“Il Cunto - scrive il Di Palma - è prima di tutto, un elemento
del vasto affresco della cultura popolare siciliana, e se costituisce
anche una sopravvivenza del mondo medioevale non fa che arricchire lo
spessore della tradizione, senza metterne in crisi l’integrazione al
contesto culturale in cui ancora vive”.
Intento primario del Cunto era quello di comunicare emozioni e ricordi
che ci appartengono come persone e come appartenenti ad una ben precisa
comunità. Non è un caso che le storie anche se conosciute, con alcune
varianti, in più parti della Sicilia vengano di volta in volta
ambientate nel proprio paese.
Il “Cunto” non è sempre favola e non sempre ha scopo educativo, può
essere novella, leggenda, aneddoto, storia o un semplice bozzetto.
Ancora più spesso è il semplice piacere della narrazione che deve
suscitare stupore e educare al piacere di ascoltare per imparare, a
propria volta, a raccontare. “Si cunta e s’arricunta” è infatti
l’incipit di ogni storia.
Emilio Milana,
un ingegnere elettronico, vissuto Marettimo fino all’età di 11 anni e
con alle spalle una brillante carriera negli Usa e in Giappone, arrivato
alla maturità non si accontenta più di capire come funzionano le cose,
ma vuole capire perché funzionano e poiché - come ci spiega egli stesso-
non arrivare al “perché” non c’è niente di meglio che cercare di capire
l’uomo, alla fine è approdato alla saggistica storico-antropologica e
prende spunto dai “Cunti” per un suo personale viaggio nel tempo e nello
spazio della galassia egadiana culla del suo substrato culturale più
profondo.
Ciascun Cunto, ne ha scelti 33, un numero magico, è infatti preceduto da
un'introduzione che ne espone gli aspetti storici, letterari e
folcloristici, ed è accompagnato da note a piè di pagina che presentano,
senza appesantire il testo, approfondimenti scientifici ed etimologici,
nonché un’ottima trascrizione in italiano, dove necessario.
I Cunti sono illustrati dalle vignette di Claudio De Maria e arricchiti
da molte vecchie fotografie. Da ottimo scienziato quale è Milana correda
il suo testo con una vasta bibliografia, cita tutte le sue fonti ma
soprattutto attinge ai suoi ricordi personali trasmettendoci, per
iscritto, quello che era un patrimonio orale di grande valore.
Il suo excursus sul Cunto siciliano, che va dal mitico Cola Pesce alle
Animulare o alle “fimmine di fora” o al sempiterno Giufà, si conclude
tuttavia con una punta d’amarezza, nessuno ha più voglia di inventare o
raccontare un Cunto. Perché? si chiede l’autore e lo chiede anche ai
suoi lettori. Forse perché nessuno oggi ha più voglia o forse non ha più
la capacità di immaginare un mondo che non sia legato esclusivamente al
profitto.
Fara Misuraca
Marzo 2012 |