Le Pagine di Storia

Storie di Sicilia di Fara Misuraca

La resistenza musulmana in Sicilia (Siqilliyah)

 

Con la caduta di Noto nel 1091, dove avevano trovato ultimo rifugio la moglie ed il figlio dell’eroico Emiro Ibn-el-Werd (Benavert) [1], e al termine di una guerra di conquista durata circa 30 anni, la Sicilia uscì dall’enclave musulmano per entrare nell’orbita cristiana. Con l’arrivo dei contingenti normanni e l’insediamento dei “longobardi” [2] ebbe quindi inizio il processo di latinizzazione dell'isola. [cfr. Ruggero I d’Altavilla, Gran Conte di Sicilia]

Coscienti della propria inferiorità culturale, ma abbastanza furbi da non distruggere le avanzate strutture sociali ed economiche della Sicilia musulmana per sfruttare a proprio vantaggio maestranze e conoscenze, i conquistatori normanni adattarono a loro le usanze siciliane piuttosto che cambiarle radicalmente e drasticamente. [cfr. I musulmani di Sicilia]

Il regno di Ruggero II, infatti, fu caratterizzato dalla sua natura multietnica e dalla tolleranza religiosa. Normanni, ebrei, arabi musulmani, greci bizantini, popolazioni "longobarde", fatte affluire dai normanni, e siciliani "nativi" vivevano in relativa armonia. Per almeno un secolo l'arabo rimase, assieme al greco, una lingua del governo e dell'amministrazione nello stato normanno e tracce consistenti ne permangono ancora oggi nella lingua dell'isola. Tuttavia la convivenza non fu mai così scontata e pacifica come gli estimatori dei cristiani dei Normanni vogliono credere: infatti, quando i Normanni ebbero conquistato l'isola, i musulmani furono costretti a scegliere tra l’esilio volontario e l'assoggettamento all'autorità cristiana. Molti musulmani scelsero di andarsene, come il poeta Ibn Hamdis [3], sempre che avessero i mezzi per farlo, poiché la religione islamica proibisce loro di vivere sotto un governo non-musulmano, se ciò può essere evitato. Una parte della comunità islamica tuttavia rimase, anche per via di una importante fatwa dell'imam al-Mazari che legittimò la permanenza di musulmani nel dar al-harb [4] purché fosse loro consentito di seguire liberamente i precetti della Legge islamica.

Negli anni a partire dal 1160, durante il regno di Guglielmo I il Malo, iniziarono i pogrom contro i musulmani [5] che in Sicilia furono sempre più separati dai cristiani, anche dal punto di vista geografico. La maggior parte delle comunità musulmane dell'isola fu confinata oltre una frontiera interna che divideva la metà sud-occidentale dell'isola dal cristiano nord-est. Molti contadini musulmani, per quieto vivere, cominciarono ad accettare il battesimo dai cristiani greco-ortodossi, adottando nomi greco-ortodossi; rimane traccia di ciò negli elenchi dei registri della diocesi di Monreale dove figurano servi della gleba cristiani di nome greco con genitori musulmani ancora viventi. Tutti i governanti normanni seguirono costantemente una politica di latinizzazione, intesa come conversione dell'isola al Cristianesimo romano.

Alcuni musulmani finsero di convertirsi. Un rimedio che poteva fornire protezione individuale, ma non consentire la sopravvivenza di una comunità.

I musulmani siciliani erano stati ridotti a una popolazione sottomessa, che dipendeva dalla compassione dei padroni cristiani e in ultima analisi, dalla protezione reale. Quando re Guglielmo II il Buono morì, nel 1189, la protezione reale fu revocata e si diede il via a diffusi attacchi contro i musulmani dell'isola. Questo distrusse ogni residua speranza di coesistenza, nonostante le disuguaglianze, fra le due popolazioni.[6]

Le prime ribellioni

Dopo la morte di Enrico VI, avvenuta nel 1197 e quella di sua moglie Costanza l'anno successivo, in Sicilia si verificarono una serie di tumulti politici. La secessione saracena, in qualche modo tenuta sotto controllo da Tancredi e da Enrico VI, esplose in tutta la sua violenza nel periodo della minore età di Federico II e la Sicilia divenne un campo di battaglia tra le forze rivali tedesche e papaline. I musulmani ribelli, ovviamente, si schierarono col Guelfo tedesco conte Markwald (Marcovaldo) di Annweiler nel tentativo di spodestare il futuro imperatore. Per reazione papa Innocenzo III, tutore di Federico, proclamò una crociata contro Marcovaldo e i musulmani suoi alleati anche se, successivamente, nel 1206 lo stesso papa tentò di convincere i capi musulmani a passare dalla sua parte.

