Le mille città del Sud

Carini

 

Carini

A piè del monte ove la terra inclina

Dameni prati cinta e derbe rare

Siede Carini illustre e secolare,

E il suo Castel di sopra la collina

Staglia superbo lombra sulla china,

E il cielo e i campi sembra dominare

In sino là dove il ceruleo mare

dIccara lambe la fatal ruina.

O forestier che passi per Carini

Volgi losguardo sù  verso lOstello,

Ove giunge la fraganza dei giardini:

Giammai saprai trovare

Luogo più  bello

Cesco Fraianello

(Francesco Aiello)

Carini  come tutti i paesi della Sicilia, ha le radici nella leggenda. Come un seme lasciato nel tempo, attraverso i secoli germogliò e cominciò a crescere.

Carini forse nacque tra il 1300 a.C  e  il 1200 a.C. Tucidide ci parla degli abitanti della Sicilia Nord Occidentale come di un popolo venuto dallIberia, dove scorreva il fiume Sicano, e si trapiantò in Sicilia con il suo re Cocalo. Da questa leggenda, o parte leggenda, parte unaltra leggenda, quella di Dedalo, che scampato allira di Minosse, anche lui venne in Sicilia e per il suo genio e qualità dinventore fu accolto sotto la protezione di Cocalo.

È proprio da questo punto che incomincia a germogliare quel seme che fu poi Carini. Incaricato da Cocalo di costruire una roccaforte di difesa contro un eventuale attacco dei Segestani, Dedalo costruì una fortezza in un punto strategico della costa e, si dice, per onorare il ricordo del figlio Icaro, perduto  durante l=evasione da Creta, chiamò questa fortezza Hikkara. Più tardi a questa fortezza aggiunse un porto capace di accomodare una grande flotta.

Ancora secondo Tucidide questa fortezza crebbe molto presto e, tramite il commercio e la pesca, si fece una cittadina “fiorente e popolosa”. Siamo ancora agli albori della storia, quando i Greci, in cerca di una terra più accogliente, decisero di colonizzare la Sicilia. Stabilitisi col tempo a città-stato, divennero molto potenti e facoltosi, alle spese degli abitanti locali, dei quali un buon numero furono fatti prigionieri e poi usati come schiavi.

Durante la Guerra del Peloponneso, i Greci di Sicilia, ormai “Sicilioti”, si schierarono con Sparta, contro Atene. Sembra che questo abbia spinto alcuni generali greci a muovere guerra contro le colonie greche siciliote e non solo per rappresaglia, ma forse pure per rimpinguare le esauste casse dello Stato.

A capo della potente flotta greca di 120 navi, fu messo Alcibiade con accanto Nicia e Lamaco. A Siracusa, Nicia e la sua armata non riusci a rompere le potenti difese siciliote e cosi si avviò verso il litorale Nord cercando con blande promesse di convincere il governo di Messana di far venire a terra in forma amichevole la sua armata. Messana non abboccò. Nicia allora tornò sui suoi passi e con lo stesso metodo di promesse riuscì a catturare Katane.  Qui fu raggiunto da una commissione Segestana che chiedeva aiuto contro Selenunte.  Nicia, che bisognava di denaro e vettovaglie corse volentieri ad aiutare i segestani e distrusse Selenunte e poi sapendo dai segestani che l’amica di Selenunte, Hikkara era molto ricca, accordandosi coi segestani, salpò verso Hikkara, doppiando lo stretto di Messina, mentre i segestani con seicento cavalieri aspettarono il segnale di Nicia sulle sponde del Tirreno a ovest dell’odierna Cinisi.

Venuta la notte Hikkara fu assaltata e messa a ferro e fuoco. Il bottino fu enorme e di ricchezze e umano. Era l’anno 415 a.C, otto secoli erano passati dalla sua nascita.

Migliaia furono fatti prigionieri e venduti all’asta a Katane, come schiavi, sorte che capitò anche  alla leggendaria Laide, una fanciulla di rara bellezza che fu comprata da un uomo di Corinto (secondo la leggenda) e portata a Corinto dove divenne una delle più grandi Etere.

