Alla vigilia della II
guerra mondiale Napoli contava circa 900.000 abitanti
che, con la provincia, arrivano a 1.750.000
.
Nel corso del
ventennio fascista era quindi decaduta da
prima a terza città d’Italia. Il regime dittatoriale in
un primo tempo aveva fatto registrare progressi in campi
quali quelli dell’edilizia e degli edifici pubblici,
dell’orario lavorativo e del sistema previdenziale e
dell’alfabetizzazione. Ma il divario nord-sud crebbe
vorticosamente, specialmente nello strategico settore
delle comunicazioni ferroviarie e stradali e delle opere
pubbliche in genere che, salvo eccezioni, resteranno
praticamente le stesse dell’epoca giolittiana, e che
troveranno un successivo sviluppo solo con l’avvento
della Repubblica.
Mussolini investì
enormi risorse nella guerra coloniale per la conquista
dell’Etiopia (1935-6), in cui furono utilizzati da parte
italiana i gas asfissianti. Caduto nell’abbraccio
mortale col nazismo, partecipò nella guerra civile
spagnola (1936-39) ed emanò
le leggi razziali (1838). Il 10 giugno 1940,
il ministro degli esteri italiano, conte Ciano, genero
del “Duce”, consegnò le dichiarazioni di guerra alle
potenze occidentali. Si disse che Mussolini avesse
inteso scommettere su di una rapida e vittoriosa
soluzione del conflitto per trarne vantaggio, ma il suo
si rivelò un colossale e criminale sbaglio, in quanto
l’Italia, come ben presto i fatti dimostrarono, non
aveva né le risorse, né la tecnologia, né tantomeno la
volontà di imbarcarsi nella tragica avventura. In
effetti, Mussolini reiterò più volte la sua
irresponsabilità: assalì la Grecia, dichiarò guerra agli
Stati Uniti, inviò un’armata in Russia quando già le
cose volgevano al peggio per il cosiddetto “Asse”
italo-germanico.
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Bombardieri americani B-29 "Fortezze
volanti" |
Napoli nel 1940 era
del tutto impreparata alla guerra, con poche difese
efficienti, tenuto conto della sua posizione strategica
per il rifornimenti all’esercito che combatteva in
Africa. La difesa aerea della città era affidata alle
navi militari che si alternavano nel porto, ed alla
obsoleta artiglieria dell’U.N.P.A. (Unione Nazionale
Protezione Antiaerea). Gli aerei da caccia erano pochi
ed assolutamente inadeguati a fronteggiare gli
avversari. Non esisteva alcun moderno sistema di
avvistamento (il radar era sconosciuto in Italia, mentre
gli alleati lo utilizzavano già da tempo). Vennero
designati dei “capi-palazzo” per il soccorso dei civili
e lo spegnimento degli incendi. A partire dalle ore
serali entrava in vigore l’oscuramento col divieto di
far filtrare le luci.
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Un caccia italiano CR32 |
I bombardamenti
notturni inglesi iniziarono nel novembre del 1940. I
danni riguardarono soprattutto la zona portuale e quella
industriale del versante orientale della città. Alcuni
di coloro che avevano perso la casa si trasferirono
nelle grotte naturali e nei tunnel cittadini. Il 18
novembre 1941, un grappolo di bombe distrusse
l’avanti-ricovero
di Piazza Concordia, facendo strage degli occupanti. Dal
4 dicembre del 1942, si aggiunsero i bombardamenti
diurni americani, con un’incursione d’alta quota che
provocò novecento vittime. In quell’occasione, non si
ebbe neanche il tempo di far suonare le sirene
d’allarme. In porto, l’incrociatore “Attendolo” fu
centrato in pieno e si capovolse. Il 15 dicembre
successivo i bombardieri distrussero l’ospedale Loreto,
il gasometro, i bacini di carenaggio. I devastanti
attacchi americani si intensificarono nei primo mesi del
1943, con bombardamenti a tappeto da alta quota,
effettuati da centinaia di bombardieri pesanti, mentre
la caccia nemica seminava spezzoni incendiari
dappertutto. Fu distrutto il sistema d’allarme e la
gente, ormai allo stremo delle forze, veniva avvertita
dell’arrivo degli aerei dai vani spari della contraerea.
