Introduzione e cenni storici
In questo studio
presenteremo un Cavallo in rame, inedito sia per il dritto che per il
rovescio, coniato nella zecca di L’Aquila durante il regno di Ferdinando
I d’Aragona (1458-1494). Questa, venne coniata sicuramente prima del
1488, come sarà poi chiarito nel proseguimento, forse anche in un’epoca
antecedente al 1485. Prima di affrontare l’esame dettagliato della
moneta, è conveniente fornire alcuni cenni storici sul monarca e qualche
indicazione sul nominale.
Ferdinando I d’Aragona, busto in marmo dipinto (opus:
Pietro di Milano?), Parigi, Museo del Louvre |
Ferdinando I
d’Aragona (comunemente noto come Ferrante I d’Aragona) 1423 – 1494, era
figlio naturale di Alfonso V d’Aragona (I per Napoli e Sicilia,
1442-1458), ereditò il Regno di Napoli nel 1458 alla morte del padre.
Inizialmente dovette fronteggiare l’atteggiamento ostile del Pontefice
Callisto III che, dichiarata decaduta la dinastia aragonese su Napoli,
rivendicò il regno come stato vassallo della Chiesa. Il Pontefice,
inoltre, tentò di aizzare i nobili napoletani contro Ferrante per creare
il malcontento generale con lo scopo di isolarlo politicamente.
Fortunatamente per il giovane sovrano, Callisto III morì dopo pochi mesi
ed il suo successore Pio II, con metodi più diplomatici, si accordò con
l’aragonese facendolo incoronare a Barletta nel 1459 dal Cardinale
Sabino Orsini. In cambio, lo Stato della Chiesa ebbe come contropartita
il Ducato di Benevento e Terracina. Durante il lungo regno di Ferrante i
baroni tentarono più volte di esautorare il sovrano, sostenuti dal suo
più acerrimo nemico, Giovanni d’Angiò, figlio di Renato d’Angiò ultimo
re angioino ad aver regnato su Napoli prima della conquista aragonese
avvenuta nel 1442. L’estrema rivalità con Giovanni d’Angiò sfociò ben
presto in un conflitto che si concluse con la schiacciante vittoria di
Ferrante (Battaglia di Ischia, 1463). Sbarazzatosi del rivale angioino,
Ferrante dovette fronteggiare negli anni successivi i continui attacchi
da parte dei baroni che mal sopportavano la figura dell’energico
sovrano. Ferrante, regnante di carattere deciso, fu mecenate delle arti
e grande riformista, grazie a lui il Regno di Napoli, che sotto gli
ultimi angioini era in una acuta fase di decadenza, acquistò prestigio e
ricchezza diventando (sulla scorta di quanto già avvenne durante il
reame del padre) importante crocevia di artisti e letterati. Napoli
divenne ben presto terreno fertile per la nuova corrente culturale che
stava per nascere in Europa: il Rinascimento. I numerosi episodi di
ostilità influirono negativamente sul carattere del giovane Ferrante che
ben presto assunse un atteggiamento dispotico e crudele. Il continuo
astio con i baroni sfociò in una sanguinosa rivolta (Congiura dei
Baroni, 1485-1487), appoggiata dal Pontefice Innocenzo VIII. La città di
L’Aquila innalzò il vessillo della Chiesa (1485) e Ferrante per far si
che tutto tornasse alla normalità si accordò con il Pontefice. La
vendetta nei confronti dei congiurati non si fece attendere e, dopo aver
dimostrato loro clemenza, vennero attirati a Napoli con la scusa di
offrire loro un banchetto pacificatorio, una volta presenti quasi tutti
i congiurati nel Castel Capuano li fece imprigionare e nel giro di pochi
giorni vennero giustiziati. Ferdinando d’Aragona morì nel 1494 e la
corona passò al valoroso figlio Alfonso, proprio mentre sul regno
stavano per cadere le mire espansionistiche di Carlo VIII di Francia.
Tra
i tanti meriti di Ferdinando I d’Aragona va annoverata anche la
re-introduzione della monetazione in rame nel Regno di Napoli attraverso
il nuovo nominale detto Cavallo. Tale denominazione deriva dalla
presenza dell’equino andante nell’iconografia tipica del rovescio.