In quel periodo, la ribellione dei musulmani, che controllavano Jato, Entella, Platani, Celso, Calatrasi, Corleone, Guastanella e Cinisi, tutte terre che da Guglielmo II erano state donate alla diocesi di Monreale, si era notevolmente rafforzata, approfittando del vuoto di potere creatosi. Tenevano anche la città ed il porto di Agrigento, avendo bisogno di una via marittima per mantenere i contatti con l’Africa.

Intanto anche in Germania la morte di Enrico VI aveva innescato una dura lotta per la successione e Federico, uscito di minorità, era immediatamente partito per l'avventura tedesca e salvare la corona imperiale, senza avere il tempo di occuparsi della situazione siciliana. L'assenza del sovrano portò alle estreme conseguenze la rivolta musulmana. Di fatto indipendenti da anni e padroni dell'interno della Sicilia occidentale, i musulmani resuscitarono uno stato islamico ribelle nel cuore del Regnum Siciliae e Muhammad ibn Abbad, probabilmente un discendente di quel Bernavert (Ibn-el-Werd) eroe della resistenza musulmana contro gli invasori Normanni nell'XI secolo in Val di Noto [7], si proclamò Amir al-muslimin (principe dei credenti), battendo anche una propria moneta e tentando di ottenere aiuto da altre parti dell’enclave musulmana.

Se Federico rappresentava il potere legittimo, il re cristiano e l’erede degli Altavilla, Ibn 'Abbad era il Principe dei Credenti (Amir al Muslimin).

Monete in lamina sottile di lega d’argento e rame, che presentano la professione di fede

Muhammad figlio di Abbad

principe dei Musulmani

Muhammad è il profeta di Allah

Non c’è altro Dio che Allah

Immagine tratta dall’edizione elettronica del liber privilegiorum Sanctae Montis Regalis Ecclesiae: Un cartulario ecclesiastico siciliano.

Nel luglio del 1220 per riconfermare il ruolo dell’Arcivescovo di Monreale Federico, non più bambino, ordina che tutte le proprietà, occupate dai musulmani ribelli, venissero requisite e fosse ristabilito l'ordine antico: ricondurre i musulmani al posto ed allo status loro assegnato fin dalla conquista normanna della Sicilia: quello cioè di villani confinati nei casali agricoli, legati in maniera ereditaria alle loro residenze, sottoposti a captazione personale ed a tassazione sulle terre coltivate. In parole povere dovevano ritornare allo stato di servi della gleba. La resa dei musulmani e la loro integrazione all’interno della struttura economica del Val di Mazara era tra l’altro necessaria a Federico per conservare l’appoggio della chiesa nella lotta al potere baronale del mezzogiorno d’Italia.

Fermissima quindi era la volontà del sovrano di riportare l'Isola alla "normalità" ma altrettanto ferma era l'intenzione dei ribelli di non cedere.

La repressione di Federico II

Nel 1221 Federico II pertanto, tornò in Sicilia intenzionato a ristabilire l'ordine. Lo scontro fu durissimo. Arroccati nelle loro fortezze montane di Jato, Entella, Cinisi, qal'at galsu, Platano, Monte Guastanella e Gallo, i saraceni erano in grado di resistere anni anche alla pressione delle numerose forze imperiali, stimate, forse per eccesso, da un cronista arabo in duemila cavalieri e sessantamila fanti. Nell'impossibilità di attirare i nemici in uno scontro campale risolutore, Federico II fu costretto a ripiegare su una guerra d'assedio lunga e logorante per entrambi i contendenti.

Per tre anni consecutivi, dal 1222 al 1224, almeno nei mesi estivi, è attestata la presenza personale dell'imperatore nel campo posto sotto Jato (in castris in obsidione Jati). Ciò, oltre che dimostrare l'importanza dello sforzo militare posto in atto da Federico II, potrebbe indicare che proprio Jato era la residenza di Muhammad Ibn Abbad, chiamato dalle cronache latine Mirabettus (dall'arabo Amir ibn Abbad o, come ritenne Amari, da murabit, "monaco guerriero").

L’unico aiuto che i Musulmani potevano ricevere dall’esterno, era quello dei trafficanti d’armi [8] che sbarcavano con estrema facilità negli scari di San Cataldo e di Castellammare del Golfo, luoghi a ridosso delle operazioni militari.

