Le Pagine di Storia

Francesco Malacarne

Condottiero ebolitano del XIV sec. (1375 ca.–1450 ca.)

di Mariano Pastore

Artemisia Gentileschi. Condottiero, 1662. Olio su tela, palazzo Accursio, Bologna.

Nel quadro delle laboriose ricerche sulle vite degli uomini illustri di Eboli, mi sentirei colpevole se non includessi anche la vicenda biografica di Francesco Malacarne, uomo completamente sconosciuto nella sua città. Ci offre notizie sul suo casato lo scrittore Ottavio Beltrano, che include la stirpe Malacarne fra le famiglie nobili di Eboli.

Il Malacarne abbandonò la terra nativa in età adolescenziale, per cui la sua vita trovò sbocchi diversi rispetto a quanto avrebbe potuto realizzare se fosse rimasto nella sua città. Per questo, è giusto che siano diffuse e conosciute le seguenti notizie raccolte su testi del XVI sec. di difficile reperibilità.

Proveniente da illustre e chiarissima famiglia, nato in Eboli, città di grazia del Regno di Napoli in Principato Citra, nella seconda metà del 14° secolo 1375 ca., Francesco Malacarne, è ricordato come valoroso e intrepido uomo d’armi.

Il padre Pietro sposò la nobile Dionora De Cristofaro, figlia primogenita di Giannantonio De Cristofaro, uno dei più ricchi proprietari terrieri del Regno di Napoli. In tenera età, come in tutte le facoltose famiglie di quel tempo, dopo l’insegnamento appreso dai precettori, fu mandato a frequentare una delle scuole dei conventi serafici di Eboli, dove apprese i primi rudimenti della lingua italiana, latina e greca. Nonostante fosse dotato di innato talento e trasporto verso le belle lettere, non approdò alla laurea dottorale. Tutto ciò accadde non per demerito, bensì per il trasferimento in Piemonte del suo nucleo famigliare per seguire il padre Pietro, incaricato dal suocero a salvaguardare gli interessi che la famiglia De Cristofaro aveva nella regione piemontese. Il cambiamento di regione avvenne nei primissimi anni del XV sec., un periodo non troppo felice per l’ Italia che era sotto il gioco crudele dei Baroni i quali si servivano di uomini d’armi comandati da capi che venivano chiamati “capitani di ventura”. Francesco Malacarne, non si sa come, ebbe a trasformarsi da studioso di lettere, in uomo d’armi: infatti, lasciò gli studi intrapresi nella sua patria d’origine per mettere mano alle armi e si arruolò agli ordini di Pietro Paolo de Andreis, meglio conosciuto come Peretto d’Ivrea, valoroso capitano al servizio prima di Carlo III d’ Angiò Durazzo poi di suo figlio Ladislao d’Angiò. Da un documento, datato 28 ottobre 1390, risulta che il De Andreis fu in qualità di siniscalco e ciambellano al servizio del re di Napoli Ladislao. Da notizie divulgate da storici su valorosi uomini d’armi, ho potuto apprendere dell’esistenza dell’ebolitano Francesco Malacarne agli ordini di Peretto d’Ivrea, nelle cui pagine così si parla di questo sconosciuto ebolitano uomo d’armi.

Resta, che diciamo alcune cose dei capitani, coi quali ebbe a trattar Peretto, i quali tutti furono dei più famosi della sua età.

Gentile da Monterano, conte di Carrara… .Paolo Orsini chiara è la sua fama in tutta Europa… . Brazza da Viterbo, avventuriero … . Zanin della Trezza capitano Romagnolo … .

“Francesco Malacarne da Eboli nel reame di Napoli, d’onde trassero l’origine i Malacarne Piemontesi, come provasi da autentici documenti, fu capitano sotto il re Ladislao: si ritrovò in tutte le spedizioni di quel sovrano, e fu prigioniero de’ suoi nemici. A questi il Porcellio Napolitano indirizzò i seguenti versi.

