È oramai noto a tutti i collezionisti che le monete argentee coniate
a Napoli durante il regno di
Carlo di Borbone riportanti il Sebeto sono di notevole
bellezza artistica. Esse presentano nella quasi totalità
dell’emissioni numerose varianti, sia per quanto riguarda il dritto
che il rovescio.
Le Piastre da 120 Grana, e le mezze Piastre, sono coniate in argento
di buona lega e pesano rispettivamente grammi 25,61 e 12,8. Si
tratta di grammature ufficiali, ma si sa che non sempre questi pesi
venivano rispettati: esistono infatti sul mercato alcuni esemplari
di peso inferiore (più rari rispetto a quelli di peso normale). È la
prova che la quantità d’argento “estorta” alle Piastre accresceva
gli introiti della Regia Corte e dei responsabili della Zecca: non
si tratta infatti di tosatura, ma di tondelli calibrati in modo
fraudolento già in origine.
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Piastra 1735 clicca sull'immagine per ingrandire |
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Piastra 1748 clicca sull'immagine per ingrandire |
Gli esemplari coniati dal 1734 al 1736 hanno un diametro variabile
dai 41 ai 42 mm. mentre negli esemplari di peso inferiore il
diametro oscilla intorno ai 38 mm. Quelli coniati nel triennio
1747-49 hanno un diametro che oscilla dai 39 ai 40 mm, le mezze
Piastre hanno un diametro invece di 35 mm, gli esemplari fraudolenti
pesano in genere il 10% (circa) in meno rispetto agli esemplari
normali.
Una caratteristica molto interessante che riguarda le Piastre è la
ricca varietà di contorni, ne troviamo infatti ben cinque tipi
diversi; contorno liscio, treccia in rilievo, foglie in rilievo,
cerchietto e quadratino in rilievo e sferetta e quadratino in incuso.
Nelle mezze Piastre sono invece tre i tipi di contorni diversi;
liscio, treccia in rilievo e foglie in rilievo.
Le numerose varianti riguardanti dritto e rovescio di suddette
monete sono molto interessanti ma è praticamente impossibile
illustrarle tutte in un’opera o in un catalogo commerciale. Il sig.
Fabio Gigante, infatti, nel suo omonimo catalogo ha ritenuto
opportuno riportare solo i due tipi sostanzialmente diversi di
piastre tipo “Sebeto”, quelle coniate nel biennio 1748-49 hanno,
oltre che il dritto, anche il rovescio completamente diverso dal
tipo precedente, lo stemma e la corona al rovescio sono infatti più
strette e di disegno differente.
La ricca “scenografia” presente sul dritto ha per il giovane sovrano
un significato molto importante, il Sebeto (noto fiume sotterraneo
di Napoli) da secoli simbolo della città partenopea (oggi però
prosciugatosi), viene personificato in un uomo barbuto poggiato con
il braccio destro su un anfora dalla quale fuoriesce dell’acqua
mentre con il braccio sinistro regge una pala, quest’ultima simbolo
della produttività del regno. Alle spalle del Sebeto troviamo un
pino mediterraneo, albero molto diffuso nel regno (tra l’altro,
presente anche su alcune note stampe d’epoca e cartoline postali
raffiguranti il panorama della città partenopea) e sullo sfondo il
golfo di Napoli con il Vesuvio fumante, in alto il rassicurante
motto in latino “DE SOCIO PRINCEPS” (da alleato a sovrano), stante a
significare che il regno di Napoli non era più una provincia
soggetta ad altri regni ma uno stato libero e indipendente.
Nel 1734
Don
Carlos di Borbone (il futuro Carlo III re di Spagna), in
testa ad un grosso esercito comandato dal generale
Giuseppe
Carrillo de Albornoz
duca di Montemar (futuro duca di Bitonto), riuscì a
conquistare i Regni di Napoli e Sicilia, grazie anche all’importante
appoggio della popolazione favorevole al neo sovrano e contraria
all’odiato vice-reame austriaco. […]
Durante i floridi venticinque anni di regno di Carlo, i direttori di
Zecca furono quattro e troviamo infatti le iniziali dei loro nomi
sul rovescio delle monete: Francesco Maria Berio dal 1734 al 1736,
Vincenzo Maria Mazzara dal 1747 al 1750, Domenico Maria Mazzara dal
1750 al 1758 e Cesare Coppola dal 1759 al 1790 [quindi, anche
interessanti il regno di Ferdinando IV, figlio di Carlo e re dalla
partenza di quest’ultimo per la Spagna].
