 1161 ne venne in possesso Enrico
di Navarra, cognato del defunto re normanno
Guglielmo I d’Altavilla e fratello della regina
Margherita.
Nel 1167 fu signore di Eboli Nicola de
Principato.
Guglielmo I d’Altavilla fece Eboli capitale di uno
stato con confini che si estendevano nel cuore della
Lucania antica comprendendo le terre di San Fele,
Murolucano, Satriano, Brienza e Marsiconuovo.
Il passaggio del regno dai Normanni agli Svevi procurò
altri benefici alla città per merito del nostro
concittadino
Pietro da Eboli, poeta alla corte d’Enrico VI,
a cui dedicò un poema storico in versi elegiaci nel
quale narra le guerre per la conquista del regno
dall’anno 1189 al 1195. Con la salita al trono di
Federico II, Eboli nel 1219 diventò città imperiale
entrando a far parte del demanio dell’imperatore ed ebbe
come premio per la fedeltà alla casa Sveva privilegi ed
onori. Da un documento datato
11 gennaio 1239 si evince che Eboli apparteneva alla
Regia Curia Imperiale. Alla morte di Federico II,
avvenuta nel 1250, suo figlio Manfredi diede
Eboli come feudo a Giordano Lancia figlio di
Galvano.
Con gli Angioini, Eboli ritornò nuovamente sotto il
Regio Demanio. Re Carlo I d’Angiò la diede a suo
genero Roberto, conte di Fiandra con altre terre.
Nel 1270 passò in feudo a Filippo Tuzziaco.
Eboli fu eretta contea nel 1290 ed ebbe il
prestigio di essere sede del generale Parlamento del
Regno presieduto da Carlo Martello che
durò cinque giorni dal 10 al 15 Settembre del 1290 e
terminò con la stesura dei “Capitula et Statuta super
vergimine regni”.
Nel 1306 re Carlo II d’Angiò nominò conte suo
figlio Pietro detto “Tempesta”.
Alla morte di re Carlo divenne re suo figlio
primogenito Roberto, il quale infeudò suo
fratello Filippo principe di Taranto come
dalle Costituzioni del Regno nel lib. III
di Bartolomeo di Capua:
“…de dotariis costituendis, muliera; dotarium,in
rub et dum quondam bonae memoriae Dominus Petrus, natus
clarae memoriae Domini Regis Caroli II. Comes Ebuli,…”
“…in merito ai costituendi beni dotali alle
spose, nel presente e in avvenire per la buona memoria
del Signore Pietro, designato conte di Eboli per volontà
regia di Carlo II. …”.
Nel 1315 passò al Regio dominio sotto la regina
Giovanna I.
Nel 1343 fu data al conte Roberto Cabanno, gran
siniscalco del regno, come attesta il Summonte
nell’Istoria di Napoli al lib. III p. 425
che il conte Roberto, imputato della morte del re
Andrea d’Ungheria, marito di Giovanna I,
fu giustiziato per aver partecipato all’assassinio
commesso nella cospirazione del 1346 ed Eboli ritornò
feudo della regina fino alla sua morte.
La “Storia Universale di Gianvillani
Fiorentino” nel lib. 12 cap. 5 attesta: “…Eboli
ritornato alla Corona Reale, la nuova Regina
Giovanna II mandò a governare Eboli
Francesco Mormile Cavaliere Napoletano”.
Nel 1419 nell’opera su citata il Summonte nel
lib. IV p. 582 scrive: “…Eboli fu dato col Principato
di Salerno in dominio ad Antonio Colonna nipote di papa
Martino V nell’anno
1427”.
Nel 1431 per la rovinosa caduta in disgrazia della
potente famiglia Colonna il feudatario dovette
lasciare tutti i suoi averi al Regio Demanio.
Nel 1434 fu sindaco e procuratore della terra di Eboli
Antonello de Buttalaporta, sotto questa reggenza
viene commissionata ai maestri di fabbrica
Giovanni di Serre e Stefano Paganetta
di Eboli la costruzione di sedici torri intorno alle
mura.
Nel 1435 la regina Giovanna II concesse ad
Eboli il privilegio di avere una propria giurisdizione
emanando il seguente proclama:
“….Joanna….significamus quod nos moti justis
supplicationibus effusis pro parte universitatis et
hominum terrae Ebuli, fidelium nostros dilectos,
statuimus, ut habeant propriam jurisdictionem.
“…Regina Giovanna…dichiariamo che, sensibile
alle suppliche espresse sia da parte dell’università che
delle persone della terra di Eboli, nostri diletti
fedeli, deliberiamo che abbiano giurisdizione propria.
Al tempo degli Aragonesi Eboli perse i suoi privilegi,
la terra d’Eboli tornò feudo e re Alfonso ne fece
signore Baldassarre della Ratta, conte di
Caserta.
Nel 1467 gli successe il figlio Francesco, che non
avendo figli, passò il feudo alla sorella Caterina,
moglie di Cesare d’Aragona, figlio naturale di Re
Ferrante I; ella, rimasta vedova, sposò (1509)
Cesare Acquaviva, duca d’Atri. Nel 1522 il duca
d’Atri vendette il feudo a Ferrante Sanseverino,
principe di Salerno e Duca di Villaformosa, che a causa
della congiura ordita dai Baroni del Regno ai danni del
re Ferrante I nel castello di Teggiano, perdette tutti i
suoi beni e, di conseguenza, Eboli ritornò di nuovo in
possesso della corona. Filippo II, divenuto re,
la cedette il 17 marzo del
1556 a Rodrigo Gomez de Sylva conte di Milito,
portoghese, e suo Cameriere Maggiore che con la moglie
Anna Mendoza y
la Cerda
si fecero chiamare principe e principessa di Eboli, duca
e ducessa della città spagnola di Pastrana
(Spagna).
