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Valletta, Co-Cattedrale di San Giovanni, la
Madonna di Carafa |
Per difendere la fede Cristiana
dall’invadenza dell’Islam, diventarono una minuscola, ma
intraprendente potenza militare e marinara: monaci-soldati, ma più
monaci dediti alla preghiera, che soldati rivestiti di scomode
corazze dentro disagiate fortezze.
Essi, continua Papas Borgia,
non si ritirarono nella quiete eremitica, non
occuparono le cattedre della speculazione teologica, e non
abbracciarono l’Ora et Labora dei monasteri, ma cercarono
l’Assoluto nel terreno della sofferenza e del conflitto. Il
Superiore dell’Ordine, il “Gran Maestro”, eletto a vita, risiedeva
nel “Palazzo Magistrale”, mentre gli altri membri occupavano gli
“Auberges” che prendevano il nome dalle Langues (paesi d’origine):
di Provenza, d’Italia, di Castiglia, d’Aragona, di Bavaria,
d’Inghilterra e di Francia.
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Il primo Gran Maestro, Raymond de Puy |
Dopo la presa di Gerusalemme (1187)
da parte di Saladino I, e la caduta di S. Giovanni d’Acri (1291),
nel 1293 si stabilirono a Cipro, nel
1306 a Rodi, e nel 1530 a Malta. Lasciarono Malta nel 1798, quando
Napoleone Bonaparte, navigando verso l’Egitto, invece di costeggiare
l’isola e proseguire, la occupò nei nomi di Liberté, Egalité,
Fraternité, parole sacrosante che infiammano la nostra
immaginazione, principi necessari come l’aria: in realtà all’insegna
di questi esaltanti nomi, campi, già verdi, biancheggiarono di ossa
umane.
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Pina Catino con Papas Vito Borgia |
Papas Vito Borgia, donde deriva alla vostra Icona l’appellativo di
“Madonna di Damasco”?
Alcuni Cavalieri, quando la videro a Rodi, non dubitarono che fosse
la stessa che avevano venerata a Damasco, in Siria: per cui, la
denominazione rispecchia il luogo d’origine.
A Damasco, donde profluì il maestoso fiume dell’Apostolato di San
Paolo, nacque San Giovanni, chiamato, appunto, “Damasceno”, il noto
teologo che vigorosamente difese la pratica della venerazione delle
icone contro la rovente opposizione degl’iconoclasti, che la
denunciavano come idolatria. “Come può la materia inerte, senza
vita”, dicevano “rappresentare una realtà trascendentale,
misteriosa?”. Naturalmente, essi dimenticavano che Cristo,
“L’immagine di Dio invisibile” (Colos. I:15), nascose la Sua Gloria
sotto i tratti di un uomo (Fil. 2:7), diventando uno di noi,
pienamente umano e pienamente divino, nell’unità di una persona:
mistero che attinge la sua ragione da un “eccesso di amore senza
misura” (Giov.
3:16.)
Chi ha dipinto l’Icona della Madonna di Damasco?
La voce della tradizione e le pagine della storia tacciono il nome
dell’autore, quando e dove sia nato. Tuttavia, noi ci sentiamo
propensi di riverirlo come un uomo radicato nella preghiera,
illuminato nella Parola, immerso nella vita liturgica della Chiesa.
Tutta questa ricchezza interiore egli l’ha trasfusa nell’Icona, che
splende di ultraterrena bellezza, ed invita ad un’umile
contemplazione.”Chi vuol dipingere Cristo, deve vivere in Lui”
diceva il Beato Angelico (1387-1445), seguendo la scia
dell’iconografo bizantino.
Quando è stata dipinta?
L’anonimato dell’artista rende difficile datarla con precisione, ma
il giudizio di vari studiosi suggerisce una considerevole antichità,
un’antichità, nella quale la raffinatezza dell’arte bizantina,
pervasa dalla Rivelazione e dalla Resurrezione, ci eleva dal mondo
transitorio al soffio dell’Eterno.
