Nel 1940, alla vigilia della
guerra, Palermo contava oltre 400.000 abitanti per una superficie
che si estendeva su circa 1.600 ettari. Erano presenti strutture
produttive e commerciali, un grande porto e un cantiere navale che
occupava tra le 800 e le 1500 persone a seconda delle commesse. Era
presente anche una piccola industria aeronautica gestita dalla
Caproni-Ducrot costruzioni, un cementificio e una miriade di piccole
industrie artigiane a conduzione semifamiliare o familiare. Palermo
disponeva anche di un aeroporto militare (Boccadifalco), di un
idroscalo, di varie stazioni ferroviarie: Centrale, Marittima, Lolli,
Brancaccio e Sant’Erasmo. I trasporti urbani erano assicurati da un
servizio di tram e filobus, elettrificati) che arrivavano fino ai
sobborghi di Mondello (la spiaggia “bene” di Palermo) e Monreale.
Sufficienti erano anche le reti di distribuzione elettrica, del gas
e una buona rete idrica e fognaria. La rete idrica era
approvvigionata da numerosi pozzi
(qanat) urbani e da circa 40 acquedotti. Anche il telefono
cominciava a diffondersi tanto che si contavano già oltre 8000
abbonati. I servizi erano pertanto in linea con quelli dell’epoca,
anche se le condizioni economiche e occupazionali non potevano dirsi
ottimali, provenendo da un lungo periodo di gestione fascista, e si
erano aggravate con il rientro di molti emigranti a causa del clima
di ostilità nei confronti dell’Italia di Mussolini creatosi alla
vigilia della guerra nel mondo occidentale.
Una città quindi, che se fosse stata inserita in un contesto
politico-economico democratico-liberale, avrebbe potuto vantare un
buon tenore di vita e contare su uno sviluppo e una espansione
costante.
A seguito della dichiarazione di
guerra alla Francia ed alla Gran Bretagna del 10 giugno 1940, la
situazione precipitò. Iniziarono i bombardamenti. Dapprima furono
gli Inglesi che tuttavia concentravano gli attacchi su bersagli
militari come il porto e l’aeroporto. Poi, a partire dal gennaio del
1943 arrivarono gli americani che adottarono la strategia dei
bombardamenti indiscriminati: rasero al suolo interi quartieri,
chiese, monasteri e non risparmiarono neanche i ricoveri, alcuni dei
quali dovettero essere murati con la calce per l’impossibilità di
estrarre i cadaveri da sotto le macerie. Particolarmente crudeli
furono i bombardamenti del rifugio di piazza Settangeli e di via
Lincoln, dove rimasero intrappolati 300 bambini che usciti da una
scuola vi si erano rifugiati con i loro insegnanti. Il massimo si
raggiunse il 9 maggio. Il bombardamento fu talmente violento che
rase al suolo intere zone di civile abitazioni e di alto valore
artistico e costrinse alla fuga i cittadini che abbandonarono in
massa la città. Tutte le città siciliane furono colpite, riportando
danni materiali e morti e feriti e dispersi. Oltre Palermo
ricordiamo in particolare Messina che, non ancora completamente
ricostruita dopo il catastrofico terremoto del 1908 che la rase al
suolo in 38 secondi, fu distrutta nuovamente da 8 mesi di
bombardamenti anglo-americani. Da gennaio al agosto del 1943,
migliaia di bombe caddero sulla città. Nel caso di Messina furono
usate per la prima volta bombe incendiarie come quelle poi usate a
Dresda (200.000 morti). La vita quotidiana era accompagnata dalle
sirene di allarme per 8 mesi di inferno di fuoco e macerie.
