Servo di Dio Matteo Ripa
1. Da Eboli a Pechino
Nella Storia della Fondazione Della Congregazione e
del Collegio dei Cinesi sotto il titolo della Sacra Famiglia di G.
C., scritto da Matteo Ripa, si legge che nacque a Eboli il 29
marzo 1682, da famiglia nobile baroni di Pianchetelle
originaria di Brindisi. Appena quindicenne fu mandato dal padre
Gianfilippo in Napoli per iniziare gli studi. Il padre era
medico, la mamma Atonia Longo casalinga lo lasciò orfano
all’età di cinque anni: passò l’infanzia e l’adolescenza in un
ambiente sano. Giunto a Napoli, purtroppo, vistosi solo in una
grande città, …buttati in un canto i libri, si mise in compagnie
di giovani scapestrati, dandosi ad ogni licenza e vizi
giovanili…. All’inizio si ricordò dei consigli ricevuti dai
genitori prima della partenza, ma ben presto cominciò a trascurare
suo malgrado le pratiche di pietà (trovandosi) a suo agio in
compagnie poco raccomandabili. Egli stesso cita nelle sue Memorie: …descrivo
con distinzione la vita poco cristiana, immerso nei vizi. La sua
vita cambiò radicalmente nel 1700, aveva diciotto anni, per caso,
ascoltando una predica di un frate francescano su un banco davanti
al palazzo del Vicerè, decise di farsi prete secolare iscrivendosi
alla Congregazione di Maria della Purità dei Preti secolari
Missionari. Nel maggio del 1701, Matteo Ripa aprì il suo animo a
Padre Torres, che godeva fama di essere un esperto
conoscitore di coscienze. Dopo averlo ascoltato, Padre Torres
lo guardò per qualche istante, lo abbracciò e gli disse di farsi
sacerdote. Il 2 maggio, festa del Corpus Domini, Matteo Ripa
indossava l’abito chiericale a soli ventitre anni ed il 28 maggio
del 1705 ricevette gli ordini sacerdotali in Salerno. Seguendo
sempre i consigli di Padre Torres, partì per Roma il 26
novembre dello stesso anno, per istruirsi in un Collegio
espressamente fondato per ecclesiastici che volessero dedicarsi alle
Missioni. Partì senza mezzi di sorta: solo con una camicia;
raggiunse
la Capitale a piedi, da pellegrino, mendicando il vitto, insieme
ad un suo caro amico: don Gennaro Amodei. In un colloquio
avuto col Santo Padre Clemente XI ebbe il permesso di andare
in Missione in Cina e gli furono assegnati come compagni Padre
Guglielmo Fabri Bonjour, agostiniano di Tolosa, Fra don
Onorato Funari, Padre Petrini e Padre Cerù. Il
Papa promosse a capo della Missione Padre Funari, destinando
Matteo Ripa come suo vice ed economo. Mancava nell’elenco il suo
caro amico Amodei perché ammalato, ma Ripa lo fece
includere nella Missione con una lettera commovente indirizzata al
Cardinale Prefetto di Propaganda e Fede. L’8 ottobre 1707 la
comitiva apostolica fu ricevuta di nuovo dal Papa, il quale diede a
ciascuno una medaglia d’argento e la propria benedizione. Il lungo
viaggio ebbe inizio il 13 ottobre 1707, nella sosta a Bressanone
Padre Funari mentre celebrava la messa fu colto da un colpo
apoplettico e dovette lasciare a Matteo Ripa il ruolo di capo
missione. Lasciato il suolo italiano, il 3 Dicembre erano a Colonia,
il 7 gennaio
1708 a Londra dove, per l’intervento dell’ambasciatore di Venezia,
ottennero dai direttori della Compagnia di Navigazione delle Indie
il permesso d’imbarcarsi su uno dei vascelli ancorati nel porto,
asserendo che si sarebbero portati dal Cardinale de Tournon
per offrirsi come virtuosi all’Imperatore cinese e il Ripa
in qualità di pittore. Imbarcati sul Donegal l’11
febbraio del 1708, giunsero al Capo di Buona Speranza il 6 settembre
per ripartirne il 19, sostando nel Bengala e a Malacca con una
permanenza di cinque mesi a Manila. Ne ripartirono imbarcati sul
Petaccio arrivando a Macao la notte del 2 gennaio del 1710.
