Il componimento poetico di
Pietro da Eboli sulle acque termo-minerali, ubicate tra Napoli e
Baia e da lui genericamente detta “Terra di Lavoro”, scritto
nella seconda decade del sec. XIII e conosciuto sotto il titolo De
balneis Puteolanis, fu la fonte principale su tale argomento, alla
quale hanno fatto capo scrittori e poeti posteriori. Se non conoscessimo
tale opera, i reperti che riaffiorano appena si accenna ad uno
sterramento o prosciugamento resterebbero privi di tutti i motivi che li
riallacciano alla storia della medicina ed alla pratica terapeutica e
balneare.
Il nome dell’autore del De
balneis Puteolanis rimase nascosto dietro altri nomi fino alla metà
del diciannovesimo secolo, quando A. Huillard-Bréholles
identificò l’autore del trattato in un Pietro d’Eboli. Gli studiosi del
tempo, attraverso le loro ricerche, conclusero che probabilmente era un
medico della famosa Scuola Salernitana, non troppo fortunato poichè il
suo poema più famoso, il “De Rebus Siculis Carmen…”,
rimase ignoto per più di cinque secoli ed il “De balneis…”
attribuito, quasi per altrettanti secoli, ad altri autori. Da documenti
trovati dal prof. Siragusa alla mensa Arcivescovile di Salerno
sappiamo che Pietro visse tra il 1150 ed il 1220. Fu sostenitore
della Casa degli Hohenstaufen, nella corte sveva il suo estro
poetico aveva trovato piena libertà di espressione e sostegno tanto da
dedicare opere alla famosa casata.
Del “De
balneis…”si conoscono almeno ventidue esemplari (copie) dei secoli
XIII-XV, di questi dieci sono illustrati e dodici edizioni sono dei sec.
XIV-XV a dimostrazione della grande attenzione per le cure termali. In
quel tempo le cure termo-minerali costituivano un naturale interesse per
combattere quasi ogni genere di dolore mancando di analgesici e
sedativi. La maggiore opera di Pietro da Eboli è il “De Rebus
Siculis Carmen…”, dedicato all’imperatore Enrico VI. Le
notizie biografiche del poeta sono limitate a quanto ci ha rivelato di
se stesso in tale opera ed alla notizia contenuta in un paio di
documenti, che fa risalire la data della morte prima del luglio 1220.
Pietro da Eboli probabilmente fu chierico, infatti, per due volte
nelle miniature del De Rebus Siculis… è raffigurato con il saio e
la tonsura. Egli stesso dà notizie circa la sua attività letteraria e
proprio nel De balneis…, nella dedica all’Imperatore che conclude
l’opera, risulta ch’egli fu poeta di corte ed in tale qualità scrisse
tre opere. Inoltre, da questo poemetto offerto all’Imperatore
Federico II, apostrofato come ”Sol Mundi”, Sole del mondo. Da
cronache del tempo sappiamo con certezza che Federico II si servì
dei bagni di Pozzuoli nel 1227 “Imperator de Apulia tunc venit ad
Balnea Puzoli” come pretesto per non bandire una crociata o
perché veramente infermo, si sottopose alla cura idroterapeutica per
curare i mali che lo affligevano. Adottava comunque quotidianamente la
pratica del bagno, senza esclusione dei giorni festivi come allora
dettava la chiesa, unendo al senso di piacere che l’acqua gli dava, il
fine di un’attenta cura del corpo. Quindi Pietro, che ha già al
suo attivo tre opere scritte come poeta di corte, si compiace di
enumerarle tutte: la prima è il “De rebus siculis Carmen…”,
dedicato a Enrico VI padre dell’Imperatore, in cui dimostra tutta
la sua adulazione verso la casata sveva, e particolarmente verso
Enrico VI e i suoi partigiani, e malanimo con oltraggi e vituperi
indirizzati agli avversari ed in special modo a Tancredi. La
seconda cantava le gesta mirabili di Federico Barbarossa, padre
di Enrico VI, ma, purtroppo, è andata perduta; la terza
restituisce giusta fama alle acque termali di Pozzuoli, illustrandone i
luoghi, le virtù ed i nomi dimenticati. Nella dedica del “De balneis…,
Pietro chiede all’Imperatore Federico II di ricordarlo per
le sue opere e proponendosi di far ancora di più cantando le gesta
dell’augusto figliuolo da poco nato (il futuro Enrico VII).
È stato a
lungo discusso s’egli fosse, oltre che poeta di corte, anche medico di
professione: era nato a Eboli, non distante da Salerno, quando la Scuola
Medica Salernitana da secoli godeva di prestigio e fama internazionale,
pertanto, si potrebbe arguire che avesse contatti con quel mondo, ma gli
studiosi sono divisi nel dare un giudizio in merito. La cosa certa è che
questo poemetto ha un importante valore documentario per la pratica
della balneoterapia. Il trattamento termale che durava generalmente tre
settimane, aveva luogo principalmente in primavera o in autunno, al
riparo degli eccessi del clima. Il bagno era alla base di ogni cura: nei
primi giorni si cominciava con pochi minuti di immersione, per
prolungare il tempo man mano che il paziente si abituava al calore delle
acque. I bagni si associavano ad una serie di prescrizioni dietetiche e
igieniche basate per la maggior parte, sui principi tradizionali
codificati dal Regimen Sanitatis della Scuola Medica Salernitana.