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Un bombardiere B-29 "fortezza volante" |
Sulle città siciliane, fu
inaugurata e messa a punto dall’esercito statunitense la successione
di bombardamenti dimostrativa ed esemplare per piegare la resistenza
della popolazione diventata di uso normale negli anni a venire. In
quel luglio del 1943, contemporaneamente alle colonne della VII
armata americana arrivò infatti a Palermo un gruppo di studiosi
guidato dal professore Solly Zuckerman, docente di anatomia ed
endocrinologia. Il professor Zuckerman e i suoi collaboratori erano
stati chiamati dalla protezione civile britannica a collaborare alle
ricerche sugli effetti delle incursioni aeree sull’organismo umano
ma ben presto il lavoro degli scienziati si indirizzò diversamente:
non più studiare il modo per limitare i danni ma piuttosto per
massimizzare l’efficacia dell’offensiva aerea contro i nemici
.
|
Un bombardiere americano B25 Mitchell in azione |
Zuckerman per condurre i suoi studi si era trasferito in Sicilia con
la sua squadra e nella sua relazione scrive “La cattura della
Sicilia rappresenta la prima opportunità che ci sia stata finora
offerta per una stima dettagliata degli effetti di una offensiva
estesa e prolungata delle forze aeree alleate”.
Ecco a cosa servirono i tre anni
di bombardamenti, oltre che a preparare il territorio e la
popolazione per lo sbarco degli Alleati. Avevano bisogno di cavie.
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Palermo bombardata |
L’idea di invadere la Sicilia era
nata dapprima a Londra durante l’estate del 1942, quando vennero
fissati due importanti obiettivi strategici nel Mediterraneo per le
forze inglesi: Sicilia e Sardegna, alle quali furono assegnati
rispettivamente i nomi in codice di Husky e Brimstone. Ma la
possibilità di un invasione tutta britannica della Sicilia,
ovviamente, venne immediatamente esclusa. Gli Usa non avevano
piacere che il mediterraneo divenisse un protettorato inglese. Così,
dopo aver sconfitto le truppe italo-tedesche ad El Alamein, in
Egitto, e dopo il successo dell’invasione del Marocco e dell’Algeria
(novembre 1942, "Operazione Torch"), ora che la vittoria in
Nordafrica era praticamente completa, bisognava preparare la mossa
successiva: penetrare l’Europa; a tale scopo fu organizzata il 14
gennaio del 1943 la Conferenza di Casablanca ("Operazione Symbol"),
per prendere una decisione comune sul da farsi. Alla conferenza
parteciparono il Primo Ministro W. Churchill , il generale sir Alan
Brooke, l’ammiraglio sir Dudley Pound, il maresciallo di campo sir
John Dill ed il futuro maresciallo della Royal Air Force sir Charles
Portal per l’Inghilterra; il Presidente F.D. Roosevelt, il generale
George C. Marshall, capo di Stato maggiore dell’esercito americano,
l’ammiraglio Ernest J. King, capo delle operazioni navali ed il
generale H.H. Arnold, che comandava le Forze Aeree, per gli Stati
Uniti.
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La flotta alleata in navigazione verso le coste della
Sicilia |
La decisione su dove aprire il
“secondo fronte” di lotta all’Asse cadde sulla Sicilia dopo non
pochi contrasti tra i comandanti delle due potenze Alleate.
“C’erano in ballo tre ipotesi – riporta lo storico Salvatore
Lupo
- la prima, auspicata dai sovietici, prevedeva lo sbarco
nelle coste settentrionali dell’Europa, la seconda puntava ai
Balcani e la terza alla Sicilia. Fu scelta quest’ultima opzione per
il semplice fatto che l’Italia rappresentava l’avversario più
debole”. Il “ventre molle” dell’Europa come ebbe a definirla
Churchill.
La Sicilia, la più grande isola
del Mediterraneo, ad appena 130 km dalla costa della Tunisia,
rappresentava la via più breve per entrare in Italia e segnare il
primo attacco alla "Fortezza Europa". Preliminare necessario allo
sbarco era tuttavia l'occupazione di Pantelleria che l'opinione
pubblica italiana, suggestionata dalla propaganda fascista,
considerava una specie di Malta, una base quasi inespugnabile. Per
gli alleati era necessario conquistarla, per farne una base per la
loro aviazione. Ebbe così inizio una violenta offensiva aerea
anglo-americana contro l'isola fortificata di Pantelleria, difesa da
11.000 uomini e 180 cannoni al comando dell'ammiraglio Pavesi.