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Napoli sotto bombardamento |
Non è possibile in
questa sede elencare tutte le incursioni, ma ci preme
raccontare almeno gli episodi più drammatici. Il 28
marzo 1943 in porto avvenne un incendio sulla nave da
trasporto Caterina Costa, carica di munizioni e benzina,
ed in procinto di percorrere la “rotta della morte”
verso la Tunisia. Nonostante l’evidente pericolo, la
nave non venne rimorchiata al largo, ma si tentò di
salvare il carico (per ordine diretto del governo del
“Duce dell’Impero”, che però se ne stava a Roma…). Non
si riuscì a controllare l’incendio, la nave saltò in
aria, causando l’affondamento di altre unità navali
ormeggiate nei pressi. La città fu investita da una
pioggia di fuoco, lamiere roventi e schegge che
arrivarono fino a piazza Carlo III, con migliaia tra
morti e feriti. Il 4 agosto 1943 Napoli fu colpita dalle
“fortezze volanti” americane da alta quota,
ininterrottamente per 43 ore, causando 20.000 morti;
furono rasi al suolo ospedali, chiese, orfanotrofi,
abitazioni civili, e la basilica di Santa Chiara. Dal 6
all’8 settembre ci furono le ultime terribili incursione
americane.
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Le rovine di Santa Chiara |
L’8 settembre fu annunciata la resa dell’Italia,
distrutta e divisa in due. Le famiglie italiane
piangevano quattrocentomila morti (per due terzi figli
del Sud).
In concomitanza con
l’annuncio della resa, l’8 settembre gli Americani
diedero inizio all’operazione Avalanche,
sbarcando nel Salernitano. Ciò che restava della
flotta italiana, che non era stata impegnata
a difesa della Sicilia, faceva rotta su Malta per
consegnarsi agli Inglesi, come previsto nella
capitolazione, subendo la perdita della
corazzata “Roma” ad opera dell’aviazione
tedesca.
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La corazzata Roma |
La forza di invasione
di 170.000 uomini attuò lo sbarco lungo ben 40
chilometri di costa alle 03.30 del 9 settembre. Nel
momento in cui i soldati iniziarono a prendere terra,
l'aviazione tedesca diede inizio ad una serie di
attacchi aerei, provocando gravi perdite tra le file
alleate. All’alba gli alleati giunsero a Cava de'
Tirreni, dove i tedeschi concentrarono i carri armati
lungo le case per tenerli al riparo dal fuoco nemico.
A contrastare lo
sbarco fu l’agguerrita divisione blindata tedesca
“Hermann Goering”, che il 13 settembre sferrò il
contrattacco che non riuscì per il poderoso appoggio
allo sbarco dato dal’artiglieria navale e dall’aviazione
alleata. Il duro risvolto si ebbe sulla popolazione
civile a causa dei bombardamenti, apocalittici per
entità, terrore ed orrore. Dal giorno 15 i tedeschi
iniziarono a ripiegare, attuando la "politica della
terra bruciata", ovvero la distruzione di tutto ciò che
era impossibile portar via e la cattura degli uomini da
condurre nei campi di concentramento o ai lavori
forzati. Per non lasciare il porto di Napoli nelle mani
degli anglo-americani, occuparono la città. L’ordine del
Fürher specifico per Napoli prescriveva un piano
sistematico di distruzione, rastrellamenti e sterminio
denominato "cenere e fango".
Tuttavia i tedeschi
riuscirono ad impegnare le forze terrestri
anglo-americane quasi per tutto il mese di settembre,
mentre la tragedia dei bombardamenti navali coinvolse
tutta la zona interessata.
Le Quattro Giornate di Napoli |
Dopo tre anni di
guerra fascista, Napoli, sventrata da 107 bombardamenti,
s'era svuotata, abbandonata da intere famiglie in fuga
nelle campagne. Erano rimasti i rassegnati, gli
indifferenti, i fascisti, e i disperati. Furono questi
ultimi a ribellarsi, a passare dalla disperazione
all'esasperazione per i soprusi nazisti, dopo
l'occupazione della città.
In agosto si era
formato il Comitato di Liberazione dei Partiti
Antifascisti con de Ritis, Palermo, Rodinò, Parente,
Ferri e Ingangi. Benedetto Croce riuscì a raggiungere
Capri, già in mani alleate, dove iniziò la formazione
del nuovo governo.
La città era senza
viveri, trasporti o qualsiasi altro tipo di servizio
pubblico: vi erano 80.000 disoccupati. Gli Alleati
lanciavano manifestini dagli aerei invitando il popolo a
ribellarsi alle truppe germaniche. Il Comitato di
Liberazione chiedeva armi, ma il comando militare
esitava
ad armare la popolazione: le forze armate italiane erano
in completo dissolvimento, grazie all'esempio del re
d'Italia Vittorio Emanuele III di Savoia e dei suoi
degni generali che avevano pensato soltanto a mettersi
in salvo.