Volgarmente la moneta fu anche conosciuta come Cavalluzzo,
Calalluzzo, Cavallirazzo, Callo. Il Cavallo fu coniato
a partire dal 1472 (l’ordine avvenne con una lettera datata 16 Febbraio
di quell’anno, indirizzata dal re Ferrante alla Regia Camera), ed ebbe
il rovescio ideato dal conte di Maddaloni Diomede Carafa, che si ispirò
all’equino in quanto simbolo di Napoli, ma anche, a causa della
simpatica assonanza della parola latina equus (appunto cavallo)
con il motto solitamente leggibile nella leggenda del rovescio: “EQVITAS
REGNI”. Come successivamente sarà chiarito, la leggenda del rovescio
vuole alludere ai propositi di giustizia e di equità che il re intende
perseguire immettendo nella circolazione una moneta di rame quasi puro,
che non dava possibilità di frodi, da parte delle autorità addette alle
coniazioni o da parte dello Stato, a scapito del popolo minuto,
principale fruitore ed utilizzatore della “vil-moneta”. Il Cavallo,
corrispondente ad un sesto di Tornese, ed avente massa pari a 1,78 g.,
in verità fu quasi subito soggetto ad un fenomeno di speculazione
valore-peso, data la massiccia presenza di esemplari caratterizzati da
pesi notevolmente discordanti tra loro, fino a che il suo abbassamento
di valore al cambio giunse a far corrispondere tale nominale alla metà
del suo valore iniziale (dodicesima parte del Tornese) durante il regno
di Federico III d’Aragona (1496-1501).
Descrizione della moneta
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Immagine 1. Clicca sull'immagine per ingrandire |
Passiamo ad un’analisi dettagliata della moneta (cfr.
immagine 1).
Cavallo in rame.
Coniato a L’Aquila. Ø 17,5 mm. Grammi 2,29.
Al
dritto: FERDINANDVS |
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(?) REX.
Testa coronata del Re a destra. |
Al rovescio:
NOVITAS * (rosetta), all’esergo RENGI, cavallo andante a destra e
davanti aquiletta ad ali spiegate volta a sinistra (quest’ultima,
simbolo della zecca dell'Aquila).
Essa possiede un
diametro di 17,5 mm. ed un peso di 2,29 g., quindi, caratterizzata da
estremi pienamente coerenti con le specifiche metrico-ponderali tipiche
(peso medio teorico di
1,80 g. ca., ma in concreto oscillante tra pesi inferiori al grammo e
superiori ai due grammi; diametro compreso tra 15 e 19 mm.).
Il dritto della
moneta in esame rispecchia quasi per tutto le caratteristiche peculiari
dei cavalli, nello stile (come al solito particolarmente curato e
dettagliato) della figura e nei caratteri della leggenda. Ma attenzione
al “quasi” precedente! Infatti, nella descrizione appena fornita, tra il
nome del re FERDINANDVS ed il suo titolo REX c’è un
simbolo ben visibile (immagine 1a).
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Immagine 1a |
Quest’ultimo,
certamente non è a caso posizionato in quel punto della leggenda.
Generalmente troviamo decori come rosette, stelline, anelletti,
globetti, puntini e croci che costellano le leggende su ambo i lati dei
Cavalli, dando la possibilità di un abbellimento della leggenda stessa
ma fungendo talvolta anche per scopi più direttamente funzionali alla
lettura di essa, come caratteri separatori tra nomi e titoli, oppure
riempimenti per armonizzare e simmetrizzare le parole, nonché per
stabilire i rapporti proporzionali nel contesto della leggenda stessa.
In questo caso il simbolo non sembra rientrare tra quelli più frequenti.
Esso pare essere a prima vista una doppia croce (leggermente ricurva
verso sinistra), ossia quella conosciuta in araldica come “croce
patriarcale” (Immagine B),
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Immagine B |
simbolo
particolarmente ricorrente nella monetazione angioina; oppure una forma
più grezza e ribaltata della famosa R bifrontale (cfr. immagine
2) (priva però degli anelletti d’accompagnamento) di alcuni cavalli
napoletani, la quale oggi sappiamo essere un monogramma del maestro di
zecca Gian Carlo Tramontano (TRA in nesso, uno dei segni
adoperati nella intera gamma delle iniziali riferenti al Tramontano,
databile ad un periodo successivo al 1488).
