In questo
articolo non parleremo di una semplice moneta, ma di una piccola
opera d’arte rinascimentale del peso di circa 30 grammi.
|
|
fig.1 Ducato d'argento, periodo 1567-1591.
Filippo II di Spagna regnante. Clicca sull'immagine per
ingrandire |
Filippo
II, figlio dell’imperatore Carlo V d’Asburgo, salì al trono di
Spagna all’età di ventinove anni, già vedovo di Maria del
Portogallo, sposò in seconde nozze Maria Tudor regina d’Inghilterra,
dopo circa due anni quet’ultima morì e salì al trono la celeberrima
Elisabetta I, gli inglesi infatti non riconobbero mai Filippo II
come loro sovrano.
Da quel
fatidico momento Filippo vide l’Inghilterra come la sua acerrima
nemica, tanto che durante il suo lungo regno (1556-1598) non ebbe
altro scopo che quello di essere sempre in conflitto contro gli
inglesi e, perché no, guerreggiare per qualche anno anche contro i
francesi (questi ultimi istigati contro gli spagnoli dal pontefice
Paolo IV, napoletano).
Le
ingenti quantità d’oro e d’argento che vennero estratte dalle
miniere sudamericane con il sacrificio di milioni di indios,
non servirono dunque a promuovere alcuna iniziativa per favorire lo
sviluppo economico, né servirono ad incentivare le poche e deboli
industrie artigiane, al contrario, furono sciupati tesori immensi
per finanziare tragiche guerre.
La regina
d’Inghilterra, per indebolire ulteriormente il suo avversario
spagnolo, finanziò una spedizione navale comandata da Francis Drake,
una gigantesca flotta di navi pirate che nel giro di pochi anni
depredò decine e decine di galeoni spagnoli, quando Drake tornò in
madrepatria, divise il suo mastodontico bottino con la sovrana, fu
l’inizio di un periodo brillante per gli inglesi, essi videro col
passare degli anni crescere la loro supremazia sui mari, mentre per
la Spagna, (compresi gli stati ad essa appartenenti), iniziò un
inarrestabile periodo di decadenza economica, morale e militare.
Di tutti
gli stati dipendenti dalla Spagna il regno di Napoli - amministrato
da un
vicerè - era quello che più risentiva della crisi. Gli spagnoli
videro l’Italia meridionale (Sicilia compresa) come una grassa vacca
da mungere ed estorsero in 204 anni di dominazione ingenti somme di
danaro, uomini e navi che dovevano servire a far fronte alle spese
delle loro inutili guerre. Il debito pubblico intanto crebbe
spaventosamente e “i grandi di Spagna”, insieme alla loro grande
corte, non fecero altro che pensare allo sport, al divertimento ed a
qualunque altra forma di spreco possibile, tutto questo
gozzovigliare fu possibile grazie ai sacrifici della plebe e degli
onesti cittadini che erano costretti a far fronte giornalmente alle
continue richieste di danaro. Le gabelle gravarono nella maggior
parte dei casi sui beni di prima necessità, basti pensare che un
commerciante doveva pagare il suo contributo ai gabellieri anche se
la merce non era stata ancora venduta e nel 1647 fu proprio la
pretesa assurda di una tassa sulla frutta che diede inizio alla
sanguinosissima
rivolta di Masaniello.
Ma adesso
torniamo a noi: nonostante questa situazione di sottomissione, nella
zecca napoletana del ‘500 venivano sfornati veri e propri capolavori
d’arte, vi furono alcuni maestri di zecca tra i più bravi d’Europa
tra i quali Giovan Battista Ravaschiero, operante nella zecca dal
1548 al 1567 e suo figlio Germano, dal 1568 al 1591.
Con
l’ascesa al trono di Filippo II, furono coniati a Napoli per la
prima volta i bellissimi e pregiatissimi Ducati d’argento, questi
“Patacconi”, così chiamati dal popolino, sono oggi considerati
piccoli esempi della fastosa arte rinascimentale e per quanto
riguarda il loro peso ufficiale non si hanno notizie precise. Ciò
nonostante gli autori del Pannuti-Riccio hanno ritenuto opportuno
riportare nella loro celebre opera il peso dichiarato dal Dell’Erba
che è di grammi 29,61, nella quasi totalità dei casi questo peso non
veniva rispettato in quanto il tondello d’argento veniva tagliato in
modo sbagliato ed era difettoso già prima della coniazione.
Di questa
situazione un po’ tutti approfittarono, difatti molti cittadini
disonesti (in alcuni casi, anche i coniatori), provvedevano a
tosarli, fortunatamente i Ducati e i mezzi Ducati non vennero tosati
avidamente poiché i “truffaldini” pensarono che le monete di grosso
modulo, a differenza di quelle più piccole, una volta depredate del
loro argento avrebbero dato subito all’occhio e così si limitarono a
tagliare solo l’argento che oltrepassava la perlinatura adiacente al
bordo. Altra sorte toccò invece a monete di taglio più piccolo, come
ad esempio; Tarì, Carlini e i famigerati Mezzi Carlini noti come
Zannette, la parte d’argento asportata arrivò addirittura a
pesare la metà della moneta stessa, questo genere di frode fece sì
che le monete assumessero le forme più strane e più bizzarre, tanto
che, nei primi decenni del seicento, poiché il circolante era in
gran parte composto da monete tosate, si arrivò addirittura ad
accettarle in pagamento a peso, senza tener conto del valore
nominale.
