Nel quadro delle laboriose ricerche sulle vite degli
uomini illustri di Eboli, mi sentirei colpevole se non
includessi anche la vicenda biografica di Francesco
Malacarne, uomo completamente sconosciuto nella sua
città. Ci offre notizie sul suo casato lo scrittore
Ottavio Beltrano, che include la stirpe Malacarne fra le
famiglie nobili di Eboli.
Il Malacarne abbandonò la terra nativa in età
adolescenziale, per cui la sua vita trovò sbocchi
diversi rispetto a quanto avrebbe potuto realizzare se
fosse rimasto nella sua città. Per questo, è giusto che
siano diffuse e conosciute le seguenti notizie raccolte
su testi del XVI sec. di difficile reperibilità.
Proveniente da illustre e chiarissima famiglia, nato in
Eboli, città di grazia del Regno di Napoli in Principato
Citra, nella seconda metà del 14° secolo 1375 ca.,
Francesco Malacarne, è ricordato come valoroso e
intrepido uomo d’armi.
Il padre Pietro sposò la nobile Dionora De Cristofaro,
figlia primogenita di Giannantonio De Cristofaro, uno
dei più ricchi proprietari terrieri del Regno di Napoli.
In tenera età, come in tutte le facoltose famiglie di
quel tempo, dopo l’insegnamento appreso dai precettori,
fu mandato a frequentare una delle scuole dei conventi
serafici di Eboli, dove apprese i primi rudimenti della
lingua italiana, latina e greca. Nonostante fosse dotato
di innato talento e trasporto verso le belle lettere,
non approdò alla laurea dottorale. Tutto ciò accadde non
per demerito, bensì per il trasferimento in Piemonte del
suo nucleo famigliare per seguire il padre Pietro,
incaricato dal suocero a salvaguardare gli interessi che
la famiglia De Cristofaro aveva nella regione
piemontese. Il cambiamento di regione avvenne nei
primissimi anni del XV sec., un periodo non troppo
felice per l’ Italia che era sotto il gioco crudele dei
Baroni i quali si servivano di uomini d’armi comandati
da capi che venivano chiamati “capitani di ventura”.
Francesco Malacarne, non si sa come, ebbe a trasformarsi
da studioso di lettere, in uomo d’armi: infatti, lasciò
gli studi intrapresi nella sua patria d’origine per
mettere mano alle armi e si arruolò agli ordini di
Pietro Paolo de Andreis, meglio conosciuto come Peretto
d’Ivrea, valoroso capitano al servizio prima di Carlo
III d’ Angiò Durazzo poi di suo figlio Ladislao d’Angiò.
Da un documento, datato 28 ottobre 1390, risulta che il
De Andreis fu in qualità di siniscalco e ciambellano al
servizio del re di Napoli
Ladislao. Da notizie divulgate da storici su
valorosi uomini d’armi, ho potuto apprendere
dell’esistenza dell’ebolitano Francesco Malacarne agli
ordini di Peretto d’Ivrea, nelle cui pagine così si
parla di questo sconosciuto ebolitano uomo d’armi.
… Resta, che diciamo alcune cose dei capitani, coi
quali ebbe a trattar Peretto, i quali tutti furono dei
più famosi della sua età.
Gentile da Monterano, conte di Carrara… .Paolo Orsini
chiara è la sua fama in tutta Europa… . Brazza da
Viterbo, avventuriero … . Zanin della Trezza capitano
Romagnolo … .
“Francesco Malacarne da Eboli nel reame di Napoli,
d’onde trassero l’origine i Malacarne Piemontesi, come
provasi da autentici documenti, fu capitano sotto il re
Ladislao: si ritrovò in tutte le spedizioni di quel
sovrano, e fu prigioniero de’ suoi nemici. A questi il
Porcellio Napolitano indirizzò i seguenti versi.
In Malacarnem, virum clarissimum,
Dum esset in carceribus, excusatio.
Miraris semel ante oculos habuisse
volentem
Pellere de stygio te phlegetonte
suum.
