La dottrina del fascismo
Tutto cominciò quando un irrequieto figlio del fabbro di Dovia frastornò le piazze d'Italia con un inno svizzero (verbis mutatis) per entusiasmare con un solare idealismo trascendente la delusa collera delle giovani masse disoccupate ma armate di schioppo e reduci dalle sassose trincee del Carso e dalle insanguinate forre dell'Isonzo: GIOVINEZZA!
Questa la base, su cui far leva. Ma cosa “è“ il Fascismo? È una dottrina che sorge e opera in un sistema di forze storiche: concezione repubblicana del Mazzini prima, grandeur romana civilizzatrice nel mondo poi, infine ritorno alla repubblica mazziniana (Salò). Essa ha un contenuto ideale nella storia superiore del pensiero, ha la concezione di un mondo diverso da quello materiale in cui l'uomo istintivamente tende a vivere una vita di piacere egoistico e momentaneo perché agisce spiritualmente come dominatrice di volontà: l'uomo del Fascismo è individuo-nazione-patria, è legge morale, tradizione, missione che sopprime l'istinto di una vita “propria” per instaurare una costante abnegazione di sé e il sacrificio dei suoi interessi particolari dove la stessa morte realizza quella esistenza spirituale che ne caratterizza il valore. Dottrina dunque spiritualistica contro il fiacco positivismo dell'800. Il Fascismo pone il centro della vita fuori dall'uomo, lo vuole attivo e impegnato in una azione comune, virilmente consapevole delle difficoltà di una vita seria, austera, religiosa, totalmente diversa da una vita “comoda” e individualmente “libera”. Questa concezione etica condurrà inevitabilmente a un totalitarismo nazionalistico, impositivo, volto a trasformare la collettività (non solo nazionale!) in una società spirituale incessantemente attiva secondo una etica romana civilizzatrice nel mondo. È una concezione storica dove l'uomo esiste per svolgere un processo spirituale nell'ambito familiare e sociale (soprattutto nazionale) a cui “tutte le nazioni devono collaborare!”. (Da qui l'attrito fondamentale con le diverse indipendenti nazionalità). Il Fascismo riafferma lo Stato come realtà unica dell'individuo: per il fascista “tutto” è nello Stato e nulla di umano e spirituale esiste, e tanto meno ha valore, fuori dello Stato. Il Fascismo è contro il Socialismo perché esso irrigidisce il processo storico nella lotta di classe e ignora l'unità statale: per il Fascismo lo Stato è sintesi e unità di ogni valore interpretando e potenziando la vita del popolo.
La
natura del fascismo
Il Fascismo è contro la democrazia perché ragguaglia il popolo al maggior numero abbassandolo al livello dei più. Per il Fascismo gli individui non sono quindi numero e il popolo va concepito non quantitativamente ma qualitativamente come l'idea più potente perché più morale, più coerente, più vera quale coscienza e volontà di pochi, anzi di Uno, che esprima l'ideale, la coscienza, la volontà di tutti. Non razza o regione etnica geograficamente individuata ma schiatta storicamente perpetuantesi, moltitudine unificata da Una Idea che è volontà di esistenza e di potenza, coscienza di sé, personalità. Non è la nazione a generare lo Stato ma viceversa, dando al popolo consapevole della sua unità morale una volontà e quindi una effettiva esistenza. Lo Stato, come volontà etica universale, è creatore del Diritto, del diritto a una nazionalità potente. Non è solo autorità di governo e valore di vita spirituale alle volontà individuali, ma anche potenza che fa valere la sua volontà all'esterno. È perciò organizzazione ed espansione. Nel suo sviluppo non conosce barriere e si realizza “provando” la sua infinità. Lo Stato Fascista è la forma più alta e potente della personalità; è forza, ma spirituale. Non si limita a semplici funzioni di ordine e tutela: è forma e norma interiore e disciplina tutta la persona. Il suo principio scende nel profondo e si annida nel cuore dell‘uomo d'azione come pensatore, artista, scienziato, uomo d‘arme: anima dell'anima. Il Fascismo non è solo datore di leggi e fondatore di istituti ma anche educatore di una vita spirituale Vuol rifare l'uomo, il carattere, la fede. SI CAPISCE DA QUI PERCHÈ SI SIA SVILUPPATO NEL '19 E PERCHÈ IL RE ABBIA PERMESSO LA MARCIA SU ROMA E L'ASCESA AL POTERE DI MUSSOLINI! E a questo fine vuole disciplina e autorità che domini incontrastata gli irriti. La sua insegna è il fascio littorio, simbolo della unità della forza, della giustizia. Da questa concezione filosofico-dottrinale, più esaltata che esaltante, ma non certo per la costruzione di un fantasioso castello in aria, non poteva scaturire che un impulso forte e tenace, una decisione irrevocabile, la ferrea volontà di Uno incontrastabilmente protesa verso la Deificazione di uno Stato totalitario e in continua espansione con atti di forza.