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Gran Maestro Alof de Wignacourt(1601-1622)
e la sua armatura |
Sintesi del libro di Papas Vito Borgia
“L’Icona di Nostra Signora di
Damasco”
a cura di
Pina
Catino
La città di Damasco e la leggenda
dell’Icona
Al margine del deserto siriano, ad
est dell’Antilibano sorge Damasco. Grazie ad una sapiente
irrigazione del fiume Barada, Damasco diventò una vasta ed
incantevole oasi di palmeti, di frutteti, di fontane. Gestendo un
attivo e prospero commercio con la Mesopotamia, L’Arabia, la
Babilonide, l’Egitto ed il Mediterraneo, divenne un centro
opulentissimo.
Mentre Damasco si crogiolava nella
spensieratezza, negli affari, nei vizi, le orde di Tamerlano
(1336-1405) piombarono sulle fertili pianure della Siria, con la
rapidità e l’impeto di un’uragano. Damasco, “la Perla dell’Oriente”,
vide scene orripilanti di saccheggio, violenza e di profanazione,
perfino i bimbi lattanti strappati dalle madri e rovesciati dalla
culla… Gli abitanti più fortunati cercarono scampo nella fuga, vite
spente, rondini senza nido, come gli Albanesi fuggiaschi del Kosovo
(1999).
Spesso le loro livide e riarse
labbra mormoravano quella giaculatoria tanto cara a Dostoievski: “In
Te ripongo la mia speranza: o Madre di Dio, custodiscimi sotto il
tuo manto”.
Ignoriamo la loro sorte, ma
seguiamo quella dell’Icona, col supporto della storia, della
tradizione e della leggenda.
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Co-Cattedrale di San Giovanni,
navata sinistra, monumento del Gran Maestro Gregorio Carafa |
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Arazzo della Co-Cattedrale di San Giovanni |
La leggenda
“ci rivela che la Sacra Immagine si mise in viaggio da sola sui
flutti del mare, preceduta da una luce di insolito splendore,
indisturbata dai marosi e dalle bufere. Stupefatti alla vista di
questo straordinario fenomeno, alcuni pescatori abbandonarono le
reti e, incuriositi, la seguirono all’approdo ad una spiaggia
dell’isola di Rodi”.
Appena la vide il Gran Maestro
Giovanni Battista degli Orsini (1462-1476) ebbe l’impressione di
sentire una voce famigliare e la riconobbe come la Madonna di
Damasco.
Pieni di gioia i Cavalieri la
portarono nella loro Chiesa Conventuale. Ma un bel giorno,
scomparve. Dopo una premurosa ricerca, la ritrovarono dentro la
Cappella Greca della Madonna dell’Eleimonitria, di fronte al
quartiere della “Langue” d’Inghilterra. Leggendo in questo evento,
la volontà del cielo, i Cavalieri trasformarono la semplice cappella
in una chiesa.
Queste leggende non sono uniche:
esse fanno pensare ad analoghe traslazioni miracolose, come per es.:
della Madonna di Montenero dall’isola Eubea nel santuario omonimo,
presso Livorno, nel 1345; della Vergine di Tikhvine da
Costantinopoli alle rive del fiume tikhvinka, presso Novgorod, nel
1395, e della Madonna del Buon Consiglio da Scutari d’Albania
all’amena cittadina di Genazzano, a
75 km a sud di Roma, nel 1462.
Le leggende, sostiene Papas Borgia, comuni nello scenario
medioevale, sono aliene alla sensibilità e mentalità dell’uomo
moderno, figlio dell’illuminismo, cioè del dubbio e
dell’incredulità, ma il fedele, che sente la presenza di Dio come il
calore del sole e la fragranza dei fiori, vi scorge un riposto
significato.
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Valletta, il Palazzo del Gran Maestro |
L’Icona a Rodi
Rodi, la nuova dimora della
leggendaria Icona, è un’isola dove i Cavalieri vi hanno apportato le
attrazioni di pregevoli opere architettoniche: natura ed arte
raramente hanno concentrato tante meraviglie in un territorio così
piccolo.
“Bella come il sole” la definì Luciano di Samosata (Siria),
scrittore greco del II sec. d.C. Venerata, dapprima nella chiesa
dell’Eleimonitria, l’Icona, ebbe la propria chiesa nel quartiere
della Langue d’Aragona, venerata dai Cavalieri e dal popolo di Rodi.