I Sicilioti scampati all’eccidio si diedero alla macchia, vivendo in pagliai e spelonche, fino a che ebbero l’occasione di riunirsi e poco a poco e fondare un’altra cittadina ai piedi della montagna Longa, una località oggi chiamata San Vincenzo estendendosi verso la zona oggi chiamata San Nicola dove sono stati reperiti bellissimi pezzi di pavimenti in mosaico, facendo pensare che quest’altra Iccara fosse arrivata a un grande punto economico.

Ma la fortuna non assistette gli iccarensi che, dopo essere stati dipendenti dei Romani per tanti secoli, oltre a subire le nefarie vicissitudini delle differenti occupazioni dopo la caduta dell’Impero Romano, furono un’altra volta soggetti a un’altra potenza: l’occupazione Araba.

Come se questo non bastasse, a causa di una ribellione degli Arabi di Sicilia contro il Califfato centrale d’Africa, la Sicilia fu investita dalla furia distruttiva dell’esercito del Califfato e molte cittadine furono spazzate come granelli di polvere, con grande perdite umane e di possedimenti. Iccara, fu una di queste. Era il 901 d.C.

Calmatesi le acque tra gli arabi, venne al potere il partito dei Fatemiti e questi diedero agli Iccarensi il permesso di rifabbricare le loro case. Questa volta gli Iccarensi vollero scegliere un altro luogo dove fabbricare le loro case, e lo trovarono sulla collina al di sopra della seconda Iccara.  Una collina fertile, ricca di acque dolci e a una grande altezza sul livello del mare, che dava agli abitanti una sontuosa veduta e allo stesso tempo un vantaggio di difesa contro un eventuale attacco. Anche gli arabi colsero l’idea al volo e sul punto più alto della rocciosa collina fabbricarono una fortezza, da dove si poteva dominare la vallata sottostante e il mare, da Isola delle Femmine a Pozzillo, vicino Punta Rais.

Fu attorno a questa fortezza che cominciò a crescere la nuova Carini, che ben presto si fece grande e industriosa, anche perchè molti arabi si stabilirono in quella cittadina.

Tra il 1061 e il 1090 la Sicilia cade ancora sotto un altro popolo, i Normanni trovando Ikkara nelle condizioni descritte e facendo anche loro di quella fortezza un punto di difesa. Non si hanno notizie su Carini durante i Normanni, ma pare che un’altra fustigata l’abbiano preso sotto Federico II durante l’insorgenza dei cristiani contro gli arabi.

Intanto quella fortezza che avevano costruito gli arabi sul punto più alto della collina, dopo  il 1100 venne dato da Ruggero II a Rodolfo Bonello, uomo fidatissimo di Ruggero, il quale allargandone la costruzione e costruendoci attorno un muro di difesa ne fece un castello. In tempo, sempre aggiungendo altre costruzioni, divenne una residenza di villeggiatura. E' solo nel XIV secolo che al Castello, ora chiamato Castello di Carini, e residenza aristocratica, furono date le ultime rifiniture da  Manfredi Chiaromonte,  che era padrone di un vastissimo territorio della Sicilia che comprendeva il territorio da Palermo ad Agrigento con tutto l’angolo occidentale della Sicilia ed era uno dei più ricchi del regno.

Con l’avvento di Martino I, l’aristocrazia siciliana si ribellò a questo re, non riconoscendolo come re di Sicilia, giurando solo fedeltà alla di lui moglie Maria. Questo fu il riprincipio d’una rappresaglia di Martino I e Martino II (il padre), il quale agiva come consigliere del figlio, contro il baronaggio siciliano, per cui alla fine molti si arresero giurando fedeltà al nuovo re, altri furono spossessati e altri compreso l’ultimo dei Chiaromonte, furono annientati, facendone scomparire il seme.

Nel rinnovamento feudatario, il Castello di Carini con molte altre terre fu dato da Martino I a Ubertino La Grua elevando il tutto a baronaggio. La baronia fu data ai La Grua in perpetuo, con la prerogativa del mero e misto impero, diventando cosi un bene patrimoniale. Ubertino non ebbe figli maschi, ebbe sola una figlia che in tempo sposò il barone Talamanca, ma con la clausola del La Grua che il Talamanca avrebbe assorbito nel suo nome anche il nome dei La Grua, dando luogo cosi alla discendenza Talamanca-La Grua.