La
dottrina sociale del fascismo
Il primo vagito fascista, non dimentichiamolo, proruppe a Milano nel gennaio del '15 quando “Lui” riunì i superstiti interventisti-intervenuti e dove non c'era nessun specifico piano dottrinale. L'unica dottrina era quella del Socialismo dove “Lui” aveva una esperienza di gregario e di capo: dottrina comunque volta all'azione. A quel tempo stavano sorgendo in Europa ben ramificate forme di Socialismo, movimenti nella altalena delle tendenze di natura rivoluzionaria, riformistica, centrista. Finita la guerra, nel '19, il Socialismo era già morto come dottrina: esisteva solo come rancore e rappresaglia contro coloro che avevano voluto la guerra e che pertanto dovevano espiarla mentre “Il Popolo d'Italia” aveva già per sottotitolo ”quotidiano dei combattenti e dei produttori” (a quel tempo “L'Avanti” scriveva emblematicamente al direttore Mussolini “Chi paga la tiratura del tuo giornale?").Ma la parola “produttori” delineava già un indirizzo mentale: quello delle Corporazioni. Anche l'adunata dei fasci italiani di combattimento, a San Sepolcro, non era una dottrina ma una serie di spunti e di anticipazioni. Se la borghesia, egli diceva, crede di trovare in noi dei parafulmini si inganna. Noi vogliamo abituare le classi lavoratrici alla capacità direttiva, anche per convincerle che non è facile mandare avanti un'industria o un commercio. Per rivoluzione fascista si deve quindi intendere “anche” delle creazioni legislative e sociali fin dai primi tempi del regime. Gli anni che precedettero la Marcia su Roma non concessero elaborazioni dottrinali: si battagliava nelle città e nei villaggi. Si discuteva ma soprattutto si moriva: si sapeva morire. Ciò che non mancava era la fede. I fondamenti della dottrina furono comunque gettati mentre infuriava la battaglia. Il pensiero fascista si arma, si affina, procede verso una sua organizzazione. La lotta contro dottrine liberali, democratiche, socialistiche, popolaresche, fu condotta non tanto a parole, ma attraverso le ”spedizioni punitive”: La dottrina veniva sorgendo, sia pure tumultuosamente, sotto l'aspetto di una negazione violenta e dogmatica per confluire nel '26, '27, '28, alla realizzazione delle leggi e degli istituti del regime. Anzitutto il Fascismo, per quanto riguarda l'avvenire e lo sviluppo dell'umanità non crede alla utilità della pace perpetua: né alla sua possibilità. Respinge il pacifismo che nasconde una rinuncia alla lotta e una viltà di fronte al sacrificio. Solo la guerra porta al massimo di tensione le energie umane imprime un sigillo di nobiltà ai popoli che la affrontano. Tutte le altre prove non pongono mai l'uomo alla nobile alternativa della vita e della morte. Inutili quindi, anzi deleterie tutte le costruzioni internazionalistiche e societarie verso il pacifismo mondiale, temporaneamente sopportate dal fascismo solo per quel tanto di utilità che possono dare in determinate situazioni politiche. Questi pacifismi, come la storia insegna, si disperdono al vento quando elementi sentimentali, ideali e pratici muovono a tempesta il cuore dei popoli (se spronati dalle esaltazioni espansionistiche delle dittature. L'orgoglioso motto squadrista “me ne frego” scritto sulle bende di una ferita è un atto non solo di filosofia stoica, un sunto di dottrina politica: è l'educazione al combattimento tipica del gladiatore romano, l'accettazione dei rischi che comporta, è un nuovo stile di vita italiano (Sono prole “Sue”, che bene evidenziano dove saremmo andati a finire). Così il fascista accetta, ama la vita, ignora e ritiene vile il suicidio (soggiunge subito dopo per mitigare le sue formulazioni da kamikaze). Comprende la vita come dovere, elevazione, conquista: una vita che deve essere vissuta soprattutto per gli atri (col manganello e l'olio di ricino in mano?) gli altri vicini e lontani, presenti e futuri. L'amore per il prossimo non impedisce al fascista le necessarie educatrici severità (perbacco!). Egli respinge gli abbracciamenti universali e guarda vigilante e diffidente (ben si capisce