Macao, a quel tempo, era l’emporio dei mercanti portoghesi ed anche
il primo territorio cinese governato da Europei. Nei documenti del
Collegio dei Cinesi apprendiamo che il Ripa a Macao stette
dal Cardinale de Turnon e fu accolto dal Legato “con
grandissimo affetto che non si può immaginare”. Ripartì
per Canton dopo la morte del de Turnon avvenuta l’8 giugno
1710 a Macao. Dalle memorie di Matteo Ripa attingiamo notizie del
soggiorno a Canton: …. Terminata ch’ebbi la copia del quadro, ed
il ritratto del cinese, l’uno e l’altro coi loro originali, l’inviai
al Viceré, il quale subito mi mandò l’ordine che dipingessi altri
otto quadri, e come se fossero stati di vetro, che si fanno col
soffio, per suo ordine il seguente giorno furono dimandati quanti ne
avessi finiti. Sentendo che neppure avevo terminato di apprestare le
tele, non mi lasciavano in pace, e frequentemente sollecitavano il
disbrigo. Infine terminati che l’ebbi l’inviai al Signor
Viceré e da questi furono spediti all’Imperatore. A Canton
rimase dal 17 giugno al 27 novembre per ivi apprendere la lingua.
Donde egli prosegue … promisi di inviare all’imperatore
alcune mie pitture, che avevo già incominciato a Macao. Esse,
infatti, furono spedite dal Viceré il sei agosto per Pekin
con lo sparo de’ mortaretti siccome che s’invia cosa alcuna
all’Imperatore da quei Mandarini si costuma fare in
segno di ossequio e stima. Possiamo immaginare, perciò, che la
sua fama di esperto pittore, attraverso le sue pregiate tele, era
già sufficientemente nota nella Corte Imperiale Cinese, prima
ch’egli giungesse a Pechino. Matteo Ripa, come egli stesso
asserisce, aveva manifestato sin da fanciullo una grande
predisposizione per la pittura. Egli entrò a Corte appunto per le
sue qualità di pittore e nello stesso tempo d’incisore: …giacché
è costume di quella Corte di accogliere i professori di
scienza e di arte. Con un lungo viaggio durato due mesi e mezzo,
Matteo Ripa giunse il 6 febbraio 1711 verso mezzogiorno a
Pechino: …Entrò nella Corte di Pechin e si presentò
all’Imperatore in qualità di pittore, mandato dal Cardinale de
Tournon; l’Imperatore l’accolse bene, ciò che giovò alla sua
missione, la quale era il suo scopo principale. Nel 1930 fu
scoperto nel tempio imperiale un documento, corretto con inchiostro
rosso dall’Imperatore Kanghsi, nel quale si dice che …anni
fa, vennero dall’occidente Bonjour, Petrini e Matteo Ripa;
tutti e tre dicevano di essere mandati dal Pontefice.
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La residenza di Ge-hol, disegno di Ma kuo-Hsien nome
cinese di Matteo Ripa. |
2. Alla Corte di Pechino occupatissimo
nelle opere artistiche e l’apertura di un Collegio in Cina.
Matteo Ripa fu ammesso alla Corte di Pechino in qualità di
pittore, gli riuscì a meraviglia tanto che entrò nelle grazie
dell’Imperatore e cominciò il vero scopo a bene della sua missione.
Era noto che gli Europei erano invitati alla corte orientale per
introdurvi le arti, le scienze e la civiltà dell’Occidente. Nei
tredici anni che passò alla Corte cinese, Matteo Ripa svolse
con grande abnegazione l’attività di sacerdote e di missionario
cattolico. Le prime conversioni in Cina, dice Ripa, furono due
durante il viaggio da Canton a Pekino e queste aumentarono il
suo amore per i Cinesi rendendolo ancora più vivido. Per avvicinarsi
maggiormente ai Cinesi, dopo il ritorno da Ge-hol in Pechino, egli
istituì presso una famiglia cristiana una cappelletta con annesso un
oratorio dove ogni mese si radunavano le persone cristiane dei
dintorni e dove ascoltava le loro confessioni. Chiamato
dall’Imperatore a palazzo, Ripa ebbe la sorpresa di trovarvi
fondata una scuola di pittura per giovani, diretta da un italiano:
il piemontese Giovanni Gherardini, artista di professione,
pittore e architetto decoratore di grande talento, già famoso in
Cina come il Padre Bouvet. Egli fu il primo ad introdurre in
quel paese la pittura ad olio, era abilissimo in architettura , in
decorazione e valente in musica. L’attività di pittore del Ripa
durò solo due mesi: dal 7 febbraio al 9 aprile 1711; infatti
riferisce: …a dipingere sino al mese di Aprile, quando mi fu
dalla Maestà Sua ordinato che mi adattassi
all’incisione, l’Imperatore da molto tempo era desideroso di
avere al suo servizio uno che sapesse intagliare sul rame.
So - prosegue il Ripa - che sapevo fare alcune
dimostrazioni ottiche ed il modo di intagliare il rame ad
acqua forte, benché non ne avessi la pratica, mi esibii a farlo,
dandomisi però un poco di tempo per acquistare esperienza.