Il
“Pataccone” è una moneta ricca di varianti, pertanto bisogna
dividere il periodo di coniazione di quest’ultima in 4 fasi: la
prima è quella che va dal 1554 al 1556, in questo biennio Filippo II
era ancora principe di Spagna e non re, ad egli era stato però già
conferito il titolo di re d’Inghilterra, Francia, Napoli e
Gerusalemme. Sulle monete di questo periodo troviamo una sigla al
dritto, composta da tre lettere sovrapposte “IBR”, iniziali del
maestro di zecca Giovan Battista Ravaschiero, attivo già a Napoli
dal 1547 (fig. 2).
|
|
|
|
fig. 2, clicca sull'immagine per ingrandire |
La
seconda fase è quella che va dal 1556 al 1567, Filippo II dopo
l’assunzione del trono avvenuta nel 1556 viene riportato sulle
monete come re d’Aragona, di Sicilia e di Gerusalemme, in questo
periodo sono presenti su di esse ancora le sigle con le lettere
sovrapposte “IBR”, (fig. 3).
|
|
|
fig. 3, clicca sull'immagine per ingrandire |
La terza
fase è compresa nell’arco di tempo che va dal 1567 al 1591, i Ducati
sono molto simili ai precedenti ma la sigla stavolta è “GR/VP”
[1] - Germano
Ravaschiero. In questo periodo furono battuti per la prima volta
alcuni rarissimi Ducati riportanti la loro data di coniazione “1571
e 1572” (Pannuti-Riccio pag.114 n°11 e 12), fu coniato anche un tipo
di Ducato datato 1572 con il busto del sovrano che dimostra un età
più avanzata e una corona radiata sul capo, (moneta conosciuta in
pochissimi esemplari – Pannuti-Riccio pag.114 n°13).
La terza
ed ultima fase è quella compresa nel periodo che va dal 1594 al
1598. In questo periodo furono coniati alcuni Ducati datati 1596
riportanti il busto dell’oramai anziano sovrano volto a sinistra e
con una bella corona radiata sul capo,(moneta di grande rarità). La
sigla presente al dritto è del maestro di zecca Giovanni Antonio
Fasulo, che continuò la sua opera fino al 1611, (sigla IAF/C).
Secondo
alcuni documenti d’epoca riportati nell’opera del Dr. Giovanni Bovi,
sia Giovan Battista Ravaschiero che suo figlio Germano erano, oltre
che maestri di zecca, anche banchieri. Il nome di Germano comincia
ad apparire con l’appellativo di “Mastro” (maestro) già in alcuni
documenti contabili datati 31 Marzo 1568, la banca di sua proprietà
fallì nel 1573 ma essa fu riaperta l’anno successivo. Dopo circa
cinque anni (1579) Germano andò via da Napoli e la direzione della
zecca fu affidata per circa dodici anni ad alcuni maestri reggenti,
come ad esempio Giovanni del Castiglio che rimase in carica dal 1584
al 1589.
Durante
questo periodo di transizione (1579-1591) si continuarono a coniare
monete con le sigle GR/VP fino al giorno in cui la direzione della
zecca passò a Marco Antonio Leto (o de Leo) (1591-1594), in questi
quattro anni non fu coniato alcun Ducato d’argento dato che non se
ne conosce nessuno con la sigla “MAL”.
Come già
accennato precedentemente, i Ducati battuti durante il periodo di
Germano Ravaschiero sono così simili a quelli battuti durante il
periodo del suo predecessore tanto che molte opere sulle monete
napoletane li riportano elencati nella stessa tipologia. In effetti
quanto appena detto non è del tutto esatto.
Per
l’appunto, il Ducato in questione (fig. 1), è stato coniato nel
periodo che va dal 1567 al 1591 (sigla GR/VP al dritto) e si
differenzia in modo evidente rispetto ai tipi coniati
precedentemente (fig. 2): si notino infatti le numerose rughe in più
sulla fronte del sovrano (fig. 4) che evidenziano la sua età
avanzata, inoltre, confrontando l’esemplare della foto 1 con gli
altri, si notano anche alcune differenze per quanto riguarda la
grandezza e la forma della testa, per finire vediamo che i capelli
di Filippo II, sempre sull’esemplare n°1, sono più sottili rispetto
agli altri.
|
fig. 4 |
Per i
lettori più golosi infine, ho ritenuto opportuno mettere anche la
ciliegina sulla torta (fig. 5): come si fa a non notare l’ORRORE di
conio al rovescio? Al posto di “HILARITAS UNIVERSA”, (frase latina
augurale, patetica ed ipocrita, che tradotta in italiano vuol dire
allegrezza universale), vi è scritto “LILARITAS UNIVERSA”, ritengo
inopportuno e fuori luogo stabilire se l’errore sia stato fatto di
proposito o con disattenzione, ma una cosa è certa, dopo aver
consultato le decine di varianti riguardanti il Ducato di Filippo II
elencate sul Corpus, sul Cagiati, sul Pannuti e sul Bovi, è senza
dubbio questo, un PATACCONE INEDITO e INTERESSANTISSIMO.
|
fig. 5 |
Nota
[1] Dal
1561 appare accanto la sigla dei maestri di zecca
anche quella dei maestri di prova. In questo caso
“VP” sta per Vincenzo Porzio.
Articolo pubblicato nel Dicembre 2001
Pubblicazione on-line del Maggio 2008 |