La rabbia dei nazisti
per il fallimento del servizio obbligatorio che
tentavano di introdurre, venne espressa nel manifesto
del 26 settembre emanato dal comandante Scholl, che
gridava al sabotaggio e minacciava di fucilare
all'istante i contravventori:
"Al decreto per il
servizio obbligatorio di lavoro hanno corrisposto in
quattro sezioni della città complessivamente circa 150
persone, mentre secondo lo stato civile avrebbero dovuto
presentarsi oltre 30.000 [3000 è un errore di stampa
del manifesto, ndr] persone. Da ciò risulta il
sabotaggio che viene praticato contro gli ordini delle
Forze Armate Germaniche e del Ministero degli Interni
Italiano. Incominciando da domani, per mezzo di ronde
militari, farò fermare gli inadempienti. Coloro che non
presentandosi sono contravvenuti agli ordini pubblicati,
saranno dalle ronde senza indugio fucilati. Il
Comandante di Napoli Scholl"
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Il manifesto fatto affiggere
dai Tedeschi |
Il giorno dopo, il 27
settembre, ebbe inizio la caccia all'uomo: le strade
vennero bloccate e gli uomini, senza limiti di età,
furono caricati con la forza sui camion per essere
avviati al lavoro forzato in Germania. L'odio contro di
loro e contro i fascisti che ancora gironzolavano per la
città a fianco dei soldati tedeschi saccheggiando e
portando via quanto potevano, aumentava giorno per
giorno. Si ebbero delle fucilazioni di uomini e donne
che si erano opposti al saccheggio delle loro case,
mentre il generale Del Tetto completava la consegna
della città all'esercito tedesco e proibiva al popolo in
un suo manifesto di assembrarsi perché in tal caso
sarebbe stato costretto a dare ordine di sparare sulla
folla.
A questo punto, per i
napoletani non c'erano alternative: se volevano sfuggire
alla deportazione dovevano combattere contro i tedeschi
e impedire che attuassero i loro piani. Cosi, senza
essere né preparata né organizzata, scoppiò
l'insurrezione di Napoli, una risposta spontanea in cui
erano presenti anche i partiti antifascisti ma senza
avere quella funzione di guida che avranno invece
durante la lotta partigiana. I napoletani uscirono allo
scoperto nelle prime ore del 28 settembre: erano armati
alla meglio, con vecchi fucili, pistole, bombe a mano,
bottiglie incendiarie che avevano subito imparato a
costruire e qualche mitragliatrice leggera nascosta nei
giorni dell'armistizio. Altre armi se le procurarono
combattendo. Tutto ciò sconcertò il comando tedesco che
non si attendeva questa reazione.
Il 28 settembre 1943
Napoli insorgeva, mobilitandosi in diversi quartieri e
con intensità e partecipazione sociale e politica
diversificate, in un impetuoso slancio mirato a
scacciare i tedeschi da Napoli. Da allora, si è detto e
scritto di tutto sulle Quattro Giornate. A volte si è
anche taciuto, e persino negato che avessero mai avuto
luogo. Eppure i fatti sono lì, ricostruibili e
ricostruiti nella loro essenzialità e nei loro
antecedenti, quali, tra gli altri, il clima instauratosi
dopo l’8 settembre, le prime violenze tedesche contro i
civili, gli implacabili rastrellamenti alla ricerca dei
cittadini maschi nascosti, gli arruolamenti coatti, lo
sgombero forzato della fascia costiera urbana, per non
dire della fame e degli orrori della guerra voluta dal
fascismo.
La scintilla scoppiò
al Vomero. Erano da poco passate le nove, quando giunse
la notizia che un marinaio era stato freddato con un
colpo di pistola, mentre stava bevendo alla fontanella
che si trova all’angolo di via Girardi, proprio di
fronte all’Ospedale Militare. Una decina di giovanissimi
sotto i vent’anni, in piazza Vanvitelli, si
precipitarono addosso ai tre tedeschi che occupavano una
camionetta, li costrinsero a scendere ed incendiarono il
mezzo. I tedeschi approfittarono di questo momento per
fuggire e dare l’allarme. Giunsero soldati in massa, ma
i giovani non desistettero e si rifugiarono nel Museo di
San Martino, mentre la voce della rivolta si spandeva in
città. In un attimo piovvero dalle finestre delle case
suppellettili per ostruire le strade. Gli scontri tra
tedeschi e gruppi di insorti armati si accesero nel
Vomero, ma anche nella zona tra Foria, il Museo e Piazza
Carlo III.