La sua posizione strategica e la
presenza dell’Ordine, erano un pruno nell’occhio del sultano. Spinto
dalla sua passione egemonica, Solimano I (1494-1566) allestì
un’armata e mosse alla conquista di Rodi e all’annientamento
dell’Ordine Gerosolimitano.
I Cavalieri capitolarono, ma non
persero la dignità e l’onore militare. La lealtà ed il coraggio dei
Cavalieri suscitarono l’ammirazione e benevolenza di Solimano I che
permise loro di imbarcare, lasciando l’isola, archivi, reliquie, e
fra i tesori del carico, figurarono le tre icone della Madonna del
Fileremo, dell’Eleimonitria e della Madonna di Damasco.
L’icona, nonostante le grandi
dimensioni, fu portata a bordo della caracca “Santa Maria” dicono
gli atti. La caracca era un bastimento di alto bordo, da carico e da
guerra, munito di castello a poppa e a prora.
I Cavalieri, soverchiati ma non
debellati, salparono da Rodi il 1° gennaio 1523. Per sfuggire al
giogo turco, 4000 Rodioti, lasciarono con l’Ordine l’isola.
Con l’icona - astro nelle tenebre - i
Cavalieri peregrinarono per sette anni da porto a porto, da città a
città: Candia (Creta), Messina, Baia, Civitavecchia, Viterbo,
Villafranca, Nizza… fino a quando Carlo V (1501-1558), offrì loro,
come sede definitiva, l’isola di Malta. Malta faceva parte della
Corona della Sicilia, amministrata da un viceré spagnuolo.
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Valletta, Sala presidenziale del Palazzo del Gran Maestro |
L’Icona a Malta
Dopo sette anni di peregrinazioni,
i Cavalieri il 26 ottobre del 1530 approdarono finalmente a Malta.
Le prime impressioni del nuovo territorio furono deludenti alla
vista di una terra brulla, povera d’acqua e di vegetazione. Nella
loro memoria persistevano le visioni di Rodi, bella come il sole.
A Malta, benché la natura non abbia fatto sfoggio di prodigalità,
racconta Papas Vito Borgia, tuttavia, ha configurato un porto
meraviglioso, quasi sceso dal regno delle fate. E che dire delle
molte baie, nelle cui acque, serene e cristalline, è una gioia
immergersi in piena distensione?
L’Ordine si insediò a Borgo di
Castello, sulla riva orientale del Porto Grande, a sinistra di chi
entra dal mare aperto. Oggi, questa cittadina è chiamata
Vittoriosa, per essere stata campo di eroismi nella
tenace resistenza all’assedio dei Turchi nel 1565. In una cappella
della chiesa di Santa Caterina, il Gran Maestro Filippo Villiers de
l’Isle Adam (1522-1534), con sollievo e devozione, diede santa
dimora all’Icona della Madonna di Damasco.
Tra il 1963 e il 1966, l’Icona fu
sottoposta - auspice il Governo italiano – ad un meticoloso restauro
nell’Istituto Centrale del Restauro di Roma del Ministero della
Pubblica Istruzione. Ora è venerata nella piccola chiesa
Greco-Cattolica in Archibishop street, 132°, Valletta.
Jean Parisot de La Valette e la
Madonna di Damasco
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Gran Maestro Jean Parisot de La Valette |
L’icona della Madonna, scampata
dall’invasione dei Mongoli a Damasco e dagli assedi Turchi a Rodi,
illesa dalle insidie di mare e di terra, nel vasto scenario di
secoli, trovando il suo definitivo santuario a Malta, fu
protagonista dell’assedio e nella vita di Jean Parisot de La Valette,
49° Gran Maestro (1557 - 1568) che splende di una sua luce propria
tra le figure dell’Ordine.
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34° Gran Maestro Pietro D'Aubussone |
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43° Gran Maestro Philippe Villers Lisleadamo |
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44° Gran MaestroPierino Del Ponte |
clicca sulle immagini per
ingrandire |
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46° Gran Maestro Giovanni D'Omedes |
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47° Gran Maestro Claudio Della Sengle |
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48° Gran Maestro Giovanni Valletta |
Jean Parisot de La Valette
Nacque in Provenza, nel Castello di
Labro, presso Parisot nel 1495. Sedotto dalla bellezza di una vita
sgombra dalle vanità e le ambizioni umane, a vent’anni, lasciò e non
rivide mai più, il famoso castello, i parenti, e le vaste tenute,
per possedere quella perla di infinito valore, di cui parla il
Vangelo (Matteo 13:46): decisione incomprensibile alla ragione
umana, sublime follia per gli indaffarati di questa terra, sciupìo
di tempo per il bel mondo (Papas Borgia).