Fu cosi che nel 1443 troviamo Vincenzo Talamanca-La Grua barone e padrone del Castello di Carini  sposato a Laura Lanza figlia del Conte di Trabia. Questo matrimonio andò bene per un buon numero di anni, ma nel 1563 Laura fu scoperta di avere un affare amoroso con il cugino Ludovico Vernagallo, e “…foro ambodue ammazzati con arcabuz” dal padre di lei, presente il marito.

Da qui nacque il bellissimo poema di autore ignoto  “La Barunissa Di Carini”, che è un ricchissimo tributo alla letteratura siciliana e che divenne il tema della bellissima canzone di Salvatore Di Giacomo “Fenesta ca Lucive” e che si dice sia stata musicata dal Bellini.

Nel 1622, Vincenzo III  La Grua ottiene il titolo di principe facendo dei suoi possessi un principato. Vincenzo e i suoi successori furono responsabili per la buona economia dei loro territori, specialmente del territorio di Carini dove la coltivazione di cannamele e delle tonnare portava un ottimo reddito. È forse attorno a quell’età che il principe usa una casa sulla zona chiamata “Sopra Carini”, che si dice appartenesse al Normanno Ruggero, per costruire una villa principesca per villeggiatura. La zona fu scelta dai La Grua per la bellissima veduta di cui godeva e, per questa ragione, fu chiamata Villa Belvedere. Questa costruzione fu donata dal principe ereditario, alla Provincia dei Frati Minori nel 1950.

Con la Costituzione del 1812 viene abolito il feudalismo in Sicilia e Carini cade sotto la dipendenza di Palermo. Con l’abolizione della Costituzione del 1812 non ci fu un ritorno al sistema feudale, ma con la dichiarazione del Regno delle Due Sicilie, con a capo Napoli come capitale, Carini venne chiamata capoluogo giurisdizionale, con maggiore rilevanza amministrativa su Cinisi, Terrasini, Capaci, Torretta e Isola delle Femmine.

Intanto a Carini covava e c’era molta aderenza alla Carboneria e molti furono gli arresti e due reggimenti reali vennero collocati sulla via Lunga, oggi Corso Garibaldi.

Tutto questo e il colera del 1837 portarono gli abitanti all’esasperazione, infatti i separatisti lasciarono credere al popolino che il colera era stato ordinato dal governo e trasmesso a opera di untori governativi. Le relazioni tra il popolo e il re vengono inasprite e il popolo si rivolta. Il re reagisce con misure repressive straordinarie, usando la tortura e mantenendo  la forca sulla piazza del paese.

Carini diventa un punto centrale di rivolta contro i Borboni e si tiene in continuo contatto con i focolai del movimento di Palermo. I capi del movimento stabiliscono la data della rivolta per il 4 Aprile 1860, ma un’imprudenza di Antonino Curreri provocò l’inizio della stessa il giorno tre. Più di 400 uomini partirono per Palermo, dove nella mattinata del quattro si scontrarono con le enormi forze borboniche a Porta Carini. Lo scontro naturalmente fallisce e molti perirono, ma i rivoltosi non si arrestano e stabiliscono un punto di riunione a Carini per tutti e a Carini concorrono un paio di migliaia di uomini dei paesi circostanti.

Essi vennero presto circondati dalle forze borboniche che invadono Carini dove la strage e i saccheggi sono indescrivibili. Pure il Pascoli scrisse che a Carini era successa una “strage mostruosa”. Il movimento fu presto spento nel sangue per il momento, ma Carini rimase il centro dei rivoltosi con Rosolino Pilo che coordinava ogni cosa.

L’11 Maggio Garibaldi sbarca a Marsala. Il 18 Maggio Rosolino Pilo parla in piazza alla folla entusiasmata. Qualche giorno dopo, Garibaldi, accompagnato da F. Crispi, rende omaggio a Carini e i suoi caduti. Esistono ancora le lapidi poste sui muri di quei balconi da dove R. Pilo e Garibaldi apostrofarono i carinesi.

Con l’unificazione d’Italia la situazione politica, sociale ed economica ha una grande svolta per il peggio. Ci furono molte rivolte in molti punti della Sicilia. A Carini F. Crispi mandò, come in molti altri posti, i militari, che inasprirono gli animi del popolo, sparando sui cittadini e arrestando un gran numero di gente: molti subirono sommari processi giudiziari e condannati a morte.