Le superstiti fonti latine ed arabe danno differenti versioni della fine di Mirabettus. Secondo una cronaca araba, il Tariq al-Mansuri, una parte dei combattenti musulmani avrebbe ad un certo punto tradito l'emiro, venendo a patti con Federico II e Muhammad Ibn Abbad, sentendosi abbandonato, avrebbe quindi deciso di consegnarsi all'imperatore e chiedere la grazia. Federico però, dopo averlo colpito violentemente in un momento di rabbia, lo fece impiccare con i due figli. Fonti latine aggiungono che, con il capo della rivolta ed i suoi congiunti, salirono sul patibolo anche i pirati Ugo Fer e Guglielmo Porcu. Secondo Al Himyari, scrittore arabo del XIV secolo, Mirabettus sarebbe stato invece annegato a tradimento in mare, mentre veniva trasportato in Africa dopo una resa a condizioni. Al Himyari ci racconta anche dell’eroico atto della figlia di Ibn Abbad che, ritiratasi nella roccaforte di Entella, per vendicare la morte del padre, finse di offrire al sovrano la resa. Quando i 300 cavalieri scelti da Federico furono fatti entrare nottetempo all’interno del castello furono uccisi uno ad uno. Il sovrano, il mattino dopo, vide le teste dei suoi cavalieri che dondolavano dal parapetto del castello, e intensificò gli assalti, così giunto il giorno della presa del fortezza i ribelli e la figlia di ibn Abbad pur di non cadere in mano al nemico preferirono suicidarsi.

La prima versione è probabilmente più attendibile, anche se è difficile pensare ad una resa senza condizioni da parte di Mirabettus. Comunque sia stato fatto morire l'Amir, la grande rivolta venne soffocata intorno al 1225 e molti saraceni vennero allora deportati in massa a Lucera, nelle Puglie.

La ribellione islamica si riaccese vent'anni dopo, dal 1243 al 1246 ed ancora una volta Jato con Entella furono l'epicentro della lotta. Stretti d'assedio e ridotti alla fame, gli ultimi saraceni si arresero nel 1246 e furono anch'essi deportati a Lucera.[9]

Con la deportazione, l’emirato indipendente scomparve, ma rimase eco di una limitata guerriglia che secondo i cronisti dell'epoca era da identificarsi nel comune brigantaggio.

Gli Hohenstaufen ed i loro successori Angioini ed Aragonesi, nel corso di due secoli, "latinizzarono" gradualmente la Sicilia, e questo processo sociale gettò le basi per l'introduzione del Cristianesimo di obbedienza romana, in contrasto con l'ortodossia greco-bizantina. Il processo di latinizzazione fu grandemente favorito dalla Chiesa di Roma e dalla sua liturgia.

Gli scavi archeologici e la decifrazione dei manoscritti medievali, hanno individuato vari siti presso Segesta, Monte Jato, Monte Mirabella, che corrispondono all’emirato musulmano e confermano quanto riportato.

Postfazione

Tengo in maniera particolare a chiarire che è nostro intento riportare i fatti storici così per come è possibile ricostruirli dalle fonti letterarie, storiche e dai riscontri archeologici. Non è nostra intensione mitizzare l’imperatore, né l’Emiro che guidò la “resistenza” musulmana. È tuttavia impossibile non trarne la conclusione che gli interessi per il potere di Federico II, in nome dell’impero germanico e del Papa, in nome di Cristo, hanno irreversibilmente strappato il Regno di Sicilia al suo ruolo centrale nella politica del Mediterraneo allora e per il futuro e lo hanno reso lontana provincia, ad usum imperii papale o imperiale, alternativamente.

Fara Misuraca

febbraio 2010

Note

[1] [7] L'emiro Benavert, "Syracusae et Noti princeps callidissimus et militari exercitio deditus", aveva affrontato in battaglia navale le navi normanne. Benavert in persona tenta l'arrembaggio della nave di Ruggero, ma ferito, cade in mare ed è tratto a fondo dalla pesante armatura. Ruggero fa ripescare il corpo e lo spedisce in Africa agli Ziriti. Con la morte dell'emiro, cade la resistenza e Siracusa si arrende a patti nell'ottobre del 1086. Acta Historica et Archaeologica Mediaevalia, Barcellona, 1997.

[2] Inteso nel senso di "genti piemontesi e lombarde" venute a seguito di Adelasia del Vasto, sposa del Gran Conte Ruggero.

[3] Nato a Siracusa nel 1056 dopo la conquista normanna della città si rifugiò a Siviglia presso un amico, ma dal 1091 è costretto poi a peregrinare in Tunisia, Algeria, Maiorca, sempre ricordando la sua patria perduta.

Custodisca Iddio una casa di Noto e fluiscano su di lei le rigonfie nuvole!

Con nostalgia filiale anelo alla patria, verso cui mi attirano le dimore delle belle sue donne.

