I primi anni di regno di Ferdinando IV di Borbone, segnarono un
movimento anticlericale come preludio di quello civile. Era ministro
del Re il sapiente ed onesto Tanucci che sollevò la dignità del
regno di Napoli dalla preponderanza della corte di Roma.
In quel tempo, furono aboliti molti conventi, il matrimonio
dichiarato contratto civile, e ciò che è più notevole, fu vietato ai
vescovi d’ingerirsi della pubblica istruzione e le bolle papali
furono dichiarate non valide se non munite del regio exequatur.
Quest’andamento anticlericale aveva avuto la sua manifestazione nel
1764 in Ispana con la cacciata dei gesuiti, che fin dal 1758 erano
stati già espulsi dal Portogallo. Nel 1767 anche Ferdinando IV
decretava l’espulsione dei gesuiti.
In questo clima, il
29 dicembre 1768
da Margherita Pignatelli di Monteleone, Duchessa d’Andria, prima
dama di corte della superba Regina di Napoli, Carolina d’Austria, e
da Riccardo Carafa XII Duca d’Andria, grande scudiero di Ferdinando
IV di Borbone, nasceva in Andria, Ettore Carafa, Conte di
Ruvo.
Uno strano evento accompagnò quella nascita. Un marmo del camino,
nell’appartamento abitato dalla duchessa, si era spezzato, come per
incanto, proprio nel momento in cui Ettore veniva messo alla luce.
Quell’evento fu ritenuto di cattivo auspicio e tra le genti del
palazzo si sussurrò che il neonato avrebbe fatto una triste fine.
“Fa sgomento pensare che fu due volte atroce il
destino di Ettore: partecipò alla distruzione della città dove era
nato, Andria, e fu crudelmente ucciso nella città dei suoi genitori,
Napoli, che l’aveva visto giovinetto e poi farsi uomo consapevole e
maturo.“
La Famiglia Carafa discendente dai Caracciolo, fu una delle
più ricche, nobili e potenti del Regno di Napoli. La sua storia
comprende molte pagine della Storia civile ed ecclesiastica del
trono di Napoli ed annovera personaggi illustri quali Papa Paolo IV,
Cardinali “Oliviero Carafa detto il Gran Cardinale”,
Arcivescovi, Vescovi, Abati, Vincenzo Carafa il fortunato capitano
della battaglia di Lepanto. La famiglia Carafa era la più temuta
nelle rivalità tra il re Borbone e la nobiltà del regno. Al tempo in
cui in Francia la scuola degli Enciclopedisti lottava per la
libertà, ed in cui maturavano le idee che dovevano condurre agli
eventi della rivoluzione del 1799, la famiglia Carafa era all’apice
della ricchezza e del fastigio. I suoi possedimenti si estendevano
in tutte le province e la sua influenza si faceva sentire anche nei
comuni più remoti.
|
Ruvo di Puglia, Istituzione della processione dell'Ottavario
del Corpus Domini, affresco di M. Prayer nel cappellone del Sacramento in
San Giacomo su corso Ettore Carafa |
Anche la famiglia della madre era fra le più note ed aristocratiche
di Napoli, ma il bimbo nasceva in Puglia, ad Andria, che era il
feudo maggiore della famiglia, quello che comportava il titolo di
Duca. (3)
Il palazzo dove Ettore muoveva i suoi primi passi era stato dei Del
Balzo, i nobilissimi feudatari che avevano dominato su Andria fino a
quando l’ultimo dei discendenti partecipò alla Congiura dei Baroni,
e di conseguenza fu decapitato a Napoli.
“Dal balcone che dava sul “largo
la Corte”, si godeva una volta l’anno, la festa e
la Fiera di S. Riccardo, Protettore del paese e molto venerato
dai Carafa, che per tradizione portano il suo nome. Presto il
piccolo Ettore però, dovette abituarsi alla disciplina delle
lunghissime cerimonie religiose, che spesso la famiglia ascoltava
con poche altre persone, nella cappella del palazzo. Ma lui sogna d’
uscire all’aria aperta, fuori dalle mura della città e scoprire il
mondo, oltre la collina dei mandorli in fiore”.
