La bussola, l'antico strumento per l'orientamento, risulta ancora
oggi fondamentale per la navigazione marittima e aerea. Ma
conosciamo l'origine del termine usato e abusato nel linguaggio
comune? È probabile che il nome di «bussola» derivi dai
perfezionamenti che questo antico strumento ebbe nel tempo proprio
nel nostro Paese. L'ago galleggiante fu la prima rozza forma con cui
si presentò lo strumento che in seguito, attraverso numerosi
perfezionamenti doveva diventare l'attuale bussola magnetica. Chi
conosce le moderne bussole nei loro particolari costruttivi e sa su
quante rigorose considerazioni teoriche è fondata la loro
costruzione, può misurare tutto il progresso che quello strumento ha
compiuto dal suo primo apparire ai nostri giorni.
Il principio di funzionamento si basa sull'interazione tra l'ago
calamitato e il campo magnetico terrestre: un magnete libero di
muoversi, i cui poli non siano disposti lungo la congiungente tra i
due opposti poli magnetici terrestri, subisce l'azione di una coppia
di forze di modulo uguale, verso opposto e braccio non nullo, che lo
fa ruotare fino ad assumere la direzione delle linee di forza del
campo magnetico terrestre.
L'ago magnetico sarebbe stato usato in Cina fin dal 2634 a.C.
Antichi annali cinesi riferiscono, infatti, di un carro sul quale si
trovavano alcune figure dalle sembianze umane che con il braccio
teso in avanti indicavano il sud, ossia il punto cardinale più
importante per i Cinesi. Intorno al 1040 a.C. l'imperatore
Tcheou-King avrebbe donato uno strumento indicante il Nord e il Sud
agli ambasciatori di un sovrano di un Paese vicino.
Una descrizione precisa di tale carro si ritrova solo sotto il regno
dell'imperatore Hian-tsoung (806-820 d.C.), mentre i primi accenni
alle proprietà del magnete appaiono in un dizionario cinese del II
secolo d.C. Tuttavia Marco Polo (sec. XIII) non parla della bussola
in nessuna delle sue memorie.
A segnare le tappe fondamentali di tale progresso stanno due
importanti perfezionamenti: la sostituzione dell'ago galleggiante
con l'ago poggiante e girevole su di un perno, il tutto rinchiuso in
una cassetta o bossolo da cui l'origine del nome nell'interno della
quale veniva disegnata la rosa dei venti; l'unione dell'ago alla
rosa graduata, disegnata su una piccola e leggera superficie piana,
faceva orientare la rosa, il cui diametro Nord-Sud coincideva con
l'asse dell'ago. Altro perfezionamento successivo, risalente al XVI
secolo, fu la sospensione cardanica, così chiamata perché ideata dal
matematico Girolamo Cardano e applicata, sembra dal cremonese
Jannello Torrioni che l'introdusse sulle navi di Carlo V. A tali
perfezionamenti, che sarebbero avvenuti, eccetto la sospensione
cardanica, nei secoli XIII e XIV, la tradizione collega i nomi delle
nostre repubbliche marinare, e segnatamente, come è noto, i nomi di
Amalfi e di Flavio Gioia.
Altri storici sostengono che l'unione della rosa all'ago fu opera
dei francesi, e che dall'inglese box (scatola) derivi il nome di
«bussola». Chi sostiene tale ipotesi si basa che sul fatto che con
il primato nautico dei Fiamminghi, degli Inglesi e dei Francesi, nei
secoli XVI- XVII, gli Italiani furono superati nell'arte di
costruire bussole. Ma se si considera che nell'antichità e nel Medio
Evo il teatro delle più intense attività commerciali marittime fu il
Mar Mediterraneo, dal quale si irradiavano i traffici non solo con
l'Oriente, ma anche con l'Europa settentrionale, si è indotti a
pensare che nel Mediterraneo, e non in Nord Europa, anche l'arte
nautica vedesse perfezionarsi i suoi strumenti tra cui anche la
bussola. La conoscenza dell'ago calamitato dovette raggiungere il
Nord Europa quando già nel Mediterraneo era giunta dall'Oriente e si
era largamente diffusa.
I primi cenni storici sull'utilizzazione in Europa della forza
direttiva magnetica, come già citato, risalgono alla fine del secolo
XII o al principio del XIII e attribuiscono agli Amalfitani lo
sfruttamento delle proprietà del magnete. Verso l'anno 1000 oltre
alla ripresa dell'interesse per la matematica e l'astronomia, che si
espresse anche nella pubblicazione delle Tavole Toledane del 1080
derivanti da precedenti osservazioni astronomiche arabe, si verificò
la scoperta delle proprietà direttive del magnete, la cosiddetta
pietra eraclea degli antichi, che la impiegavano solo per scopi
magici o rituali.
In quel periodo Venezia, Genova, Pisa ed Amalfi, sorte come comunità
costiere autonome a seguito del disfacimento dell'Impero Romano e
degli eventi storici successivi, si erano già affermate come
città-stato con interessi prevalentemente marittimi; esse divennero,
per necessità fucine di idee, di scoperte e di nuove realizzazioni
nel campo della navigazione. È credibile quindi che ad Amalfi, come
è nella tradizione, sia stata ideata, migliorata o adottata ai fini
nautici la Bussola, mentre l'ipotesi che l'uso dell'ago magnetico
sia stato trasmesso ai popoli occidentali per mezzo di intermediari
indiani ed arabi, che percorrevano con i Cinesi l'Oceano Indiano è
verosimile anche in considerazione del fatto che durante il periodo
delle Crociate (1096-1291) si crearono notevoli rapporti politici e
commerciali fra Occidente ed Oriente.