con quale cipiglio!) negli occhi le comunità dei popoli civili (quelli cosiddetti plutocratici?): sta qui anche la piena antitesi col materialismo storico marxiano. Il Fascismo deve credere nella santità e nell‘eroismo degli ideali e nega il materialismo in cui gli uomini non sarebbero che comparse nella storia. (Parole sante! Questa antitesi dimostra infatti che con la falce e il martello del bolscevismo si voleva che il popolo generasse col suo lavoro quotidiano lo Stato, quello che poi sarebbe diventato il suo aguzzino mentre col fascio littorio lo Stato avrebbe ”generato” il popolo, dominato anch'esso dalla ferrea volontà dei pochi eletti. Quale la sostanziale differenza tra queste due dittature? L'inno svizzero Giovinezza anziché quello di Bandiera Rossa? Potremmo continuare a lungo a piluccare acini amarognoli di questa apologia dottrinaria sul Fascismo rintracciata su alcuni volumi fascisti dell'epoca. Ma credo che ciò basti anche per il terzo e ultimo capitolo sulla Dottrina Fascista. Qualche considerazione personale? Tanti bei principi sociali, ideali, solari, gettati nel baratro di un totalitarismo violento e guerrafondaio, dittatoriale, rissoso, esaltato, privo di umiltà cristiana, di comprensione verso le libere attitudini ed aspirazioni altrui. Se è ben vero che molte cose ha fatto il Fascismo, come vedremo nella parte storica, molte buone cose, dagli Istituti Previdenziali alle Pensioni, dai Sistemi Corporativi alle Colonie Montane e Marine per i figli del popolo, alle belle case coloniche in Cirenaica, dalle grandi incentivazioni alle industrie nazionali (Fiat, Necchi, Borletti,....) al prosciugamento delle paludi pontine, dalle Trasvolate Atlantiche di Balbo alle riedificazioni e ammodernamenti delle città,....alle impeccabili uniformi del “sarto” Starace, coraggioso ardito pluridecorato della prima guerra mondiale e “nullità fascista” pur essendone il Segretario di Partito da “Lui” più volte definito “cretino”, nell‘etica dottrinaria fascista purtroppo è innato il germe della azione violenta, autoritaria, dispotica, prepotente, guerrafondaia per natura, ovattata da affascinanti discorsi di Palazzo Venezia trascinatori di un popolo sprovveduto e ignorante.
La
storia del regime
Per la STORIA DEL REGIME e le cosiddette inevitabili costrizioni alla guerra (dopo quelle di Etiopia, di Spagna, di...) non seguirò cronologicamente la sua evoluzione (facile a reperire in qualsiasi serio trattato) ma succintamente cercherò di evidenziare i punti più salienti, soffermandomi maggiormente su considerazioni personali. Non sarà mai sottolineato a sufficienza il fatto che il Fascismo nasce storicamente dai Fasci di azione rivoluzionaria su a Milano per opera di Mussolini nel gennaio del 1915 durante la lotta per l‘intervento dell‘Italia in guerra e composti da elementi di sinistra, socialisti a sfondo rivoluzionario e sindacalisti, tutti piccoli borghesi, operai ed ex operai in lotta con gli altri partiti. Essi rappresentarono l'interventismo popolare o rivoluzionario, numericamente non grande ma moralmente e politicamente importante perché spezzava la solidarietà neutralista del socialismo italiano formando lo spunto di un socialismo italiano ”nazionale” attirando a sé nuove voci liberali, repubblicane, democratiche. Da qui, dopo la sanguinosa parentesi bellica che eccitò le passioni patriottiche dando piena e sentita attualità al Risorgimento, una continua innovazione e rinnovazione del Fascismo promossa con acuta preveggenza dal grande trascinatore incapsulò via via reduci armati, arditi fanatici, arrabbiatissimi disoccupati, operai scontenti, piccoli industriali spaventati dal verbo rosso, inscenando agitazioni violente di piazza che facevano sudare i carabinieri: un vero e proprio fermento rivoluzionario delineatosi via via a seconda dell'utilità e della necessità dell'ora e contrapposta alla sempre più sparuta e fiacca oligarchia dei dirigenti del potere e al logoro e screditato sistema parlamentare. Scoppiò quindi il dramma di un dopoguerra vittorioso, ma pari, quasi, a quello