Durante
il suo regno Filippo III non dovette affrontare eventi bellici di
particolare menzione, ma non seppe approfittare di tale situazione
pacifica per sanare le piaghe del suo impero decadente. Al
contrario, preferì disinteressarsi di tutto e affidare le sorti
dello Stato nelle mani dei suoi ministri che, oltre a dedicarsi ai
propri interessi personali, instaurarono anche un grandissimo giro
di corruzione nella pubblica amministrazione. Come sempre, il popolo
napoletano fu quello che pagò e subì più chiunque altro le angherie
del malgoverno centrale. Le due Sicilie, infatti, vennero
“depredate” in modo continuo di ingenti somme di danaro, che
servirono a coprire i debiti de derivanti dagli inutili della corte
spagnola. Da una cronaca dell’epoca si legge, per esempio, che il re
di Spagna riteneva che le Due Sicilie fossero "le migliori Indie"
che possedeva. Infatti, grazie ai donativi ed alle famigerate
gabelle che gravarono sul popolo minuto, gli Spagnoli riuscirono ad
estorcere ai popoli dell’Italia meridionale nel solo periodo che va
dal 1621 al 1647 la favolosa cifra di 116 milioni di Ducati.
In un
periodo così travagliato, si accentuò anche la frode della
tosatura delle
monete circolanti, visto che quasi tutte le monete di Filippo III e
Filippo IV che oggi troviamo sul mercato ne presentano evidenti
tracce e, addirittura, in molti casi ci troviamo di fronte ad
esemplari ridotti alla metà del loro peso iniziale.
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Fig. 1 - Tarì d'argento, regnante
Filippo III. Clicca sull'immagine per ingrandire |
Veniamo a
parlare dei Tarì oggetto dell'articolo. Il primo (fig. 1) non è
riportato, oltre che nel Corpus, nel Cagiati e nel Pannuti-Riccio, e
neppure è segnalato nelle importantissime ricerche e studi sulla
monetazione napoletana di Filippo III pubblicati nel 1967 dal dr.
Giovanni Bovi [1].
Osservando il dritto notiamo, non solo un’espressione del sovrano
completamente diversa, ma anche una dimensione dell’effigie di gran
lunga inferiore rispetto a quella del tipo già noto (fig. 2)
riportato nel Pannuti-Riccio al numero 11.
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Fig. 2 - Tarì in
argento busto a destra PR.11,
regnante
Filippo III. Clicca sull’immagine per
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La
sostanziale ed interessante differenza la notiamo però al rovescio:
sullo stemma a forma di cuore non vi è la solita decorazione simile
ad una maschera, bensì una decorazione composta da foglie di palma.
Inoltre, lo stemma in questione è più grande rispetto allo stemma
del tipo sopraccennato (P.R. 11).
C’è da
dire però che questo rovescio è già noto sul raro Tarì (fig. 3) con
l’effigie del sovrano volta a sinistra (P.R. 10) ma è chiaro che
essendo posto al recto di un’esemplare avente un’effigie così
insolita rende il tutto ancor più interessante.
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Fig. 3 - Tarì in
argento busto a sinistra PR.10,
regnante
Filippo III. Clicca sull’immagine per
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Fig. 4 - Tarì in
argento busto a sinistra PR.10A,
regnante
Filippo III. Clicca sull’immagine per
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Nel
Pannuti-Riccio sono elencate sei diverse varianti (dal n°11 al
n°11e) riguardanti la predisposizione e la posizione delle iniziali
del maestro di zecca Giovanni Antonio Fasulo (IAF sovrapposta) e del
maestro di prova Gaspare Giuno (G) ma non vi è nessuna traccia di
varianti riguardanti un rovescio con le foglie di palma sullo stemma
o di una effigie così insolita.
Stesso
discorso per l’altro Tarì illustrato nella fig. 4. Si tratta di un
raro esemplare con l’effigie del sovrano volta a sinistra ed anche
in questo caso ci rendiamo conto che il rovescio è diverso da quello
riprodotto sul Pannuti-Riccio (n°10). Al rovescio, stavolta, anziché
esserci lo stemma con le foglie di palma sovrapposte vi è la
decorazione simile ad un mascherone. C’è da dire però che questo
esemplare non è del tutto inedito, risulta infatti già noto al
Cagiati nella sua celebre opera sulle monete di zecche meridionali.
A pagina 183 di suddetta opera troviamo un esemplare disegnato
simile a quello riportato in questo articolo.
Cè da
aggiungere un’altro elemento importante. Per quanto riguarda i Tarì
coniati a Napoli durante il viceregno di Filippo II di Spagna (II
periodo 1556-1598), gli stesori del Pannuti-Riccio ritennero
opportuno mettere in evidenza la differenza, fra gli esemplari
riportanti lo stemma con il mascherone sovrastante e quelli con le
foglie di palma sullo stemma illustrandoli e catalogandoli in modo
separato. Qual è il motivo per cui siano sfuggiti al loro occhio
esperto due monete così interessanti di Filippo III? Non posso
certamente affermare che gli esemplari qui illustrati siano unici,
sono certo che esistano altri esemplari simili e dato che la
monetazione napoletana ci riserva continue sorprese, ritengo
inopportuno quindi, fare dichiarazioni affrettate su un preciso
grado di rarità da attribuire loro. Una cosa però è certa… visto che
queste ultime presentano sia il dritto che il rovescio con
differenze sostanziali rispetto ai tipi conosciuti, si può affermare
che sono esemplari di grande interesse numismatico.
Nota
[1] Il dr.
Giovanni Bovi fu uno dei più grandi studiosi e collezionisti
del ‘900 di monete e medaglie di zecche meridionali. Dopo la
sua morte (1984), tutti gli studi e ricerche numismatiche
pubblicati da lui furono raccolti in un unico grande volume
(1989). Ciò che più ci fa ricordare questo grande della
numismatica partenopea è il nobilissimo gesto della sua
erede (sig.ra Luisa Mastroianni Bovi) che donò la sua grande
collezione ai napoletani anziché venderla all’asta, evitando
così facendo la dispersione di un così importante nucleo di
monete napoletane. Oggi possiamo infatti ammirare la
suddetta collezione nel Museo Civico Gaetano Filangieri sito
in via Duomo a Napoli.
Articolo pubblicato nel Febbraio 2003
Pubblicazione on-line del Giugno 2008