Numismatica

I misteri in medaglia

del Bacino di Raddobbo

a cura di Francesco Di Rauso

 

Si ringrazia per la gentile collaborazione il Dr. Salvatore D’Auria

In questo articolo cercherò di non prolungarmi sulla descrizione e la storia del bacino di carenaggio (o bacino di raddobbo [1]), già abbondantemente documentati due decenni fa da Michele Pannuti in un suo articolo (cfr. Bollettino del C.N.N. 1987-1990 – La medaglia commemorativa per il bacino di raddobbo di Napoli [2]), cercherò, piuttosto, di evidenziare la medaglia nella sua particolarità artistica e decifrare un misterioso logo al rovescio passato inosservato agli occhi di tanti studiosi e collezionisti.

Il mio primo approccio con questa medaglia lo ebbi qualche anno fa quando mi capitò di studiare da vicino gli unici esemplari in oro ed in argento provenienti tutti dallo stesso proprietario, nell’osservare (meglio se con un occhio chiuso) il dritto quasi di taglio, anziché di profilo, vidi un qualcosa difficilmente riscontrabile su altre medaglie, per non dire unico ……… il riflesso dell’effigie in altorilievo rispecchiando sui fondi antistanti, forma un’immagine frontale (a tutto tondo) del volto del Principe d’Ischitella. Qui di seguito un’immagine del taglio inclinato della medaglia (cfr. immagine 1). L’effetto tridimensionale è sorprendente!

1

Il fatto di aver creato una medaglia che con il solo riflesso sulla propria superficie producesse un intero volto non fu una banale casualità, bensì una rara espressione artistica, in grado di sbalordire i numismatici nei secoli avvenire. Agli artisti napoletani dell’epoca, si sa, non mancava certamente una buona dose di originalità ma, in particolare, nella medaglia sub judice, l’armonia delle linee e dei rilievi sono dimostrazioni della grande abilità del Catenacci…… riuscito a dare qui il meglio di se stesso. Egli non ebbe nulla da invidiare agli “scultori” dell’epoca, fu un artista al passo con i tempi. Si noti al dritto una certa semplicità intorno all’effigie del Principe, in pratica ….. tutto ciò che non riguarda il volto non risulta enfatizzato, basta una semplice scritta…. “FRANCESCO PINTO PRINCIPE DI ISCHITELLA”. Tutta l’attenzione deve essere per il volto del protagonista. Sul petto un semplice mantello, come descritto dal D’Auria nella didascalia … busto ammantato

A conferma di quanto appena accennato sulla semplicità del dritto si noti la totale assenza delle tante decorazioni sul petto (decisamente meritate), presenti invece nell’immagine ottocentesca dell’Ischitella (cfr. immagine A).

A. Immagine ottocentesca raffigurante il Principe d’Ischitella. Sulla divisa sono presenti le onorificenze e le decorazioni militari menzionate nella seguente biografia.

Il busto venne raffigurato a sinistra e non diversamente per mettere in risalto la fila nei capelli dove realmente posizionata e precisamente alla sua sinistra, proprio come risulta nell’immagine A.

Dulcis in fundo, si noti l’esasperante precisione con la quale vennero incisi capelli, barba e baffi …… è facile riuscire a contare ogni loro singolo componente.

2A

Spostiamo ora la nostra attenzione sulla figura storica del protagonista di questa medaglia ….. Per quale motivo venne coniata una medaglia con l’effigie di un ministro e non del sovrano per commemorare un’opera di tale importanza? Quest’ultima, costata all’epoca ben 300.000 Ducati e l’impiego di 1600 operai! Chi era costui, ritenuto così importante tale da essere “scolpito” al dritto al posto di Ferdinando II?

Il Generale Francesco Pinto y Mendosa Principe d’Ischitella era il ministro della Guerra e della Marina del governo del Regno di Ferdinando II e proprio come recita il motto al rovescio della medaglia, l’opera venne portata a termine (dopo numerosi problemi tecnici ed accanito ostruzionismo) con VOLONTA’ E FERMEZZA nell’Agosto del 1852 (l’opera [3] fu iniziata nell’Aprile del 1850, dopo la tragica rottura della prima struttura a causa di una mareggiata venne ripresa il 12 Maggio del 1851 e portata ugualmente a termine). Al Principe d’Ischitella quindi, va il merito di aver capito più di tutti l’importanza strategica dell’opera e la tenacia con la quale portò a termine l’opera fu notevole. Il Regno delle Due Sicilie disponeva all’epoca della quarta flotta mondiale e soprattutto, ai fini militari, era necessaria la costruzione di una struttura in grado di effettuare le riparazioni alle navi da guerra a vapore, fino a quel momento sottoposte a costose manutenzioni, queste ultime, per forza di cose, effettuate all’estero.