dei paesi vinti, perché amareggiato dalla psicologia di un popolo vinto. Sorse allora potente, accanto al Fascismo della prima ora, una reazione agli ideali interventisti e si guardò alla Russia come maestra e guida, inalberando la falce e il martello coll‘invocare “la dittatura del proletariato”. Il socialismo italiano ebbe in quel momento una fase di vera ebbrezza attendendo il miracolo delle masse, la soluzione totalitaria e definitiva della rivolta sovversiva alla luce di una visione apocalittica del più spinto estremismo. In questo particolare frangente la crisi dei vecchi partiti, l‘interventismo rivoluzionario, il discredito dei ceti e degli istituti, la violenta polemica dei socialisti, le disillusioni e la esasperazione nazionalistica, il deriso patrimonio morale e ideale della Vittoria, le baldanzose speranze di una imminente rivoluzione di tipo russo, tutto, tutto questo va tenuto presente assieme a una monarchia ritenuta germanofila e triplicista autocratica, ed altro ancora (!), per spiegare l'origine del Fascismo. Dall'interventismo, Mussolini passò alla difesa della Vittoria tracciando le linee di un nuovo ordine politico e istituzionale (come se toccasse a Lui e solo a Lui la futura guida del potere lottando sia contro il misoneismo della destra che contro la velleità distruttiva della sinistra leninista). Compito del Fascismo della prima ora fu quello di incanalare il moto delle masse liberandole dal partito socialista e sottraendole al fascino dei miti bolscevichi, orientandole verso una democrazia economica (rivendicazioni in fatto di lavoro, pensioni, controllo e direzione delle industrie). Dal mondo operaio scaturirono esempi tipici di adesione all‘indirizzo fascista come quello del marzo del '19 degli operai di Dalmine, nell‘industre regione bergamasca, i quali anziché abbandonare le macchine e gli opifici durante una vertenza coni proprietari, sbarrarono le porte, inalberarono il tricolore e proseguirono per conto loro il lavoro votando un ordine del giorno che additava a scopo del loro sciopero lavorativo l‘interesse proprio e ancor più quello della industria italiana per l‘interesse e il bene del popolo tutto d‘Italia. Mussolini si recò a Dalmine per lodare gli operai esaltando la necessità di non interrompere mai il ritmo produttivo. Terminato l'efferato periodo del manganello e dell'olio di ricino, e con esso gli assassinii della violenza fascista (Matteotti, Don Minzoni,...) la Storia del fascismo dopo l‘anno fatidico 1921, “anno fascista per eccellenza”, si inquadra su un binario più accettabile ormai ben noto a tutti: inutile quindi sviscerarlo dal momento che divenne un Fascismo all‘italiana, ricco però di encomiabili iniziative, di inaugurazioni portentose, di previdenze sociali, che sarebbe stato meglio non fossero state associate a guerre esterne (Etiopia, Spagna,..) per non parlare di quella, oltremodo nefasta, ritenuta oggi da molti ”evitabile”. E lo sarebbe stata infatti se la infatuazione di Mussolini per una strapotenza militare germanica non lo avesse portato alla errata convinzione di avere sotto di sé otto milioni di agguerrite baionette anziché di manici di scopa, manipolati da italici guerrieri fondamentalmente amanti della pace e della vanga più che del fucile. Un diplomatico riserbo dall'incendio europeo scoppiato per un banale corridoio, un ridimensionamento delle esaltanti finalità fasciste espansionistiche, una socializzante democratizzazione del popolo italiano dichiarata dal balcone di Palazzo Venezia con nuove libere elezioni (“Il compito del Fascismo è brillantemente terminato. Restituisco all'Italia di Vittorio Veneto una nuova grande Italia dell‘Impero e di orgogliosa fierezza nel mondo”) al posto di una dichiarazione di guerra con le dita orgogliosamente infilate ne cinturone, avrebbe senz‘altro esaltato in un ricordo imperituro nel cuore degli italiani quel grande irrequieto figlio del fabbro di Dovia , che non potrà comunque essere dimenticato, orribilmente sfregiato e mutilato, ai margini della stazione ferroviaria di Milano.
