Numismatica

Novitas Rengi: un inedito Cavallo di Ferdinando I d’Aragona per L’Aquila

Studi ed aggiornamenti sul monogramma della zecca dell’Aquila

a cura di Gionata Barbieri e Francesco Di Rauso

Introduzione e cenni storici

In questo studio presenteremo un Cavallo in rame, inedito sia per il dritto che per il rovescio, coniato nella zecca di L’Aquila durante il regno di Ferdinando I d’Aragona (1458-1494). Questa, venne coniata sicuramente prima del 1488, come sarà poi chiarito nel proseguimento, forse anche in un’epoca antecedente al 1485. Prima di affrontare l’esame dettagliato della moneta, è conveniente fornire alcuni cenni storici sul monarca e qualche indicazione sul nominale.

Ferdinando I d’Aragona, busto in marmo dipinto (opus: Pietro di Milano?), Parigi, Museo del Louvre

Ferdinando I d’Aragona (comunemente noto come Ferrante I d’Aragona) 1423 – 1494, era figlio naturale di Alfonso V d’Aragona (I per Napoli e Sicilia, 1442-1458), ereditò il Regno di Napoli nel 1458 alla morte del padre. Inizialmente dovette fronteggiare l’atteggiamento ostile del Pontefice Callisto III che, dichiarata decaduta la dinastia aragonese su Napoli, rivendicò il regno come stato vassallo della Chiesa. Il Pontefice, inoltre, tentò di aizzare i nobili napoletani contro Ferrante per creare il malcontento generale con lo scopo di isolarlo politicamente. Fortunatamente per il giovane sovrano, Callisto III morì dopo pochi mesi ed il suo successore Pio II, con metodi più diplomatici, si accordò con l’aragonese facendolo incoronare a Barletta nel 1459 dal Cardinale Sabino Orsini. In cambio, lo Stato della Chiesa ebbe come contropartita il Ducato di Benevento e Terracina. Durante il lungo regno di Ferrante i baroni tentarono più volte di esautorare il sovrano, sostenuti dal suo più acerrimo nemico, Giovanni d’Angiò, figlio di Renato d’Angiò ultimo re angioino ad aver regnato su Napoli prima della conquista aragonese avvenuta nel 1442. L’estrema rivalità con Giovanni d’Angiò sfociò ben presto in un conflitto che si concluse con la schiacciante vittoria di Ferrante (Battaglia di Ischia, 1463). Sbarazzatosi del rivale angioino, Ferrante dovette fronteggiare negli anni successivi i continui attacchi da parte dei baroni che mal sopportavano la figura dell’energico sovrano. Ferrante, regnante di carattere deciso, fu mecenate delle arti e grande riformista, grazie a lui il Regno di Napoli, che sotto gli ultimi angioini era in una acuta fase di decadenza, acquistò prestigio e ricchezza diventando (sulla scorta di quanto già avvenne durante il reame del padre) importante crocevia di artisti e letterati. Napoli divenne ben presto terreno fertile per la nuova corrente culturale che stava per nascere in Europa: il Rinascimento. I numerosi episodi di ostilità influirono negativamente sul carattere del giovane Ferrante che ben presto assunse un atteggiamento dispotico e crudele. Il continuo astio con i baroni sfociò in una sanguinosa rivolta (Congiura dei Baroni, 1485-1487), appoggiata dal Pontefice Innocenzo VIII. La città di L’Aquila innalzò il vessillo della Chiesa (1485) e Ferrante per far si che tutto tornasse alla normalità si accordò con il Pontefice. La vendetta nei confronti dei congiurati non si fece attendere e, dopo aver dimostrato loro clemenza, vennero attirati a Napoli con la scusa di offrire loro un banchetto pacificatorio, una volta presenti quasi tutti i congiurati nel Castel Capuano li fece imprigionare e nel giro di pochi giorni vennero giustiziati. Ferdinando d’Aragona morì nel 1494 e la corona passò al valoroso figlio Alfonso, proprio mentre sul regno stavano per cadere le mire espansionistiche di Carlo VIII di Francia.