Francesco Pinto y Mendosa (Napoli 8-7-1788, ivi 1-4-1875) era figlio del Principe Pasquale direttore nel 1798 della Scrivania di Razione della corte di Ferdinando IV. Francesco Pinto y Mendosa fu con Carlo Filangieri il più noto esponente dei militari murattiani passati nell’esercito borbonico…… Capitano degli ussari della Guardia Reale del 1809 e caposquadrone nel 1810, fu nominato nel 1812 aiutante di campo di Murat. Nella Campagna di Russia come ufficiale del reggimento comandato da Lucio Caracciolo di Roccaromana, fu ferito nella battaglia della Moscova e decorato con la Legione d’Onore. Promosso colonnello nel Settembre 1812, fu nominato nel Gennaio 1813 comandante in seconda dei cavalleggeri della Guardia Reale, con i quali partecipò alle battaglie di Dresda e di Lipsia, meritando il Gran Cordone dell’Ordine delle Due Sicilie e la promozione a ufficiale della Legione d’Onore. ….. I Borbone lo considerarono infatti, per il suo attaccamento a Murat, indesiderabile come il Roccaromana e non gli permisero di lasciare Roma. Ma nel 1818 Ferdinando I incontratolo a Roma, gli concesse, come al Roccaromana, il ritorno e il reintegro nel grado. Nel 1821, gli fu affidata la brigata di cavalleria formata dal I e II Dragoni. La caduta, in seguito all’invasione austriaca, del governo costituzionale imposto dai carbonari gli costò nel Luglio del 1822 una seconda epurazione. A differenza degli altri più compromessi, Ischitella riuscì a rimanere nel regno dedicandosi all’amministrazione dei suoi beni. Era entrato in possesso di una grande estensione di terreno paludoso, l’attuale Villaggio Ischitella[4], a quindici miglia da Napoli, e si dedicò con passione alla sua bonifica………. Nel Gennaio del 1840 gli fu concesso finalmente il grado di maresciallo di campo onorario e nel 1843 il Gran Cordone dell’Ordine di S.Giorgio della Riunione. Quando nel Gennaio 1848 Ferdinando II concesse la costituzione il Principe d’Ischitella era al suo seguito nella passeggiata a cavallo che il re fece per la città per ricevere gli omaggi della folla festante. Questi contatti con il Re gli procurarono, il 27 Gennaio 1848, il riconoscimento del grado effettivo e il 20 Febbraio la nomina a suo aiutante generale. Si trovò così, vicino al Re il 15 Maggio 1848, sostenendo nei propositi di resistenza alle richieste dei deputati sul giuramento e nella decisione di far demolire le barricate. Fu uno dei generali che con più decisioni diresse le operazioni per reprimere la rivolta, meritando la riconoscenza del Re che lo ricompensò in vari modi. Ministro della Guerra e della Marina nel nuovo governo del Principe di Cariati il 16 Maggio; commendatore di San Ferdinando il 27 dello stesso mese; il 26 Giugno 1848 il Principe fu nominato come pari del Regno. ….... Un’altra realizzazione del Principe fu la costruzione alla darsena di Napoli del bacino di raddobbo, opera che consentiva alla Marina napoletana di essere autosufficiente per le riparazioni delle navi a vapore. La costruzione del bacino fu decisa nel 1851 e terminata nell’Agosto 1852 con una spesa di trecentomila Ducati, e il ministro per tale realizzazione fu insignito dell’Ordine di San Gennaro……... dopo la caduta del Regno delle Due Sicilie mantenne sempre i contatti con la corte borbonica e si affermò sempre fedele ai Borbone, pur polemizzando duramente con Pietro Calà Ulloa, che aveva criticato il suo operato nella crisi finale del regno. Rientrato a Napoli dopo il 1870 si spense in una sua villa a Capodimonte e la notizia della sua scomparsa non ebbe alcun rilievo sui giornali del tempo. (fonte della biografia e dell’immagine precedente: Album della fine di un Regno – Carlo di Somma del Colle – Electa Napoli, 2006 – pagg. 81/82)

Analizziamo ora la medaglia partendo dal dritto …..