Prendendo in esame i particolari di sette esemplari da 120 Grana
vediamo la netta differenza tra un pino e l’altro e non solo per
quanto riguarda la parte fogliare ma anche quella sottostante
(tronco e rami); il primo particolare è tratto da una Piastra del
1734, il secondo da una Piastra del 1735 con sigle dell’incisore De
Gennaro, il terzo ed il quarto sono tratte entrambe da una Piastra
del 1735 con sigle dell’incisore Giacomo Antonio Hoger, gli altri
tre particolari sono invece stati tratti rispettivamente da
esemplari datati 1736, 1748 e 1749.
Nella seconda serie di immagini è stato riportato un gruppo di sette
immagini, tratte dagli stessi esemplari sopraccennati riguardanti
però il fumo del Vesuvio sul loro dritto, anche in questo caso la
dimensione della nuvoletta di fumo e il posizionamento del motto “DE
SOCIO PRINCEPS” cambiano considerevolmente da un esemplare
all’altro.
Nella terza serie di immagini sono invece riportati i particolari
del dritto delle mezze Piastre, anche in questo caso le dimensioni e
le forme delle nuvolette di fumo cambiano in modo considerevole da
una moneta all’altra.
L’incisore dei conii Antonio De Gennaro rimase in carica dal 1734 al
1755, dal 1756 infatti troviamo sul dritto delle monete di Carlo e
del suo successore le sigle di Ignazio Aveta.
Antonio De Gennaro fu un artista molto valido e fu autore anche di
numerosi e importanti conii di medaglie di Carlo di Borbone. In
questo articolo ho ritenuto opportuno illustrarne alcune, tra cui la
medaglia in argento datata 1751 per l’instaurazione dell’arte
castrense nel regno di Napoli con il busto del sovrano al dritto e
un edificio al rovescio, medaglia della più grande rarità conosciuta
in pochi esemplari (Ricciardi 13)
e un’altra splendida medaglia in argento con i busti affrontati di
Carlo III e Maria Amalia di Sassonia, al rovescio lo stemma
accoppiato delle due dinastie, coniata in occasione della nascita
del principe Ferdinando, futuro re Ferdinando IV (Ricciardi 11).
Per la
prima volta viene illustrata ai lettori l’immagine di un’inedita
medaglia napoletana datata 1738 riportante l’immagine del noto
incisore di conii Antonio Maria De Gennaro.
La medaglia in questione manca in tutti i testi consultati, tra cui
il Ricciardi e il catalogo dell’asta Christie’s del 1992 (quest’ultimo
riportante un’importantissima collezione di medaglie borboniche),
manca in tutte le collezioni sia pubbliche che private da me
visitate e non è mai apparsa sul mercato. Coniata in lega metallica
bianca molto simile all’argento è con molta probabilità l’unico
esemplare esistente e l’esistenza di probabili esemplari in argento
o in bronzo merita conferma.
Al dritto vi è l’effige dell’artista paludato volto a destra e la
leggenda “ANTONIUS MARIA DE GENNARO NEAPOLITANUS”
Al rovescio leggiamo nel campo (in forma quasi abbreviata) la
seguente leggenda: “CAES. NUMISM. / SCALPTORI ACUBIC. / ACAD.
AUGUSTAE NUM. / ET MONET. DIRECTORI / VIRO MERITIS SUIS / AC GENERIS
ANTIQUI / CLARO NOBILITATE / AMICISSIME DICAT / I.C. HEDLINGER /
EQUES. / MDCCXXXVIII. […]
Nota aggiuntiva dell’autore
Dopo un'attenta ricerca fatta in un noto libro numismatico si è
potuto stabilire più tardi che la medaglia raffigurante Antonio
Maria De Gennaro fu un omaggio del grande incisore Johann Carl
Hedlinger al De Gennaro. Va per tanto attribuito il merito a
Salvatore D'Auria di aver inserito nel suo libro
Il Medagliere (2006) questa come una medaglia riguardante il
Regno delle Due Sicilie, in quanto documento e testimonianza del
grande maestro."
Articolo pubblicato nell’Aprile 2002
Pubblicazione on-line del Maggio 2008 |