Le pagine della cultura

 

 

Dal Volume a cura di Pina Catino, pagg 13-20, Adda editore

Ettore Carafa, la famiglia, i luoghi, la rivoluzione

Ritratto di Ettore Carafa d’Andria, collezione privata Don Riccardo Carafa d’Andria della Stadera, XX duca d’Andria e Castel del Monte, conte di Ruvo, marchese di Corato, Napoli 21 febbraio 2005. La curatrice del Libro Pina Catino ringrazia il duca Don Riccardo Carafa per la gentile concessione ad averle fatto riprodurre il ritratto.

IL FINE DELLA SOCIETÀ È LA FELICITÀ COMUNE

(Il Profilo di un Uomo che intuì il tintinnio del Futuro)

Pina Catino

Il XX duca d'Andria e Castel del Monte, Conte di Ruvo, Marchese di Corato, posa a fianco del ritratto del suo antenato Ettore Carafa.

I primi anni di regno di Ferdinando IV di Borbone, segnarono un movimento anticlericale come preludio di quello civile. Era ministro del Re il sapiente ed onesto Tanucci che sollevò la dignità del regno di Napoli dalla preponderanza della corte di Roma.

In quel tempo, furono aboliti molti conventi, il matrimonio dichiarato contratto civile, e ciò che è più notevole, fu vietato ai vescovi d’ingerirsi della pubblica istruzione e le bolle papali furono dichiarate non valide se non munite del regio exequatur.

Quest’andamento anticlericale aveva avuto la sua manifestazione nel 1764 in Ispana con la cacciata dei gesuiti, che fin dal 1758 erano stati già espulsi dal Portogallo. Nel 1767 anche Ferdinando IV decretava l’espulsione dei gesuiti.

In questo clima, il 29 dicembre 1768 da Margherita Pignatelli di Monteleone, Duchessa d’Andria, prima dama di corte della superba Regina di Napoli, Carolina d’Austria, e da Riccardo Carafa XII Duca d’Andria, grande scudiero di Ferdinando IV di Borbone, nasceva in Andria, Ettore Carafa, Conte di Ruvo.

Uno strano evento accompagnò quella nascita. Un marmo del camino, nell’appartamento abitato dalla duchessa, si era spezzato, come per incanto, proprio nel momento in cui Ettore veniva messo alla luce. Quell’evento fu ritenuto di cattivo auspicio e tra le genti del palazzo si sussurrò che il neonato avrebbe fatto una triste fine.

“Fa sgomento pensare che fu due volte atroce il destino di Ettore: partecipò alla distruzione della città dove era nato, Andria, e fu crudelmente ucciso nella città dei suoi genitori, Napoli, che l’aveva visto giovinetto e poi farsi uomo consapevole e maturo.“

La Famiglia Carafa discendente dai Caracciolo, fu una delle più ricche, nobili e potenti del Regno di Napoli. La sua storia comprende molte pagine della Storia civile ed ecclesiastica del trono di Napoli ed annovera personaggi illustri quali Papa Paolo IV, Cardinali “Oliviero Carafa detto il Gran Cardinale”, Arcivescovi, Vescovi, Abati, Vincenzo Carafa il fortunato capitano della battaglia di Lepanto. La famiglia Carafa era la più temuta nelle rivalità tra il re Borbone e la nobiltà del regno. Al tempo in cui in Francia la scuola degli Enciclopedisti lottava per la libertà, ed in cui maturavano le idee che dovevano condurre agli eventi della rivoluzione del 1799, la famiglia Carafa era all’apice della ricchezza e del fastigio. I suoi possedimenti si estendevano in tutte le province e la sua influenza si faceva sentire anche nei comuni più remoti.

Ruvo di Puglia, Istituzione della processione dell'Ottavario del Corpus Domini, affresco di M. Prayer nel cappellone del Sacramento in San Giacomo su corso Ettore Carafa

Anche la famiglia della madre era fra le più note ed aristocratiche di Napoli, ma il bimbo nasceva in Puglia, ad Andria, che era il feudo maggiore della famiglia, quello che comportava il titolo di Duca. (3)

Il palazzo dove Ettore muoveva i suoi primi passi era stato dei Del Balzo, i nobilissimi feudatari che avevano dominato su Andria fino a quando l’ultimo dei discendenti partecipò alla Congiura dei Baroni, e di conseguenza fu decapitato a Napoli.