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Immagine 2 |
In realtà delle
semplici considerazioni ci portano ad escludere quest’ultima via di
interpretazione: il nome del sovrano nella leggenda, FERDINANDVS,
antecedente sicuramente al 1488 (forse, in tal caso, anche prima del
1485, quando durante la rivolta dei baroni L’Aquila si rese autonoma e
si pose sotto la tutela del Papa Innocenzo VIII, coniando addirittura
dei Cavalli), contrasta con l’eventuale lettura del monogramma TRA,
dato che Gian Carlo Tramontano veniva investito della carica di maestro
della regia zecca proprio nel 1488.
A ben vedere però
tale segno è verosimilmente quello che fu ritenuto spesso il monogramma
di L’Aquila (immagine C), considerato recentemente da alcuni studiosi,
simbolo stilizzato o iniziale
del maestro di zecca Luigi (o Ludovico) Ram (in
carica nel Regno di Napoli dal 1528 al 1547, durante il reame di
Carlo V d’Asburgo). |
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Immagine C |
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E proprio sui
Tarì, Carlini, Cinquine e Cavalli battuti durante il periodo di Carlo V
(1516-1556) ed attribuiti con riserva o alla zecca di Napoli o a
L’Aquila poniamo ora la nostra attenzione… Questi infatti recano codesto
monogramma inserito nella leggenda del dritto, proprio come nel Cavallo
sub judice… Possibile quindi che questo monogramma sia l’iniziale di
Luigi Ram? Quest’ultimo ricoprì la carica di maestro di zecca dal 1528
al 1547 (non riteniamo opportuno entrare nei dettagli delle scelte di
pensiero dei nostri predecessori in quanto sono così disparate,
contrastanti e confuse da essere fuorvianti al fine dell’articolo). Tale
simbolo fu in passato interpretato, grazie agli spunti di Alberto Tufano
(disegnatore per le opere di Cagiati), poi teorizzate dal Cagiati
stesso, come un monogramma della parola AQVILA, quindi come
riferimento alla coniazione avvenuta in questa città. Si riporta in Fig.
D uno stralcio dal supplemento del Cagiati. La lettura del brano
esemplifica come possa essere composto il monogramma e la presenza di
quest’ultimo sul nostro Cavallo. Ciò potrebbe essere la conferma che
possa significare “zecca di L’Aquila”.
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Immagine D |
Il 30 Aprile 1520
Carlo V d’Asburgo concesse alla città di L’Aquila l’apertura della zecca
ma in una lettera datata 1527 pare che la zecca non fosse stata aperta
ancora, in quanto il maestro di zecca in carica fino al 1528,
Marcello Gazella, non fosse d’accordo.
Per suddetto
motivo non si conosce alcuna moneta di Carlo V con la sigla G (Gazella)
riportante il
monogramma dell'Aquila |
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Nel 1529 L’Aquila
si ribellò a Carlo V e la città venne occupata dal Principe d’Orange;
pare che in quell’occasione, il nuovo maestro di zecca Luigi Ram che era
già operante nella città abruzzese, fu costretto ad “andare via” e
trasferire le attrezzature per la coniazione a Napoli come testimoniato
da due dipendenti della zecca, certi Giaimo Alimanno e Ligorio Pirro in
alcuni documenti datati 1568 e pubblicati dal dr. Giovanni Bovi nel
Bollettino del Circolo Numismatico Napoletano del 1963. La zecca di
L’Aquila allora sarebbe stata riaperta successivamente, infatti durante
il periodo di carica dei due maestri di zecca Ram ed Albertino (1528 –
1547) essa fu operativa in quanto, oltre a quelle con iniziale
R (appunto Luigi Ram) anche sulle monete ripor-
tanti la sigla A (Gerolamo Albertino) vi è il famoso
monogramma dell'Aquila |
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Ritornando ora
all’ipotesi che attribuisce il monogramma all’iniziale del cognome del
Ram, slegando le monete, almeno in principio, da una attribuzione ad una
zecca specifica, vediamo che lo stesso Tufano obiettava giustamente che,
le iniziali del Ram erano comunque già presenti su numerosi conii sotto
la veste di una lettera R, maiuscola e chiaramente visibile (cfr.
immagini 3, 4), fatto evidentemente contrastante, a rigor di logica, con
la eventuale volontà da parte del Ram, di apporre ulteriori riferimenti
alla sua persona.
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Immagine 3. Clicca sull'immagine per ingrandire |
Carlo
V d’Asburgo, Carlino in argento.
Al dritto: CAROLVS |
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IIIII : RO : IM. Busto coronato dell’imperatore a
destra. |
Al rovescio: REX
: ARAGO : VTRIVS : SI : ET : . Toson d’oro sospeso a due ramoscelli
d’ulivo, intrecciati sotto * (rosetta).
