Le Pagine di Storia

L’affondamento della corazzata “Roma”

9 settembre 1943

a cura di Fara Misuraca e Alfonso Grasso

 

Nel 1935 la Marina Militare Italiana avviò il programma di realizzazione di 4 navi da battaglia: Littorio, Vittorio Veneto, Roma, Impero. Le prime due grandi navi entrarono in servizio all’inizio della Seconda guerra mondiale. La terza nella primavera del 1943, la quarta non fu mai ultimata.

L’armamento principale era costituito da 9 cannoni da 381 mm, sistemati in tre torri trinate, due a prora, una a poppa.

Dopo più di 3 anni di guerra, l’Italia si arrese senza condizioni agli Alleati anglo-americani. L'atto di resa (agli Italiani riferito come “armistizio”) fu firmato il 3 settembre 1943, pubblicato l'8, e prevedeva all'art.4, il trasferimento immediato delle forze aeree e navali in aree controllate dagli Alleati. Il ministro della Marina, amm. De Courten, fu informato dal primo ministro gen. Badoglio.

La mattina dell'8 giunse notizia dello sbarco alleato a Salerno, ed il comandante della Squadra da battaglia, amm. Bergamini, diede l’ordine di approntamento. A bordo nulla si sapeva dell'armistizio, gli equipaggi credettero di andare all'ultima battaglia.

La sera Radio Malta annunciò l'armistizio, con appello alla Squadra di dirigersi verso i porti alleati. Il De Courten comunicò la stessa cosa a Bergamini: la Marina avrebbe così reso un servizio utile alla Patria.

Alle 03.00 del 9 tutte le unità in grado di farlo mossero da Genova e La Spezia, ed alle 06.30 si riunirono al largo di Capo Corso. L'amm. Bergamini era sulla Roma, nave ammiraglia. La squadra fece rotta sulla Maddalena, poi a seguito di messaggio di Supermarina, diresse sull'Asinara. Navigò ad ovest della Corsica. Questo porta ad escludere che Bergamini volesse (come qualcuno ha sostenuto), dare battaglia agli Alleati in barba all’Armistizio. D’altronde, navigare ad est della Corsica sarebbe stato molto pericoloso: gli Americani sono famosi per distruggere tutto quello che si muove al minimo sospetto di pericolo.

Alle 15,15 apparvero i primi aerei tedeschi, da nord a 6 mila metri di altezza, in formazione allungata, divisi in 3 gruppi (uno di 7 apparecchi, uno di 5, uno di 3). Il primo attacco delle 15.37 fu sventato con la manovra. Al secondo delle 15.42, si rispose con il fuoco di sbarramento.

Una prima bomba con motore a razzo (“Fritz”) mise fuori uso per breve tempo i timoni dell'Italia (ex-Littorio). Un'altra cadde vicino alla Roma esplodendo sotto il galleggiamento e aprendo una larga via d'acqua nello scafo, La Roma dovette ridurre la velocità a 16 nodi, ma fu subito centrata da un'altra bomba, che penetrò tra il torrione e la torre principale n°2. La nave fu persa in pochi minuti. Per poco anche l'Italia non fece la stessa fine.

Il comando fu assunto dall'amm. Oliva che alle 18.40 ricevette l'ordine del Re di eseguire le clausole del armistizio e di dirigere su Bona. Alle 07.00 del 10 tutte le navi issarono il pennello nero, segnale di resa. Alle 08.38 fu avvistata la Squadra inglese, che diede l'ordine di dirigere su Malta.

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