“Dal balcone che dava sul “largo la Corte”, si godeva una volta l’anno, la festa e la Fiera di S. Riccardo, Protettore del paese e molto venerato dai Carafa, che per tradizione portano il suo nome. Presto il piccolo Ettore però, dovette abituarsi alla disciplina delle lunghissime cerimonie religiose, che spesso la famiglia ascoltava con poche altre persone, nella cappella del palazzo. Ma lui sogna d’ uscire all’aria aperta, fuori dalle mura della città e scoprire il mondo, oltre la collina dei mandorli in fiore”. (4)

Da questa famiglia principesca Ettore Carafa, ricevette quella educazione, consona alla posizione altissima occupata dalla stessa nel Regno di Napoli al Vico dei Bisi, oggi volgarmente chiamato Vico Nilo. Qui la lettura della storia greca e romana accendeva la sua giovane fantasia. Le Vite Parallele di Plutarco era il suo libro favorito, che portò sempre con sé fino al giorno della sua morte.

Ettore, d’indole irrequieta e vivace, occhi vivissimi e penetranti, era dotato di forza fisica e agilissimo, di cui si serviva per la difesa dei più deboli, che lo adoravano. Giunto all’età di vent’anni, era ammirato per il portamento elegante e spigliato e per la destrezza con la quale montava i più focosi cavalli. Egli amava molto addestrarli da solo con estrema dolcezza, in quanto ripugnava i sistemi violenti. Aveva insegnato ad un suo cavallo a salire con estrema facilità la scala del suo palazzo, sito a S. Marcellino in Napoli. (5)

“Ettore va tutti i giorni a cavallo: il padre gli ha regalato un puledro bellissimo, devono ancora domarlo, ma il ragazzo vuole fare da solo, non permette che sia picchiato selvaggiamente, come è l’ uso. Ettore cerca con il suo puledro un’intesa diversa dalla violenza che impone il più forte, si può far muovere un animale come si vuole senza tormentarlo; non c’è solo il linguaggio della violenza”. (6)

Dopo gli studi a Napoli entrò a far parte della Camera di Corte del re Ferdinando IV di Borbone.

Il soggiorno napoletano fu decisivo per far maturare in lui un rifiuto nei confronti degli ingranaggi della nobiltà. Il suo animo provava una fiera indignazione per l’oppressione e la schiavitù del popolo. “La corte di Napoli aveva ereditato dal Medio Evo la superbia, non il valore né la fede. L’indirizzo politico era tirannico ed immorale”. La famiglia, che nel segreto delle sue aspirazioni lo conservava per le cariche onorifiche della Corte e dello Stato, si convinse d’essersi illusa, quando le furono chiare le tendenze rivoluzionarie del giovane Ettore, il quale, contro la volontà del Duca suo padre, andò insieme al suo istitutore, Franco Laghezza di Trani uomo di sentimenti liberali, in Francia, il luogo in cui stavano maturando quelle idee rivoluzionarie, che dovevano condurre all’affrancamento dei popoli.

Giunto in Francia nel 1787, aprì il suo animo alle più nobili idee e completò l’educazione liberale avuta dal suo istitutore. Seguì con passione la lotta di quel popolo che a poco a poco cominciava a rivendicare i suoi diritti e si allontanò sempre più dalla tirannia e dalle bassezze che regnavano a Napoli. (7)

Restò a Parigi finché poté e quando, al principio dell’ottantanove, ritornò a Napoli, la sua indignazione contro la tirannia era diventata odio: di nascosto, di dette con alcuni amici, a diffondere le stampe della Dichiarazione dei Diritti e dei Doveri dell’uomo, tradotte da lui stesso in italiano. Quella dichiarazione si fondava su principi di alta morale, troppo alta perché la plebe potesse intenderla. Il più potente motivo che separava la plebe dalle classi colte era appunto l’ignoranza, di cui si serviva il cattivo clero per paura nei confronti del giacobinismo che avanzava.

la Dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino

Denunziato, venne arrestato e condotto in castel S. Elmo. Il 18 aprile 1798, con l’aiuto del fratello Carlo, Ettore Carafa fuggì per mare. La sua fuga non fu dettata soltanto dall’istinto della propria salvezza. Ettore aveva in mente un più nobile fine: quello di andare a Milano, dove Bonaparte aveva istituito la Repubblica Cisalpina, e a sue spese formare una legione per liberare Napoli dai Borboni per istituirvi un governo liberale. Strinse amicizia col generale Joubert, e al formarsi della Repubblica Napoletana, fu il più abile e fortunato tra i condottieri volontari repubblicani.