L’Imperatore vedendo alcune stampe ne rimase compiaciuto, dicendo
di essere quelle Pampei, cioè un tesoro e gli ordinò di
raccoglierle in un apposito libro. Si trattava delle vedute della
sua splendida dimora villa Ge-hol e l’Imperatore gli ordinò
d’intagliare su rame
la Carta geografica di tutto il vastissimo Impero della Cina e della
Tartaria “…perché erale piaciuta la raccolta da me fatta in un
solo libro suddette trentasei vedute della villa mi ordinò che
avessi fatto lo stesso solo dopo aver dato fine alla carta
geografica, che incisi in quarantaquattro rami ed è quella stessa
che vedasi esposta nella nostra sala colle lettere Tartare e Cinesi.
Matteo Ripa non era soltanto abile come pittore ed
intagliatore di rame ad acqua forte e bulino, ma anche come
meccanico. Alla Corte di Kanghsi egli si adoperò per riparare
accuratamente un gran numero di orologi di arena. Questi -
ricorda Matteo Ripa - … davansi tutti al Padre Suarez, il
quale altro non faceva che osservare quali di essi era esatto e poi
li restituiva all’Imperatore dicendo che gli altri non si potevano
accomodare e tutti furono da me ridotti a perfezione.
Alla fine di maggio del 1719, Matteo Ripa prese con sé
quattro giovanetti che insieme a Giovanni Battista Ku, che
già stava con il Ripa dal 1714, furono i primi allievi della
scuola o collegio. Dopo poco tempo per ordine del
Sovrano, la scuola fu trasferita nel Palazzo Imperiale e Matteo
Ripa narra nelle sue Memorie: …Fin dall’anno 1714
scrissi avanti di aver preso in Ge-hol un giovanetto chiamato
Giovan Battista Ku, nativo di questa terra di Ku-pe-cchieu, per
abilitarlo allo stato sacerdotale. Or il dì 14 Aprile 1717 ne
ricevei un altro di Pekino per nome Giuseppe, e ad esempio di questi
due, essendo stato antecedentemente pregato da un altro per nome
Giovanni, di età di quattordici anni, abitante in Ku-pe-cchieu, col
pieno consenso del suo genitore, lo presi in quest’occasione, e meco
lo condussi in Tartaria ed è appunto il benedetto figlio Giovanni
Evangelista, morto in Cina dopo esservi ritornato Missionario
Apostolico, con aver lasciato questa comunità un modello da doversi
da ognuno de’ nostri imitare per riuscire un perfetto operaio
Apostolico. Avendo dovuto pernottare in Ku-pe-cchieu dal dì sette
fino al dieci Giugno, si misero due altri giovanetti ad
intraprendere la stessa vita, acconsentendo i loro genitori, che con
loro figli mi fecero istanza a volerli ricevere. Vinsi le preghiere
del più grande colle lontane speranze che gli diedi di riceverlo se
fosse persistito nella buona intenzione; il più piccolo però che era
di anni dieci, vinse me col fervore, che dimostrò il volere in tutti
i modi venire meco, siccome infatti lo condussi, e sarebbe stato per
fare una grande riuscita, se per opera del comune nemico non
l’avessi perduto, come sarò a suo luogo per dire”.
Matteo Ripa si sentiva felice per la costituzione di questo
piccolo internato. Riuscì il tutto tanto bene ordinato,
che sembrava piuttosto un noviziato che una scuola com’io la
chiamava. La chiamava Scuola e non Collegio, perché ne’ principi,
che presi detta gioventù, in verità non ebbi altro fine, che di far
solamente una semplice scuola, da finire colla mia vita nella Cina
stessa. Nel giornale delle Missioni Cattoliche, Anno IV n.19, si
legge nella Storia della fondazione del Collegio dei cinesi che
Matteo Ripa Scosso dalle persecuzioni e dai pericoli ai quali
i Missionari continuamente soggiacevano insieme alla tenua gregge
loro affidata, concepì il nobile e ardito pensiero di aprire un
Collegio di giovani neofiti, e cosa che ha quasi del prodigioso,
riuscì a fondarlo nella stessa Reggia di Pekino ove egli come
antico artista in qualità di pittore stanziava. Tutto ciò fu
motivo di persecuzione specialmente da parte degli stessi missionari
cattolici, sia per gelosia sia per altri motivi.
3. La
morte dell’Imperatore Kanghsi. La decisione di tornare a Napoli.