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Immagine 4. Clicca sull'immagine per ingrandire |
Ulteriore variante di Carlino simile al tipo di figura 3.
Da parte nostra, comunque, solleviamo
altre considerazioni in merito, le quali minano l’idea che si tratti di
un riferimento ulteriore al Ram. Anzitutto il monogramma in questione
appare in alcuni casi anche su tipi monetali che recano l’iniziale del
maestro di zecca Gerolamo Albertino,
ossia la lettera A, come per esempio i tarì tipo D’Andrea-Andreani n.
149 (cfr. immagine 5, variante molto simile a
quella descritta da D’Andrea-Andreani, ex asta Varesi 42 Civitas
Neapolis 11-2003, lotto 137),
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Immagine 5. Clicca sull'immagine per ingrandire |
oppure le cinquine tipo D’Andrea-Andreani n.
157 (cfr. immagine 6; in questo caso però raffiguriamo il
tipo più comune, provvisto della rosetta al posto della A).
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Immagine 6. Clicca sull'immagine per ingrandire |
Inoltre, proprio quel simbolo arcano, talvolta era
sostituito nella stessa posizione della leggenda che esso
ricopriva, dal simbolo dell’aquiletta, storicamente segno
distintivo della zecca di L’Aquila, come per esempio il
Carlino tipo D’Andrea-Andreani n. 153, oppure il Carlino
tipo D’Andrea-Andreani n. 154. Ad ogni modo, prescindendo
dalla effettiva interpretazione del simbolo, non si può
evitare di notare come il segno presente nella leggenda del
dritto del Cavallo di Ferdinando I, nonostante risulti di
stile diverso perché di quasi mezzo secolo prima, sia quasi
identico dal punto di vista grafico. Che questo sia il
monogramma di L’Aquila ci sono pochi dubbi, grazie a due
semplici riflessioni: la prima, notando che il segno del
Cavallo compare proprio inserito all’interno, nel mezzo
della legenda, come tipicamente accade per il simbolo sulle
emissioni di Carlo V, per di più capovolto rispetto alla
direzione di lettura della leggenda e in punti pressappoco
corrispondenti (ossia dove sono disposti i nomi dei sovrani
– FERDINANDVS, CAROLVS – ed i rispettivi
titoli); la seconda, acquisendo un dato di fatto ulteriore,
presente al rovescio della moneta, ossia l’aquiletta
designante la zecca aquilana come luogo di coniazione della
moneta. Potrebbero allora esserci rivolte due obiezioni; la
prima concernente la ridondanza dello stemma aquilano, o di
qualcosa che comunque rimanderebbe a L’Aquila, ma il fatto
non è anomalo, dato che già sono noti più esemplari con l’aquiletta
apposta sia al dritto che al rovescio (cfr. Coronato dello
stesso sovrano nell’immagine 7), con il simbolo dell’aquiletta
del dritto interposto nella legenda tra i titoli del sovrano
similmente al monogramma presente nel nostro Cavallo, ed al
rovescio l’aquiletta impressa nel campo).
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Immagine 7. Clicca sull'immagine per ingrandire |
La
seconda obiezione potrebbe essere mossa considerando la
rappresentazione del simbolo, capovolta e ribaltata rispetto
alla legenda. Per rispondere basta fare una semplice
riflessione: questo segno si posiziona tra il nome del re ed
il suo titolo, se fosse stato raffigurato in una posizione
successiva al titolo l’armonia della legenda si sarebbe
persa, ed ancor più risalta all’occhio la non chiusura
completa della leggenda del dritto di questo Cavallo
determinando la posizione del simbolo che vediamo, dato che
è tipica la presenza di un simbolo separatore a
quell’altezza; inoltre nelle monete di Carlo V questo
monogramma presenta sempre la parte divaricata verso
l’esterno del taglio, circostanza presente anche nel caso in
esame.
Che il simbolo
del dritto del Cavallo di Ferdinando I d’Aragona sia una croce
patriarcale o il monogramma in questione, è comunque difficile poterlo
asserire senza fare uso del condizionale, il segno non è perfettamente
comprensibile, soprattutto nella parte inferiore, ciò sarebbe però
giustificabile dal periodo in cui esso venne coniato. D’altronde, non
possiamo pretendere di trovare su una moneta coniata agli albori del
rinascimento italiano (il Cavallo in esame) un monogramma perfettamente
identico per stile a quello presente su monete coniate nel XVI secolo
inoltrato, come nel caso dei tipi di Carlo V (cfr. immagini 3, 4, 5 e
6).