(4)
Da questa famiglia principesca Ettore Carafa, ricevette quella
educazione, consona alla posizione altissima occupata dalla stessa
nel Regno di Napoli al Vico dei Bisi, oggi volgarmente chiamato Vico
Nilo. Qui la lettura della storia greca e romana accendeva la sua
giovane fantasia. Le Vite Parallele di Plutarco era il
suo libro favorito, che portò sempre con sé fino al giorno della sua
morte.
Ettore, d’indole irrequieta e vivace, occhi vivissimi e penetranti,
era dotato di forza fisica e agilissimo, di cui si serviva per la
difesa dei più deboli, che lo adoravano. Giunto all’età di
vent’anni, era ammirato per il portamento elegante e spigliato e per
la destrezza con la quale montava i più focosi cavalli. Egli amava
molto addestrarli da solo con estrema dolcezza, in quanto ripugnava
i sistemi violenti. Aveva insegnato ad un suo cavallo a salire con
estrema facilità la scala del suo palazzo, sito a S. Marcellino in
Napoli. (5)
“Ettore va tutti i giorni a cavallo: il padre gli
ha regalato un puledro bellissimo, devono ancora domarlo, ma il
ragazzo vuole fare da solo, non permette che sia picchiato
selvaggiamente, come è l’ uso. Ettore cerca con il suo puledro
un’intesa diversa dalla violenza che impone il più forte, si può far
muovere un animale come si vuole senza tormentarlo; non c’è solo il
linguaggio della violenza”. (6)
Dopo gli studi a Napoli entrò a far parte della Camera di Corte del
re Ferdinando IV di Borbone.
Il soggiorno napoletano fu decisivo per far maturare in lui un
rifiuto nei confronti degli ingranaggi della nobiltà. Il suo animo
provava una fiera indignazione per l’oppressione e la schiavitù del
popolo. “La corte di Napoli aveva ereditato dal Medio Evo la
superbia, non il valore né la fede. L’indirizzo politico era
tirannico ed immorale”. La famiglia, che nel segreto delle sue
aspirazioni lo conservava per le cariche onorifiche della Corte e
dello Stato, si convinse d’essersi illusa, quando le furono chiare
le tendenze rivoluzionarie del giovane Ettore, il quale, contro la
volontà del Duca suo padre, andò insieme al suo istitutore, Franco
Laghezza di Trani uomo di sentimenti liberali, in Francia, il luogo
in cui stavano maturando quelle idee rivoluzionarie, che dovevano
condurre all’affrancamento dei popoli.
Giunto in Francia nel 1787, aprì il suo animo alle più nobili idee e
completò l’educazione liberale avuta dal suo istitutore. Seguì con
passione la lotta di quel popolo che a poco a poco cominciava a
rivendicare i suoi diritti e si allontanò sempre più dalla tirannia
e dalle bassezze che regnavano a Napoli. (7)
Restò a Parigi finché poté e quando, al principio dell’ottantanove,
ritornò a Napoli, la sua indignazione contro la tirannia era
diventata odio: di nascosto, di dette con alcuni amici, a diffondere
le stampe della Dichiarazione dei Diritti e dei Doveri dell’uomo,
tradotte da lui stesso in italiano. Quella dichiarazione si
fondava su principi di alta morale, troppo alta perché la plebe
potesse intenderla. Il più potente motivo che separava la plebe
dalle classi colte era appunto l’ignoranza, di cui si serviva il
cattivo clero per paura nei confronti del giacobinismo che avanzava.
|
la Dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino |
Denunziato, venne arrestato e condotto in castel S. Elmo. Il 18
aprile 1798, con l’aiuto del fratello Carlo, Ettore Carafa fuggì per
mare. La sua fuga non fu dettata soltanto dall’istinto della propria
salvezza. Ettore aveva in mente un più nobile fine: quello di andare
a Milano, dove Bonaparte aveva istituito la Repubblica Cisalpina, e
a sue spese formare una legione per liberare Napoli dai Borboni per
istituirvi un governo liberale. Strinse amicizia col generale
Joubert, e al formarsi della Repubblica Napoletana, fu il più abile
e fortunato tra i condottieri volontari repubblicani.
Compì nel febbraio dell’anno successivo una prima spedizione per
ristabilire l’ordine nella provincia di Avellino.
Intanto, dopo la morte del duca suo padre, avvenuta il 23 giugno del
1797, Ettore era stato privato dal re Ferdinando IV di Borbone del
titolo di Duca tanto che, sino al 1804, Andria verrà compresa nella
Regia Corte di Napoli.