Il cronista francese, Pierre de
Bourdeille, Signore di Brantôme, che venne a Malta subito dopo
l’assedio, lo descrive con queste parole: Era un bell’uomo,
alto, calmo, non emotivo, parlava molte lingue senza alcun
interprete…
Raccolse dal suo predecessore,
Claude de la Sengle, lo scettro del comando con l’impegno di
consolidare l’Ordine e di difendere la Cristianità dalla minaccia
dell’Islam.
Benché le sue aspirazioni fossero
trascendentali, (Papas Borgia: rivolte ai problemi
dell’anima e dell’oltre-tomba-secondo i migliori lumi e contingenze
del secolo), Jean Parisotte de La Valette indossò con agio tanto
l’armatura del soldato quanto l’abito del religioso: devoto nel
tempio tra l’incenso e la salmodia, prode in guerra tra la polvere
ed il fragore, visse l’ideale tra cielo e terra, servitore dell’uno
e dell’altra.
Con termini greci fu chiamato Demoprovolos e Etheropolmios
(Difensore del suo popolo e sterminatore dei nemici).
Egli si rivelò un grande
condottiero, con il necessario fuoco nelle vene, con un coraggio
grande quanto la sua fede, né impigrito nè incurvato dagli anni.
Ils ne marchéront s’ils n’ont un chef de
guerre (Non
marceranno senza un condottiero), diceva S.
Giovanna d’Arco (1412 - 1432), eroina che incarna la Fede e
l’amore per la Patria.
Pierre de Bourdeille
l’ha incluso nelle “Vite degli Uomini Illustri e Grandi Capitani
Francesi”. Il suo nome è legato al grande assedio, di cui fu l’eroe,
e alla capitale dell’isola di Malta, Valletta, di cui fu il
fondatore
.
L’attacco a Malta e il significato
dell’assedio
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Il primo attacco a Birgu |
Il temuto attacco a Malta divenne
una realtà, quando il 18 maggio la flotta ottomana apparve nelle
acque dell’isola.
In una funzione religiosa nella
Chiesa Conventuale di S. Lorenzo, I Cavalieri, si comunicarono,
rinnovarono i voti, e scambiarono il bacio di pace, perdonando, l’un
l’altro, le offese. Poi presero i posti assegnati per difendere la
Croce fino alla morte: (Papas Borgia) esempio ammirevole
di coerenza al cristiano di oggi, in cui, sfortunatamente, sono
germogliati i semi di un pacifismo insensato e di una tolleranza
senza reciprocità.: I Cavalieri attivarono tutte le loro risorse
morali e materiali per fronteggiare questo Golia della guerra.
Non si trattava di pirati, che a
quel tempo molestavano il Mediterraneo, le coste dell’Italia, della
Francia e della Spagna, ma di un esercito perfettamente equipaggiato
ed addestrato: un esercito che travolse la Persia e l’Egitto,
sbriciolò le mura di Costantinopoli, e sbaragliò i Balcani,
nonostante l’eroismo dei Serbi e degli Albanesi.
L’attacco a Malta, benché incoronato inizialmente dal successo della
caduta della fortezza di Sant'Elmo, in cui persero la vita il fiore
dei giovani Cavalieri, e benché le altre fortezze vacillassero
come un dente pronto a cadere, alla fine, s’infranse sugli
scogli di questa roccaforte di valori immortali.
Dopo tre mesi e venti giorni di
accanito combattimento, l’8
settembre 1565, Pialì, ammiraglio della flotta, e Mustafà,
comandante dell’esercito, diedero ordine di correre alle galere,
esacerbati per il crollo della spedizione: spedizione di uomini
che partirono da Costantinopoli con l’euforia di chi prevede una
vittoria facile e rapida. Malta, invece si rivelò un frutto acerbo,
in un giardino buio e scivoloso (Papas Borgia).