L'uso dell'ago magnetico presso gli arabi è attestato in uno scritto
di Bailacel al-Kabiaki del 1282; per quanto concerne l'annosa
diatriba sull'origine dello strumento, è significativo che in arabo
esso sia designato come el bossola con termine di chiara
derivazione italiana. Quel manoscritto, che racconta di un viaggio
da Tripoli di Siria ad Alessandria avvenuto nel 1242, è molto
interessante poiché descrive nel dettaglio l'uso dello strumento:
(...) i capitani allorché l'aria è oscura, così che
non possono scorgere alcuna stella per dirigersi secondo i quattro
punti cardinali, prendono un vaso colmo d'acqua e lo mettono al
coperto dal vento, pigliano poi un ago fissato a una cannuccia in
modo che galleggi e lo gettano nel vaso; in seguito, presa una
pietra magnetica grande da riempire il palmo della mano, l'accostano
alla superficie dell’acqua, dando un movimento di rotazione alla
mano, in guisa che l'ago giri a galla e poscia ritirano la mano
all'improvviso e l'ago con le sue punte fa fronte al Nord e al Sud
(...).
Dell'uso dell'ago magnetico presso gli Arabi ne parla lo scrittore
Edrisi del secolo IX, e anche il persiano Awfi dice che trovandosi,
nel 1232-'33, a navigare in una tempesta dell'Oceano Indiano vide i
marinai arabi mettere a galleggiare in una bacinella «un pesce di
ferro calamitato».
Le stesse modalità di impiego si trovano in scritti occidentali tra
i quali quelli del monaco agostiniano Alexander Neckam di S. Albano
nella Summa de utensilibu, del 1180, e quelli di Guyot de
Provins nell'opera satirica La Bible del 1190 (nella quale il
Papa deplora che non sia per la Cristianità ciò che la Stella Polare
è per i marinai). Anche in questi documenti si parla dell'ago
infilato nel calamus, ossia una cannuccia atta a farlo
galleggiare, da cui il termine calamita.
Il Bossolo del XV secolo
L’ago magnetizzato, all'inizio, veniva usato solo quando non era
possibile orientarsi con gli astri. I marinai, conservatori per
natura, davano poco affidamento a tale novità, per motivi
parzialmente fondati: l'operazione non doveva essere semplice, la
magnetizzazione temporanea, e l'indicazione poco precisa anche a
causa del campo magnetico dovuto ai ferri di bordo, i cui effetti
non erano ancora ben noti. Solo un secolo più tardi, verso la metà
del 1200, fu creata la bussola a secco con le stesse caratteristiche
tecniche rimaste in uso fin agli inizi del XX secolo, quando si
passò alla bussola a liquido tuttora impiegata. L'ago galleggiante
fu quindi sostituito da un ago mobile su di un perno, collocato in
una cassetta (bossolo), per essere protetto dal vento e dalla
pioggia. L'uso dell'ago imperniato viene riportato da Ugo De Bercy
in uno scritto del 1248, e da Pietro Peregrino nella «Epistula de
magnete» del 1269: è un breve trattato sulla bussola, che nel
descriverne i vari modelli, insieme con l'alidada azimutale ed i
coperchi del bossolo trasparenti e graduati, non riferisce se la
rosa graduata fosse unita all'ago mobile.
Quest'ultimo importante perfezionamento, che si fa risalire al 1302,
è per tradizione assegnato alle Repubbliche Marinare italiane e
sembra possa costituire la reale innovazione attribuibile agli
Amalfitani e, per loro, al leggendario e forse inesistente Flavio
Gioia, come lascerebbe intendere Antonio Beccadelli detto il
Panormita (1394-1471) nel suo famoso verso prima dedit usum
magnetis Amalphis. Giovanni Pontano (1426-1503), che pure
menziona «Magnetis Amalphis» nel De hortis gesperidum II.
Da citare che l'inesistenza del personaggio Flavio Gioia è forse
dovuta ad una erronea interpretazione storica. A testimoniare il
primo uso fatto dagli Amalfitani della bussola era stato, verso il
1450, il forlivese Flavio Biondo, nato nel 1388, che nella sua
Italia illustrata cita: Sed fama est qua Amalphitanos audivimus
gloriari, magnetis usum, cuius adminiculo navigantes, ad Arcton
dirigentur, Amalphis fuisse inventum, (...); e tale
testimonianza, è stata probabilmente erroneamente interpretata dagli
scrittori successivi, portò forse ad attribuire l'invenzione stessa
ad un certo Flavio, al quale, poi, sarebbe stato dato, da storici
posteriori, il cognome di Gioia dalla sua presunta località di
nascita.
Una ulteriore conferma, in maniera indiretta, del coinvolgimento
degli amalfitani nel perfezionamento della bussola è rappresentato
dal simbolo del giglio della casa d'Angiò e simbolo della città di
Amalfi, con cui fin dal Medioevo si indica il Nord sulle rose; esso
può essere interpretato anche come una evoluzione della lettera «T»
iniziale di Tramontana, ovvero il nord degli Amalfitani, che così
chiamavano il vento proveniente dai monti (o paese Tramontano) alle
spalle della città.
[1] Raffaele Gargiulo, la Rivista Marittima,
Saggistica e Documentazione, giugno 2005. |