 2. clicca sull'immagini per ingrandire

Medaglia 1852 in Argento. Diametro 58 mm. Coniata a Napoli. Per l’inaugurazione del bacino di carenaggio nel porto di Napoli. (Opus: Scipione Catenacci)

Al dr./ FRANCESCO PINTO PRINCIPE DI ISCHITELLA, busto ammantato a sinistra del Ministro della guerra e della Marina.

Al rov./ FERDINANDO II RE DEL REGNO DELLE DUE SICILIE. Nave “Vesuvio” [5] nel bacino, in fondo il palazzo Reale e Sant’Elmo. In basso SCIPIONE CATENACCI FECE. All’esergo: VOLONTA E FERMEZZA / 15 AGOSTO 1852. Sotto: la lettera B (eseguita con carattere calligrafico) sovrapposta da due “magugli”

(Ricciardi 201 [6]. D’Auria 238)

Va detto che ufficialmente la coniazione di una medaglia non poteva aver luogo senza l’autorizzazione del sovrano, solitamente quest’ultimo, dopo aver preso visione del disegno o del progetto, poteva decidere se farla coniare o meno. Autorizzare la coniazione di una medaglia che raffigurasse un ministro al dritto fu un caso unico nella storia del Regno, ciò venne ritenuto il più grande tributo che un uomo di governo potesse ricevere. Il Principe d’Ischitella fu tra i migliori ufficiali dell’esercito di Gioacchino Murat e la carica che ebbe successivamente durante il Regno dei Borbone ci fa comprendere quanto questi sovrani furono monarchi illuminati e quanto per loro fu importante, per il bene della società, inserire nel proprio governo gli uomini migliori, questi ultimi scelti in base a criteri meritocratici, mettendo da parte rancori e vendette.

Tuttavia in questa medaglia non c’è solo il Principe d’Ischitella, il nome di FERDINANDO II RE DEL REGNO DELLE DUE SICILIE fa da padrone sul lato dove ora sposteremo la nostra attenzione… al rovescio…

La scena qui scolpita raffigura la poppa della nave “Vesuvio” poggiata sulla platea [7] con una piccola struttura in muratura in basso. A prima vista potrebbe sembrare il bacino di carenaggio nel momento in cui la barca porta [8] è in fase di apertura... in realtà la barca porta è sul lato opposto, infatti, se quest’ultima fosse in fase di apertura si sarebbe verificato l’immediato allagamento del bacino ed il conseguente galleggiamento della nave. Ciò è evidente anche dalle diverse scene raffigurate sui dipinti (cfr. immagini B e C)

3

...La scena presente sul rovescio della medaglia (cfr. immagine 3) è tratta proprio da un celebre dipinto ad olio su tela del pittore napoletano Salvatore Fergola, raffigurante il bacino di carenaggio nel giorno dell’inaugurazione (15 Agosto 1852), un dipinto attualmente presente nel Museo di San Martino (Napoli)……

B
c
 

…possiamo quindi ritenere che questa medaglia è l’unica testimonianza del noto avvenimento scolpito in bassorilievo. Qui di seguito il disegno originale della medaglia offerta dal Duca di Rivera al Principe d’Ischitella.

4

Nel disegno, come da sempre nella medaglia, si nota una sorta di logo al rovescio e precisamente nella parte inferiore dell’esergo (cfr. immagine 5) …

5

La presenza della lettera “B” in carattere calligrafico (cfr.immagine 5) è segnalata per la prima volta nella didascalia di questa medaglia nell’opera “Il Medagliere” (S.D’Auria – Napoli -2006) al numero 238. Ciò che però rende questa semplice sigla ancor più interessante è la presenza di due linee con l’estremità ricurve sovrapposte ad essa. Navigando sulla rete abbiamo notato su un interessante sito di modellismo navale (http://ordigno-model.blogspot.com/) che questi due attrezzi venivano usati dai calafati e sono noti con il nome di “magugli”, strumenti che servivano per il calafataggio [9] degli scafi delle imbarcazioni in legno. Il verbo "calafatare" deriva dal latino "cala facere" che significa fare calore….. per ripulire superfici incrostate da ripristinare; questa operazione veniva fatta sulle carene delle navi per renderle stagne. Infatti, il fasciame della zona immersa (opera viva) veniva impeciato con bitume per proteggerlo e stagnarlo. Periodicamente, per rinnovarlo o per eseguire riparazioni, doveva essere asportata la pece precedentemente applicata con il calore, cioè a fuoco. Successivamente alla cottura, si eseguiva la chiusura stagna delle commensure delle tavole con stoppa pressata, ed in seguito la carena veniva ricoperta con pece calda stesa con rudimentali pennelli, costruiti con pelli dl pecora legate ad un bastone ed immersi nelle pece calda liquefatta in un paiolo sopra un braciere. Nei cantieri e negli arsenali i calafati erano maestranze tenute in grande considerazione. Per la qualifica di stagnatore di vie d'acqua, il calafato, insieme al carpentiere, veniva imbarcato in numero vario sulle navi, soprattutto su quelle da guerra per intervenire prontamente a chiudere le falle provocate dalle palle di cannone dei cannoni nemici. Nelle navi durante il combattimento i calafati erano sempre pronti ad affrontare tali emergenze ed a chiudere eventuali vie d' acqua (cfr www.maestriasciaecalafati.com).