Le sorprese
comunque non sono finite, ve ne sono anche per quanto concerne il
rovescio della moneta. In particolare esse si concentrano ancora nella
leggenda, dato che l’iconografia resta quella tipica del cavallo andante
verso destra, ed anche l’aquiletta identificativa della zecca è
posizionata in uno dei punti più ricorrenti. La lettura è NOVITAS
R[E]NGI, ossia una forma della leggenda assolutamente inedita. La
sua origine è secondo noi da ricercarsi nella volontà dell’incisore, o
di chi per lui, di dar adito ad una lettura distorta, spiritosa e
giocosa, forse addirittura beffarda. Quindi si tratterebbe, a nostro
parere, di una operazione realizzata ad arte e non di un errore, come si
avrà anche modo di capire nei passi immediatamente successivi. Lo sfottò
nasce sulla base dell’assonanza e sulla stessa desinenza tra la parola
classica del rovescio EQVITAS e la nostra inedita, NOVITAS.
L’ironia è probabilmente rivolta nei confronti del regno, del re in
prima persona e della moneta stessa (moneta intesa come “il nominale
Cavallo”). Ma prima di chiarire il concetto, è utile una considerazione
tecnica. Il conio originario del rovescio del cavallo era effettivamente
del tipo tradizionale, ossia con EQVITAS, e poi RENGI
(forma, quest’ultima, un pò meno tradizionale rispetto a REGNI,
ma già presente in letteratura). Poi, solo in un momento successivo, la
leggenda fu alterata con fini di scherno, nella maniera che adesso
apprezziamo. Basta infatti prestare solo un po’ di attenzione per notare
le manomissioni, cioè la E di E-QVITAS
trasformata in N, e la Q di E-Q-VITAS
cambiata in una lettera O. Realizziamo un paragone tra la N
del rovescio, appunto ottenuta modificando la E, le lettere E
nella legenda del dritto (F-E-RDINANDVS R-E-X), e
le restanti lettere N sia al dritto che al rovescio. La N
riadattata presenta lo spigolo di intersezione tra il primo elemento
verticale della lettera e la sua parte obliqua, particolarmente aguzzo e
stretto, nonchè la costruzione della lettera appare addensata, quindi
diversa dalle altre lettere N della legenda del dritto e del
rovescio, che appaiono più estese e più ingombranti. Inoltre si può
intravedere una piccola traccia della lettera pre-esistente, quindi
questi due elementi ci inducono a propendere, con ogni probabilità,
nella direzione della manomissione. Inoltre la O di N-O-VITAS,
essendo originariamente una Q, presenta il caratteristico tratto
che interseca il circolo, in maniera appena visibile
(cfr. immagine 1B).
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Immagine
1b |
Il proseguimento
del tratto verso l'esterno è assente, ma lo scivolo di conio riproduce
solo la parte curva della lettera Q modificata, non più la
“zampetta”, quindi in sintesi tali fattori ci portano inevitabilmente a
considerare le lettere modificate volontariamente. Tra l'altro lo
scivolo di conio è percepibile anche sulla N di N-OVITAS,
ma è visibile come "spostato" solo l'elemento verticale finale della
lettera N, quindi ciò significa che la lettera in quel punto ha
una chiusura, realizzata attraverso un elemento verticale, e non una
lettera che ne è priva come la E; tutto ciò avvalora ancor più
che la lettura esatta sia una N. A questo punto, dato per assunto
che la leggenda del rovescio è NOVITAS R[E]NGI, occorre
riflettere sulla costruzione di questo motto inedito, discorrendo le
ragioni già anticipate. Anzitutto RENGI non è la prima volta che
compare. Per esempio proprio per L'Aquila sono già noti i tipi:
EQVITAS (stella) RENGI (D'Andrea-Andreani n. 93),
oppure le piccole variazioni (rosetta) EQVITAS (rosetta)
(rosetta) RENGII (D'Andrea-Andreani n. 92) e (rosetta)
EQVITAS (rosetta) (rosetta) RENG (D'Andrea-Andreani
n. 94). Ovviamente queste sono solo alcune delle possibili varianti
conosciute probabilmente dovute ad errore da parte dell'incisore (altre
sono RIGNI, RENGNI, REGNI con N retrograda,
REGZII, REDNI, REGNI con I orizzontale
invece che verticale, REN, ed altre forme, spesso interrotte da
anelli, punti, stelle, globetti, etc., talvolta capita addirittura che
la parola si posiziona parzialmente o integralmente all'esergo). In ogni
caso il senso della leggenda inedita è chiaro: “Novità del Regno”.