Compì nel febbraio dell’anno successivo una prima spedizione per ristabilire l’ordine nella provincia di Avellino.

Intanto, dopo la morte del duca suo padre, avvenuta il 23 giugno del 1797, Ettore era stato privato dal re Ferdinando IV di Borbone del titolo di Duca tanto che, sino al 1804, Andria verrà compresa nella Regia Corte di Napoli.

Le idee rivoluzionarie di Ettore si sviluppano sempre più. Con una sua legione accompagna le colonne francesi comandate dal generale Broussier nelle Puglie, però la Repubblica Napoletana non viene accettata da alcune città pugliesi, tra cui Andria. (8)

“Era la settimana Santa, quante volte nel freddo dormitorio del collegio, con gli altri bambini come lui lontano dalle famiglie, il piccolo Ettore pensava ai fiori di Andria in primavera, al bianco palazzo, al bosco, al vecchio castello e alla Sacra Spina custodita nella cappella della chiesa maggiore di Andria. Essa era il mistero del dolore che non finisce mai”. (9)

Il mistero della sacra Spina lo aveva toccato da vicino prima di lasciare Andria per il collegio. Egli aveva avuto il privilegio di prendere in mano la spina che era stata infissa nel capo di Cristo. Il piccolo Ettore sapeva che quando il venerdì della passione coincideva con il giorno dell’Annunziata (25 marzo), la reliquia si copriva di sangue. Ora è un mistero che lo turba: l’annuncio della vita è legato come la morte al sangue e al dolore, è un presagio! La sua spina è ora la paura dei francesi, delle loro stragi.

“Rispetto dunque al disastro sofferto dalla città di Andria È da sapersi che la risoluzione presa da quella Popolazione di levarsi in armi e resistere ai Francesi fu vie più fomentata dall’arrivo di alcune centinaia di uomini armati de’ casali di Bari che ivi si recarono per rinforzarla. Il conte di Ruvo che prevedeva le conseguenze Che ne sarebbero da ciò derivate Fece tutto il possibile per acchetare quella città Fino ad esporre la propria vita. (Sono stato assicurato da persone ch’erano presso di lui E dagli Andriesi istessi “cita Jatta” Il Carafa si portò fin anche solo a cavallo fin sotto le mura di Andria Per parlare a quelli abitanti, e ne fu corrisposto a colpi di fucilate tirate sia dai cittadini istessi, sia dagli ospiti casalini ivi sopraggiunti, i quali niuno interesse avevano alla salvezza di quella città)”.

Il Broussier, si era messo fra lui ed andria, era stato precipitoso e crudele. Il Carafa giunse perfino a gettarsi alle sue ginocchia per ottenere che fosse revocato l’ordine di saccheggio. E il generale francese diede ai suoi uomini l’ordine di cessare il saccheggio.

L’esercito del Conte Ettore era il vendicatore dei diritti civili del popolo per abbattere il feudalesimo. Egli era venuto nelle Puglie, ad Andria, per ristabilire l’ordine e per vederla liberata dal giogo della schiavitù feudale e medievale.

Ma i grandi principi e i grandi ideali, prima della loro attuazione, sono sempre preceduti da nobili vittime, e sventuratamente, Ettore Carafa era destinato ad essere una di quelle.

Intanto la Repubblica Francese era scossa dalle rivolte tardive del 1799. La reazione in tutta l’Europa coalizzata e anche in Italia, prendeva il sopravvento. Dalle province meridionali d’Italia l’esercito Sanfedista del Cardinale Ruffo avanzava sulla capitale con successo riconquistando il regno di Napoli. L’antico potere assoluto era restaurato, e tutta la falange repubblicana dei napoletani di quel tempo, tutte grandi figure, finì sotto la mannaia (riservata ai nobili) o impiccati. Anche Ettore Carafa cadde nelle mani dell’esercito reazionario.