La dinastia Ching, durata
per 268 anni, iniziò dal 1644 con il primo Imperatore
Schun-chih e finì nel 1912 con l’ultimo Imperatore Hsuan-t’ung
ed é la seconda dinastia che conobbe un più lungo periodo nella
storia cinese, infatti, la prima dinastia T’ang durò per ben
duecentonovantotto anni. Il più prosperoso periodo venne dopo la
sconfitta di tre ostinati generali della precedente dinastia Ming
(1682) e la conquista dell’isola di Formosa, cominciò
dall’Imperatore Kanghsi e finì con l’Imperatore Chienlung:
un periodo di circa centotrentacinque anni. Kanghsi, morto
nel 1722, regnò ben sessantuno anni, fu un imperatore illuminato e
favorì il mecenatismo, dimostrandosi molto amico degli Europei.
Durante gli ultimi istanti della vita dell’Imperatore, Matteo
Ripa, assieme a Padre Angelo, era nella casa dello zio di
Kanghsi. Apprendiamo dalle Memorie di M. Ripa: … A
venti di dicembre 1722, vigilia di San Tommaso apostolo, nella quale
notte morì l’anno passato Monsignor Della Chiesa Vescovo di
Pechino, stando dopo cena confabulando col Padre Angelo nella
solita casa dello zio di Sua Maestà, nella quale dimoravano in
Haitien, sentii un insolito mormorio di voci dentro la villa
Imperiale dal che io, che sapevo il costume del paese, presi il
motivo di far subito serrare, ed assai bene le porte, e di dire
al detto padre, o che era morto l’Imperatore, o che si era ribellata
Pechino. Per accertarmi della verità, salii sul muro di cinta che
divideva la nostra abitazione da quella della Villa Imperiale, vidi
con grande stupore un gran numero di persone andare e venire chi per
una strada, e chi per un’altra, senza scambiarsi alcuna parola; alla
fine riuscii a sentire dal parlare di alcuni, che era morto Kanghsi.
In seguito seppi che prima di morire impose al quarto figlio la cura
dell’Impero, quindi si fece prendere il testamento, che già teneva
scritto, e ordinò che il suo successore il predetto quarto figlio di
nome Jung-cin doveva essere riverito e ascoltato sia dai fratelli
che dalla corte. Appena morto il padre, Jung-cin fece vestire il
cadavere, e fattolo porre in una sedia coperta, lo fece trasportare
la stessa notte nel palazzo di Pechino, seguendolo a cavallo, e
dietro di sé i suoi fratelli, figli e nipoti con un infinito
numero di soldati con spade sfoderate in mano. Insieme a padre
Angelo, andai a Pechino per entrare in Palazzo per dare il segno del
nostro dolore per la morte di Kanghsi, ma non potemmo entrarvi
neppure il giorno seguente ventidue in cui vi ritornammo…
L’Imperatore era una persona di intelligenza straordinaria, di
conoscenze molto vaste e di capacità insuperabili. La sua morte, in
quel tempo, non soltanto fu una grande perdita per l’Impero, ma
anche per gli Europei che desideravano rapporti di amicizia con
la Cina. I cinesi, legati alle tradizioni culturali basate sulla
dottrina confuciana, non avevano mai accettato gli Europei che non
volevano accogliere i costumi e la cultura della loro nazione. La
presenza degli Europei aveva creato grandi problemi: usare il nome
di Dio, onorare Dio ed onorare gli antenati soprattutto su questi
ultimi due si basava la cosiddetta questione dei Riti, che non
esistevano prima dell’arrivo dei missionari Domenicani e
Francescani. La questione dei Riti era assai importante: … il
proselitismo cattolico non era più possibile nell’Impero se
non alla condizione di conformarsi ai Riti di Matteo Ricci
(missionario in Cina nel sedicesimo secolo, fu lui che diede origine
alla lunga diatriba nota come -questione dei Riti
Cinesi- che sconvolse l’attività missionaria in Cina per
oltre due secoli e mezzo). Kanghsi era sempre molto gentile e
paziente con gli Europei, ma l’ignoranza dei missionari d’occidente
sulla cultura ed i costumi cinesi danneggiò l’atmosfera pacifica e
amichevole che si era instaurata nell’Impero. Avendo Matteo Ripa
concorso insieme ad altri missionari della Sacra Congregazione
alla libazione del vino in occasione dei funerali dell’Imperatore
e della madre avvenuta il 24 giugno dello stesso anno
1723 fece irritare non poco il nuovo Imperatore Jung-cin che era un
uomo superstizioso e credulone sugli usi da osservare in occasione
