Prima di narrare le vicende di Palazzo Penne, tracciamo
un quadro storico del periodo in cui venne edificato e
del suo ideatore.
Antonio di Penne (o Penne), proveniva dalla cittadina di
Penne in Abruzzo, da famiglia borghese benestante. Fu
segretario, consigliere particolare di re
Ladislao d’Angiò Durazzo e “imperial notaro”.
Le prime notizie certe si hanno sono del giugno del 1391
quando era segretario di re Ladislao; nel 1399 ottenne
la nomina di compilatore di concessioni reali, nel 1403
è “pubblico apostolico imperiale notaro autorizzato
alla compilazione dell’atto di procura del matrimonio
tra il duca Guglielmo d’Austria e Giovanna Durazzo”
(la futura regina
Giovanna II).
Talmente elevato era il suo prestigio a corte, che
ottenne l’autorizzazione ad erigere il proprio monumento
funebre in Santa Chiara, luogo esclusivo della nobiltà
angioina, architetto il Baboccio, cui si attribuisce
anche la costruzione del palazzo. Ancora oggi si può
ammirare il monumento funebre, la struttura del
baldacchino e le due colonne poggianti su leoni, mentre
il sarcofago è posto nella seconda cappella a destra.
Baldacchino del Sacello di Antonio Penne,
chiesa di Santa Chiara, Napoli. Foto Ciro La Rosa |
Il palazzo Penne è l’unica testimonianza
dell’architettura civile del periodo “angioino-durazzesco”.
La scelta del luogo non fu casuale: il colle dell’età
ducale, fornito di acque provenienti dal colle stesso,
dall’aria salubre e lontano dai pericoli degli
smottamenti alluvionali. Occorre inoltre a considerare
che l’allora piano stradale esterno al colle era
all’incirca 5 metri più sotto dell’attuale. Il declivio laterale alla
costruzione è detto in napoletano “Pennino” (pendio): fu
trasformato in fondaco, quindi chiamato “gradini di
Santa Barbara”, e conduce nell’antichissima via Sedil di
Porto prospiciente al mare, prima che la colmata degli
aragonesi ne allontanasse le sponde.
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Sepolcro di Antonio Penne, chiesa di
Santa Chiara, Napoli. Foto Ciro La Rosa |
Il 1406 è l’anno della costruzione del palazzo, come lo
si nota dalla lapide che sovrasta l’arco: “Ventesimo
anno del regno di re Ladislao...” “XX anno regni
regis Ladislai sunt domus haec facte nullo sint turbine
fracie mille fluunt magni bistres
centum quater anni” (appunto il 1406), col
suggello di tre piccole penne; la dedica forma un sol
blocco con lo stemma di casa d’Angiò-Durazzo. La
concessione sovrana di fregiare il palazzo con le armi
ed i simboli della casata reale, nonchè l’approvazione
del blasone dei Penne, significò l’eterna protezione
alla famiglia Penne.
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Palazzo Penne, lapide con la datazione
della edificazione. Foto Ciro La Rosa |
Osservando la facciata colpisce il rapporto cromatico
tra i materiali: il bugnato di piperno che si alterna
con la “pietra dolce di monte” indicata come “tufo
piperino”, che in realtà è trachite: roccia compatta di
colore cinerino-giallognolo. Il frontone è formato da
archetti detti “gotici fiammeggianti” con la corona di
re Ladislao nel primo ordine ed al di sotto, alternati,
la Croce di Gerusalemme, lo stemma araldico di Maiorca
(i pali) e le fasce di casa Durazzo.
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Palazzo Penne, oggi secolo XXI. Foto Ciro
La Rosa |
Nella cornice del bugnato si notano le “penne” simbolo
del casato in tre file, sovrastate dai gigli angioini,
in onore di re Ladidslao, in sette file, mentre la
citata lapide comprensiva dell’arme angioina sovrasta
l’arco ribassato detto a “giogo”.
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Palazzo Penne, ingresso. Foto Ciro La
Rosa |
L’arco è il complesso architettonico che domina la
facciata, in marmo bianco e “portanova” rosato, nello
spazio tra l’arco e la cornice si notano due scudi posti
nei due angoli diametralmente opposti con tre penne,
quale emblema del possesso della casata.
Nel centro dell’arco vi è una composizione che
rappresenta lo spirito religioso e superstizioso di
Antonio Penne: delle nuvole stilizzate dalle quali
fuoriescono dei raggi (la luce divina) con due mani che
reggono un nastro recante incisi due versi di Marziale
(la preservazione dal malocchio)“Avi Ducis Vultu Sinec
Auspicis Isca Libenter Omnibus Invideas Nemo Tibi”
(Tu che non volti la faccia e non guardi volentieri
questo (palazzo) o invidioso, invidia pure tutti,
nessuno invidia te).