Lo
Stato fascista
Il motivo del mancato stato di assedio fu originato a mio avviso non da fragilità ma da opportunità del Re di Peschiera e di Pescara. PARLANDO ora DI STATO io credo che esso dovrebbe essere solo un coordinatore delle nostre libertà individuali e non il loro usurpatore sciorinando idealistiche utopie e occhiute imposizioni fatte con i gomiti sul tavolo. Diffido perciò molto, anzi moltissimo, sulla opportunità di una “diminuzione dell‘arbitrio per il bene comune perché lo Stato, “tutti” gli Stati, nulla hanno mai dato e danno se non lagrime, sacrifici e sangue da versare. Quanto più lo Stato se ne sta all'ombra del tranquillo menage dell'indispensabile tanto più, a mio avviso, Patria Nazione Stato e Nazionalità vengono a identificarsi col collage di un convinto entusiasmo popolare caratterizzato non solo da interesse materiale. Va da se che questo collage è tanto più tenace quanto più elevato è il grado di stagionatura e di progresso intellettuale del popolo. In tal caso non c'è bisogno del richiamo del pastore o del manganello del fattore. Esempio che si avvicina, forse la Svizzera che ha molte buone carte da giocare sul tavolo della tradizione e della stabilità, o i Paesi Scandinavi. Quando disse “date a Cesare....” (dando così motivo alla Sua Chiesa di divenire il braccio secolare dello Stato) avrebbe forse fatto meglio aggiungere: “ma non quello che rapina, estorce, scarnifica dalla gente”. Le dittature devono “rigenerarsi e consolidarsi in una continua tensione di popolo” se vogliono stare a galla e non affogare nell‘individualismo. Esse sono infatti le sferraglianti locomotive dello Stato destinate a trascinare i carrozzoni della sprovvedutezza e della ignoranza delle masse. Ben lubrificate, con un appariscente numero di serie sotto il fumaiolo, alimentate col carbone “vermiglio” non solo della gente che trascina e individuabili a distanza per il loro assordante scampanio tipico di quelle vecchie vaporiere texane che si arrestano solo quando incontrano una torma di bufali inferociti e dalle quali vorrei trovarmi sempre lontano dal loro unico binario.
Considerazioni conclusive
Rimangono ormai poche cose da dire sul Fascismo. Utopiche “trascendenze” della Dottrina Fascista a parte (che nulla hanno a che vedere con l’etica cristiana e con la religione del perdono essendo impregnate di violenta determinazione e di arroganti mete da raggiungere irrevocabilmente), due parole sulla “condivisibilità”: io vi propendo soltanto quando vengo emotivamente rapito dalla entusiasmante musicalità, incisivamente appassionata, dei suoi inni (Giovinezza, Marcia delle Legioni, Inno dei Giovani Fascisti, dei Giovani Universitari Fascisti, Roma rivendica l’Impero, Inno degli Arditi) o quando mi vengo a trovare col naso all’insù sotto il fatidico balcone di Palazzo Venezia ad ascoltare la voce, calda e suadente, del grande Trascinatore, immerso in una folla oceanica in delirio: Stato d‘animo questo, che però non mi spinge a chiedere la tessera o a indossare il fez nero col pennello a motivo della violenta e arrogante determinazione del suo Credo. In definitiva, è la “messa in scena” che mi piace: non ciò che sta dietro le quinte con il libro e moschetto (fascista perfetto ) in mano: Ripeto che molte cose buone ha fatto il Fascismo: peccato non abbia continuato a farle annacquando la sua intransigenza con l’accettare l‘etica di una laboriosa pace nel mondo e di una socializzazione delle masse produttrici ponendo in soffitta i perentori “me ne frego”, i fasci littori il manganello sostituito in seguito col vistoso pugnale del gerarca (c’è chi ora lo paga anche un milione dall‘antiquario), il Passo Romano..., al compimento del Ventennio.
Patria Nazione Stato e Nazionalità (già delineate nella precedente mossa) sono squisite espressioni di un vincolo etico e morale anche di una pluralità etnica lunga 1200 chilometri se amalgamata da u salda tradizione storica e da un popolare consenso e non “più o meno malandata, più o meno raccontata”. Poiché non si torna indietro col senno del poi, possiamo solo ammettere che queste “entità astratte” sono tanto più vive e palpitanti nel cuore di una collettività umana quanto più lo Stato, anziché svolgere un ruolo primario e intransigente con i Prefetti, i Carabinieri, la Pubblica Sicurezza (ora Polizia di Stato) estrapolata dai capicamorra del napoletano col principio del “promoveantur ut amoveantur”, da libero spazio alla vitalità di un benessere economico individuale, alle autonome intraprendenze del suo mosaico etnico, alla libera emancipazione delle masse.
Sintesi di conversazioni di Brigantino
(Alfonso Grasso) con un amico della Spezia. |