della morte dei genitori. Matteo Ripa si oppose alla costruzione di
una fontana artificiale perpetua che non avesse mai cessato di
versare acqua, questo atteggiamento insieme al precedente della
“libazione” fecero irritare ancora di più il nuovo
Imperatore e furono segnali di contrasto, di estraneità e di
fallimento del Cristianesimo in veste cinese, tanto che
Matteo Ripa scriveva: quelle stesse persone della Corte, che sempre
avevano cercato di disturbare la sua pace, avrebbero sparlato di lui
in presenza di molti Cristiani: dicendo che quanto faceva lo faceva
senza autorità alcuna, che era tutto falso quel che loro dava ad
intendere e continuava: con tanti sudori, quasi non
serviva, che a causare dissenzioni e scandali, per questo
riflesso……e temevo di potermi ritrovare in appresso, cioè o di
idolatrare, o di causare un gran sconcerto con grandissimo
pregiudizio di quella misera Vigna del Signore … … mi
confermai sempre più nell’accennata risoluzione di ritornare a
Napoli. In poche parole, le ragioni di Matteo Ripa di
ritornare in Europa erano: per prima cosa le opposizioni incontrate;
in secondo luogo le accuse infamanti per la scuola da lui fondata,
in terzo luogo i Riti cinesi ed infine le tendenze teoiste e la
superstizione dell’Imperatore. Matteo Ripa soffriva molto, si
sentiva un sopportato e ripetutamente diceva: …Il Signore mi
visita con molte tribolazioni… e, ossessionato da quelli che
egli chiamava … i persecutori della mia scuola… il trentuno
ottobre, vigilia di Ognissanti, portò un suo memoriale
all’Imperatore, il quale, dopo averlo letto, gli disse che aveva
tutte le ragioni di ripartire per l’Europa: … Questo Ripa è degli
Europei antichi in Pekino che ha fatigato nel servizio di mio padre
onde voglio premiarlo, gli Europei stimano la nostra porcellana,
perciò portatelo nel luogo nel quale si conserva quella pel nostro
uso, acciò scelga egli quella che più gli piace, e se ne prende
quanto ne vuole, e di più dategli delle stoffe di seta… . Dopo
le nove prostrazioni di rito verso Sua Maestà Ripa uscì dal
palazzo e nello stesso giorno gli diedero il passaporto e il
permesso di partire con cinque giovani cinesi. Dalla Cina era
impossibile uscire con i cavalli, ma l’Imperatore ordinò al
Tribunale di dare al missionario il permesso assieme ai documenti
necessari per partire con i cavalli ed i suoi giovani Cinesi, i
primi orientali che avevano frequentato la sua scuola, essi erano:
Gianbattista Ku, Giovanni Evangelista In, Lucio Wu,
Filippo Hua e Gioacchino Wang. Il primo aveva
ventiquattro anni, il secondo venti anni, il terzo dodici anni, il
quarto tredici e l’ultimo, che aveva lasciato la moglie e quattro
figli per seguire il Ripa come maestro, trentanni.
Gioacchino Wang, dopo un soggiorno di più anni nel Collegio di
Napoli, ritornò in Cina, accompagnando i due alunni Ku e
In. Il 15 novembre 1723, dopo il saluto resogli dai confratelli,
Matteo Ripa con i quattro scolari ed il maestro Wang,
lasciò Pekino e dopo cinquantasei giorni di viaggio (10 gennaio
1724) raggiunse Canton.
4. Da Canton a Napoli – Luogo
Originario Del Collegio Dei Cinesi.
Matteo Ripa
durante il viaggio di ritorno indossava un abito cinese, si era
tagliata la barba e il codino ed insieme ai suoi compagni cinesi
s’imbarcò a Canton su una nave inglese: era il 23 gennaio 1724. La
nave arrivò nello stretto dell’isola della Sonda nei primi giorni
del mese di marzo, nel mezzo di una forte tempesta che lo fece non
poco preoccupare per la sorte dei suoi compagni impauriti e
intirizziti dal freddo. Il 24 marzo usciti dal porto in direzione
dell’isola di S. Elena, raggiunta il 13 giugno, rimasero per sei
giorni e raggiunsero la spiaggia di Dill, in Inghilterra
.
La notizia del suo arrivo venne divulgata dai maggiori quotidiani
inglesi, tanto che il Re Giorgio I di Hannover manifestò il
desiderio di conoscerlo. Fu l’ambasciatore del Re di Sardegna che si
recò da Matteo Ripa per presentargli l’invito del Sovrano
inglese, il Ripa accettò e con grande accoglienze fu ricevuto
a Corte. Dopo tre ore di colloqui il Re lo trattenne a pranzo con i
suoi compagni orientali e dopo un’ultima udienza Matteo Ripa
ringraziò il Sovrano per l’attenzione e la benevolenza concessogli.
