Nacque tra il 1150 e il 1160 ad Eboli che amò
intensamente raccomandandola all’imperatore Enrico VI
per difenderla dai feudatari; la chiamava “dulce solum”.
Passò la sua giovinezza tra Eboli e Salerno, ove pare studiasse
medicina in quella famosa Scuola che fino al 1400 conservò il suo
antico splendore, chiamava questa città Physica terra o
Urbs come una seconda Roma. Nella parte finale della sua opera
più importante il “De Rebus Siculis Carmen…”
si definisce “magister”, titolo,
tuttavia, non assolutamente indicativo per indurre a pensare che
fosse medico come asseriscono molti studiosi e in special modo
Theo Kölzer
. Lo studioso tedesco dice che il titolo di “magister”
non indica altro che una particolare abilità o competenza anche in
altri campi professionali oltre la medicina. Altri sostengono che
doveva essere un medico altrimenti non avrebbe potuto comporre
l’altra sua opera: il “De Balneis Puteolanis”, dove descrive
i benefici che apportano i vari bagni di Pozzuoli al corpo umano.
Sappiamo poco di Pietro da Eboli e possiamo estrapolare le
scarne notizie biografiche dalla sua opera maggiore e da qualche
documento che si conserva nell’archivio Arcivescovile di Salerno. Su
un documento, datato 1220 mese di febbraio, Federico II
conferma alla chiesa Salernitana:
«… molendinum de Albiscenda in Ebulo consistens,
quod magister Petrus versificator a clare memorie domino Henrico
imperatore Romanorum patre nostro iure hereditario habuit, tenuit et
in fine vite sue idem magister Petrus illud sancte Salernitane
ecclesie donavit pariter et legavit...».
“… il mulino di Albiscenda, situato in Eboli, che
il maestro Pietro poeta ebbe con diritto ereditario dall’imperatore
dei Romani Enrico nostro padre, signore di chiara fame, possedette e
in fin di vita il medesimo maestro Pietro lasciò in
testamento alla santa Chiesa Salernitana…”
|
Fatti della vita di Ruggero II. Nascita di Costanza.
Enrico VI e Costanza sposi. Loro partenza per la Germania. |
Nelle miniature del carme (46-139a e 47-140a) Pietro
appare con la testa tonsurata e con abito ecclesiastico, e ciò ha
fatto credere che fosse un prelato. Anzi, nella miniatura
46, ha la tunica lunga ornata di una fascia che pare ricamata presso
l’orlo inferiore e il manto fermato da una fibula presso la spalla
sinistra, simile a quelli che indossano, in queste miniature, le
persone ecclesiastiche autorevoli come il cancelliere imperiale
Corrado di Querfurt (min. 52 -145a). Ebbe per beneficio, per la
sua lealtà e fedeltà imperiale, da Enrico VI, il mulino di “Albiscenda”
che alla sua morte lasciò alla chiesa arcivescovile di Salerno. Per
Eboli ottenne il privilegio e il riconoscimento della tutela
imperiale, entrando a far parte del suo demanio divenne intoccabile.
Morì tra il 1212 e il 1220; l’epilogo del “De Balneis Pteolanis”,
risalente al 1212, prova che il poeta in quell’anno era ancora in
vita, mentre il documento, sopra trascritto, consente con certezza
di datare la morte del poeta attorno al 1220. Un’iscrizione
lapidaria a caratteri gotici, trovata dall’Augelluzzi tra le
carte del primicerio Pisciotta, in una antica cappella di
proprietà dei padri del monastero di San Francesco di Assisi, fece
pensare che ben presto Eboli avrebbe potuto trovare i resti del suo
sommo poeta. Gli studiosi di ogni parte di Europa accorsero ad Eboli
per poterne accertare la veridicità: ben presto si arrivò alla
determinazione che la scritta apparteneva a tempi tardivi e
conteneva parecchi errori storici, tra i quali basterà ricordare la
morte di Pietro posta durante la vita di Enrico VI ,
che lo precedette nella tomba vent’anni prima. Probabilmente essa
era opera dello stesso Pisciotta, dettata sotto l’impressione
della scoperta e della pubblicazione del Poema fatta dall’Engel
, che aveva rivelato una gloria locale di cui
non era rimasto alcun ricordo.
|
Virgilio Lucano Ovidio |
L’incisione sul marmo come riferì il Pisciotta
era in caratteri Gotici recitando questi versi:
CINERES HIC QVIESCVNT FRIGIDAE
MAGNI VATIS PETRI DE EBVLO
QVI MAGISTER AC HENRICI
IMPERATORIS RECTOR
MVLTAS PRO EO PAGINAS SCRIBENS
REPENTE OBVIT.