Le idee rivoluzionarie di Ettore si sviluppano sempre più. Con una
sua legione accompagna le colonne francesi comandate dal generale
Broussier nelle Puglie, però la Repubblica Napoletana non viene
accettata da alcune città pugliesi, tra cui Andria. (8)
“Era la settimana Santa, quante volte nel freddo
dormitorio del collegio, con gli altri bambini come lui lontano
dalle famiglie, il piccolo Ettore pensava ai fiori di Andria in
primavera, al bianco palazzo, al bosco, al vecchio castello e alla
Sacra Spina custodita nella cappella della chiesa maggiore di
Andria. Essa era il mistero del dolore che non finisce mai”. (9)
Il mistero della sacra Spina lo aveva toccato da vicino prima di
lasciare Andria per il collegio. Egli aveva avuto il privilegio di
prendere in mano la spina che era stata infissa nel capo di Cristo.
Il piccolo Ettore sapeva che quando il venerdì della passione
coincideva con il giorno dell’Annunziata (25 marzo), la reliquia si
copriva di sangue. Ora è un mistero che lo turba: l’annuncio
della vita è legato come la morte al sangue e al dolore, è un
presagio! La sua spina è ora la paura dei francesi, delle loro
stragi.
“Rispetto dunque al disastro sofferto dalla città di
Andria È da sapersi che la risoluzione presa da quella Popolazione
di levarsi in armi e resistere ai Francesi fu vie più fomentata
dall’arrivo di alcune centinaia di uomini armati de’ casali di Bari
che ivi si recarono per rinforzarla. Il conte di Ruvo che prevedeva
le conseguenze Che ne sarebbero da ciò derivate Fece tutto il
possibile per acchetare quella città Fino ad esporre la propria
vita. (Sono stato assicurato da persone ch’erano presso di lui E
dagli Andriesi istessi “cita Jatta” Il Carafa si portò fin anche
solo a cavallo fin sotto le mura di Andria Per parlare a quelli
abitanti, e ne fu corrisposto a colpi di fucilate tirate sia dai
cittadini istessi, sia dagli ospiti casalini ivi sopraggiunti, i
quali niuno interesse avevano alla salvezza di quella città)”.
Il Broussier, si era messo fra lui ed andria, era stato precipitoso
e crudele. Il Carafa giunse perfino a gettarsi alle sue ginocchia
per ottenere che fosse revocato l’ordine di saccheggio. E il
generale francese diede ai suoi uomini l’ordine di cessare il
saccheggio.
L’esercito del Conte Ettore era il vendicatore dei diritti civili
del popolo per abbattere il feudalesimo. Egli era venuto nelle
Puglie, ad Andria, per ristabilire l’ordine e per vederla liberata
dal giogo della schiavitù feudale e medievale.
Ma i grandi principi e i grandi ideali, prima della loro attuazione,
sono sempre preceduti da nobili vittime, e sventuratamente, Ettore
Carafa era destinato ad essere una di quelle.
Intanto la Repubblica Francese era scossa dalle rivolte tardive del
1799. La reazione in tutta l’Europa coalizzata e anche in Italia,
prendeva il sopravvento. Dalle province meridionali d’Italia
l’esercito Sanfedista del Cardinale Ruffo avanzava sulla capitale
con successo riconquistando il regno di Napoli. L’antico potere
assoluto era restaurato, e tutta la falange repubblicana dei
napoletani di quel tempo, tutte grandi figure, finì sotto la mannaia
(riservata ai nobili) o impiccati. Anche Ettore Carafa cadde nelle
mani dell’esercito reazionario.
Il Carafa, dopo Andria, fu mandato a Pescara per sostituire la
guarnigione francese, difendendo a lungo la piazza contro le masse
del capobanda Pronio, ma con una capitolazione, avvenuta in
circostanze poco chiare, si arrese e venne trasportato a Napoli
“in una gabbia di ferro” e rinchiuso nel Castello del Carmine.