La stessa sera il Re, per mezzo di un suo Lord di Corte, fece dono
al Ripa di un pacchetto contenente monete d’oro per un valore
di circa trecento ducati napoletani. Il 5 ottobre la comitiva lasciò
Londra per dirigersi in Italia. Il 1° novembre attraccarono nel
porto di Livorno per partirne l’11 dello stesso mese su una nave
battente bandiera Inglese ed il 20 novembre sbarcarono a Napoli.
Rivedendo tutti i luoghi, i fratelli, gli amici dopo vent’anni, come
dice Gennaro Nardi nel suo libro “Cinesi a Napoli”, “il
missionario risentiva una grande commozione”. L’indomani
mattina, celebrò la messa nella chiesa della Madonna di Piedigrotta,
per chiedere la materna celeste protezione per i suoi Cinesi. Nei
primi giorni, per l’alloggiamento, il Ripa si narra nel libro
“Neapolitana Beatificationis Servi Dei Mathaei Ripa…..”: “condusse
i detti giovani Cinesi in una casa dei suoi parenti a
Margellina”. Poco tempo durò la dimora a Margellina per
poi passare in una casa detta “Montagnola”(che anticamente
veniva chiamata S. Maria a Parete per per la presenza di un dipinto
della Vergine Maria su di una parete), casa presa in affitto per
fare anche gli esercizi spirituali. Frattanto trattò l’acquisto
della casa dei Padri Olivetani posta alla salita dei Pirozzi a
Capodimonte, dove installò la Congregazione usando il danaro dei compensi avuti dall’Imperatore
Cinese. Matteo Ripa, sapendo di non poter più tornare nel
Celeste Impero per l’ostilità dei Magistrati e dei superstiziosi
locali, per poter continuare la sua opera fondò in Napoli un
Collegio di Missionari Orientali Indigeni. Per fondare il Collegio a
Napoli egli dovette superare moltissime difficoltà e dovette
pertanto andare più volte a Roma dal Papa ed a Vienna
dall’Imperatore d’Austria Carlo VI, poiché il Vicerè di
Napoli non poteva dare il permesso a Matteo Ripa di fondare
in Napoli un nuovo istituto essendo proibito per legge. In uno dei
viaggi a Vienna riuscì ad ottenere un colloquio dall’Imperatore
Carlo VI e, come si narra nell’opera “Neapolitana
Beatificationis et Canonizationis Servi Dei Mathaei Ripa”,
ottenne un vitalizio annuo di ottocento ducati ed il tanto sospirato
permesso ad aprire il suo Collegio per ospitare i Cinesi. Tornato a
Napoli, senza perdere tempo acquistò una casa appartenuta agli
Olivetani in data 10 aprile 1729 ed il 12 dello stesso mese fu
visitata dal Vicario Generale di Napoli. Matteo Ripa con le
sue maniere facili e benevoli era riuscito nella difficilissima
impresa di superare un ostacolo che sembrava insormontabile. La casa
si trovava dove, nel dicembre
1910 a Capodimonte in via Cagnazzi, sorse l’ospedale “Elena
d’Aosta”. Inizialmente era stato casino di diporto del Duca di
Noia, fu poi comprato dai Monaci Olivetani il 17 febbraio 1705 al
prezzo di 6.670 ducati. Nel breve tempo di quattro anni (1705-1709)
i Religiosi vi spesero ben 1043 ducati per trasformare il fabbricato
in monastero, con corridoi, celle, refettorio e Chiesa che,
tuttavia, non fu mai pubblica. Nel 1729, il monastero con giardino e
Chiesa fu comprata sub-asta, al prezzo di 6300 ducati, dal
Missionario Ripa che lo trasformò in pochi anni nel
fiorentissimo Collegio dei Cinesi
.
In questa località le strade circostanti furono denominate “Vicolo
dei Cinesi”, “Salita dei Cinesi” e “Gradini dei Cinesi”.
Il primo iscritto al Collegio era stato Giovan Battista Ku,
il quale era battezzato dallo stesso Ripa all’età di tredici anni.
