Romanzo
d’esordio e dunque formativo, o favolistico-formativo, ma anche
realistico e neo-realistico, surreale e psichedelico, ironico e
spietato, che si nutre di una visione del mondo articolata e ricca di
punti di vista sulla storia e sulla lingua.
In un
tempo andato con biglietto di ritorno
di Enrico Pietrangeli è un pellegrinaggio iniziatico nel caotico
‘omphalos’ della generazione del ’77 o, più precisamente, di quel gruppo
di adolescenti o poco più che contestava l’apparente tenuta di un
assetto politico già disgregato, da tempo in declino. Erano giovani
coinvolti in una politica ‘engagé’ della piazza, che rivendicavano
diritti e giustizia sociale e utilizzavano l’arte in modo spontaneo:
quella musicale ma anche quella visiva e letteraria. La musica, in
questo caso, è struttura portante, realisticamente e simbolicamente, ed
è colta in tutti i suoi aspetti più variegati e contraddittori.
Attraversa i generi, dall’underground al commerciale,
dalla disco-music al progressive, scandisce i blocchi
narrativi attraverso pertinenti riprese tematiche, avvicina i personaggi
tra loro, li isola, rappresenta classi sociali e contesti, fino a
diventare moda, tendenza.
Generazione
di intellettuali ma anche di “emarginati”, la definisce G. Ferroni nella
Storia della letteratura italiana, “uniti all’insegna di un
interesse del tutto strumentale per la poesia, puro pretesto per lo
sfogo di comportamenti alternativi”.
Argomento
scarsamente rappresentato nell’olimpo letterario, il movimento di
contestazione del ’77, in questo romanzo la fa da padrone con tutti i
suoi cliché, a tratti volutamente stereotipati o sgranati, che si tratti
della droga o della fascinazione per l’India, del noto raduno di poeti e
musicisti a Castel Porziano, fino a Massenzio, alla musica rock, pop e
alla Domenica Sportiva. Grazie a questi stereotipi, i personaggi
potranno conoscersi e riconoscersi in un circuito esistenziale
tragicomico e trasmettere una fotografia dell’epoca eroica e
trasgressiva: interpreti di vite ‘normali’ oltre che di confine, animati
da un profondo desiderio di riscatto. Per Lorenzo, indiscusso
protagonista, è dunque sperimentabile la scoperta, a tratti anche
distruttiva, di un sé ancora acerbo.
Roma e
dintorni, con sortite a Milano e Firenze, sono i luoghi dove la
conoscenza si nutrirà di curiosità adolescenziale, riuscendo a
sprovincializzare una cultura urbana da ‘stra-paese’. Ciò è possibile
per mezzo d’incontri con altri personaggi (Walter, l’amico del cuore;
Francesca, l’attrice matura e intelligente, o Mimì, la transessuale) in
una costante attenzione verso l’avanguardia modaiola d’oltreoceano.
Ovunque imperversano fenomeni come la ‘banana’ di Warhol, emblematico
orpello della pop-art, i nuovi ‘supereroi’ finalmente giungono in Italia
mentre si ascoltano ancora canzoni fissate da sempre nell’immaginario
collettivo, come Sound of silence di Simon and Garfunkel.
Questi ed
altri fermenti renderanno possibile la trasformazione di Lorenzo in
‘icona donchisciottesca’, eroicamente positiva, depositaria di saperi e
valori. La sua formazione si attesterà allora su tonalità picaresche e
sarà demandata ad un iter esperienziale fatto di ricerca e casualità più
che di apparati istituzionali quali scuola o famiglia, sovrastrutture
che il protagonista non intende ancora comprendere o che forse ha già
intuito e archiviato, coinvolto com’è nell’amore, nella musica e nel
sesso.
L’alternarsi
di un sé socialmente integrato e di un sé più devoto alla solitudine e
alla riflessione, malinconicamente ritratto nell’ascolto di Un uomo
in crisi di Claudio Lolli, permette all’autore di cimentarsi con
un’interessante architettura del personaggio. Un narratore profetico
scruta con attenzione ogni rocambolesca e ossessiva contraddizione
(caratteristica del ’77?). E’ ottocentesco nella sua
onniscienza-preveggenza, indiziario nei suoi caustici interventi che
commentano i fatti e forse, in quest’aspetto, riconducibile ad autori
come Balzac o Stendhal. La storia è impostata sul motivo di un
contrastato amore tra Lorenzo e Lucia e rimanda, anch’essa, sia per i
riferimenti onomastici manzoniani, che per la tematica sviluppata, ad un
impianto ‘ironicamente’ ottocentesco (chissà se, oltre a questa seconda
edizione in elettronica, altre ancora ne verranno rielaborate
dall’autore…).