Il Carafa, dopo Andria, fu mandato a Pescara per sostituire la guarnigione francese, difendendo a lungo la piazza contro le masse del capobanda Pronio, ma con una capitolazione, avvenuta in circostanze poco chiare, si arrese e venne trasportato a Napoli “in una gabbia di ferro” e rinchiuso nel Castello del Carmine. (11)

Incatenato, ad Ettore misero anche un collare di ferro, tipica tortura medievale, così aderente che gli impediva di coricarsi e dormire. Poi lo infissero al muro con un gancio, in modo che se i suoi piedi avessero sfiorato appena il pavimento, se avesse avuto qualche minuto di sonno, il collo sarebbe stato stretto in una morsa insopportabile;

“non da ucciderlo, il prigioniero doveva comparire davanti al giudice, esibirsi in pubblico sul palco, davanti alla folla…”

“E la sentenza era già stata scritta prima che il processo si celebrasse, Ettore non ebbe nessuna possibilità di difendersi”

Il 30 agosto, nello stesso Castello ebbe inizio il processo e si concluse rapidamente il 2 settembre con la condanna a morte mediante decapitazione.

Presidente del tribunale fu Vincenzo Speciale; il suo massimo accusatore, il feroce giudice Guidobaldi, alla Giunta di Stato lo voleva “affocato con strascino e tenaglie, indi fatto a pezzi, bruciato e le sue ceneri sparse al vento” ; pene terribili, come si vede, ancora una volta medievali, che mostrano come fosse ritenuto colpevole e quanto fosse temuto.

Si dice che al giudice Sambuti, che lo svillaneggiava, il Carafa avesse risposto: “Se fossimo entrambi liberi parleresti più cauto; ti fanno audaci queste catene e che gli scuotesse i pugni sul viso”. Poco dopo mezzogiorno, Ettore richiese il sacerdote della Compagnia dei Bianchi, e con lui pregò, fino alle quattro del pomeriggio. (12)

“Era la devozione appresa ad Andria,

dove la gente sapeva ancora morire per Cristo,

e che gli ricordava i genitori e i suoi primi anni felici”. (13)

Il 4 settembre 1799, alle ore 21:00 uscì dal Castello “lacero, con una lunga barba e quasi mostruoso”, fu portato in Piazza mercato (14). Rassegnato, ma intrepido salì sul palco, rivoltosi al boia gli disse: “Dirai alla tua Regina come seppe morire Ettore Carafa” e dopo essersi spogliato da solo, Ettore, dovendo morire di Mannaia, volle giacere supino, per vedere, sprezzante scendere dall’alto la lama.

Il suo corpo fu seppellito nella Chiesa del Carmine.

“La morte di Ettore Carafa costò 15 ducati e 62 grani.

Il boia ebbe 6 ducati, il suo aiutante 3.

Il resto servì per i chiodi del palco, affilatura della mannaia ed altro”. (15)

Pescara, monumento a Ettore Carafa, Conte di Ruvo, su Corso Conte di Ruvo.

Dei suoi fratelli, tutti nati in Andria e cresciuti a Palazzo Ducale, pochi sopravvissero e tutti colpiti da alterne vicende e fortune.

I genitori di Ettore si erano trasferiti a Napoli tra la fine del 1791 e l’inizio 1792, e la famiglia aveva già subito gravi lutti e cominciava a disperdersi.

La prima sorella Eleonora muore ventenne.

Fabrizio il secondo, avviato alla carriera ecclesiastica, ragioni non chiare lo portano in Liguria a Sarzana, dove muore diciottenne, solo e lontano da tutti.

Carlo, emigrò in Francia, anche lui religioso, muore a Napoli all’età di cento anni.

Gennarino (il solo che Ettore non aveva visto in tenera età perché in collegio), anche lui muore in Andria nell’agosto del 1791, a tredici anni, forse consumato dalle febbri estive, tanto diffuse allora in queste zone assetate.

Francesco, abate, il terzo dei fratelli, (da cui nasce l’attuale discendenza della Famiglia Carafa Duchi d’Andria, Conti di Ruvo, Marchesi di Corato e Duchi di Castel del Monte 1˚ Linea), già nel 1790 si trova a Roma, al seguito dello zio materno Francesco Pignatelli, futuro cardinale. Molto vicino ad ettore nel periodo critico, dopo la sua morte viene incarcerato nella segreta del coccodrillo, perché aveva combattuto al Ponte della Maddalena, in qualità di milite della guardia nazionale a cavallo, contro le bande del Cardinale Ruffo. Gli fu ucciso il cavallo e fu fatto prigioniero. Ruffo impedì che fosse bruciato vivo.