Tra i tanti meriti di Ferdinando I d’Aragona va annoverata anche la re-introduzione della monetazione in rame nel Regno di Napoli attraverso il nuovo nominale detto Cavallo. Tale denominazione deriva dalla presenza dell’equino andante nell’iconografia tipica del rovescio. Volgarmente la moneta fu anche conosciuta come Cavalluzzo, Calalluzzo, Cavallirazzo, Callo. Il Cavallo fu coniato a partire dal 1472 (l’ordine avvenne con una lettera datata 16 Febbraio di quell’anno, indirizzata dal re Ferrante alla Regia Camera), ed ebbe il rovescio ideato dal conte di Maddaloni Diomede Carafa, che si ispirò all’equino in quanto simbolo di Napoli, ma anche, a causa della simpatica assonanza della parola latina equus (appunto cavallo) con il motto solitamente leggibile nella leggenda del rovescio: “EQVITAS REGNI”. Come successivamente sarà chiarito, la leggenda del rovescio vuole alludere ai propositi di giustizia e di equità che il re intende perseguire immettendo nella circolazione una moneta di rame quasi puro, che non dava possibilità di frodi, da parte delle autorità addette alle coniazioni o da parte dello Stato, a scapito del popolo minuto, principale fruitore ed utilizzatore della “vil-moneta”. Il Cavallo, corrispondente ad un sesto di Tornese, ed avente massa pari a 1,78 g., in verità fu quasi subito soggetto ad un fenomeno di speculazione valore-peso, data la massiccia presenza di esemplari caratterizzati da pesi notevolmente discordanti tra loro, fino a che il suo abbassamento di valore al cambio giunse a far corrispondere tale nominale alla metà del suo valore iniziale (dodicesima parte del Tornese) durante il regno di Federico III d’Aragona (1496-1501).

Descrizione della moneta

Immagine 1. Clicca sull'immagine per ingrandire

Passiamo ad un’analisi dettagliata della moneta (cfr. immagine 1).

Cavallo in rame. Coniato a L’Aquila. Ø 17,5 mm. Grammi 2,29.

Al dritto: FERDINANDVS

(?) REX. Testa coronata del Re a destra.

Al rovescio: NOVITAS * (rosetta), all’esergo RENGI, cavallo andante a destra e davanti aquiletta ad ali spiegate volta a sinistra (quest’ultima, simbolo della zecca dell'Aquila).

Essa possiede un diametro di 17,5 mm. ed un peso di 2,29 g., quindi, caratterizzata da estremi pienamente coerenti con le specifiche metrico-ponderali tipiche (peso medio teorico di 1,80 g. ca., ma in concreto oscillante tra pesi inferiori al grammo e superiori ai due grammi; diametro compreso tra 15 e 19 mm.).

Il dritto della moneta in esame rispecchia quasi per tutto le caratteristiche peculiari dei cavalli, nello stile (come al solito particolarmente curato e dettagliato) della figura e nei caratteri della leggenda. Ma attenzione al “quasi” precedente! Infatti, nella descrizione appena fornita, tra il nome del re FERDINANDVS ed il suo titolo REX c’è un simbolo ben visibile (immagine 1a).

Immagine 1a

Quest’ultimo, certamente non è a caso posizionato in quel punto della leggenda. Generalmente troviamo decori come rosette, stelline, anelletti, globetti, puntini e croci che costellano le leggende su ambo i lati dei Cavalli, dando la possibilità di un abbellimento della leggenda stessa ma fungendo talvolta anche per scopi più direttamente funzionali alla lettura di essa, come caratteri separatori tra nomi e titoli, oppure riempimenti per armonizzare e simmetrizzare le parole, nonché per stabilire i rapporti proporzionali nel contesto della leggenda stessa. In questo caso il simbolo non sembra rientrare tra quelli più frequenti. Esso pare essere a prima vista una doppia croce (leggermente ricurva verso sinistra), ossia quella conosciuta in araldica come “croce patriarcale” (Immagine B),

Immagine B

simbolo particolarmente ricorrente nella monetazione angioina; oppure una forma più grezza e ribaltata della famosa R bifrontale (cfr. immagine 2) (priva però degli anelletti d’accompagnamento) di alcuni cavalli napoletani, la quale oggi sappiamo essere un monogramma del maestro di zecca Gian Carlo Tramontano (TRA in nesso, uno dei segni adoperati nella intera gamma delle iniziali riferenti al Tramontano, databile ad un periodo successivo al 1488).

Immagine 2

In realtà delle semplici considerazioni ci portano ad escludere quest’ultima via di interpretazione: il nome del sovrano nella leggenda, FERDINANDVS, antecedente sicuramente al 1488 (forse, in tal caso, anche prima del 1485, quando durante la rivolta dei baroni L’Aquila si rese autonoma e si pose sotto la tutela del Papa Innocenzo VIII, coniando addirittura dei Cavalli), contrasta con l’eventuale lettura del monogramma TRA, dato che Gian Carlo Tramontano veniva investito della carica di maestro della regia zecca proprio nel 1488.