Un accesso di gotta impedì a
Solimano di condurre lui stesso l’assedio: vittorioso di mille
battaglie e fondatore di un impero, ma vittima di dieci molecole
d’acido urico! (Papas Borgia).
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L'arrivo dei rinforzi agli
Ospitalieri assediati, Biblioteca
Nazionale, La Valletta. |
La Valette, uomo di fede, religiosissimo, era convinto della
futilità dello sforzo umano senza Dio, mentre l’avversario,
avvilito, remava verso Costantinopoli, La Valette, scortato dai
Cavalieri, e da una folla di Greci e di Maltesi, si dirigeva verso
la cappella della Madonna di Damasco.
Papas Borgia:
“Trim mbi trima” (il più coraggioso dei coraggiosi) come
dicono gli Albanesi – con passo di legittima fierezza, ma non
tronfio come un generale francese di Saint-Cyr, o come un capitano
degli Highlanders scozzesi, accedette all’altare della
Theotokos, e lasciò cadere sui gradini, come offerta votiva, il
cappello e la spada, mentre i Rodioti proruppero nell’antico inno
bizantino dell’ Akathistos: “ti ipermaho stratigo... A te,
propugnatrice guida...“.
Il Gran Maestro Emmanuele de Rohan
– Polduc affidò ad una lapide di marmo il perpetuo ricordo di questo
evento.
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Arazzi della Sala presidenziale |
Il significato dell’assedio
La resistenza di Malta a Solimano, segnò un avvenimento
straordinario: sfatò il mito della supremazia turca e chiuse la
porta d’accesso al cuore dell’Europa.
La Riforma intensificò l’insularità
degli Stati, frantumando la struttura monolitica del Cattolicesimo,
quando il tedesco Alberto Magno, e Tommaso d’Aquino, italiano, erano
una gloria dell’Università di Parigi, mentre Erasmo di Rotterdam in
Olanda, Lefévre d’Etaple in Francia, e Tommaso Moro in Inghilterra
scrivevano nella stessa lingua, il Latino. Perfino due arcivescovi
italiani potevano occupare la sede di Canterbury.
L’invasione Islamica avrebbe
travolto alberi e cespugli, rami verdi e rami secchi, Cattolici e
Protestanti, ossia la Civiltà Europea. Non più pellegrinaggi a Roma,
a Gerusalemme, o a Santiago di Compostela, ma alla “Pietra
Nera” della Mecca.
La notizia del “Grande Assedio” si
sparse in tutte le direzioni. Il Papa ordinò che fosse fatta una
processione di ringraziamento da S. Maria Maggiore a S. Giovanni in
Laterano, e che i cannoni di Sant’Angelo sparassero a salve
nell’occasione della sua incoronazione. I Romani, notoriamente
festaioli, parteciparono al giubilo generale, anche se molti di loro
ignorassero chi fosse la Valette e dove fosse Malta (Papas Borgia).
La regina Elisabetta d’Inghilterra
si associò alla Chiesa Cattolica nel prescrivere funzioni di
ringraziamento nelle chiese del suo regno. L’imperatrice Maria,
regina d’Ungheria e di Boemia, scrisse una lettera di
congratulazione all’eroico Gran Maestro, ed il cattolicissimo
Filippo II di Spagna, gli inviò una spada ed una daga risplendenti
di perle d’oro, che si trovano, ora nel Palazzo del Louvre, a
Parigi. Certamente, La Valette avrebbe preferito il soccorso
militare durante l’assedio al ricco dono dopo l’assedio.
Perfino, quasi due secoli più
tardi, Voltaire (1604-1778) scriveva, ironicamente, rien n’est
plus connu que le siege de Malte (niente è meglio conosciuto
dell’assedio di Malta), ed il filosofo ed economista inglese, John
Stuart Mill (1806-1875), riporta nella sua biografia che “l’eroica
difesa dei Cavalieri di Malta contro i Turchi suscitava in me un
interesse intenso e durevole”.
