Il Regno
di Napoli, come molti sapranno, è stato il reame più conteso nella
storia d’Italia. La sua posizione strategica nel centro del
Mediterraneo è stata per diversi secoli nel mirino dei più grandi
sovrani europei.
Dopo la
caduta di un re o con la restaurazione del sovrano spodestato
precedentemente, si procedeva al ritiro delle monete coniate dagli
“usurpatori”. Cosa fare dunque, di migliaia e migliaia di monete in
argento, rame e oro che restavano in circolazione? Semplice, mentre
per quelle in oro non c’era altra alternativa che la fusione, per
quelle in argento e in rame veniva reimpressa su di esse una nuova
immagine.
Ferdinando IV di Borbone, rifugiatosi per ben due volte in
Sicilia, nel
1799 con l’avvento della Repubblica Napoletana e nel
1806 con la discesa in Italia di Giuseppe Napoleone, ordinò al
suo ritorno
(1815), il ritiro dalla circolazione di quasi tutte le piastre
battute precedentemente dagli “usurpatori” e così per evitare di
farle fondere e far rifare un nuovo tondello d’argento, si pensò di
apporre su di esse una nuova immagine.
Resta di
fatto che la storia non si può cancellare e così ogni tanto fa
capolino sotto il busto dei sovrani borbonici, la folta capigliatura
di
Gioacchino Murat, le sirene marine di Giuseppe Napoleone o le
foglie di alloro
repubblicane.
C’è da
dire però, che anche
Gioacchino Murat, fece ritirare dalla circolazione alcuni 120
Grana d’argento di Ferdinando IV, facendo reimprimere su di esse il
celeberrimo e introvabile 12 Carlini 1810 - con testa a destra.
Anche per quanto riguarda il rame furono ritirate alcune monete da 6
Tornesi, Publiche (3 Tornesi) e 9 Cavalli, furono reimpresse su di
esse rispettivamente monete da 10 Centesimi, 5 Centesimi e 3
Centesimi, riportanti il millesimo 1813. Fortunatamente per i
Borbone il popolo non apprezzò assolutamente una simile riforma
monetaria del rame, per cui gli sfortunati centesimi del 1813, oggi
di grande rarità, furono ritirati dalla circolazione.
Ritornando indietro nel tempo di circa due secoli possiamo trovare
anche monete in rame, coniate sempre a Napoli, durante il
periodo vicereale di Filippo IV di Spagna, dove al di sotto di
esse è facile intravedere l’impronta di monete in rame coniate sotto
il periodo vicereale del nonno di quest’ultimo, Filippo II.
Molti
collezionisti oggi, comprano monete reimpresse anche come doppioni,
solo per il gusto e la curiosità di osservare chi c’è sotto l’effige
di uno dei Borbone.
Se ad
esempio, in collezione si ha una piastra del 1818 “reimpressa”
(sigla “R” al dritto), dove al di sotto di essa fa capolino
Gioacchino Murat, perché non comprarne un’altra dove al di sotto di
essa c’è Giuseppe Napoleone? Potrebbe essere un modo nuovo di
collezionare questo, del tutto rivoluzionario, poiché sono varianti
interessantissime.
Ma
descriviamo ora la procedura tecnica utilizzata per ribattere: si
posizionava la moneta in un’apposita pressa, adeguatamente
riscaldata per rendere l’argento più malleabile, e facendo leva su
di essa con forza, si andava a coprire il vecchio conio con il
nuovo. Ma ahimé, non sempre la procedura riusciva perfettamente,
perché il coniatore non aveva fatto leva con la forza necessaria,
oppureperché la pressa non era riscaldata sufficientemente, tanto
che le monete ne uscivano nella quasi totalità dell’emissione
difettose. Il 95% delle monete reimpresse che oggi collezioniamo
infatti, presentano la superficie rugosa e screpolata, inoltre non
mancano su di esse schiacciature di conio, debolezze, lesioni e
mancanze di metallo.
La fig. 1
qui riportata ci mostra un Grano in rame da 2 Tornesi del 1622
coniato durante il periodo vicereale di Filippo IV di Spagna e
ribattuta a martello su un Tornese in rame di Filippo II, è chiaro
che la moneta venne spacciata nel 1622 per 2 Tornesi anziché 1, come
lo era 50 anni prima. La leggenda al dritto ci mostra una parte
della leggenda del rovescio del tornese di Filippo II, “PUBLICE
COMMODITATI”, mentre al rovescio, (dove è posizionata la croce
potenziata), è ben leggibile la dicitura “PHILIPP.D.G.”, inoltre c’è
da dire che il peso ufficiale di un Grano nell’anno 1622 doveva
essere di grammi 7,61, mentre l’esemplare “truffaldino” pesa grammi
6,9.
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fig. 2 Piastra da 120 Grana d’argento “ribattuta”
nel 1817, regnante
Ferdinando I. Clicca sull'immagine per ingrandire |
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fig. 3 Piastra da 120 Grana d’argento “ribattuta”
nel 1818, regnante
Ferdinando I. Clicca sull'immagine per ingrandire |
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La fig.
2, riporta una Piastra da 120 Grana d’argento “ribattuta” nel 1817:
al di sotto del taglio del collo di Ferdinando I è evidente la
capigliatura di Giuseppe Napoleone. La fig.
3, riporta una Piastra “ribattuta” nel 1818: davanti al profilo di
Ferdinando I è situato il profilo (fronte, naso, bocca, e mento) di
Gioacchino Murat.
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fig. 4 Piastre da 120 Grana d’argento “ribattute”
nel 1818, regnante
Ferdinando I. Clicca sull'immagine per ingrandire |
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fig. 5 Piastra da 120 Grana d’argento “ribattuta”
nel 1832, regnante
Ferdinando II. Clicca sull'immagine per ingrandire |
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La fig. 4
riporta una Piastra “ribattuta”, anch’essa nel 1818: sul taglio del
collo del sovrano è evidente la sagoma di una delle due sirene
marine del rovescio delle Piastre di Giuseppe Napoleone. La fig. 5
riporta infine una Piastra “ribattuta” nel 1832: affianco al lobo
dell’orecchio di Ferdinando II si leggono chiaramente alcune lettere
della dicitura “CARLINI DODICI” del rovescio delle Piastre
repubblicane.
Articolo pubblicato nel Maggio 2001
Pubblicazione on-line del Maggio 2008 |