Lo storico Renzo De Felice, a proposito della resa
dell'isola di Pantelleria avvenuta l'11 giugno 1943, ha scritto
lapidariamente che essa è stata una delle pagine “meno limpide della
seconda guerra mondiale". D’altronde già il giornalista-scrittore
Antonino Trizzino, nell’immediato dopoguerra, con un suo libro-denuncia
aveva inchiodato il responsabile della resa alle sue pesantissime
responsabilità di fronte alla storia per "quello che può definirsi il
mistero di Pantelleria". Stranamente però ancora tutt’oggi la resa di
Pantelleria rappresenta un vero e proprio enigma, uno di quei “Misteri”,
mai pienamente disvelati, che attraversano da sempre il sottosuolo
carsico della Storia d’Italia dalla sua unità.
Perché il comandante in capo la piazzaforte di
Pantelleria passò in poche ore dalla volontà di una difesa ad oltranza
dell'isola alla resa senza condizioni? Eppure la volontà di resistenza
dei reparti asserragliati nell'isola, malgrado i diuturni e martellanti
bombardamenti subiti, era tutt'altro che fiaccata, come dimostra il
telegramma n. 10883 del 10 giugno 1943, quindi a poche ore dalla resa,
riportante a conclusione la seguente, significativa frase: “Pantelleria
dice di non aver più bisogno di acqua, ma soprattutto di munizioni”. È
chiara, senza dubbio alcuno, la volontà di resistere del presidio, tanto
da richiedere soprattutto munizioni e non acqua. Ma in poche ore tutto
diventa poi nebuloso, non limpido, evanescente, passando dallo
sprezzante rifiuto all’invito di resa del generale Spaatz alla bandiera
bianca.
"Ma perché ci siamo arresi?" è la frase finale di un
drammatico colloquio del sottotenente D'Amico di Radioponte Pantelleria
con il generale Monti del Comando Aeronautica Sicilia di base a Catania,
agli atti dell'Ufficio Storico dell'Esercito. Questa domanda aspetta
ancora una risposta. Come aspettano una risposta gli “sfortunati
difensori di Pantelleria” cui “non fu concesso nemmeno l'onore delle
armi", come ebbe a rilevare amaramente la stessa Corte di Assise di
Appello di Milano nel corso del processo Trizzino a seguito querela di
alcuni ammiragli, tra cui il Pavesi.
Perché infine, una volta arresi, si proibì la distruzione
delle aviorimesse incavernate dell'aeroporto della Margana, che potevano
essere utilizzate, come poi effettivamente lo furono, dal nemico nel
prosieguo delle offese aeree, che portarono poi, nei mesi successivi,
lutti e distruzione sul territorio nazionale? A questi perché cerca di
offrire una nuova chiave di lettura il libro che, partendo dalle Memorie
di un 2° Capo della Regia Marina, avente per nocciolo centrale appunto
la resa dell’isola, con una serie di saggi a corredo allarga il tiro,
mettendo a nudo impietosamente quel malvezzo del costume italico che,
per una malintesa e corporativa difesa delle istituzioni militari, da
Custoza a Caporetto, passando per Lissa e Adua, per giungere alle
disastrose campagne del secondo conflitto, non ha mai proceduto a punire
esemplarmente il comportamento dei capi militari responsabili dei
disastri, che spesso sono costati la vita a migliaia e migliaia di
nostri soldati.
“Giuseppe Ferrara. Memorie di un 2°
Capo della Regia Marina” a cura di Orazio Ferrara, con il saggio
aggiuntivo “La resa di Pantelleria. Storia di un enigma”, pagine 234
(con numerose foto in gran parte inedite), euro 20 più spedizione.
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