Il primo nucleo del “Collegio dei Cinesi” a Napoli fu
composto dai quattro giovani cinesi ed il loro maestro, tutti
compagni di viaggio di Matteo Ripa. Lo scopo di questa
fondazione era la formazione di giovani cinesi aspiranti al
sacerdozio per poi recarsi nelle Missioni. Nella “Storia della
fondazione della Congregazione e del Collegio dei Cinesi”
racconta Francesco Savio Wan: “contavo l’età di circa
quindici anni, ed ero in Cina quando intesi parlare per la prima
volta del Collegio dei Cinesi esistente a Napoli, da un Missionario
Cinese che era stato Collegiale in Napoli, a nome Giovanni
Nepomuceno Tang
,
non ricordo precisamente se mi nominasse il Ripa fondatore di tal
Collegio. Lessi poi nella mia età di anni diciassette circa
la storia di un viaggio scritto dal Missionario Cinese Sacerdote
indigeno di nome Pietro Kuo
,
nella quale storia fra le altre cose io lessi che regnando
l’Imperatore Kangsi era venuto in Cina a far missioni il Ripa, cui
l’Imperatore trattava con gentilezza, e l’aveva preso presso di sé
in qualità di pittore. Morto che fu il detto Imperatore, il suddetto
Ripa chiese ed ebbe licenza di ritornare in Napoli per istruire
giovani e nella storia lessi che il Ripa aveva fondato in Napoli il
Collegio dei Cinesi. Venuto poi in Napoli al 30 dicembre 1861 nel
Collegio suddetto, qui dai miei compagni collegiali, e dal Prete
Secolare nostro Maestro di Liturgia don Giovanni Chirico, non che
dal Rev. Don Luigi Politelli ho inteso molte cose dire sulla virtù
del Fondatore, e tutti questi mi dicevano d’aver udito ciò che mi
riferivano per traduzione dei Padri antichi, tra i quali nominavano,
il vecchio P.D. Pasquale Ruggiero il quale ne parlava con
entusiasmo, che nel dirne le lodi gettava via il suo bastoncello, e
il P. Ruggiero aveva trattato i Padri più antichi della
Congregazione”
.
Il Collegio, per la sua denominazione, era molto caro agli
Imperatori Cinesi, e da essi era anche moralmente sostenuto, perché
essi pensavano che avrebbero ottenuto annualmente dei giovani ben
forniti di conoscenze scientifiche da tale Istituto. Infatti, quando
il Governo italiano cominciò a statalizzare questo Collegio privato,
l’Ambasciatore cinese Sin Foo-Chen pensò di intervenire, per
cercare di sfavorire la statalizzazione.
5.
La Morte
di Matteo Ripa.
Qualsiasi macchina usata facilmente si guasta. L’uomo
nell’arco di tempo che gli è consentito di vivere, continua nel
lavoro e nella preoccupazione senza pensare al riposo, vale a dire,
senza pensare che la troppo fatica e le vicissitudini che comporta
può abbreviare la vita. L’infaticabile Ripa era come l’olio d’una
lampada che consumandosi man mano si esaurisce del tutto. Egli
giacque infine sul letto per l’estrema debolezza. Sopraggiunsero
l’itterizia e forti dolori al petto
.
Dopo quattro mesi di degenza a letto e di atroci sofferenze, la
mattina del venerdì
18 marzo 1746. Matteo Ripa volle ricevere il Viatico e due giorni
dopo anche l’olio degli infermi
.
Poi, disse con voce lenta e fievole ai suoi sacerdoti, novizi e
alunni cinesi che costernati si avvicendavano attorno al suo letto
di dolore: Signori miei, sappiate che la fondazione l’ha fatta Dio
…. Iddio non ha bisogno di me; io mi rassegno alla sua volontà.
Avrei desiderato venti altri anni di vita per vedere con gli occhi
miei avanzata questa fondazione, ma fiat voluntas tua
.
Dopo aver incoraggiato tutti i presenti con queste commoventi parole
continuò: Non vi sgomentate, anzi state di buon animo. Dio non vi
abbandonerà mai. Io me ne andrò in Paradiso, di la pregherò sempre
per voi miei figli e per l’Istituto
.
La sera del 29 marzo, entrò in placida e serena agonia; dopo aver
sollevato lentamente le braccia, le piegò sul petto a forma di croce
e serenamente spirò
.
Aveva 64 anni. Era morto lo stesso giorno in cui era nato nel 1682.
La salma fu deposta nel loculo appositamente preparato davanti
all’altare maggiore, sulla tomba fu scolpita la seguente epigrafe:
D. O. M.
HIC JACET CORPUS MATTHAEI RIPA
QUI
Post XII in Oriente ad Christi Fidem Propagandam
Insumptos annos in Europam sinenses alunnos ad
Apostolicum ministerium formandos advexit et congregatione
Atque collegium sacrae familiae Jesus Christi IIS Erudiendis
Bened. XIII ac Clemente XII Pont. Max.
Approbantibus institute depunque curlu consumato ac fide
Servata eodem quo natus erat die XXIX men martii evolavit
Ad dominum A. MDCCXLVI.
