Numismatica

Due varianti nei Tarì napoletani d’argento

di Filippo III di Spagna

a cura di Francesco Di Rauso

In questo articolo non parlerò di una delle numerosissime varianti di punteggiatura o di simboli presenti nelle leggende delle monete napoletane del ‘600, bensì di due esemplari da un Tarì d’argento di grande interesse numismatico. La storia di queste due monete si svolge a Napoli agli inizi del ‘600, in pieno periodo barocco, in una metropoli da mezzo milione di abitanti. Qui si susseguirono a distanza di circa 6 anni i “malgoverni” dei diversi vicerè mandati da Filippo III di Spagna con il compito di governare in maniera ignobile su una nobile e ricca terra. Un periodo questo, dunque, considerato dagli storici come il peggiore di tutta la storia del Regno di Napoli, pessimo dal punto di vista economico e sociale in quanto fu caratterizzato da una serie di sollevazioni popolari seguite da sanguinose repressioni.

Filippo III

Durante il suo regno Filippo III non dovette affrontare eventi bellici di particolare menzione, ma non seppe approfittare di tale situazione pacifica per sanare le piaghe del suo impero decadente. Al contrario, preferì disinteressarsi di tutto e affidare le sorti dello Stato nelle mani dei suoi ministri che, oltre a dedicarsi ai propri interessi personali, instaurarono anche un grandissimo giro di corruzione nella pubblica amministrazione. Come sempre, il popolo napoletano fu quello che pagò e subì più chiunque altro le angherie del malgoverno centrale. Le due Sicilie, infatti, vennero “depredate” in modo continuo di ingenti somme di danaro, che servirono a coprire i debiti de derivanti dagli inutili della corte spagnola. Da una cronaca dell’epoca si legge, per esempio, che il re di Spagna riteneva che le Due Sicilie fossero "le migliori Indie" che possedeva. Infatti, grazie ai donativi ed alle famigerate gabelle che gravarono sul popolo minuto, gli Spagnoli riuscirono ad estorcere ai popoli dell’Italia meridionale nel solo periodo che va dal 1621 al 1647 la favolosa cifra di 116 milioni di Ducati.

In un periodo così travagliato, si accentuò anche la frode della tosatura delle monete circolanti, visto che quasi tutte le monete di Filippo III e Filippo IV che oggi troviamo sul mercato ne presentano evidenti tracce e, addirittura, in molti casi ci troviamo di fronte ad esemplari ridotti alla metà del loro peso iniziale.

Fig. 1 - Tarì d'argento, regnante Filippo III. Clicca sull'immagine per ingrandire

Veniamo a parlare dei Tarì oggetto dell'articolo. Il primo (fig. 1) non è riportato, oltre che nel Corpus, nel Cagiati e nel Pannuti-Riccio, e neppure è segnalato nelle importantissime ricerche e studi sulla monetazione napoletana di Filippo III pubblicati nel 1967 dal dr. Giovanni Bovi [1].

Osservando il dritto notiamo, non solo un’espressione del sovrano completamente diversa, ma anche una dimensione dell’effigie di gran lunga inferiore rispetto a quella del tipo già noto (fig. 2) riportato nel Pannuti-Riccio al numero 11.

Fig. 2 - Tarì in argento busto a destra PR.11, regnante Filippo III. Clicca sull’immagine per ingrandire.

La sostanziale ed interessante differenza la notiamo però al rovescio: sullo stemma a forma di cuore non vi è la solita decorazione simile ad una maschera, bensì una decorazione composta da foglie di palma. Inoltre, lo stemma in questione è più grande rispetto allo stemma del tipo sopraccennato (P.R. 11).

C’è da dire però che questo rovescio è già noto sul raro Tarì (fig. 3) con l’effigie del sovrano volta a sinistra (P.R. 10) ma è chiaro che essendo posto al recto di un’esemplare avente un’effigie così insolita rende il tutto ancor più interessante.

Fig. 3 - Tarì in argento busto a sinistra PR.10, regnante Filippo III. Clicca sull’immagine per ingrandire.

Fig. 4 - Tarì in argento busto a sinistra PR.10A, regnante Filippo III. Clicca sull’immagine per ingrandire.

Nel Pannuti-Riccio sono elencate sei diverse varianti (dal n°11 al n°11e) riguardanti la predisposizione e la posizione delle iniziali del maestro di zecca Giovanni Antonio Fasulo (IAF sovrapposta) e del maestro di prova Gaspare Giuno (G) ma non vi è nessuna traccia di varianti riguardanti un rovescio con le foglie di palma sullo stemma o di una effigie così insolita.

Stesso discorso per l’altro Tarì illustrato nella fig. 4. Si tratta di un raro esemplare con l’effigie del sovrano volta a sinistra ed anche in questo caso ci rendiamo conto che il rovescio è diverso da quello riprodotto sul Pannuti-Riccio (n°10). Al rovescio, stavolta, anziché esserci lo stemma con le foglie di palma sovrapposte vi è la decorazione simile ad un mascherone. C’è da dire però che questo esemplare non è del tutto inedito, risulta infatti già noto al Cagiati nella sua celebre opera sulle monete di zecche meridionali. A pagina 183 di suddetta opera troviamo un esemplare disegnato simile a quello riportato in questo articolo.

Cè da aggiungere un’altro elemento importante. Per quanto riguarda i Tarì coniati a Napoli durante il viceregno di Filippo II di Spagna (II periodo 1556-1598), gli stesori del Pannuti-Riccio ritennero opportuno mettere in evidenza la differenza, fra gli esemplari riportanti lo stemma con il mascherone sovrastante e quelli con le foglie di palma sullo stemma illustrandoli e catalogandoli in modo separato. Qual è il motivo per cui siano sfuggiti al loro occhio esperto due monete così interessanti di Filippo III? Non posso certamente affermare che gli esemplari qui illustrati siano unici, sono certo che esistano altri esemplari simili e dato che la monetazione napoletana ci riserva continue sorprese, ritengo inopportuno quindi, fare dichiarazioni affrettate su un preciso grado di rarità da attribuire loro. Una cosa però è certa… visto che queste ultime presentano sia il dritto che il rovescio con differenze sostanziali rispetto ai tipi conosciuti, si può affermare che sono esemplari di grande interesse numismatico.


Nota

[1] Il dr. Giovanni Bovi fu uno dei più grandi studiosi e collezionisti del ‘900 di monete e medaglie di zecche meridionali. Dopo la sua morte (1984), tutti gli studi e ricerche numismatiche pubblicati da lui furono raccolti in un unico grande volume (1989). Ciò che più ci fa ricordare questo grande della numismatica partenopea è il nobilissimo gesto della sua erede (sig.ra Luisa Mastroianni Bovi) che donò la sua grande collezione ai napoletani anziché venderla all’asta, evitando così facendo la dispersione di un così importante nucleo di monete napoletane. Oggi possiamo infatti ammirare la suddetta collezione nel Museo Civico Gaetano Filangieri sito in via Duomo a Napoli.


Articolo pubblicato nel Febbraio 2003


Pubblicazione on-line del Giugno 2008

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