A ben vedere però tale segno è verosimilmente quello che fu ritenuto spesso il monogramma di L’Aquila (immagine C), considerato recentemente da alcuni studiosi, simbolo stilizzato o iniziale

del maestro di zecca Luigi (o Ludovico) Ram (in carica nel Regno di Napoli dal 1528 al 1547, durante il reame di Carlo V d’Asburgo).

Immagine C

E proprio sui Tarì, Carlini, Cinquine e Cavalli battuti durante il periodo di Carlo V (1516-1556) ed attribuiti con riserva o alla zecca di Napoli o a L’Aquila poniamo ora la nostra attenzione… Questi infatti recano codesto monogramma inserito nella leggenda del dritto, proprio come nel Cavallo sub judice… Possibile quindi che questo monogramma sia l’iniziale di Luigi Ram? Quest’ultimo ricoprì la carica di maestro di zecca dal 1528 al 1547 (non riteniamo opportuno entrare nei dettagli delle scelte di pensiero dei nostri predecessori in quanto sono così disparate, contrastanti e confuse da essere fuorvianti al fine dell’articolo). Tale simbolo fu in passato interpretato, grazie agli spunti di Alberto Tufano (disegnatore per le opere di Cagiati), poi teorizzate dal Cagiati stesso, come un monogramma della parola AQVILA, quindi come riferimento alla coniazione avvenuta in questa città. Si riporta in Fig. D uno stralcio dal supplemento del Cagiati. La lettura del brano esemplifica come possa essere composto il monogramma e la presenza di quest’ultimo sul nostro Cavallo. Ciò potrebbe essere la conferma che possa significare “zecca di L’Aquila”.

Immagine D

Il 30 Aprile 1520 Carlo V d’Asburgo concesse alla città di L’Aquila l’apertura della zecca ma in una lettera datata 1527 pare che la zecca non fosse stata aperta ancora, in quanto il maestro di  zecca in carica fino al 1528, Marcello Gazella, non fosse d’accordo.

Per suddetto motivo non si conosce alcuna moneta di Carlo V con la sigla G (Gazella) riportante il

monogramma dell'Aquila

Nel 1529 L’Aquila si ribellò a Carlo V e la città venne occupata dal Principe d’Orange; pare che in quell’occasione, il nuovo maestro di zecca Luigi Ram che era già operante nella città abruzzese, fu costretto ad “andare via” e trasferire le attrezzature per la coniazione a Napoli come testimoniato da due dipendenti della zecca, certi Giaimo Alimanno e Ligorio Pirro in alcuni documenti datati 1568 e pubblicati dal dr. Giovanni Bovi nel Bollettino del Circolo Numismatico Napoletano del 1963. La zecca di L’Aquila allora sarebbe stata riaperta successivamente, infatti durante il periodo di carica dei due maestri di zecca Ram ed Albertino (1528 – 1547) essa fu operativa in quanto,  oltre a quelle con iniziale  R (appunto Luigi Ram) anche sulle monete ripor-

tanti la sigla A (Gerolamo Albertino) vi è il famoso monogramma dell'Aquila

Ritornando ora all’ipotesi che attribuisce il monogramma all’iniziale del cognome del Ram, slegando le monete, almeno in principio, da una attribuzione ad una zecca specifica, vediamo che lo stesso Tufano obiettava giustamente che, le iniziali del Ram erano comunque già presenti su numerosi conii sotto la veste di una lettera R, maiuscola e chiaramente visibile (cfr. immagini 3, 4), fatto evidentemente contrastante, a rigor di logica, con la eventuale volontà da parte del Ram, di apporre ulteriori riferimenti alla sua persona.

Immagine 3. Clicca sull'immagine per ingrandire

Carlo V d’Asburgo, Carlino in argento.

Al dritto: CAROLVS

IIIII : RO : IM. Busto coronato dell’imperatore a destra.

Al rovescio: REX : ARAGO : VTRIVS : SI : ET : . Toson d’oro sospeso a due ramoscelli d’ulivo, intrecciati sotto * (rosetta).

Immagine 4. Clicca sull'immagine per ingrandire

Ulteriore variante di Carlino simile al tipo di figura 3.