NON SINE LVCTV MOERENTES EBOLITANI
CIVES SVB HOC LAPIDE SVBLATVM
INSIGNEM VIRVM HONESTARI CVRAVERVNT.
QVI RIPOSANO LE FREDDE SPOGLIE
DEL GRANDE POETA PIETRO DA EBOLI
CHE MAESTRO E SOSTENITORE
DELL’IMPERATORE ENRICO
MOLTE PAGINE SCRIVENDO IN SUO ONORE
ALL’IMPROVVISO MORI’.
NON SENZA PIANTO I CITTADINI EBOLITANI ADDOLORATI
CVRARONO CHE L’INSIGNE VOMO FOSSE
DENTRO QVESTA TOMBA ONORATO.
|
Tancredi rattristato pensando al futuro. Il conte
Riccardo d’Acerra si avvia verso Capua. |
Purtroppo le biblioteche, i poteri del tempo (gli
Angioini) successivo agli Svevi condannarono al silenzio Pietro
da Eboli, tenendo nascoste le sue opere, che il suo ingegno
poetico aveva dedicato interamente alla casata tedesca degli
Hohenstaufen: il “De Rebus Siculis Carmen…”, titolo dato
all’opera dal suo scopritore Engel, o “Liber ad Honorem
Augusti…” secondo la denominazione data dal Siragusa
. La seconda non è pervenuta a noi e su quale
fosse il contenuto di quest’opera si son fatte tante supposizioni,
sappiamo con certezza che fu scritta perché fu lo stesso Pietro
a rivelarci la sua esistenza al termine della sua terza opera, il “De
Balneis Puteolanis”:
«…Cesaris ad laudem tres scripsimus ecce libellos:
Firmius est verbum quod stat in ore trium…
…Ebolei
vatis, Cesar, reminiscere vestri,
Ut possit nati scribere facta tui.»
“…tre libri scrivemmo in lode di Cesare:
più durevole è la fama assicurata da tre voci…
… Ricordati, o Cesare, del tuo poeta ebolitano,
affinché del tuo figlio possa narrare le gesta.”
Dobbiamo tutte queste notizie su Pietro da Eboli ai
professori Rota, Siragusa e Kölzer, i quali più
degli altri hanno cercato nelle varie biblioteche (Berna, Angelica
Romana ed Arcivescovile di Salerno) e studiato attraverso un attento
esame scientifico dei documenti e delle sue due opere manoscritte e
miniate. Pensando di fare cosa buona, richiamo la vostra attenzione:
il “De Rebus…” descrive un momento storico di fondamentale
importanza per l’Italia intera e le caratteristiche di quel periodo,
ignorate sino alla metà del secolo XVIII, allorché Samuele Engel
riportò alla luce il manoscritto, nel 1746, traendolo dall’unico
codice conosciuto, che si conserva nella Biblioteca
Civica di Berna. Il codice 120 contiene, tra le altre
scritture, l’esemplare del carme di Pietro. Questo codice,
della fine del secolo XII, è preziosissimo, non solo perché fu
sottoposto dall’autore ad una revisione e contiene, pertanto, molte
correzioni e aggiunte autografe, ma anche perché è illustrato da
cinquantatre miniature coeve che narrano i fatti del contrasto
scoppiato nel regno di Sicilia, sul finire del XII secolo, tra
l’Imperatore di Germania Enrico VI e Tancredi di Lecce
nel grave momento in cui la dinastia Normanna si estingueva e
la Sveva si apprestava a succederle. Le miniature sono sul recto
delle carte, mentre sul verso si legge il poema e sono disposte in
maniera che, ovunque si apra il codice, si trova la facciata a
destra con una miniatura che è illustrazione dei versi che si
leggono nella facciata sinistra. È composto da tre libri. Il primo
incomincia dalla morte di Ruggero II e, dopo aver accennato
alle tre mogli di lui, narra di Costanza di Altavilla e del
suo matrimonio con Enrico VI. Descrive, poi, il lutto della
città di Palermo e del regno di Sicilia per la morte di Guglielmo
II e la discordia scoppiata tra i partiti dei vari pretendenti
al trono; racconta quindi, le vicende della guerra tra Enrico VI
e Tancredi di Lecce, cioè: la sottomissione di Montecassino,
la resa di Rocca d’Arce, l’assedio di Napoli, l’entrata di
Costanza a Salerno e la guerra civile ivi scoppiata e terminata
con la vittoria dei tancredini, la prigionia di Costanza, la
malattia di Enrico VI e la sua partenza per la Germania;
segue l’assedio di Capua, poi uno scambio di lettere tra Tancredi
e la moglie Sibilla d’Acerra e un colloquio tra Matteo d’Aiello
e la stessa regina Sibilla per custodire Costanza e la
sua liberazione per intercessione del papa Celestino III. Si parla
anche della prigionia di Riccardo “Cuor di Leone”
d’Inghilterra e chiude il primo libro con le azioni di guerra di