Scriveva Eisenhower
:
“Topograficamente Pantelleria presentava ostacoli quasi
spaventosi per un assalto ... Molti dei nostri comandanti, esperti
ed ufficiali di S. M., erano decisamente contrari ad uno sbarco
perchè un fallimento avrebbe avuto un effetto scoraggiante sul
morale delle truppe da impegnare lungo le coste della Sicilia”.
Per tali motivi si decise di attaccare dall’alto e bombardare
l’isola. Su Pantelleria, in soli sei giorni tra il 6 e l'11 giugno
1943, furono sganciate ben 5.000 tonnellate di bombe. Pantelleria si
rivelò per quello che era in realtà: un avamposto sperduto, messo
subito in ginocchio dai bombardamenti e soprattutto senza volontà
alcuna di resistere. Non ci furono perdite da parte degli Alleati, a
eccezione, secondo i racconti dei marinai locali, d’un soldato
ferito dal morso di un asino. L’unico, appunto che da asino,
ancora si illudeva di poter difendere l’indifendibile sia
politicamente che militarmente.
Più di 11.000 prigionieri caddero
nelle loro mani. Nei due giorni successivi anche le isole vicine di
Lampedusa e Linosa capitolarono; gli abitanti della prima,
addirittura, si arresero in massa dinanzi al pilota di un aereo
costretto ad atterrare per mancanza di carburante.
Gli Alleati prevedevano di
impegnare nell'operazione Husky, come veniva indicato in
codice lo sbarco in Sicilia, 2775 navi da guerra e da trasporto,
1124 mezzi da sbarco, 4000 aerei , 14.000 veicoli, 600 carri armati,
1.800 cannoni e una quantità indefinita di munizioni, armi,
vettovaglie e carriaggi, il tutto gestito da oltre 400.000 uomini.
Le forze italiane impegnate in Sicilia consistevano di circa 200.000
italiani con un centinaio di carri armati e 28.000 tedeschi con 165
carri. In realtà l’isola, nonostante il grande numero di uomini in
essa dislocati, non era strategicamente attrezzata. Mancavano le
fortificazioni, gli armamenti, i mezzi logistici ed era priva di una
valida protezione antiaerea. La superiorità degli Alleati era dunque
schiacciante.
Già
nella notte tra il 3 ed
il 4 luglio un commando britannico tentò di sbarcare sul lido di
Avola, nella Sicilia sud orientale, ma si ritirò in buon ordine.
Questo tentativo, in realtà, serviva solo per saggiare l'efficienza
della difesa, in previsione dello sbarco vero e proprio. Il giorno 9
infatti la nostra ricognizione avvistava la flotta d'invasione in
navigazione verso le coste siciliane e lo stesso giorno 9, alle ore
22,30, 364 aerei e 12 alianti lanciavano sulle coste meridionali
della Sicilia una divisione di paracadutisti britannica.
Contemporaneamente, più ad ovest, scendevano i reparti della 82a
divisione paracadutisti americana. Frattanto la flotta di invasione,
al largo, si apprestava a sbarcare sulle spiagge le proprie
divisioni.
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Nell’arco di terra tra Licata e Siracusa si riversarono
160.000 soldati |
All'alba del 10 luglio, alle
04.45, la 7° Armata Usa sbarca sulle spiagge di Gela e l'8° Armata
inglese su quelle di Pachino e Siracusa. Un fronte costiero di 260
km, da Licata alla penisola della Maddalena pullulava di navi,
mentre dall’aria stormi di caccia bombardavano a tappeto per
proteggere lo sbarco. Fu la più imponente operazione militare fino
ad allora vista nel mediterraneo. Sbarcarono 13 divisioni di
fanteria, 2 due divisioni corazzate, 2 aviotrasportate e diversi
reparti speciali . A comandare l’operazione erano i generali Bernard
Montgomery per i britannici e George Patton per gli statunitensi.