Allora sorge spontanea la domanda sul perché si opera uno sfottò in
questi termini. Le ragioni sono diverse, come accennato in precedenza,
ossia la volontà di canzonare il re, il regno e la sua moneta.
Sappiamo che non
esistono solo Cavalli del tipo EQVITAS REGNI e varianti delle due
parole, ma si conoscono, per esempio, Cavalli coniati a Napoli con
leggende di rovescio del tipo REX SICILIAE IERVSA VN (Pannuti-Riccio
n. 38) oppure REX REGNI EQVITAS (Pannuti-Riccio n. 39) oppure
REX REGNI SICI EQVITAS (Pannuti-Riccio n. 40), ossia leggende in cui
la centralità del re è posta in risalto, proprio come se il re fosse il
garante dell'equità e la personificazione dell'equità del regno. Ecco
quindi lo sberleffo al re Ferdinando I, che sebbene dimostrò su molte
questioni civili, economiche e culturali di essere illuminato, fu al
tempo stesso anche un sovrano dispotico, inviso a molti, soprattutto
alla nobiltà (che addirittura arrivò ad organizzare la congiura dei
baroni, sedata con un finto accordo concluso poi nel sangue) in quanto
si sentiva privata di molti privilegi ed "accantonata" nella vera
decisionalità del regno, che si mostrava sempre più moderno e dinamico e
contro l’immobilismo feudale.
Poi per canzonare
il regno e la sua moneta, in quanto la forma tipica della leggenda (EQVITAS
REGNI) significa letteralmente “Equità del Regno”, ossia un regno
equo per i suoi sudditi ed equo nell'uso della moneta, che è di giusto
peso, di buon metallo e ben rapportata con gli altri nominali. In realtà
quasi subito, già con lo stesso Ferdinando I, ancor di più in seguito,
si svilì il Cavallo, spesso fu anche falsificato, e le conseguenze erano
comunque a scapito dei ceti popolari che si servivano quasi
esclusivamente di spicciolo nelle loro transazioni giornaliere.
“Novitas” quindi, perchè è una novità nel reame napoletano
l'introduzione di una moneta di rame relativamente buona, ma “Novitas”
anche perchè sarebbe una novità questa tanto acclamata equità del regno,
soggiogato dai baroni e dai potentati locali.
Riassumendo
NOVITAS ha un ruolo duplice, di scherno verso lo Stato e di sfottò
verso la moneta stessa, nominale proprio in quel momento inserito per la
prima volta nella circolazione dell'Italia meridionale.
Conclusioni
Concludiamo
riassumendo la nostra posizione rispetto al Cavallo inedito proposto. Al
dritto esso presenta, in un contesto di tipicità del lato, un simbolo
inconsueto, interpretabile o come una croce patriarcale, oppure come lo
stesso simbolo presente su numerose monete dell’imperatore Carlo V. Se
effettivamente si trattasse di quest’ultimo, la sua presenza in una
moneta aquilana verrebbe ad attestarsi ben prima dell’epoca di Carlo V e
confermerebbe la tesi che molti studiosi hanno finora sostenuto… e cioè
che si tratta del monogramma di L’Aquila. A conferma di quanto riportato
in questo articolo si attendono ulteriori ritrovamenti di monete simili
che possano chiarire questo punto della discussione, per cui invitiamo
ad informare o ad informarci coloro i quali possano trovarsi di fronte
ad esemplari utili. Al rovescio invece è presente una leggenda inedita,
NOVITAS R[E]NGI, che funge da sfottò nei confronti del re, del
regno e del nuovo nominale introdotto nel reame napoletano: il Cavallo.
Dedichiamo questo contributo e riserviamo un
pensiero alla popolazione abruzzese, alle vittime ed ai
sopravvissuti del recente terremoto che ha colpito l’area
aquilana ed i suoi dintorni. Che L’Aquila possa presto
risplendere nuovamente della sua storia e dei suoi monumenti. |
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Pubblicazione on-line di gennaio 2010