Da parte nostra, comunque, solleviamo altre considerazioni in merito, le quali minano l’idea che si tratti di un riferimento ulteriore al Ram. Anzitutto il monogramma in questione appare in alcuni casi anche su tipi monetali che recano l’iniziale del maestro di zecca Gerolamo Albertino[1], ossia la lettera A, come per esempio i tarì tipo D’Andrea-Andreani n. 149 (cfr. immagine 5, variante molto simile a quella descritta da D’Andrea-Andreani, ex asta Varesi 42 Civitas Neapolis 11-2003, lotto 137),

Immagine 5. Clicca sull'immagine per ingrandire

oppure le cinquine tipo D’Andrea-Andreani n. 157 (cfr. immagine 6; in questo caso però raffiguriamo il tipo più comune, provvisto della rosetta al posto della A).

Immagine 6. Clicca sull'immagine per ingrandire

Inoltre, proprio quel simbolo arcano, talvolta era sostituito nella stessa posizione della leggenda che esso ricopriva, dal simbolo dell’aquiletta, storicamente segno distintivo della zecca di L’Aquila, come per esempio il Carlino tipo D’Andrea-Andreani n. 153, oppure il Carlino tipo D’Andrea-Andreani n. 154. Ad ogni modo, prescindendo dalla effettiva interpretazione del simbolo, non si può evitare di notare come il segno presente nella leggenda del dritto del Cavallo di Ferdinando I, nonostante risulti di stile diverso perché di quasi mezzo secolo prima, sia quasi identico dal punto di vista grafico. Che questo sia il monogramma di L’Aquila ci sono pochi dubbi, grazie a due semplici riflessioni: la prima, notando che il segno del Cavallo compare proprio inserito all’interno, nel mezzo della legenda, come tipicamente accade per il simbolo sulle emissioni di Carlo V, per di più capovolto rispetto alla direzione di lettura della leggenda e in punti pressappoco corrispondenti (ossia dove sono disposti i nomi dei sovrani – FERDINANDVS, CAROLVS – ed i rispettivi titoli); la seconda, acquisendo un dato di fatto ulteriore, presente al rovescio della moneta, ossia l’aquiletta designante la zecca aquilana come luogo di coniazione della moneta. Potrebbero allora esserci rivolte due obiezioni; la prima concernente la ridondanza dello stemma aquilano, o di qualcosa che comunque rimanderebbe a L’Aquila, ma il fatto non è anomalo, dato che già sono noti più esemplari con l’aquiletta apposta sia al dritto che al rovescio (cfr. Coronato dello stesso sovrano nell’immagine 7), con il simbolo dell’aquiletta del dritto interposto nella legenda tra i titoli del sovrano similmente al monogramma presente nel nostro Cavallo, ed al rovescio l’aquiletta impressa nel campo).

Immagine 7. Clicca sull'immagine per ingrandire

La seconda obiezione potrebbe essere mossa considerando la rappresentazione del simbolo, capovolta e ribaltata rispetto alla legenda. Per rispondere basta fare una semplice riflessione: questo segno si posiziona tra il nome del re ed il suo titolo, se fosse stato raffigurato in una posizione successiva al titolo l’armonia della legenda si sarebbe persa, ed ancor più risalta all’occhio la non chiusura completa della leggenda del dritto di questo Cavallo determinando la posizione del simbolo che vediamo, dato che è tipica la presenza di un simbolo separatore a quell’altezza; inoltre nelle monete di Carlo V questo monogramma presenta sempre la parte divaricata verso l’esterno del taglio, circostanza presente anche nel caso in esame.

Che il simbolo del dritto del Cavallo di Ferdinando I d’Aragona sia una croce patriarcale o il monogramma in questione, è comunque difficile poterlo asserire senza fare uso del condizionale, il segno non è perfettamente comprensibile, soprattutto nella parte inferiore, ciò sarebbe però giustificabile dal periodo in cui esso venne coniato. D’altronde, non possiamo pretendere di trovare su una moneta coniata agli albori del rinascimento italiano (il Cavallo in esame) un monogramma perfettamente identico per stile a quello presente su monete coniate nel XVI secolo inoltrato, come nel caso dei tipi di Carlo V (cfr. immagini 3, 4, 5 e 6).