Diopoldo di Vohburg, specialmente contro Cassino che parteggiava
per Tancredi. Il secondo libro si apre con Enrico VI e le sue
forze imperiali che si apprestano a scagliarsi contro il regno e
Salerno ne prova i primi effetti. Seguono le imprese nella Sicilia:
lo sbarco a Messina, la fuga di Sibilla con il figlioletto
Guglielmo III nel castello di Caltabellotta, dove la regina
vedova di Tancredi e che aveva già perduto il primogenito
Ruggiero, prorompe in preghiere agli apostoli Pietro e
Paolo, ma tutto ciò risulta inutile e chiede perdono
all’Imperatore. Il libro parla di una congiura ai danni di Enrico,
ma la mancanza di una carta e la mutilazione di un’altra rendono
incompiuta questa parte del poema. Frattanto nasce Federico II,
in onore del quale Pietro canta un inno di lode e di augurio
di prosperità, mentre il cancelliere Corrado rassicura gli
animi turbati dalle persecuzioni imperiali per la congiura; il poeta
chiude il secondo libro con la dedica del carme all’imperatore «Sol
augustorum» e con l’acrostico «Enricus». Il terzo libro
comincia con l’invocazione alla sapienza affinché essa possa guidare
l’Imperatore, prosegue descrivendo la felicità della sesta età del
mondo allietata dal regno di Enrico e turbata soltanto da
Tancredi. Descrive il palazzo imperiale di Palermo, dove si
trovano i due personaggi più rappresentativi dell’impero: Corrado,
cancelliere, e Marcovaldo d’Auweiler; continua con un accenno
alle sei case o talami, l’ultima delle quali, «domus imperii»,
offre l’occasione per rievocare un episodio che ricorda la morte di
Federico I il Barbarossa. Possiamo, poi, leggere nuove lodi
per Enrico, paragonabile solo agli dei, infatti, il suo nome
significa “trionfo”; Enrico fu allevato dalla Sapienza, madre
degli dei che spregia la fortuna e dalla quale venne a posare sulla
«materna Sede». Il carme si chiude con queste frasi:
Ego magister Petrus de Ebulo, servus imperatoris
et fidelis,hunc librum ad honorem Augusti composui.
Fac mecum, Domine, signum bonum, ut videant me
tancredini et confundantur. In aliquo beneficio michi
provideat Dominus meus et Deus meus, qui est erit
benedictus in secula. Amen.
“Io, magister Pietro da Eboli, fedele servitore
dell’Imperatore,
ho composto questo libro in onore di Augusto.
Concedimi, o Signore, un buon segno, affinché mi vedano
I tancredini e ne siano sconvolti. Con qualche beneficio
mi compensi il mio Signore e mio Dio, che è e sarà
benedetto nei secoli. Amen.”
|
Malattia e morte di Guglielmo II. Popolo e magnati di
Palermo piangenti. |
Di Pietro si sono interessati tantissimi
studiosi di storia medievale, in particolar modo il prof. Gian
Battista Siragusa del quale mi piace trascrivere il giudizio
critico sul Carme che troviamo nella sua opera “Fonti per
la Storia d’Italia” pubblicata dall’Istituto Storico Italiano nel 1906:
«Il poema di Pietro da Eboli deve essere
considerato come opera d’arte e come fonte storica. Come opera
d’arte merita di essere tenuto in maggior conto che non si sia fatto
sinora. Solo chi conosce parecchi componimenti poetici del Medio
Evo, e specialmente dei secoli XI e XII, potrà convenire nella
sentenza che questo dell’Ebolitano, malgrado i suoi non lievi
difetti, sia uno dei migliori. L’immagine è viva assai spesso nella
mente del poeta; facili e liberi sgorgano sovente dalla sua vena la
parola, la frase, il verso. Vero è che egli viola, non di rado, e a
volte gravemente, i precetti della metrica; ma questo avviene, come
parmi, perché egli scrive preoccupandosi più del pensiero che della
forma, e perché più della vera nozione e del vero senso della
quantità, pare che abbia quello del ritmo e dell’accento. Come fonte
storica dunque il Carme di Pietro da Eboli ha un interesse massimo,
e questo che destò al suo primo apparire, è venuto crescendo e
crescerà, io credo, in avvenire.»
Mariano Pastore
Traduzione latina prof. Carlo Manzione
Mariano Pastore è il curatore di alcune
iniziative culturali del Centro Elaion di Eboli (centro di assistenza per disabili,
presidente dr. Cosimo De Vita).
|
apri il bellissimo pdf su "De Rebus Siculis Carmen"
Edizione Internet de Il Portale del Sud ®, novembre
2010. |