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Particolare del
particolare del bugnato con gli stemmi di casa d'Angiò e
di casa Penne. Foto Ciro La Rosa.
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La zona su cui affaccia il palazzo era lastricata con
mattoni di cotto detto “opera a spica” ossia a spina di
pesce, tracce del pavimento originario sono state
rinvenute nel 1999 ad una profondità di mezzo metro per
lavori di ripristino, pavimentazione occultata con i
lavori del Risanamento avvenuti nel 1889.
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Cortile palazzo Penne, notasi la volta
dell'arco maestoso murato. Archivio Ciro La Rosa da
Wikimedia Commons |
Il portone è in quercia, nonostante sia stato manomesso
nel corso dei secoli, è l’unico esempio di artigianato
con punte in acciaio, borchie in ferro dette “peroni”,
composta da archetti originali del periodo gotico.
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Palazzo Penne, degrado delle porte in
legno. Foto Ciro La Rosa |
Superato il portone si accede ad un cortile interno,
arricchito da un bel portico a cinque arcate con un
grazioso giardino ancora oggi in parte conservato. Sul
cortile, in origine, si affacciavano sedici scuderie per
circa quaranta cavalli e sei carrozze, mentre il
maestoso portico era adornato da statue di epoca romana,
tutto poi rimaneggiato nel 1740 ed occultato dalla
costruzione della casa del portiere e dai muri eretti a
sostegno della sopraelevazione, così come “L’Arco
Maestoso” del quale rimane solo la traccia nel muro.
Nell'appartamento al primo piano vi erano due saloni, di
cui uno affacciava sul porticato e l'altro su un cortile
che immetteva nel parco tutti col soffitto affrescato.
Nel cortile vi era una scala a chiocciola che conduceva
alle cantine che si trovavano al disotto del livello del
palazzo, di queste cantine sopravvivono quelle che si
trovano sui gradini di Santa Barbara, dalla quale strada
erano raggiungibili tramite due ingressi ora murati ed
appena percepibili. Una scala di piperno portava al
secondo piano, dove vi era una gran terrazza con la
balaustra sempre di piperno.
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Palazzo Penne, cortile interno e portico
scala settecentesca |
Alla morte di Antonio da Penne, il palazzo passò al
nipote Onofrio, finchè gli ultimi eredi (Fabrizio Penne,
Giuseppe e Giuliano Sapino Penne, e Giovanni Sorgente)
lo vendettero alla famiglia Rocca o Rocco e, infine, nel
1558, ad Aloisia Scannapieco Capuano che, a sua volta la
donò, in fedecommesso, al figlio Giovan Geronimo,
consorte di Lucrezia de Sangro.
Nel 1685 la casa fu acquistata dall'Ordine dei Padri
Somaschi, della vicina chiesa dei SS. Demetrio e
Bonifacio, e ad essi restò fino alla soppressione degli
Ordini religiosi. I padri Somaschi lo modificarono
secondo le loro esigenze trasformandolo in Noviziato e
celle per i Padri. Le trasformazioni occuparono quasi un
secolo, vennero costruite nuove case nello spazio del
giardino, mentre parte delle cantine sui Gradini di
Santa Barbara vennero trasformate in botteghe e case,
l’ultimo annientamento della struttura dell’antico
palazzo fu la distruzione della tettoia dell’ultimo
piano. Con l’arrivo della dominazione francese nel primo
decennio del XIX secolo, e l’emanazione della legge
sull’abolizione degli Ordini Religiosi nel 1806, il
palazzo venne posto in vendita e passò in proprietà
dell'abate Teodoro Monticelli, nobile dei baroni di
Cerreto, illustre vulcanologo.
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Cortile coperto - particolare |
Il Monticelli, appartenente all'Ordine dei frati
Celestini, fu insegnante di matematica nel collegio di
San Pietro a Majella, professore di Storia Ecclesiastica
e di Etica all'Università di Napoli nel 1789, ma a causa
delle sue idee liberali e per aver partecipato nel 1799
alla Repubblica Napoletana, fu condannato a scontare
dieci anni di carcere. Liberato quindi grazie
all'intervento di Papa Pio VII e, divenuto abate, poté
rientrare a Napoli. Si dedicò agli studi scientifici, in
particolare di geologia e vulcanologia; si occupò del
commercio di pietre preziose, il che lo rese molto
ricco, assicurandogli un'agiata vecchiaia, costituì un
vero museo di mineralogia e una ricca biblioteca al
terzo piano del palazzo frequentata da illustri studiosi
dell'epoca. Dopo la sua morte avvenuta nel 1845 il
patrimonio fu venduto all’Università, mentre del palazzo
ne restò custode il nipote Saverio Monticelli. A ricordo
del Monticelli fu affissa una lapide, voluta dalla
Civica Amministrazione nel 1909, posta la primo piano
del palazzo.