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La battaglia nelle strade
di Napoli |
Ben presto il fuoco
divampa, ed una delle aree in cui maggiormente si
concentra l’azione propriamente militare riguarda il
sistema viario dei collegamenti da e per Capodimonte,
con punti nevralgici al Moiarello, al Ponte della
Sanità, in via Santa Teresa. Si tratta evidentemente
delle postazioni forti dello schieramento tedesco o
comunque dei principali punti di disimpegno, o di fuga,
o semplicemente di sbocco dal perimetro cittadino in
direzione nord. Già nella giornata seguente, mentre il
contagio insurrezionale si espande guadagnando nuovi
percorsi nella città bassa e l’adesione di frange
popolari e ultrapopolari - ma anche di significativi
spezzoni di borghesi e intellettuali - altri teatri
d’azione si impongono, al corso Malta, a Poggioreale, al
Vasto, in via Carbonara e in via Roma in direzione della
Prefettura e di piazza del Plebiscito.
Avvengono episodi di
straordinario ardimento (come al Rione Materdei o,
ancora, alla Sanità) a diretto contatto con le pattuglie
tedesche o nel corso della rischiosa azione di
sminamento dei tanti edifici, fabbriche, manufatti su
cui hanno lavorato i «guastatori» tedeschi. Emergano
embrionali ma funzionali strutture organizzative
dell’intero moto di rivolta antitedesco, in particolare
al Vomero, attorno al Liceo Sannazaro, e al Parco Cis in
via Salvator Rosa. Ancora un giorno e mezzo di scontri,
e ancora tanto sangue versato: al Bosco di Capodimonte,
alla masseria del Pagliarone in via Belvedere, in piazza
Dante, alla masseria Pezzalonga nelle campagne
retrostanti la via Pigna, in via Nardones; vengono
troncate, fra le altre, le giovanissime vite di
Gennarino Capuozzo, Pasquale Formisano, Filippo
Illuminato, del soldato Mario Minichini, degli studenti
Adolfo Pansini e Giovanni Ruggiero.
Infine, l’episodio
culminante della liberazione degli ostaggi rinchiusi nel
Campo sportivo del Vomero, che prelude in pratica
all’abbandono della città da parte dei tedeschi e
all’entrata delle avanguardie anglo-americane nella
mattinata del 1° ottobre.
Le Quattro Giornate
restano nella storia della città come uno straordinario
momento di coraggio e di unità. Esse furono il punto di
arrivo e di svolta rispetto al passato e punto di
partenza, rispetto a quello che allora si configurava
come futuro e che costituisce oggi il presente, quanto
mai problematico.
«Le quattro
giornate di Napoli costituiscono uno degli episodi più
degni di ricordo della nostra storia nazionale e uno dei
pochissimi avvenimenti consolatori di questi ultimi
venticinque anni» (Corrado Barbagallo
).
Il maturo professore di storia spiega bene, del resto,
come le Quattro Giornate rimangano incomprensibili se
non si fa almeno un passo indietro, se non agli anni
della dittatura, certo al suo epilogo atteso e
inglorioso, a quell’8 settembre del ’43 quando chi aveva
perduto la propria partita (fascisti e tedeschi insieme)
volle, comunque, provare a forzare un esito che il
popolo italiano accolse concordemente come la fine di un
lungo incubo. Se questa è la premessa, l’insurrezione
napoletana non può essere interpretata – come fece
allora Croce, prigioniero del fantasma fuorviante del
1799, e perfino Adolfo Omodeo - come l’ennesima
ribellione di una città lazzarona che infierisce su un
nemico già sconfitto e ormai in fuga.
Ciò che i tedeschi
avevano fatto a Napoli dopo l’8 settembre, appartiene
alla brutalità cieca, tipica di chi è consapevole della
inevitabilità della propria sconfitta, e da quindi
libero sfogo alla volontà distruttiva. Se, dunque,
Napoli è stata la prima grande città europea che ha
sperimentato la resistenza armata al nazismo, lo è
soprattutto nel senso che qui per la prima volta il
nazismo ha mostrato in quale modo intendesse comportarsi
in quella seconda parte della guerra mondiale che esso
trasforma in un calvario distruttivo, nibelungico, verso
la catastrofe.
Per quattro giorni, i napoletani scelsero la lotta
aperta, imbracciarono le armi, eressero barricate,
lanciarono bombe, tesero agguati, costringendo le truppe
tedesche alla resa, alla fuga. Resistettero al nemico
artisti, poeti, scrittori
.