Hei mihi quam vereor, ne sis
incredulus, omnes
Testor caelicolas, pes mihi causa
fuit.
Indoluit, paenaque tumens
confectus acerba
Ter quinos tenuit languida membra
dies.
Descrevit ille tumor tamen,
solidataque plaga est,
jamque scies quid sit vatis
amicitia.
Obstant fata tuis precibus,
precibusque tuorum,
obstant et votis fata superba meis.
Est aliquod, neque non scio quod
tibi numen iniquum
Si potes hoc supplex vincere,
victor eris.
Flectitur ad votum tandem pius
ordo deorum,
justa petas, certe flectitur ordo
Deum.
Usque adeone putas irasci numina?
Certe
Falleris, et nostra non legis ista
fide:
Jamque vale, et si quod miseris
solamen amicis
Esse potest, capias id, Malacarne,
velim.
Le mie scuse nei confronti
dell’illustrissimo signore
Malacarne ancora rinchiuso in
carcere.
Ti sorprenderai di aver avuto
innanzi agli occhi
uno che voleva tirarti fuori
dall’orrido Flegetonte.
Ahimè, temo veramente che tu non
ci creda,
ma chiamo a testimoni gli dei,
causa ne fu il piede malato.
Si irritò e afflitto da acerba
sofferenza
tenne per quindici giorni le
membra indebolite.
Infine quel gonfiore decrebbe e la
ferita guarì,
Ebbene ora saprai che cosa è
l’amicizia del poeta.
I fati non ascoltano le tue
preghiere, né quelle dei tuoi,
anche alle mie preghiere sono
sordi i superbi fati.
Vi è qualcosa, non so quale iniqua
divina potenza,
se puoi sconfiggerla pregando, ne
uscirai vincitore.
Il pio volere degli dei alla fine
si piega,
chiedi ciò che è giusto e il
volere divino si piegherà.
Fino a quando credi che saranno
adirati gli dei ?
Certo ti inganni, non ascolti con
la nostra fede queste cose;
Ora stai bene e, se qualcosa può
essere di conforto
agli amici infelici, accogli
queste parole di sollievo.
“… Non aveva tardato a mettere in evidenza il suo valore
il Malacarne: di grado in grado, salendo giunse ad avere
sotto di sé una grande schiera di cavalieri, la quale
comandando acquistò molto onore in tutto il corso delle
guerre a cui partecipò … ”. Divenuto Capitano, Peretto
d’Ivrea lo mise al comando di una delle sue compagnie,
le altre erano capitanate da Giulio Cesare da Capua di
discendenza longobarda, che apparteneva alla famiglia
che signoreggiò la città di Capua per molti anni; da
Ceccolino da Perugia, avventuriero, usurpatore della
signoria d’Assisi, intraprendente e valoroso uomo
d’armi; e, infine, da Antonello Tomacelli, napoletano
originario della città di Genova, imparentato con la
famiglia del Pontefice Bonifacio VIII. Con questi
capitani ritornò nel Regno di Napoli al servizio del re
Ladislao. Il 27 Maggio del 1401, Peretto fu nominato
viceré, nel 1403 questi Capitani seguirono Ladislao
prima in Dalmazia e poi in Puglia per sedare in quella
regione italiana una rivolta che non vedeva mai fine.
Ladislao, succeduto a suo padre Carlo di Durazzo sul
trono del Regno di Napoli, voglioso com’era
d’impadronirsi di Roma, non si fece pregare al richiamo
dei Romani. Il 20 agosto del 1405 Peretto d’Ivrea si
rese protagonista di atti valorosi con i suoi uomini
presso il borgo e Ponte S. Angelo. All’impresa
parteciparono, oltre a Peretto d’Ivrea, anche Gentile da
Monterano, conte di Carrara e Francesco Malacarne. Il
papa Innocenzo VII fu costretto a fuggire da Roma per
rifugiarsi a Viterbo insieme al crudelissimo nipote
cavaliere Lodovico de’ Migliorati. Nello scontro finale,
però, questi condottieri furono piegati e obbligati a
ritirarsi nel regno di Napoli, dopo l’intervento delle
milizie pontificie capitanate da Paolo Orsini.