Le sorprese comunque non sono finite, ve ne sono anche per quanto concerne il rovescio della moneta. In particolare esse si concentrano ancora nella leggenda, dato che l’iconografia resta quella tipica del cavallo andante verso destra, ed anche l’aquiletta identificativa della zecca è posizionata in uno dei punti più ricorrenti. La lettura è NOVITAS R[E]NGI, ossia una forma della leggenda assolutamente inedita. La sua origine è secondo noi da ricercarsi nella volontà dell’incisore, o di chi per lui, di dar adito ad una lettura distorta, spiritosa e giocosa, forse addirittura beffarda. Quindi si tratterebbe, a nostro parere, di una operazione realizzata ad arte e non di un errore, come si avrà anche modo di capire nei passi immediatamente successivi. Lo sfottò nasce sulla base dell’assonanza e sulla stessa desinenza tra la parola classica del rovescio EQVITAS e la nostra inedita, NOVITAS. L’ironia è probabilmente rivolta nei confronti del regno, del re in prima persona e della moneta stessa (moneta intesa come “il nominale Cavallo”). Ma prima di chiarire il concetto, è utile una considerazione tecnica. Il conio originario del rovescio del cavallo era effettivamente del tipo tradizionale, ossia con EQVITAS, e poi RENGI (forma, quest’ultima, un pò meno tradizionale rispetto a REGNI, ma già presente in letteratura). Poi, solo in un momento successivo, la leggenda fu alterata con fini di scherno, nella maniera che adesso apprezziamo. Basta infatti prestare solo un po’ di attenzione per notare le manomissioni, cioè la E di E-QVITAS trasformata in N, e la Q di E-Q-VITAS cambiata in una lettera O. Realizziamo un paragone tra la N del rovescio, appunto ottenuta modificando la E, le lettere E nella legenda del dritto (F-E-RDINANDVS R-E-X), e le restanti lettere N sia al dritto che al rovescio. La N riadattata presenta lo spigolo di intersezione tra il primo elemento verticale della lettera e la sua parte obliqua, particolarmente aguzzo e stretto, nonchè la costruzione della lettera appare addensata, quindi diversa dalle altre lettere N della legenda del dritto e del rovescio, che appaiono più estese e più ingombranti. Inoltre si può intravedere una piccola traccia della lettera pre-esistente, quindi questi due elementi ci inducono a propendere, con ogni probabilità, nella direzione della manomissione. Inoltre la O di N-O-VITAS, essendo originariamente una Q, presenta il caratteristico tratto che interseca il circolo, in maniera appena visibile (cfr. immagine 1B).

Immagine 1b

Il proseguimento del tratto verso l'esterno è assente, ma lo scivolo di conio riproduce solo la parte curva della lettera Q modificata, non più la “zampetta”, quindi in sintesi tali fattori ci portano inevitabilmente a considerare le lettere modificate volontariamente. Tra l'altro lo scivolo di conio è percepibile anche sulla N di N-OVITAS, ma è visibile come "spostato" solo l'elemento verticale finale della lettera N, quindi ciò significa che la lettera in quel punto ha una chiusura, realizzata attraverso un elemento verticale, e non una lettera che ne è priva come la E; tutto ciò avvalora ancor più che la lettura esatta sia una N. A questo punto, dato per assunto che la leggenda del rovescio è NOVITAS R[E]NGI, occorre riflettere sulla costruzione di questo motto inedito, discorrendo le ragioni già anticipate. Anzitutto RENGI non è la prima volta che compare. Per esempio proprio per L'Aquila sono già noti i tipi: EQVITAS (stella) RENGI (D'Andrea-Andreani n. 93), oppure le piccole variazioni (rosetta) EQVITAS (rosetta) (rosetta) RENGII (D'Andrea-Andreani n. 92) e (rosetta) EQVITAS (rosetta) (rosetta) RENG (D'Andrea-Andreani n. 94). Ovviamente queste sono solo alcune delle possibili varianti conosciute probabilmente dovute ad errore da parte dell'incisore (altre sono RIGNI, RENGNI, REGNI con N retrograda, REGZII, REDNI, REGNI con I orizzontale invece che verticale, REN, ed altre forme, spesso interrotte da anelli, punti, stelle, globetti, etc., talvolta capita addirittura che la parola si posiziona parzialmente o integralmente all'esergo). In ogni caso il senso della leggenda inedita è chiaro: “Novità del Regno”. Allora sorge spontanea la domanda sul perché si opera uno sfottò in questi termini. Le ragioni sono diverse, come accennato in precedenza, ossia la volontà di canzonare il re, il regno e la sua moneta.