E chi ha lasciato l’anima a vestigio di una dimora, a quella brama col corpo fare ritorno….

Viva quella terra popolata e colta, vivano anche in lei le tracce e le rovine!

Io anelo alla mia terra, nella cui polvere si son consumate le membra e le ossa dei miei avi.

[4] È il territorio esterno alla dār al-Islām, abitato da non musulmani, che sono chiamati tecnicamente ḥarbī.

[5] A seguito della rivolta di Matteo Bonello, vennero trucidati diversi membri della corte di Guglielmo I, successore di Ruggero II, e fu avviata una caccia ai musulmani che, considerati usurpatori, vennero massacrati a decine. I palazzi reali vennero saccheggiati e dati alle fiamme con la distruzione di un cospicuo patrimonio economico ed artistico (fra gli altri il planisfero realizzato dal geografo arabo Idrisi per Ruggero II).

[6] La morte di Guglielmo II nel 1189 significò in sostanza anche la fine del regno normanno di Sicilia, e il riaccendersi dei conflitti tra le diverse etnie e religioni che componevano il regno di Sicilia. I Musulmani furono cacciati dalle città e dovettero rifugiarsi nell‛interno, raggiungendo i loro correligionari nella ‘riserva musulmana‛ dell‛Arcidiocesi di Monreale. Secondo un cronista dell‛epoca, non meno di 100.000 Musulmani si sarebbero asserragliati nell'interno.

Nei decenni di torbidi tra la morte di Guglielmo II (1189) e la definitiva restaurazione del regno sotto Federico II (1224-1225) i Musulmani dell‛isola si riorganizzarono prima intorno a capi locali, e poi sotto la guida di un emiro, Mohammed ibn Abbad.

[8] Fonti autorevoli riportano la presenza tra i Musulmani di due noti trafficanti, Ugo Fer e Guglielmo Porcu, un pirata marsigliese il primo, responsabile della sorte toccata ai partecipanti alla "crociata dei fanciulli"; genovese l’altro già ammiraglio del Regno, rimosso da Federico II e quindi suo nemico giurato. La loro presenza si può spiegare facilmente, oltre che con personali motivi di rancore, considerandola necessità vitale per Ibn Abbad ed i suoi, di mantenere qualche collegamento via mare con il mondo islamico e forse anche con i nemici cristiani di Federico. (P.Lo Cascio)

[9] Sotto il re Federico di Aragona (1296-1337), Ibn Zafir discendente di una delle famiglie deportate, dopo aver visitato le rovine di Jato, con versi nostalgici canterà la fine dei musulmani di Sicilia:

 Ohimè, Iato è ridotta un mucchio di rottami , un ammasso

deforme di macerie; e fra queste rovine i raggi del sole,

cadono come dardi che si perdono si perdono in battaglia senza ferire!

Dove le ville campestri, pel pellegrino ricetto nell’inondazione,

rifugio contro la tempesta, ombra contro l’arsura?

Per quanto la pupilla dilatandosi divaghi a destra e

a sinistra nel lontano orizonte, tutto è disabitato di case e di

piante, tutto è melanconico quale avvenire senza speranza.

Dove sono i seniori, che litigavano contro le leggi nuove?

dove i timpani delle noze, dove le serate d’amore?

Dove la vanità e l’ambizione dè padri di legare il proprio

 nome e le proprie ricchezze nella maschi prol?

Quante genrerazioni, quanti linguaggi, quanti riti sorvolarono

in questi deserti greppi? Dove sono i libri delle dispute pubbliche?

i propositi vendicativi degli offesi, i giuramenti di eterno amore?

Tutto sparì ; gli uragani vi campeggiano sopra; non rimarrà

di essa che qualche nero rigo, qualche spezzata reminescenza

 in volumi delegati alla polvere.

La memoria della città, forza dell’Islam, fuggirà come acqua,

che trascende via di forra in forra.

Bibliografia

  • D. Abulafia Federico II, Einaudi, Torino 1993

  • M. Amari, Storia dei musulmani di Sicilia , Ed. Giannotta, Catania, 1977

  • H.P. Hisler Monte Iato, Palermo 1991

  • P. Lo Cascio, Muhammad ibn Abbad l’ultimo Emiro siciliano che sfidò Federico II http://www.edizionidelmirto.it/rep_pa.htm

  • F. Maurici L’emirato sulle montagne Palermo 1987

  • G. Paonita, L’emirato indipendente, http://www.stupormundi.it/emirato.htm

  • U. Rizzitano, Storia e cultura nella Sicilia Saracena, Flaccovio, Palermo, 1975.

Monografie correlate


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