Per definizione, il Calafataggio è "l'operazione atta a rendere stagno uno scafo in legno, riempiendo ogni fessura tra i comenti del fasciame".Alla voce "Calafato" il dizionario riporta "operaio specializzato nel calafatare" cioè nello stoppare e incatramare le fessure di una nave, per renderla impermeabile all'acqua. La presenza quindi dei due magugli sovrapposti alla “B”, quest’ultima, iniziale di Bacino, indica quindi che dopo tante vicissitudini e problemi tecnici, il bacino venne impermeabilizzato e portato a termine con volontà e fermezza, proprio come testimonia il motto nell’esergo del rovescio della medaglia e le cronache dell’epoca.

D
E  

Le due immagini precedenti (cfr.immagini D ed E) rappresentano gli strumenti usati dal calafato.

F  

Giornale del Regno delle Due Sicilie del 16 Agosto 1852 n. 177

Era il mattino di Domenica 15 Agosto 1852, festività dell’Assunta. La lunghissima banchina del porto militare fu trasformata in loggiato mentre dal grembo ellittico del bacino sorgeva il Real Vascello “Vesuvio”, costruito nel 1824, per essere racconciato: sulla sua poppa la cappella per la celebrazione del rito di propiziazione. Sulla banchina del molo militare, sin dalle 10 antimeridiane era schierato un battaglione del reggimento Real Marina e i distaccamenti di tutti i corpi della guarnigione di Napoli, in gran tenuta, tutti con le rispettive bande. Il Cappellano Maggiore ed il clero palatino erano dentro la Cappella eretta sul “Vesuvio”. Erano presenti i comandanti e ufficiali della flotta francese, lo Stato Maggiore, il Corpo dei Ponti e Strade, il Governatore di Napoli, i capi delle Direzioni di Artiglieria e Genio, gli ufficiali Generali. Il palco a dritta della tribuna era occupato dal Corpo Diplomatico, dal Conte D’Aquila Luigi Carlo Maria di Borbone, fratello del Re, Vice Ammiraglio e Presidente del Consiglio dell’Ammiragliato, dal Contrammiragliato, dai capi di Stato Maggiore della Flotta francese, dai Ministri Segretari di Stato, dai capi di corte, da dame e gentiluomini della Real Camera, dal Sindaco di Napoli, dai componenti del Consiglio dell’Ammiragliato.

Alle ore 11 arrivarono le LL.MM. con la famiglia reale, mentre dai legni da guerra partì una salva da 21 colpi di cannone.

Indescrivibili le scene di giubilo della folla, calcolata in circa 20mila persone fra cui 599 forzati, che avevano contribuito alla realizzazione dell’opera, ai quali veniva notevolmente ridotta la pena da espiare. Terminata la Messa, il Cappellano Maggiore benedisse il bacino, mentre una salva delle batterie del Corpo Militare annunciava che S.M. il Re si allontanava per prendere posto sul “Tancredi”. Su tale vascello era stato approntato un banchetto di cento coperti cui presero parte il Re, la Regina Maria Teresa, il Vice Ammiraglio Conte D’Aquila, il Contrammiraglio, Il Generale Filangieri Duca di Taormina, Francesco Pinto Principe d’Ischitella…

Concludo l’articolo dedicando queste mie ricerche alla memoria dei 1600 protagonisti sconosciuti, che portarono a termine la costruzione di questa opera e tante parole d’elogio alla memoria dell’incisore di questa medaglia, vera e propria opera d’arte.


Bibliografia

  • Eduardo Ricciardi – Medaglie del Regno delle Due Sicilie 1735-1861 – Napoli – 1930

  • Michele Pannuti - Bollettino del Circolo Numismatico Napoletano anno LXXII 1987-1990

  • Salvatore D’Auria – Il Medagliere, avvenimenti al Regno delle Due Sicilie, già Regno di Napoli e Regno di Sicilia 1735-1861 – Napoli – 2006.