Impedimenti
esterni, al di sopra della volontà dei personaggi, o ‘sortilegi’,
prendendo a prestito una definizione di Sklovskij utilizzata per i poemi
cavallereschi, incastrano Lorenzo e Lucia in una costruzione fatta di
corse e rincorse ma mai di coincidenze. Le complicazioni non sono
superabili in alcun modo se non attraverso un rituale di morte e
rinascita. Il capitolo in cui viene descritta la morte dell’amatissima
Lucia è uno degli esempi più riusciti d’innesto di registri a sfondo
melodrammatico. Alla disperazione di Lorenzo che apprende la notizia
dalla televisione, mentre freddamente gli racconta la morte in
diretta, fa da contrappunto poco dopo (ma con più di vent’anni di
anticipo) il sarcastico riferimento del narratore al genere televisivo
del ‘reality’. Lo scambio continuo tra parola e immagine non può
trascurare, d'altronde, allusioni alla ‘scatola’ televisiva e ai suoi
perpetui meccanismi come l’intramontabile connubio calcio-televisione,
né dimenticare il mondo della comunicazione sonora e visiva fatta di
telefono o telefonino, di cinema, pubblicità o chat-line. Strumenti
contestati, accettati e dunque utilizzati dall’autore, ma più spesso
trascritti da una telecronaca distaccata dell’epoca. La strutturazione
in capitoli-racconti scandisce una ripartizione a episodi da serial
televisivo, con ‘short-stories’ tematicamente autonome sebbene inserite
in una più ampia cornice di trama e supportate da una scrittura densa e
cinetica.
Ma come per
la definizione di ‘genere’, così per quella di ‘stile’ e ‘lingua’, è
necessario soffermarsi sui contrasti prima di arrivare ad una percezione
d’insieme. La sfida è tra lingua colta e linguaggio popolare, cruda
immediatezza e spigliata dialogicità (i dialoghi sono in buona parte in
gergo dialettale), prosa d’arte e poesia. Tra le numerose investiture
ricevute da Lorenzo, infatti, c’è anche quella di ‘poeta’. Un angelo gli
apparirà più volte, sia nel sonno che nella veglia, per eleggerlo a
cantore, spronandolo a fare buon uso delle ispirazioni attraverso
illuminazioni creative. Angelo custode, visione allucinata, icona
cristologica o pura intuizione? Forse, più semplicemente, un alter ego
di fantasia caduto sulla terra.
Miti e
archetipi delle origini sono evocati di continuo ma sfuggono dall’autoreferen-zialità,
contemplata semmai nella messa in scena di macchiette esilaranti. La
loro lucida definizione arriverà a distanza e sarà scandita da
un’ellissi temporale di circa vent’anni, corrispondente alla seconda
parte, il “biglietto di ritorno” dalla storia, appunto, ovvero gli
ultimi tre capitoli del romanzo. Ora lo slancio vitale della conoscenza
è diventato coscienza, evoluzione in senso bergsoniano. Lorenzo può
finalmente attestarsi quale ‘exemplum’ del suo tempo, come anello di
congiunzione tra passato e presente in bilico tra il ‘bianco e nero’ e
il ‘technicolor’.
Tempo
musicale, flusso interiore e tempo narrativo procedono di pari passo e
con armonia in un complesso gioco di rimandi, anticipazioni, flashback,
parallelismi cronologici e giochi anacronistici, come la citazione di
Chi l’ha visto ante litteram o la breve descrizione dell’144
(servizio erotico telefonico apparso alla fine del secolo scorso).
E poi c’è il
tempo del disincanto. Sono state superate tante prove e scoperti molti
enigmi. Le occulte alchimie degli eventi premieranno Lorenzo, ormai
adulto, trasformandolo in un personaggio-narratore, cantore della
memoria, e inventeranno, come testimone della narrazione, un
autore-personaggio che fatalmente scrive romanzi e vende al mercatino di
modernariato reperti sacrali di musica non riproducibile: - i vinili
- già nostalgicamente soppiantati non solo dai CD ma anche dai più
impalpabili MP3. Sacrale, a questo punto, diviene anche il risvolto del
racconto che tramanda esperienze e salva dalla morte.
Simonetta
Ruggeri, 2007
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