Nell’aprile del 1407, Peretto e i suoi capitani si
rimpadronirono della capitale a nome di Re Ladislao e
Francesco Malacarne al comando di un’avanguardia
(composta da cinque schiere con mille cavalli): con tre
squadre si riversò contro Paolo Orsini di cui superò la
resistenza, battendolo in campo aperto. L’occupazione
durò fino al 1409, allorquando ancora Paolo Orsini in un
duro scontro costrinse Peretto, Malacarne e i suoi a
fuggire nel Regno di Napoli consegnando Roma liberata a
Papa Alessandro V. Nel 1410 ad Alessandro V, morto
improvvisamente, succedette Baldassarre Cossa, cardinale
di S. Eusebio che prese il nome di Giovanni XXIII,
eletto dai cardinali riuniti a Bologna. Esistevano,
tuttavia, altri due papi: il romano Gregorio XII e
l’avignonese Benedetto XIII. Il concilio, continuando i
lavori, depose lui e gli altri due papi (1415) ed elesse
finalmente un papa legittimo Martino V (1417), ponendo
così fine allo scisma. Il Re Lodovico, chiamato dalla
Provenza in Italia dal papato per conquistare il Regno
di Napoli, con gli alleati Giordano, Conte d’Agliano,
Sforza da Cotignola e Paolo Orsini diede battaglia al Re
Ladislao, sconfiggendolo in un durissimo scontro, ma i
suoi capitani, Brazza da Viterbo, il conte di
Policastro, Zanin della Trezza e Francesco Malacarne,
seppero trasformare quello “sconfitta-scontro”, avvenuta
nelle campagne laziali in una impensabile vittoria
finale sulle truppe Pontificie. Cosi, per la terza
volta, Peretto d’Ivrea divenne vicerè di Roma con ampia
potestà e nominò Francesco Malacarne suo portavoce. Si
insediò nella fortezza di castel Sant’Angelo a nome
della regina Giovanna II di Durazzo, succeduta sul trono
napoletano nel 1414 per la morte improvvisa del fratello
re Ladislao. A dominare Roma rimasero per pochi mesi,
per poi ritornare alla corte della Regina Giovanna, la
quale per riconoscenza diede a Peretto la contea di
Manfredonia. Peretto morì nel 1415-1417 ca.: la sua
morte causò la dispersione dei suoi capitani che
andarono al servizio di altri condottieri, le ultime
notizie su Francesco Malacarne ci conducono al 1436,
cioè al periodo della prigionia che ebbe a subire
Giannantonio de’ Pandoni (conosciuto come il Porcellio
Napoletano umanista e scrittore del XV sec. docente
nell’università di Roma dove gli venne dato il
soprannome di Porcellio perché conosciuto come celebre
sodomita), per aver partecipato alla congiura contro
Eugenio IV che gli costò la detenzione per 10 anni fino
al 1444. Il poeta divenne, dunque, amico del Malacarne
proprio nel periodo della sua detenzione. A lui dedicò i
distici sopra trascritti. Il destino del Malacarne, allo
stato attuale delle nostre conoscenze, possiamo solo
immaginarlo: quasi certamente, morì nelle prigioni
romane senza più riacquistare la libertà.
Mariano Pastore
Note
Bibliografia
-
Ludovico Antonio Muratori Rerum Italicarum
Scriptores. Raccolta degli Storici Italiani dal
cinquecento al millecinquecento. Tomo XXI. Petrus
Ivrea, Trojae comes, qui Manfredoniae dominus erat,
pg. 70–83.
-
Descrittione del Regno di Napoli diviso in dodici
Provincie. In Napoli, per Ottavio Beltrano e di
nuovo per Novello de Bonis. Napoli 1671. p. 141.
-
Biografia Piemontese vol. 3, di Carlo Tenivelli
Membro della Reale Società Agraria e Altre
Accademie. Decade Terza, presso Ignazio Soffietti,
Torino 1787, Peretto d’Ivrea Vicerè di Roma pg.
97–115.
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