Sappiamo che non esistono solo Cavalli del tipo EQVITAS REGNI e varianti delle due parole, ma si conoscono, per esempio, Cavalli coniati a Napoli con leggende di rovescio del tipo REX SICILIAE IERVSA VN (Pannuti-Riccio n. 38) oppure REX REGNI EQVITAS (Pannuti-Riccio n. 39) oppure REX REGNI SICI EQVITAS (Pannuti-Riccio n. 40), ossia leggende in cui la centralità del re è posta in risalto, proprio come se il re fosse il garante dell'equità e la personificazione dell'equità del regno. Ecco quindi lo sberleffo al re Ferdinando I, che sebbene dimostrò su molte questioni civili, economiche e culturali di essere illuminato, fu al tempo stesso anche un sovrano dispotico, inviso a molti, soprattutto alla nobiltà (che addirittura arrivò ad organizzare la congiura dei baroni, sedata con un finto accordo concluso poi nel sangue) in quanto si sentiva privata di molti privilegi ed "accantonata" nella vera decisionalità del regno, che si mostrava sempre più moderno e dinamico e contro l’immobilismo feudale.

Poi per canzonare il regno e la sua moneta, in quanto la forma tipica della leggenda (EQVITAS REGNI) significa letteralmente “Equità del Regno”, ossia un regno equo per i suoi sudditi ed equo nell'uso della moneta, che è di giusto peso, di buon metallo e ben rapportata con gli altri nominali. In realtà quasi subito, già con lo stesso Ferdinando I, ancor di più in seguito, si svilì il Cavallo, spesso fu anche falsificato, e le conseguenze erano comunque a scapito dei ceti popolari che si servivano quasi esclusivamente di spicciolo nelle loro transazioni giornaliere. “Novitas” quindi, perchè è una novità nel reame napoletano l'introduzione di una moneta di rame relativamente buona, ma “Novitas” anche perchè sarebbe una novità questa tanto acclamata equità del regno, soggiogato dai baroni e dai potentati locali.

Riassumendo NOVITAS ha un ruolo duplice, di scherno verso lo Stato e di sfottò verso la moneta stessa, nominale proprio in quel momento inserito per la prima volta nella circolazione dell'Italia meridionale.

Conclusioni

Concludiamo riassumendo la nostra posizione rispetto al Cavallo inedito proposto. Al dritto esso presenta, in un contesto di tipicità del lato, un simbolo inconsueto, interpretabile o come una croce patriarcale, oppure come lo stesso simbolo presente su numerose monete dell’imperatore Carlo V. Se effettivamente si trattasse di quest’ultimo, la sua presenza in una moneta aquilana verrebbe ad attestarsi ben prima dell’epoca di Carlo V e confermerebbe la tesi che molti studiosi hanno finora sostenuto… e cioè che si tratta del monogramma di L’Aquila. A conferma di quanto riportato in questo articolo si attendono ulteriori ritrovamenti di monete simili che possano chiarire questo punto della discussione, per cui invitiamo ad informare o ad informarci coloro i quali possano trovarsi di fronte ad esemplari utili. Al rovescio invece è presente una leggenda inedita, NOVITAS R[E]NGI, che funge da sfottò nei confronti del re, del regno e del nuovo nominale introdotto nel reame napoletano: il Cavallo.

Dedichiamo questo contributo e riserviamo un pensiero alla popolazione abruzzese, alle vittime ed ai sopravvissuti del recente terremoto che ha colpito l’area aquilana ed i suoi dintorni. Che L’Aquila possa presto risplendere nuovamente della sua storia e dei suoi monumenti.

 


Bibliografia

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Note

[1] Gerolamo Albertino (Nola 1492 – Napoli 1562), successivamente Vescovo di Avellino, fu incaricato a reggere ed esercitare l’ufficio di maestro di zecca dal 16 Aprile 1546 al 26 Aprile 1548. In questo periodo infatti, il Ram era detenuto nel carcere della Gran Corte della Vicaria a causa di malversazioni e sottrazione indebita di danaro pubblico. A quest’ultimo venne revocata la carica di maestro di zecca con decreto del 20 Marzo 1548. Il 26 Aprile 1548 il Vicerè Don Pedro de Toledo nominò Giovan Battista Ravaschieri maestro di zecca.


Articolo pubblicato nell'Ottobre 2009


Pubblicazione on-line di gennaio 2010

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