(11)
Incatenato, ad Ettore misero anche un collare di ferro, tipica
tortura medievale, così aderente che gli impediva di coricarsi e
dormire. Poi lo infissero al muro con un gancio, in modo che se i
suoi piedi avessero sfiorato appena il pavimento, se avesse avuto
qualche minuto di sonno, il collo sarebbe stato stretto in una morsa
insopportabile;
“non da ucciderlo, il prigioniero doveva comparire
davanti al giudice, esibirsi in pubblico sul palco, davanti alla
folla…”
“E la sentenza era già stata scritta prima che il
processo si celebrasse, Ettore non ebbe nessuna possibilità di
difendersi”
Il 30 agosto, nello stesso Castello ebbe inizio il processo e si
concluse rapidamente il 2 settembre con la condanna a morte mediante
decapitazione.
Presidente del tribunale fu Vincenzo Speciale; il suo massimo
accusatore, il feroce giudice Guidobaldi, alla Giunta di Stato lo
voleva “affocato con strascino e tenaglie, indi fatto a pezzi,
bruciato e le sue ceneri sparse al vento” ; pene terribili, come
si vede, ancora una volta medievali, che mostrano come fosse
ritenuto colpevole e quanto fosse temuto.
Si dice che al giudice Sambuti, che lo svillaneggiava, il Carafa
avesse risposto: “Se fossimo entrambi liberi parleresti più
cauto; ti fanno audaci queste catene e che gli scuotesse i pugni sul
viso”. Poco dopo mezzogiorno, Ettore richiese il sacerdote della
Compagnia dei Bianchi, e con lui pregò, fino alle quattro del
pomeriggio. (12)
“Era la devozione appresa ad Andria,
dove la gente sapeva ancora morire per Cristo,
e che gli ricordava i genitori e i suoi primi anni
felici”. (13)
Il 4 settembre 1799, alle ore 21:00 uscì dal Castello “lacero, con
una lunga barba e quasi mostruoso”, fu portato in Piazza mercato
(14).
Rassegnato, ma intrepido salì sul palco, rivoltosi al boia gli
disse: “Dirai alla tua Regina come seppe morire Ettore Carafa”
e dopo essersi spogliato da solo, Ettore, dovendo morire di Mannaia,
volle giacere supino, per vedere, sprezzante scendere dall’alto la
lama.
Il suo corpo fu seppellito nella Chiesa del Carmine.
“La morte di Ettore Carafa costò 15 ducati e 62 grani.
Il boia ebbe 6 ducati, il suo aiutante 3.
Il resto servì per i chiodi del palco, affilatura
della mannaia ed altro”. (15)
|
Pescara, monumento a Ettore Carafa, Conte
di Ruvo, su Corso Conte di Ruvo. |
Dei suoi fratelli, tutti nati in Andria e cresciuti a Palazzo
Ducale, pochi sopravvissero e tutti colpiti da alterne vicende e
fortune.
I genitori di Ettore si erano trasferiti a Napoli tra la fine del
1791 e l’inizio 1792, e la famiglia aveva già subito gravi lutti e
cominciava a disperdersi.
La prima sorella Eleonora muore ventenne.
Fabrizio
il secondo, avviato alla carriera ecclesiastica,
ragioni non chiare lo portano in Liguria a Sarzana, dove muore
diciottenne, solo e lontano da tutti.
Carlo,
emigrò in Francia, anche lui religioso, muore a Napoli
all’età di cento anni.
Gennarino
(il solo che Ettore non aveva visto in tenera età
perché in collegio), anche lui muore in Andria nell’agosto del
1791, a tredici anni, forse consumato dalle febbri estive, tanto
diffuse allora in queste zone assetate.
Francesco, abate, il terzo dei fratelli, (da cui nasce
l’attuale discendenza della Famiglia Carafa Duchi d’Andria, Conti di
Ruvo, Marchesi di Corato e Duchi di Castel del Monte 1˚ Linea), già
nel 1790 si trova a Roma, al seguito dello zio materno Francesco
Pignatelli, futuro cardinale. Molto vicino ad ettore nel periodo
critico, dopo la sua morte viene incarcerato nella segreta del
coccodrillo, perché aveva combattuto al Ponte della Maddalena, in
qualità di milite della guardia nazionale a cavallo, contro le bande
del Cardinale Ruffo. Gli fu ucciso il cavallo e fu fatto
prigioniero. Ruffo impedì che fosse bruciato vivo.
Costanza e Maria Giuseppa si sposano l’una con Sittico
Altemps, l’altra con un nobile della famiglia Di Sangro.
Maria Luisa, dopo anni di indicibile agonia, sposerà nel
1803, un Caracciolo, quando sulla tragedia di Ettore è già stato
steso un velo.