Nei giorni successivi
le truppe alleate
avanzarono a tenaglia e si scontrano con le divisioni “Hermann
Goring” e “Livorno”, che ben presto, nonostante alcuni eroici
tentatici di resistenza come a Noto e a Cassibile, si ritirano,
specie i tedeschi, nel tentativo di raggiungere lo stretto e
trasbordare sulla terraferma mentre tra le fila degli italiani tutti
coloro che erano di origine siciliana, ed erano la maggior parte,
cominciavano a disertare nel tentativo di raggiungere le famiglie.
L'avanzata
anglo-americana |
Il
13 luglio venne occupata
Augusta e il 15 Il premier inglese Winston Churchill e il presidente
americano Roosevelt lanciarono un comune appello agli italiani
affinché decidessero “se vogliono morire per Mussolini e Hitler
oppure vivere per l’Italia e la civiltà”. Intanto gli Alleati
conquistano Agrigento e il giorno dopo Caltanissetta e il
22
gli americani entrano a Palermo.
Trovarono una città fantasma, distrutta, saccheggiata e abbandonata.
Nelle campagne si incontravano torme di sbandati, civili fuggiti dai
bombardamenti e soldati in fuga, siciliani in massima parte, che
all’avanzare delle truppe alleate avevano disertato per raggiungere
le famiglie. Fu in questo clima di sfacelo che il 25 luglio il Gran
Consiglio del Fascismo sfiducia Mussolini, il re ordina il suo
arresto e affida a Badoglio l'incarico di guidare il nuovo governo.
Il 27 luglio il
gen. Alexander, comandante il XV Gruppo d’armate, sposta il suo
Quartier Generale dall’Africa in Sicilia. Il 5 agosto viene occupata
Catania, dagli inglesi agli ordini del generale Montgomery, e il 17
il gen. Patton entra a Messina.
L’intera operazione è durata 38
giorni e pochi giorni dopo, il 3 settembre, a Cassibile viene
firmato l’armistizio corto, un pietoso eufemismo che sta per
“resa incondizionata”, l'atto con il quale il Regno d’Italia cessò
le ostilità contro le forze alleate. L'operazione ebbe inizio
intorno alle 17: firmatari furono Castellano, a nome di
Badoglio, e Bedell Smith, a nome di Eisenhower. Alle 17,30 il testo
risultava firmato. Solo a firma avvenuta fu bloccata
in extremis
dal generale Eisenhower la partenza di cinquecento aerei in procinto
di decollare per una missione di bombardamento su Roma, minaccia che
aveva costretto Badoglio ad accettare la resa senza condizioni, e
che senza dubbio sarebbe stata attuata, come già era successo il 19
luglio, se il trattato non fosse stato firmato
.
|
Firma di Cassibile. Castellano è in abito grigio |
Harold Macmillan, il ministro
inglese distaccato presso il quartier generale di Eisenhower,
informò subito Churchill che l'armistizio era stato firmato " …
senza emendamenti di alcun genere".
Intanto nella mattinata del 3
settembre, mentre a Cassibile si ultimavano i preparativi per la
firma, Badoglio e Vittorio Emanuele III incontravano l’ambasciatore
tedesco Rahn e lo rassicurano sulla fedeltà e la lealtà dell’Italia
al Fürher.
Nel pomeriggio dello stesso 3
settembre Badoglio si riunì con i ministri della Marina, De Courten,
dell'Aeronautica, Sandalli, della Guerra, Sorice e presenti il
generale Ambrosio e il ministro della Real Casa Acquarone ma non
fece cenno alla firma dell'armistizio, si limitò semplicemente a
riferire che c’erano trattative in corso.