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L'assalto finale contro Forte Sant'Elmo di
Matteo Perez d'Aleccio, Palazzo Presidenziale Valletta |
La storia del “Grande Assedio”
ispirò, poeti, scrittori e artisti. Giorgio Klontzas, cretese,
(1540-1608) e Matteo Perez D’Aleccio (1547-1600), che avevano
assistito Michelangelo negli affreschi della Cappella Sistina, ne
dipinsero le fasi salienti. Due poemi epici ne hanno fatto il
soggetto, uno in Greco di venti canti del cretese Antonio Achelis,
stampato a Venezia nel 1572, e l’altro in Spagnolo, La Marea, di 344
pagine, di Hippolito Sans, stampato a Valencia nel 1582.
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La caduta di Forte Sant'Elmo di Matteo Perez
D'Aleccio, Biblioteca Nazionale La Valletta |
Sir Walter Scott (1771-1832),
visitando Malta, raccolse materiale per un romanzo, e Frederck
Schiller (1758-1805) sfruttò l’argomento per un dramma, Die Malteser.
“Sorella morte”, imparziale tanto verso chi deve fare i conti
sulla punta delle dita quanto verso chi conosce il calcolo
infinitesimale, sorprese i due illustri scrittori, che lasciarono le
loro opere incompiute, con le frasi penzoloni, bloccate a metà
guado, (Papas Borgia).
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Palazzo del Gran Maestro, l'Armeria |
Alcuni recenti eventi nella Storia dell’Icona di nostra signora di
Damasco
1931
25 ottobre: Incoronata alla floriana, Malta, in occasione del XV
centenario del concilio di Efeso (431)
1962
settembre: inclusa nella serie dei francobolli commemorativi del
“Grande Assedio”.
1970
2 aprile – 1 luglio: esposta, in posto preminente, nella XIII Mostra
d’Arte del Consiglio d’Europa, in Valletta.
1972
4 dicembre: emessa come francobollo natalizio dal Sovrano Militare
Ordine di Malta, Roma.(Il Tempo,
3 dicembre 1972).
1980
Auspice il Patriarca Massimo V, le viene dedicata una chiesa a
Kossur, Damasco. La copia (cm 100 x 65) dell’originale (cm 147,5 x
102,5) è opera di suor Etienne del Carmelo di Latkie, Siria.
1987
Celebrazione del IV centenario della traslazione da Vittoriosa a
Valletta.
1989
15-31 ottobre: esposta nella mostra “The Order’s Heritage in Malta”,
in occasione dell’Assemblea Generale dell’Ordine, nel Museo della
Cattedrale, Mdina.
1989
Una medaglia viene coniata per volontà del Gran Maestro Fra’ Andrew
Bertie. Sul diritto figura l’iscrizione “Ave Virgo Damascena Omnes
Christi Fideles Aduna; nel rovescio in Greco e Latino: “Siamo tutti
una cosa sola, ινα παντες εν ωσιν, ut omnes unum sint”.
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Il Beato Gerardo, fondatore degli Ospitalieri |
Bibliografia
-
Beaufays, La Sainte Vierge Marie
a’ Rhode, Malines, 1911.
-
Chetta- Schirò, Memoire su le
Chiese di Rito Greco in Malta, Valletta, 1930.
-
D. Cutajar, Icon of the Damascene Madonna, The Times of
Malta, 22 May 1978.
-
G. Gumppenberg, Atlas Marianus
sive Imaginibus Deiparae per Orben Christianum Miraculosis,
Monachii, 1657.
-
G. Porsellas Flores, L’Icona di
Nostra Signora di Damasco e la Chiesa di Rito Greco alla
Valletta, Il Delfino, nr 92, Torino, 1987.
-
Z. N. Tsirpanlis, “Da
Rodi a Malta (1523-1530). I profughi Rodioti e le Icone
Bizantine di Nostra Signora di Damasco e dell’Eleimonitria”.
Dodoni, vol 17, Università di Ioannina, 1988.
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Suora ospitaliera con pellegrine |
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Suora ospitaliera Ubaldesca sec. XIII
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Valletta, Chiesa Conventuale degli
Ospitalieri di San Giovanni - Altare donato dal Gran
Maestro Gregorio Carafa |
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Il Gran Maestro Gregorio Carafa
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Palazzo del Gran Maestro, particolari |
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Pina
Catino, 2009
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