In quello stesso anno anche Francesco, libero da vincoli religiosi,
prenderà in moglie Teresa dei principi Caracciolo di Santobono e la
famiglia continuerà, sotto gli occhi della duchessa Margherita e
finalmente in pace con il Re, tornato al suo trono di Napoli: e per
sugellare questa pace avvenuta ce lo testimoniano i nomi di
Ferdinando e Carolina, che francesco volle dare ai figli, in segno
di dignitosa devozione.
Bisceglie, 17 febbraio 2005
Pina Catino
con la consulenza di don Riccardo Carafa d’Andria XX Duca
(16)
La
linea diretta di Ettore
Famiglia Carafa prima Linea
|
Particolare dell'albero genealogico
famiglia Carafa della Stadera, anno 1.500ca. |
Per gentile
concessione del Principe don Carlo Fabio Carafa
d'Andria, che l'autrice ringrazia per averle data la
possibilità di consultare il libro reale, pagg.
463-464-465-466-467-468-469-470
“Genealogisches Handbuch der Fürstlichen Hauser”.
Hauptbearbeiter: Hans Friedrich v. Ehrenkrook,
Stellvertretender Präsident des Ausschusses für
adelsrechtliche Fragen der deutschen Adelsverbande.
Fürstliche Hauser Band VII, 1964. C. A. Starke Verlag,
Limburg a. d. Lahn. Begründet 1847 in Görlitz.
I duchi d'Andria e
Castel del Monte, conti di Ruvo, marchesi di Corato:
Francesco
(10.04.1772 - 26.06.1844), XIV duca, fratello di Ettore
martire del 1799
Riccardo
(01.01.1808 - 03.03.1849), XV duca, figlio primogenito
di Francesco
Andrea Antonio
(15.04.1809 - 12.05.1873), XVI duca, figlio
secondogenito di Francesco
Ferdinando
(30.10.1816 - 23.10.1885), XVII duca, figlio terzogenito
di Francesco e di Donna Teresa Caracciolo di Santobuono,
duchessa di Castel di Sangro, Marchesa di Bucchianico,
Contessa di Schiavi (20.08.1784 - 03.11.1852)
|
Ferdinando Carafa |
Riccardo
(11.12.1859), XVIII duca, figlio di Ferdinando; Senatore
del Regno. È l'autore della famosa monografia storica
dedicata alla vita e gesta di suo zio Ettore Carafa. Sua
moglie, la duchessa Enrichetta, fu famosa traduttrice
della Letteratura Russa.
|
Sen. Riccardo Carafa |
Antonio
(17.06.1887 - 13.02.1956), XIX duca.
|
Antonio Carafa |
Si ringrazia don
Riccardo Carafa, XX duca, per aver consentito la
pubblicazione dei ritratti di famiglia nel libro
"Ettore Carafa, la famiglia, i luoghi, la rivoluzione". |
Note
(1–5–7–12-15) Riccardo Carafa d’Andria: Ettore Carafa, Conte di
Ruvo, Monografia Storica. Tip. Elzeviriana, Roma 1886.
(3) R. Sgarra: Omaggio ad Ettore Carafa martire andriese della
Libertà. Premiato Stab. Tip. Bonaventura, Terlizzi, 1899.
(4-9-13) Maria Teresa Colangelo: Ombre sul mandorlo in Fiore;
biografia di Ettore Carafa. Tip. Fagiani, Pescara, 1991.
(8) Michele Palumbo: Andria Giacobina Il Significato e i
Fatti del 23 Marzo 1799. Sveva ed. 1999.
(10) G. Jatta: Cenno Storico sull’antichissima città di Ruvo,
Napoli 1844.
(11) Benedetto Croce: Rivista Popolare di Colaianni del
30 gennaio 1899.
(14) Marinelli: Manoscritto inedito della Biblioteca Nazionale di
Napoli.
(16) Paola Tavernini – Pina Catino: Ettore Carafa d’Andria, Conte
di Ruvo, Grafiche Guglielmi, Andria, maggio 2005.
Visita
la pagina sul
Volume "Ettore Carafa, la famiglia, i luoghi, la rivoluzione" a
cura di Pina Catino
Pubblicato on-line da "Il Portale del Sud", luglio 2008, su
gentile concessione dell'Autrice. |