Fornì invece indicazioni sulle
operazioni previste dagli Alleati e cioè ad uno sbarco in Calabria,
ad uno sbarco di ben maggiore rilievo nei pressi di Napoli ed
all'azione di una divisione di paracadutisti alleati a Roma, che
sarebbe stata supportata dalle divisioni italiane in città perché
ormai l'Italia avrebbe agevolato gli alleati contro i tedeschi.
Intanto nelle prime ore del
mattino del 1° settembre, dopo il solito bombardamento aeronavale
alleato delle coste calabresi, ebbe inizio fra Villa San Giovanni e
Reggio Calabria lo sbarco della 1ª Divisione canadese e di reparti
inglesi; si trattò di un imponente diversivo per concentrare
l'attenzione dei tedeschi molto a sud di Salerno, dove avrebbe avuto
invece luogo lo sbarco del grosso delle truppe, la V armata
americana.
Badoglio, il re e lo Stato
Maggiore, ritardarono di 5 giorni la notizia della firma di
Cassibile, l’armistizio fu reso pubblico solo alle 19:45 dell'8
settembre dai microfoni dell' EIAR che interruppero le trasmissioni
per trasmettere la voce di Badoglio, precedentemente registrata che
annunciava alla nazione la firma dell’armistizio. In realtà
l’armistizio era stato già reso noto da radio Algeri alle 17.30.
Letto il messaggio, il Re, il generale e tutto lo Stato Maggiore,
fecero le valigie e scapparono.
L’invasione della Sicilia non fu
tuttavia una passeggiata come si sperava. La resistenza italiana e
tedesca fu, nonostante l’impossibilità di impedire lo sbarco e di
ricacciarli in mare, superiore al previsto sebbene non potesse
contare sull’intervento della marina e dell’aviazione italo-tedesca.
Roma e soprattutto Berlino non potevano permettersi di sguarnire gli
altri fronti pertanto ai comandi militari italiani e soprattutto
tedeschi non rimase altro da fare che evitare di restare
intrappolati e ripiegare verso Messina e quindi Reggio. In totale
tra morti, feriti, dispersi, prigionieri le perdite italiane
assommarono a 130.000 uomini, quelle tedesche a 37.000 uomini; fra
le perdite materiali 260 carri armati, 500 cannoni e un numero
imprecisato di aerei. Gli alleati persero circa 8.000 uomini, fra
morti e dispersi, 103 carri armati, 96 mezzi da sbarco e 274 aerei.
Alle crude cifre dei morti e dei dispersi militari vanno aggiunte le
stragi dei civili, la rovina delle città e delle campagne; i
bombardamenti avevano distrutto acquedotti, centrali elettriche,
strade ferrate , mancava quindi l’acqua, l’energia elettrica, i
treni non viaggiavano, le campagne isterilivano, il bestiame moriva
e le città erano sommerse da cumuli di macerie. I bombardamenti
avevano distrutto 250.000 abitazioni, 15.000 vani rurali, migliaia
di automezzi, strade, per non parlare del patrimonio zootecnico e di
oliveti, vigneti, agrumeti e quant’altro.
Il popolo in verità quando le
forze alleate iniziano lo sbarco in Sicilia, tirò un sospiro di
sollievo: i cittadini perché vedevano avvicinarsi l'ora della fine
degli spaventosi bombardamenti; gli antifascisti perché sentivano il
profumo della libertà ma soprattutto gioirono i mafiosi
i quali capirono di poter disporre di uno spazio di manovra che il
fascismo aveva loro negato e furbamente colsero l’opportunità di
spacciarsi per antifascisti per il solo fatto di essere stati
imprigionati o confinati e di mettersi a disposizione delle truppe
alleate.