È pure con l’unificazione d’Italia che i Savoia s’impadroniscono anche dei beni della Chiesa incluse le chiese, i conventi e i monasteri, alcuni di questi vennero restituiti ma con la clausola che venissero adibiti a scuole e/o uffici pubblici.

Fino ad ora l’analfabetismo a Carini come in tutta la Sicilia è rampante, cosa che comincerà a risolversi in gran fretta dopo la II Guerra Mondiale. Subito dopo la guerra il numero di studenti aumenta precipitosamente. L’economia è in ripresa, infatti, specialmente negli anni ’50 del secolo scorso si comincia a notare un certo benessere economico tra la popolazione. Si cominciano a vedere macchine e motociclette che si moltiplicano quasi a distanza di pochi mesi. Molti ricevono aiuti da parenti che sono negli Stati Uniti, altri emigrano verso il Nord dell’Italia e dell’Europa e sopratutto verso le Americhe. L’agricoltura, anche se osteggiata da altre nazioni, trova ancora uno sfogo nella frutta, nei cereali, nell’uva da vino e da tavola, nell’uliva e nei limoni. Ma il maggior contributo viene dalle nuove generazioni che hanno sconfitto l’analfabetismo e s’inseriscono nella vita pubblica isolana e nazionale.

Negli anni ’70 si ha ha il boom della costruzione anche se il tutto è fatto fuori della legge, perchè come in molti paesi d’Italia, interessi personali, bloccano per più di vent’anni i piani regolatori, portando dopo a ingenti contravvenzioni e in certi casi alla distruzione addirittura del fabbricato e  quasi sempre a strade strette e irregolari che sono una penosa  spina al traffico odierno.

Fino ai primi del ’60 Carini aveva una popolazione di circa 18.000, le nascite venivano controbilanciate dalle emigrazioni e il numero era su per giù sempre lo stesso. E cosi continuò fin verso la fine degli anni ’80. Dopo a poco a poco si comincia ad avere un influsso di stranieri in cerca di lavoro. Gente che veniva dal Medio Oriente, dai paesi balcani, e poi dalla Tunisia, da molti paesi africani e anche dall’Europa dell’est e dalla Cina.

Oggi il paese conta sopra i 30.000 abitanti che crescono sopra ai centomila quando i turisti della città calda e affollata si riversano nei molti villini di Carini costruiti appunto per avere un buon reddito nei mesi estivi. Infatti mentre Carini si era allargata a poco a poco fino ai primi del ‘900, poi s’era fermata, ma con il boom degli anni ’70, le costruzioni nacquero da per tutto come funghi nelle grotte. Ormai l’agricoltura non dava più quasi alcun reddito a causa della mano d’opera molto cara e anche perché gli appezzamenti di terra che molti possedevano non erano più in grado di subire le spese di coltivazione; la gente trovò molto più utile vendere un pezzo di terreno a prezzi esorbitanti.

Carini oggi è come qualunque altro centro abitato, per lo meno, della Sicilia: il paese è congestionato dal traffico, le macchine, è sicuro, sono più numerose degli abitanti, di conseguenza e difficile trovare un parcheggio. C’è carenza di spazio libero, perchè il comune non ne possiede e quello che possiede è fuori dalla possibilità di parcheggio.

Un’altra cosa da notare è il numeroso ritrovamento di siti archeologici. Si sono trovati infatti catacombe in quel di Villa Grazia di Carini, sepolcreti nella zona della Franca e del Piraineto e nella zona della Ciachea, vicino Capaci. Sebbene non si è trovato molto a causa dei saccheggiamenti di questi posti e delle numerose grotte locali, pure si hanno dei reperti che sono molto interessanti per lo studio dell’archeologia e della paleontologia. Fra i numerosi reperti, uno molto interessante è una testa d’elefante e ossa di altri animali preistorici, mentre nella zona di San Nicola, dove sorgeva la seconda Ikkara, è stato ritrovato un pregevole pezzo di pavimento in mosaico che oggi si trova al museo Gemellaro di Palermo, insieme a molti altri reperti provenienti dalla zona di Carini, sia sulla storia delle tre Iccari, sia sulla presenza dell’uomo da date preistoriche.


Articolo a cura di Antonino Russo


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