Da poeta non
si dimostra come uno dei tanti imitatori dei
classici; ma, per la sveltezza della forma e la freschezza della
rappresentazione, forse il migliore fra i verseggiatori del suo tempo (Siragusa).
Il poema originale vergato dallo stesso Pietro è andato perduto,
ma il codice 1474 della Biblioteca Angelica è la copia più antica che se
ne conosca. Raccoglie ventisei carte comprendenti diciotto pagine
miniate e venti pagine di testo in versi che descrivono altrettanti “bagni”termali
con le virtù attribuite ad ogni tipo di acqua; ciascuna è accompagnata
da una miniatura a piena pagina, che illustra e amplifica il contenuto
del testo; il Codice
misura cm.15,7 x 19,6 è pergamenato e rilegato con
una copertina di epoca posteriore al manoscritto, anch’essa di pergamena
e chiusa da una bindella di pelle bruna. Come si legge a margine della
prima carta, appartenne ad un certo Mario Guidarelli; tuttavia
non si conoscono le vicende né la data in cui entrò a far parte della
raccolta di manoscritti della Biblioteca Angelica.
Il volumetto
è databile verso la fine degli anni cinquanta del secolo XIII ed è
attribuito ad una bottega napoletana impegnata attivamente per la corte
sveva; è un esemplare eccellente di produzione libraria di lusso, di
carattere scientifico-divulgativo. Pietro da Eboli lo scrisse tra
il 1211 ed il 1220 ed è un’accurata descrizione dei luoghi e delle
qualità delle acque; in tutto il lavoro traspare il tentativo di
auspicare il recupero archeologico delle antiche strutture termali,
maestose rovine che la tradizione medievale legava a miti e divinità
pagane, infatti, gli epigrammi del poema sono il frutto di conoscenza
degli antichi testi medici oltre che delle iscrizioni latine presenti
negli stabilimenti flegrei. Non si hanno notizie dell’autore che eseguì
le miniature del codice Angelicano, né se abbia tratto ispirazione
dall’originale, anche se qualche studioso ipotizza che l’opera autentica
fosse priva di illustrazioni. Altri sostengono che Pietro da Eboli
non avrebbe mai donato all’Imperatore un’opera priva di qualsiasi
apparato iconografico e solo una causa esterna avrebbe impedito a Pietro
il completamento dell’opera: la sua morte.
Il
manoscritto dell’Angelica è un esemplare di poco più tardi rispetto
all’originale, probabilmente dell’epoca di Manfredi (1232-1266),
figlio di Federico II e, rispetto ai 35 epigrammi che descrivono
altrettanti “bagni”della versione originale, ne riporta solo 18
di cui il primo è il proemio, gli altri epigrammi, fuorchè il primo, si
trovano al verso d’ogni carta, mentre le illustrazioni al recto. Non
tutti gli epigrammi si riferiscono all’illustrazione che hanno a fronte,
a causa della mutilazione sofferta dal codice che ha perduto diciotto
carte, compresa quella della miniatura dedicatoria, e per lo spostamento
d’un foglio avvenuto all’atto della rilegatura. Dal suo apparire, il “De
balneis…”, ebbe un grande successo editoriale e tra le tante
edizioni a stampa si trovano molte copie volgarizzate sia in italiano
che in francese. Nel commento che accompagna il manoscritto si apprende
che “il miniatore del codice della Biblioteca Angelica sembra essere
stato un artista operante nell’ambito dei soggetti sacri. E ciò ben si
confà alle vivace scene che illustrano un testo come il “De balneis
Puteolanis…, se pensiamo che la mitologia popolare medievale
associava alle località termali, fra acque sulfuree e vapori,
addirittura l’immagine inquietante del Purgatorio, scene nelle quali
figure di uomini e donne, disposte quasi sempre in più di una fila, sono
immerse nelle vasche e nelle pozze naturali fino al busto o alla
cintola. Oppure sembrano figure che aspettano il Battesimo della
moltitudine (il battesimo impartito da Giovanni alle folle che
accorrevano presso le rive del Giordano), iconografia che nell’arte
medievale si era andata affermando tra i scoli X e XI”. Il codice fu
oggetto di intense ricerche soprattutto a partire dalla fine
dell’Ottocento, oggi presenta una vasta documentazione bibliografica.
Le fonti da
cui provengono la maggior parte di queste notizie sono: 1) A.
Huillard-Bréholles –”Mémories de
la Società
des Antiquaries de France”,
XXI,1852 pp. 334-353. Nel 1852 identificò con certezza l’autore del De
balneis: Pietro da Eboli e non Alcadino Siciliano (XII
sec.) o Eustazio da Matera (XIII-XIV sec.) come fino allora
creduto. 2) E. Percopo – “I Bagni di Pozzuoli” poemetto
napoletano del sec. XIV, “Archivio Storico per le Province Napoletane”,
1886 ristampa anastatica A. Forni Editore 1974. 3) “L’antica
scienza campana del benessere: i Bagni di Pozzuoli e
la Regola
Salernitana”,
dal Ms. XIII. C. 37 della Biblioteca Nazionale di Napoli. Supplemento
alla rivista “La Provincia di Napoli” n. 5/6 – 1991. 4) Petrus de
Ebulo – “Nomina et Virtutes Balneorum sev de Balneis Puteolorum
et Baiarum”. Codice Angelico 1474, introduzione di Angela Daneu
Lattanti, Istituto Poligrafico dello Stato – Roma, gennaio 1962.