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Palazzo Penne, targa della Tutela Unesco
e Regione Campania. Foto Ciro La Rosa |
Nel 2002 la Regione Campania acquistò l'edificio per 10
miliardi di lire, da un privato che ne deteneva il
possesso, e che lo aveva modificato in sede di un bed
and breakfast. Il palazzo fu quindi ceduto in comodato
d'uso nel 2004 all'Università Orientale. Il progetto
prevedeva la realizzazione di un polo universitario con
laboratori, sale per seminari e convegni, servizi per
studenti. I lavori per il recupero dell'edificio non
furono mai avviati per la presenza nell’edificio di
occupanti abusivi. Nel 2007 gli intellettuali Alda Croce
e Marta Herling, figlia e nipote del filosofo Benedetto
Croce, ottennero la sospensione dei lavori abusivi
all'interno dell'edificio per la realizzazione di alcune
unità abitative da parte degli occupanti (lavori che
ripresero nonostante il divieto).
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Palazzo Penne, giardino. Foto Ciro La
Rosa |
A nulla valsero gli
appelli del Presidente della Repubblica Giorgio
Napolitano e dell'Unesco per l'avvio dei lavori di
recupero. Il 20 maggio 2008 sono state concluse le
indagini chieste dell'Unesco, con l'apertura da parte
della magistratura di sei fascicoli, riguardanti anche
il governatore Antonio Bassolino e l'allora Rettore
dell'Orientale Pasquale Ciriello per dal mancato
intervento restaurativo su un manufatto di interesse
storico e artistico.
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Palazzo Penne. Archivio Ciro La Rosa |
Nel novembre del 2009 il
Procuratore Aggiunto del “pool Ecologia” ne ha chiesto
l’archiviazione, dando la possibilità al Pubblico
Ministero di adire l’azione penale e di chiedere il
rinvio a giudizio degli indagati, Antonio Bassolino e
Pasquale Ciriello.
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Cortile interno. Archivio Ciro La Rosa |
L'accordo tra
la Regione e gli ultimi due privati, abusivamente
occupanti, ai quali è stata procurata dalla Regione una
residenza alternativa di loro soddisfazione, ha permesso
di porre finalmente l'intero palazzo sotto la
supervisione della Regione e dell'Università Orientale,
che dovranno accordarsi per l'intervento restaurativo e
la destinazione d'uso. Nel novembre 2008 sono stati
avviati i lavori di messa in sicurezza dell'edificio,
per evitarne un ulteriore degrado; un nuovo attacco
abusivo, stroncato sul nascere dalla Soprintendenza e
dal Comune di Napoli, è avvenuto nei primi mesi del 2009
quando l’albergo contiguo al palazzo voleva
impossessarsi del giardino.
Per ora l’unica certezza è il degrado e l’incuria che
ne fanno da padrone.
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Palazzo Penne, lato che costeggia i
gradini di Santa Barbara visto dal giardino. Foto Ciro
La Rosa |
La Leggenda di Palazzo
Penne
“O’ Palazzo ‘e Belzebù”
tradizione orale
“Il nobile messer Giovanni de Penne funzionario di
casa d’Angiò, venuto a Napoli al seguito dei francesi,
si innamorò di una splendida napoletana, la quale era
disposta a sposarlo solo se avesse costruito un palazzo
pari alla sua bellezza ed in una sola notte. Il nobile
chiese aiuto al diavolo, a Belzebù, il quale accettò in
cambio della sua anima. Il de Penne accettò firmando col
proprio sangue, ma riservandosi di inserire all’ultimo
una clausola irrilevante.
A mezzanotte le forze del male iniziarono il lavoro e
all’alba il palazzo era edificato;a questo punto Belzebù
chiese a messer Giovanni quale fosse l’ultima clausola
ed egli la illustrò: avrebbe sparso nel cortile uno
strato di chicchi di grano ed il diavolo avrebbe dovuto
raccoglierli tutti. Detto fatto, ma quando contarono i
chicchi ne mancavano cinque,messer Giovanni li aveva
impastati con la pece ed erano rimasti attaccati alle
dita del diavolo, il quale protestò reclamando la sua
anima, ma il de Penne si fece il segno della croce e il
diavolo sprofondò nel pavimento”
Ciro La Rosa
(ego sum)
Marzo 2010
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Palazzo Penne, particolare dell'edificio
interno. Foto Ciro La Rosa |
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Palazzo Penne, giardino angolo. Foto Ciro
La Rosa |