|
Militari alleati per le strade di Augusta |
Tra gli storici è ancora aperta
la diatriba sul ruolo avuto dalla mafia siciliana nella preparazione
dello sbarco alleato. Tale diatriba è certamente sostenuta dagli
apparati mafiosi perché tendono ad assumersi un merito e un potere
che in realtà non potevano ricoprire in quel lontano 1943, perché in
Sicilia grazie al prefetto Mori, buona parte delle forze di mafia
erano state confinate o incarcerate. Anche se i capi erano rimasti
liberi buona parte della manovalanza era stata inibita. A tal
proposito molti storici tra i quali Renda e Lupo sgomberano subito
il campo da ogni possibile equivoco. Scrive Lupo “La storia di
una mafia che aiutò gli angloamericani nello sbarco in Sicilia è
soltanto una leggenda priva di qualsiasi riscontro, anzi esistono
documenti inglesi e americani sulla preparazione dello sbarco che
confutano questa teoria; la potenza militare degli alleati era tale
da non avere bisogno di ricorrere a questi mezzi. Uno dei pochi
episodi riscontrabili sul piano dei documenti è l’aiuto che Lucky
Luciano propose ai servizi segreti della marina americana per far
cessare alcuni sabotaggi, da lui stesso commissionati, nel porto di
New York; ma tutto ciò ha un valore minimo dal punto di vista
storico, e soprattutto non ha alcun nesso con l’operazione “Husky”.
Lo sbarco in Sicilia non rappresenta nessun legame tra l’esercito
americano e la mafia, ma certamente contribuì a rinsaldare i legami
e le relazioni affaristiche di Cosa Nostra siciliana con i cugini
d’oltreoceano”.
Se l’ipotesi che gli “amici degli
amici” abbiano avuto un ruolo decisivo nello sbarco angloamericano
in Sicilia è da scartare, è tuttavia innegabile che gli alleati si
servirono dell’aiuto di personaggi del calibro di Calogero Vizzini e
Giuseppe Genco Russo per mantenere l’ordine nell’isola occupata e il
boss americano Vito Genovese
,
nonostante fosse ricercato dalla polizia statunitense, divenne
l’interprete di fiducia di Charles Poletti, capo del comando
militare alleato.
|
Calogero Vizzini |
Certamente gli alleati non
conoscevano la realtà siciliana e di volta in volta, da paese in
paese, cercavano l’interlocutore di maggior prestigio sul piano del
potere locale, che era rappresentato invariabilmente dalla mafia,
dall’aristocrazia terriera e dalla chiesa che spesso erano tra loro
legate da comuni interessi. Non a caso il nome di Calogero Vizzini
fu suggerito agli angloamericani dal fratello vescovo, e dal
“Movimento indipendentista siciliano” (MIS) nelle cui fila
militavano fianco a fianco rappresentanti dell’aristocrazia terriera
come Lucio Tasca, nominato sindaco di Palermo e capimafia come
Vizzini, Navarra, Genco Russo e l’allora giovanissimo, Tommaso
Buscetta.
Il
movimento indipendentista |
Immediatamente dopo lo sbarco
degli alleati prese corpo e spessore inoltre il Movimento
indipendentista. Mentre ancora nell’isola si combatteva il 28 luglio
del ’43 già volantini separatisti che invitavano a proclamare
l’indipendenza della Sicilia cominciarono a circolare e il giorno
dopo l’entrata a Palermo delle truppe americane, chiesero e
ottennero di essere ricevuti dal tenente colonnello Poletti, capo
dell’ufficio affari civili del governo militare alleato, per
presentare formale richiesta di poter informare i governi inglese e
USA che la Sicilia intendeva essere indipendente.
Intanto, secondo quanto deciso a
Casablanca su suggerimento di W. Churcill, il governo militare di
occupazione doveva evitare qualsiasi collaborazione con i partiti
politici isolani, anche con quelli che si dichiaravano antifascisti,
pertanto gli alleati si affidarono ai suggerimenti del clero e dei
maggiorenti locali per nominare i nuovi sindaci che così furono in
buona parte scelti tra i mafiosi o i separatisti, come il conte
Lucio Tasca, capo dei separatisti, a Palermo o Genco Russo, boss
mafioso, a Mussomeli.
|
Vito Genovese in divisa americana con Salvatore Giuliano.