Anche gli ufficiali dell'esercito italiano (spariti in
un primo momento) e gli antifascisti si unirono ai
sollevati. Quanti presero le armi, vecchie armi italiane
meno efficienti, meno micidiali di quelle tedesche,
furono dunque tanti. Le azioni di scontro in ogni
quartiere della città e soprattutto al Vomero, all’Arenella,
a Capodimonte, a Ponticelli, infittite e protratte negli
ultimi quattro giorni del settembre e nella mattinata
del primo ottobre, furono decisive per affrettare
l’abbandono della città da parte delle truppe tedesche
proprio per la attiva solidarietà della popolazione con
quel pugno di combattenti, che si moltiplicava in ogni
punto della città.
I tedeschi avrebbero
voluto ridurre l’abitato a cenere e fango, avevano
minato, fatto saltare in aria, incendiato case,
alberghi, battelli in mare, impianti di servizi,
l’Archivio di Stato. Le distruzioni sarebbero state
infinitamente maggiori se la popolazione non fosse
coralmente insorta a sostenere i suoi studenti, i suoi
operai, i suoi uomini più consapevoli nella lotta
aperta. I tedeschi, all'alba del primo ottobre, si
ritirarono compiendo vili rappresaglie tra le
popolazioni che incontravano sul loro cammino.
|
Napoli,
Via Marina a nel 1943 |
Quando gli alleati entrarono in città,
non trovarono un nemico che fosse uno. Napoli s'era
liberata da sola. Nel dopoguerra, oltre alla medaglia
d’oro alla città di Napoli, furono conferire agli
insorti 4 medaglie d’oro alla memoria, 6 d’argento e 3
di bronzo. Le medaglie d'oro furono assegnate ai quattro
scugnizzi morti: Gennaro Capuozzo (12 anni), Filippo
Illuminati (13 anni), Pasquale Formisano (17 anni) e
Mario Menechini (18 anni). Medaglie d’argento alla
memoria di Giuseppe Maenza e di Giacomo Lettieri;
medaglie d’argento ai comandanti partigiani Antonino
Tarsia, Stefano Fadda, Ezio Murolo, Giuseppe Sances;
medaglie di bronzo a Maddalena Cerasuolo, Domenico
Scognamiglio e Ciro Vasaturo.
Questo il bollettino delle 4 giornate:
oltre 2.000 combattenti, 168 furono i napoletani caduti
in combattimento, 162 i feriti, 140 le vittime tra i
civili, 19 i morti non identificati, 162 i feriti, 75
gli invalidi permanenti.
La motivazione della medaglia d'oro al
valore militare conferita alla città di Napoli fu la
seguente:
“CON UN SUPERBO SLANCIO PATRIOTTICO
SAPEVA RITROVARE, IN MEZZO AL LUTTO E ALLE ROVINE, LA
FORZA PER CACCIARE DAL SUOLO PARTENOPEO LE SOLDATESCHE
GERMANICHE SFIDANDONE LA FEROCE DISUMANA RAPPRESAGLIA.
IMPEGNATA UN'IMPARI LOTTA COL SECOLARE
NEMICO OFFRIVA ALLA PATRIA NELLE QUATTRO GIORNATE DI
FINE SETTEMBRE 1943, NUMEROSI ELETTI FIGLI.
COL SUO GLORIOSO ESEMPIO ADDITAVA A TUTTI
GLI ITALIANI LA VIA VERSO LA LIBERTÀ, LA GIUSTIZIA, LA
SALVEZZA DELLA PATRIA”.
Fara Misuraca e Alfonso Grasso
aprile 2008
vai alla prima parte
Note
Ciò che restava del presidio italiano era
affidato al generale Del Tetto che provvide a
diffondere un manifesto con cui si proibivano
gli assembramenti.
Bibliografia
-
Casarubbea Giuseppe,
Storia segreta della Sicilia. Dallo Sbarco Alleato a
Portella della Ginestra. Ed. Bompiani, 2005
-
Costanzo Ezio, Breve
storia dello sbarco alleato, ed. Le nove muse, 2007
-
Di Mattero Salvo,
Storia
della Sicilia, Edizioni Arbor, 2007
-
Eisenhower D.D.,
Crociata
in Europa, Milano, 1949
-
Lupo Salvatore,
Storia
della mafia. Dalle origini ai nostri giorni, Roma,
Donzelli 1993
-
Mack Smith Denis,
Storia
della Sicilia Medievale e Moderna, Bari, Laterza
-
Renda Francesco,
Storia
della Sicilia, Sellerio, 2003
-
D’Agostino Guido e Mascilli
Migliorini Luigi, Il Mattino, 27.09.04
-
Gleijeses Vittorio,
La
Storia di Napoli, Società Editrice Napoletana, 1977
-
Barbagallo Corrado,
Napoli contro il terrore nazista, Casa editrice
Maone, Napoli, 1944
vai alla prima parte |