Aet. Suae Ann. LXIV.
|
Matteo Ripa era stato a capo del suo Istituto dal 1732
fino al giorno della sua morte non poteva supporre che i successori
avrebbero dovuto ridurre la sua opera a un semplice pretesto della
loro esistenza. Certo nessuna opera nasce perfetta, e qualche errore
del fondatore poteva essere corretto; ma i padri della
Congregazione, anziché correggere l’istituzione e indirizzarla
secondo i canoni dell’esperienza e delle ragione, rimasero lieti a
vegetare all’ombra del glorioso fondatore lasciando che il “Collegio
dei Cinesi” diventasse a poco a poco estraneo alla fede e alla
civiltà. Dopo la sua morte il Collegio visse per un secolo una vita
veramente difficile, anche perché, per la estinzione graduale delle
missioni del cristianesimo in Cina durante la seconda metà del XVIII
secolo, ben poco campo ebbe di attuare i fini per i quali era sorto,
e di affermarsi nel dispiegare la sua azione religiosa, civile e
politica nelle varie contrade del lontano e anche del vicino Oriente
.
Il Collegio dei Cinesi con decreto ministeriale diventò Ente morale
dipendente dal Ministro della P.I., col nome di Real Collegio
Asiatico con un Consiglio d’Amministrazione, l’Istituto fu diviso in
Collegio “per gli Asiatici” ed in una Scuola “per alunni esterni
italiani e stranieri”, per il loro perfezionamento negli studi
linguistici e nelle discipline relative a commerci ed alle
esplorazioni in Oriente. Per la legge del 27 dicembre 1888 l’antico
Collegio dei Cinesi assunse il titolo di Real Istituto Orientale in
Napoli, subito Propaganda Fide si affrettò a reclutare per sé la
maggior parte dei beni patrimoniali del Collegio. Si trattava, di
una grave questione per l’importanza del valore controverso; giacche
la detta citazione rifletteva “La reversione di tutti i beni una
volta appartenuti alla “Badia di San Pietro Apostolo (S. Pietro alli
Marmi)” e alla “Cappella
la Petruccia” in Eboli, inventariati per Lire 1.200.000 e
producenti Lire 70.000 di rendita”
.
Su altre “rendite e pesi”, il procuratore del Collegio Santo Costa,
scrisse: La rendita di detto Ritiro e Collegio, che ritraesi da
diversi tenitori per pascolo, da due piccoli oliveti; da un arbosco,
da tre molini, da alcuni censi, e casa in tenimento ad Eboli, e da
censi, case, e giardini siti in Napoli monta a = 6500 circa; i pesi
= 3500 annui. Matteo Ripa fu una grande figura d’italiano e di
meridionale; se Matteo Ricci fu il primo a portare la scienza
occidentale nella Corte dell’Impero Celeste, Matteo Ripa fu il primo
a fondare un istituto di scambio culturale tra l’Occidente e
l’Oriente. Egli mori tra i giovani cinesi, e mori per amore del
popolo cinese, a cui si era dedicato con estremo fervore, per tutta
la vita. Finisco questo lavoro citando le parole che usò Philip W.
L. Kwok nel chiudere il suo libro: “Napoli e
la Cina dal settecento agli inizi del nostro secolo” edito Luigi
Regina, Napoli 1982: Oggi, dopo 300 anni dalla sua nascita
(1682-1982) e 236 anni dalla sua morte (1746-1982), la sua tomba
nella chiesa annessa all’Ospedale “Elena d’Aosta”, a causa della
penetrazione di pioggia dalla cupola dell’altare maggiore della
chiesa dopo lo spaventoso terremoto del 1980, è in restauro. Per
grazia di “Maria SS. Assunta nel Cielo ai Cinesi”, ho potuto vedere
i lavori in corso. La cassa originaria, per il lungo tempo
trascorso, si è consumata e polverizzata. Per la penetrazione
d’acqua e di umidità, le ossa apparivano rosee. Per preservarle da
maggiori danni si misero dapprima in una piccola cassa donata da una
pia famiglia, e poi, dopo aver finito tutta la ricognizione, furono
trasferite in altra cassa; infine questa deposta nel posto della
tomba originaria, cioè proprio sotto la lapide davanti all’altare
maggiore. Dopo 300 anni dalla sua nascita e 250 anni dalla
fondazione del suo “Collegio dei Cinesi” in Napoli, sono venuto a
Napoli solo Perché ammiro il suo grande spirito; ma oggi, “O tempora
O mores”, quello che ho visto! Il suo “Collegio dei Cinesi” tanto
trasformato, la sua nobile opera abbandonata, e la sua benedetta
tomba dimenticata! In occasione del doppio anniversario, cioè quello
di nascita e quello della fondazione del Collegio, spero vivamente
che il suo Spirito possa rinascere ancora in questa città
partenopea. L’appello fu colto e tutto fu fatto per l’onore e la
grandezza di un cosi grande uomo.
Mariano Pastore
Note
Pagina
realizzata con testo ed immagini trasmessici dall'autore, gennaio
2011
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