Costanza e Maria Giuseppa si sposano l’una con Sittico Altemps, l’altra con un nobile della famiglia Di Sangro.

Maria Luisa, dopo anni di indicibile agonia, sposerà nel 1803, un Caracciolo, quando sulla tragedia di Ettore è già stato steso un velo.

In quello stesso anno anche Francesco, libero da vincoli religiosi, prenderà in moglie Teresa dei principi Caracciolo di Santobono e la famiglia continuerà, sotto gli occhi della duchessa Margherita e finalmente in pace con il Re, tornato al suo trono di Napoli: e per sugellare questa pace avvenuta ce lo testimoniano i nomi di Ferdinando e Carolina, che francesco volle dare ai figli, in segno di dignitosa devozione.

Bisceglie, 17 febbraio 2005

Pina Catino

con la consulenza di don Riccardo Carafa d’Andria XX Duca (16)


La linea diretta di Ettore

Famiglia Carafa prima Linea

Particolare dell'albero genealogico famiglia Carafa della Stadera, anno 1.500ca.

Per gentile concessione del Principe don Carlo Fabio Carafa d'Andria, che l'autrice ringrazia per averle data la possibilità di consultare il libro reale, pagg. 463-464-465-466-467-468-469-470 “Genealogisches Handbuch der Fürstlichen Hauser”. Hauptbearbeiter: Hans Friedrich v. Ehrenkrook, Stellvertretender Präsident des Ausschusses für adelsrechtliche Fragen der deutschen Adelsverbande. Fürstliche Hauser Band VII, 1964. C. A. Starke Verlag, Limburg a. d. Lahn. Begründet 1847 in Görlitz.

I duchi d'Andria e Castel del Monte, conti di Ruvo, marchesi di Corato:

Francesco (10.04.1772 - 26.06.1844), XIV duca, fratello di Ettore martire del 1799

Riccardo (01.01.1808 - 03.03.1849), XV duca, figlio primogenito di Francesco

Andrea Antonio (15.04.1809 - 12.05.1873), XVI duca, figlio secondogenito di Francesco

Ferdinando (30.10.1816 - 23.10.1885), XVII duca, figlio terzogenito di Francesco e di Donna Teresa Caracciolo di Santobuono, duchessa di Castel di Sangro, Marchesa di Bucchianico, Contessa di Schiavi (20.08.1784 - 03.11.1852)

Ferdinando Carafa

Riccardo (11.12.1859), XVIII duca, figlio di Ferdinando; Senatore del Regno. È l'autore della famosa monografia storica dedicata alla vita e gesta di suo zio Ettore Carafa. Sua moglie, la duchessa Enrichetta, fu famosa traduttrice della Letteratura Russa.

Sen. Riccardo Carafa

Antonio (17.06.1887 - 13.02.1956), XIX duca.

Antonio Carafa

Si ringrazia don Riccardo Carafa, XX duca, per aver consentito la pubblicazione dei ritratti di famiglia nel libro "Ettore Carafa, la famiglia, i luoghi, la rivoluzione".


Note

(1–5–7–12-15) Riccardo Carafa d’Andria: Ettore Carafa, Conte di Ruvo, Monografia Storica. Tip. Elzeviriana, Roma 1886.

(3) R. Sgarra: Omaggio ad Ettore Carafa martire andriese della Libertà. Premiato Stab. Tip. Bonaventura, Terlizzi, 1899.

(4-9-13) Maria Teresa Colangelo: Ombre sul mandorlo in Fiore; biografia di Ettore Carafa. Tip. Fagiani, Pescara, 1991.

(8) Michele Palumbo: Andria Giacobina Il Significato e i Fatti del 23 Marzo 1799. Sveva ed. 1999.

(10) G. Jatta: Cenno Storico sull’antichissima città di Ruvo, Napoli 1844.

(11) Benedetto Croce: Rivista Popolare di Colaianni del 30 gennaio 1899.

(14) Marinelli: Manoscritto inedito della Biblioteca Nazionale di Napoli.

(16) Paola Tavernini – Pina Catino: Ettore Carafa d’Andria, Conte di Ruvo, Grafiche Guglielmi, Andria, maggio 2005.


Visita la pagina sul Volume "Ettore Carafa, la famiglia, i luoghi, la rivoluzione" a cura di Pina Catino


Pubblicato on-line da "Il Portale del Sud", luglio 2008, su gentile concessione dell'Autrice.

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