  • Ischitella e il Varano. Dai primi insediamenti agli ultimi feudatari - di Teresa Maria Rauzino e Giuseppe Raganella - 3° volume, collana editoriale I Luoghi della Memoria del Centro Studi Giuseppe Martella di Peschici, Cannarsa – Vasto - 2003

  • Carlo di Somma del Colle Album della fine di un RegnoElecta Napoli, 2006.


Note

[1] Il termine "raddobbo" è caduto in disuso, o utilizzato con significati diversi. Oggi si definirebbe "bacino di carenaggio": anche le navi di oggi, in acciaio, hanno bisogno di cicli periodici (messa a secco), per il ripristino dei trattamenti di antiruggine e antivegetativo all'opera viva (la parte della carena normalmente immersa). All'epoca, lo scopo precipuo cui era destinata l'installazione, era quello di permettere il ripristino dello stagno del fasciame in legno dell'opera viva, attraverso le operazioni di calafataggio. Con l'occasione, venivano eseguite altre attività di manutenzione, quali verifica e sostituzione del sartiame (attrezzature in corda per le vele).

[2] Nell’articolo di Michele Pannuti apparso sul Bollettino del Circolo Numismatico Napoletano anno LXXII 1987-1990, e consultabile su questo sito cliccando qui, viene descritto il bacino di raddobbo ed il suo funzionamento nei minimi dettagli. Questo articolo è basato sulle notizie estrapolate da cronache ed illustrazioni d’epoca come ad esempio G.V. Curcio, B. Quaranta e D. Cervati – Napoli, Tipografia Militare, 1852 ed il Giornale del Regno delle Due Sicilie del 16 Agosto del 1852 n°177.

[3] Esso constava di una immensa vasca ellittica lunga 312 palmi napoletani (cioè 82 metri), larga 84 palmi (22 metri) e profonda 30 palmi (8 metri) e quindi adatta al raddobbo di vascelli e fregate. (cfr. articolo di Michele Pannuti sopra-citato).

[4] Il nome della città presente nel titolo del Principe Francesco Pinto y Mendosa si riferisce alla città di Ischitella, storica cittadina sul Gargano (odierna provincia di Foggia), da non confondere quindi con la località di Ischitella (all’epoca zona paludosa) nell’odierna provincia di Caserta. Il Dizionario storico-geografico di Lorenzo Giustiniani, edito nel 1806, alla voce “Ischitella” recita: “Terra in provincia di Capitana­ta, in diocesi di Manfredonia, distante da Lucera miglia 48 circa. Ella vedesi edificata in una collina a vista dell’Adriatico, che l’è a poca distanza, e che forma alla medesima un ameno e vasto orizzonte. Alle radici della sua collina sonovi delle picciole valli, e di là, delle altre collinette, e guarda pure il Gran Sasso d’Italia. L’aria che vi si respira è salubre in tutto il corso dell’anno per quanto attestano i suoi naturali”.

[5] Vascello da tre alberi a vele quadre e ottantaquattro cannoni. Venne costruito nei cantieri navali di Castellammare di Stabia ed varato il 2 Dicembre 1824.

[6] Al numero 201 dell’opera di Ricciardi, questa medaglia viene riportata con il rovescio al posto del dritto e viceversa. Grazie al documento originale riportato nel presente articolo (cfr. immagine 4) si può affermare con certezza che il dritto è quello raffigurante il Principe d’Ischitella.

[7] La platea è il nome utilizzato per definire il fondo del bacino.

[8] La barca porta è, come dice il suo nome, una porta che può galleggiare. Serve a ostruire l'ingresso dei bacini in muratura, è composta da una serie di casse stagne che vengono allagate per affondarla nella sua sede all'imboccatura del bacino di carenaggio permettendone lo svuotamento. Svuotando le casse si fa galleggiare, una volta allagato il bacino, in modo tale da rimuoverla dalla sua sede e liberare il transito ai natanti in bacino (fonte: Wikipedia).

[9] Il calafataggio veniva eseguito nel seguente modo: dati i forti spessori delle tavole di fasciame le commessure venivano allargate per alcuni metri di lunghezza fasciame, utilizzando scalpelli posti perpendicolarmente alle tavole, poi con un raschino ad uncino chiamato "maguglio" veniva asportata la vecchia calafatura…… (fonte http://ordigno-model.blogspot.-com).


Articolo pubblicato su Cronaca Numismatica, Novembre 2009


Pubblicazione Internet del Portale del Sud, Maggio 2010

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