Genevose fu l’autista e l’interprete di Charles Poletti |
Col passare dei mesi vista
l'impossibilità di rifornire con proprie scorte la popolazione, gli
Alleati puntarono sulla riorganizzazione degli ammassi, affidandone
la gestione ai grandi proprietari, aristocratici e mafiosi, per
indurre i piccoli proprietari, che in prevalenza alimentavano il
mercato nero, a contribuire all'ammasso. Si rafforzava così la
posizione delle élites agrarie nel quadro istituzionale del
governo d'occupazione. Da qui l'impressione che gli Alleati
tendessero a favorire i separatisti. In realtà le nomine erano
avvenute nella logica stessa del governo indiretto, e gli unici
esponenti della ristretta classe dirigente nei piccoli paesi erano
proprio i mafiosi e nei grandi centri i separatisti. Appare invece
priva di fondamento la ipotesi di un pactum sceleris tra
mafia e alleati per l’occupazione della Sicilia. Il rinnovato potere
della mafia nella magmatica società del dopoguerra avrebbe però
fornito al potere politico un alleato fedele alle istanze filo
occidentali, di cui probabilmente gli americani si avvalsero.
Per un approfondimento degli
avvenimenti che seguirono allo sbarco Alleato in Sicilia si rimanda
all’articolo
il separatismo siciliano nel secondo dopoguerra e al
testo "La Repubblica di Sicilia", libro di G. Alibrandi
scaricabile dal
nostro sito.
Fara Misuraca e Alfonso Grasso
marzo 2008
vai alla seconda parte
I
baraccati che ancora oggi sono senza casa non sono quelli
del terremoto del 1908 come spesso si ripete ma quelli dei
bombardamenti del ’43. Ma su questo tutti preferiscono
tacere.
“Vito Genovese - scrive
Mack Smith - benché ancora ricercato dalla polizia degli
Stati Uniti in rapporto a molti delitti compreso l'omicidio,
e sebbene avesse servito il fascismo durante la guerra,
risultò stranamente essere un ufficiale di collegamento di
una unità americana. Egli utilizzò la sua posizione e la sua
parentela con elementi della mafia locale per aiutare a
rastaurarne l'autorità...”.
Mentre faceva da interprete a
Poletti, una banda ai suoi ordini rubava autocarri militari
nel porto di Napoli, li riempiva di farina e zucchero,
sottratti agli alleati e li rivendeva al mercato nero nelle
città vicine. L'atteggiamento del Governo militare nei
confronti dei mafiosi fu ispirato a criteri utilitaristici
ma indubbiamente quest'apertura verso gli “amici degli
amici” permise alla mafia di riorganizzarsi, di riacquistare
l'antica influenza. Aveva sempre cercato l'alleanza con il
potere, anche con quello fascista, agl'inizi, ma per la
prima volta ora le veniva conferito un crisma di legalità e
di ufficialità che le consentiva d'identificarsi con il
potere.
vai alla seconda parte
Bibliografia
-
Casarubbea Giuseppe,
Storia segreta della Sicilia. Dallo Sbarco Alleato a
Portella della Ginestra. Ed. Bompiani, 2005
-
Costanzo Ezio, Breve
storia dello sbarco alleato, ed. Le nove muse, 2007
-
Di Mattero Salvo, Storia
della Sicilia, Edizioni Arbor, 2007
-
Eisenhower D.D., Crociata
in Europa, Milano, 1949
-
Lupo Salvatore, Storia
della mafia. Dalle origini ai nostri giorni, Roma,
Donzelli 1993
-
Mack Smith Denis, Storia
della Sicilia Medievale e Moderna, Bari, Laterza
-
Renda Francesco, Storia
della Sicilia, Sellerio, 2003
-
D’Agostino Guido e Mascilli
Migliorini Luigi, Il Mattino, 27.09.04
-
Gleijeses Vittorio, La
Storia di Napoli, Società Editrice Napoletana, 1977
-
Barbagallo Corrado,
Napoli contro il terrore nazista, Casa editrice
Maone, Napoli, 1944
vai alla seconda parte
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