Passò nelle mani del genovese Niccolò Grimaldi,
detto il Monarca, per la somma di
140.000 ducati, si diceva che ne venne in possesso con
gli altri feudi perché creditore di grosse somme di
denaro prestato al re Filippo II di Spagna per
sovvenzionare le guerre. Enrico Bacco nella sua
opera stampata a Napoli nel 1570 “Il Regno di Napoli
Diviso in dodici Provincie” a pag. 71 rigo 17 dice:
“…onde Duca d’Eboli oggi è un suo nipote anco
nominato Nicolò, signore di bellissimo aspetto, e di
gran valore. In detta terra prima risedeva
la Regia
Audienza, e precedeva dopo Salerno à tutta
la Provincia, si come fù al tempo del marchese di Pescara, che in
nome della Maestà del Re Filippo II
prese il possesso del Regno di Napoli, per la rifiuta
dell’Imperatore Carlo V suo padre nell’anno 1554 quando
le diede per moglie Maria Regina d’Inghilterra, e se le
giurò fedeltà dai Sindaci delle Città, e Terre del
Regno, e avendo giurato in mano del Presidente della
Provincia di Principato Citra primieramente il Sindaco
di Salerno, dopo il quale seguì il Sindaco d’Eboli Gio
Battista
Favale, fratello del più famoso Capitan Sebastiano
Favale, gentiluomo di valore, che fù Capitano dei 300
soldati archibugieri della guardia di papa PaoloV
Carafa, da cui esso Capitano Sebastiano era amatissimo e
favorito”.
Alla morte di Nicolò Grimaldi (1591), ricordato come
un tiranno, fu feudatario suo figlio Agostino al quale
succedette come reggente e signora della terra di Eboli
sua moglie Isabella della Tolfa, fino alla maggiore età
del figlio Nicola Grimaldi, il quale nel 1606 già
risulta signore di Eboli; alla sua morte il feudo venne
fatto apprezzare dal tavolario de Marino e valutato in
149.000 ducati. Il feudo venne acquistato da un’altra
potente famiglia genovese: i Doria di Angri, e Nicola
Doria lo detenne dal 1640 al 1685, poi passò al figlio
Marcantonio e fu proprietà della famiglia fino al 1820,
con la signora e duchessa Donna Cecilia Colonna Doria,
principessa di Stigliano.
Eboli, ha dato i natali nell’arco di otto secoli a
uomini illustri:
Pietro da Eboli, (poeta alla corte sveva XIII.
sec.), Marino da Eboli, (capitano generale di Federico
II. XIII. sec), Fra Roberto Novella, (cappuccino,
teologo e predicatore eccellentissimo, schiavo dei
turchi a Tripoli, eroico condottiero sugli spalti di
castel S. Elmo a Malta nel 1565),
Fra Agostino de Cupiti, (poeta, teologo e oratore
XVI. sec.), Givanni Antonio Clario, (poeta e umanista
del XVI sec. traduttore e correttore di testi
letterari), Agostino e Prospero Carovita, (giuristi e
scrittori XVI sec.), Tommaso da Eboli, (abate, scrittore
XV. sec.), Orazio Mirto, (vescovo XV. sec.), Cherubino,
(vescovo XV. sec.), Cirillo Fulgione, (giurista e
scrittore XVI. sec.), Bernardo Silvano, (cartografo e
umanista XVI. sec.), Sebastiano Favale, (capitano delle
guardie del Papa Paolo V.), Camillo Favale, (scrittore
XVI. sec.), Fra Antonino da Eboli, (beato XV. sec.),
Benedetto Giuliani, (monaco celestino beato XVI. sec.),
Antonio Romano, (beato XVI. sec.),
Matteo Ripa, (servo di Dio missionario in Cina e
fondatore del collegio dei Cinesi, oggi Orientale di
Napoli XVIII. sec.), Mattia Ripa, (vescovo XVIII. sec.),
Fra Gherardo degli Angioli, (paolotto poeta e
oratore XVIII. sec.), Lodovico Lodovici, (vescovo, e
generale delle truppe del cardinale Ruffo XIX sec.),
Francesco
la Francesca, (procuratore generale del Regno e genero
del gen. Avezzana XIX. sec.), Guglielmo Vacca,
(giurista-scrittore, senatore del Regno XIX. sec.),
Genovese Antonio, (architetto alla corte borbonica XVIII.
sec.),
Giacinto Romano, (storico, prof. Universitario,
prosindaco e rettore dell’Ateneo di Pavia XIX. sec.),
Pietro Maglione, (vescovo XIX. sec.), Francescopaolo
Cestaro, (storico e scrittore XIX. sec.), Enrico Perito,
(poeta e scrittore XIX. sec.), Giovanni Aromatisi,
(gesuita, predicatore ed educatore XIX. sec.), Felice
Cuomo, (poeta XIX. sec.), Giuseppe Augelluzzi, (medico
Archeologo, scrittore XIX. sec.), Giovan Battista
Umbriani, (scrittore e abate di S. Pietro Apostolo
Aprutino di Penne XII. sec.), Urso Giovan Battista,
(gesuita, scrittore XV. sec.), Antonio di Porta,
(francescano scrittore XV. sec.), Pompa Raffaele,
(teologo, scrittore XIX. sec.), Fra Pietro da Eboli,
(superiore Generale dei Celestini 1523.), Francesco
Malacarne, (capitano Generale al servizio di
Ladislavo d’Angiò XVI sec.).
Mariano Pastore
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