 

In Malacarnem, virum clarissimum,

Dum esset in carceribus, excusatio.

 

Miraris semel ante oculos habuisse volentem

Pellere de stygio te phlegetonte suum.

 

Hei mihi quam vereor, ne sis incredulus, omnes

Testor caelicolas, pes mihi causa fuit.

 

Indoluit, paenaque tumens confectus acerba

Ter quinos tenuit languida membra dies.

 

Descrevit ille tumor tamen, solidataque plaga est,

jamque scies quid sit vatis amicitia.

 

Obstant fata tuis precibus, precibusque tuorum,

obstant et votis fata superba meis.

 

 

Est aliquod, neque non scio quod tibi numen iniquum

Si potes hoc supplex vincere, victor eris.

 

Flectitur ad votum tandem pius ordo deorum,

justa petas, certe flectitur ordo Deum.

 

Usque adeone putas irasci numina? Certe

Falleris, et nostra non legis ista fide:

 

Jamque vale, et si quod miseris solamen amicis

Esse potest, capias id, Malacarne, velim.

 

Le mie scuse nei confronti dell’illustrissimo signore

Malacarne ancora rinchiuso in carcere.

 

Ti sorprenderai di aver avuto innanzi agli occhi

uno che voleva tirarti fuori dall’orrido Flegetonte. [1]

 

Ahimè, temo veramente che tu non ci creda,

ma chiamo a testimoni gli dei, causa ne fu il piede malato.

 

Si irritò e afflitto da acerba sofferenza

tenne per quindici giorni le membra indebolite.

 

Infine quel gonfiore decrebbe e la ferita guarì,

Ebbene ora saprai che cosa è l’amicizia del poeta.

 

I fati non ascoltano le tue preghiere, né quelle dei tuoi,

anche alle mie preghiere sono sordi i superbi fati.

 

Vi è qualcosa, non so quale iniqua divina potenza,

se puoi sconfiggerla pregando, ne uscirai vincitore.

 

Il pio volere degli dei alla fine si piega,

chiedi ciò che è giusto e il volere divino si piegherà.

 

Fino a quando credi che saranno adirati gli dei ?

Certo ti inganni, non ascolti con la nostra fede queste cose;

 

Ora stai bene e, se qualcosa può essere di conforto

agli amici infelici, accogli queste parole di sollievo. [2]

 

“… Non aveva tardato a mettere in evidenza il suo valore il Malacarne: di grado in grado, salendo giunse ad avere sotto di sé una grande schiera di cavalieri, la quale comandando acquistò molto onore in tutto il corso delle guerre a cui partecipò … ”. Divenuto Capitano, Peretto d’Ivrea lo mise al comando di una delle sue compagnie, le altre erano capitanate da Giulio Cesare da Capua di discendenza longobarda, che apparteneva alla famiglia che signoreggiò la città di Capua per molti anni; da Ceccolino da Perugia, avventuriero, usurpatore della signoria d’Assisi, intraprendente e valoroso uomo d’armi; e, infine, da Antonello Tomacelli, napoletano originario della città di Genova, imparentato con la famiglia del Pontefice Bonifacio VIII. Con questi capitani ritornò nel Regno di Napoli al servizio del re Ladislao. Il 27 Maggio del 1401, Peretto fu nominato viceré, nel 1403 questi Capitani seguirono Ladislao prima in Dalmazia e poi in Puglia per sedare in quella regione italiana una rivolta che non vedeva mai fine. Ladislao, succeduto a suo padre Carlo di Durazzo sul trono del Regno di Napoli, voglioso com’era d’impadronirsi di Roma, non si fece pregare al richiamo dei Romani. Il 20 agosto del 1405 Peretto d’Ivrea si rese protagonista di atti valorosi con i suoi uomini presso il borgo e Ponte S. Angelo. All’impresa parteciparono, oltre a Peretto d’Ivrea, anche Gentile da Monterano, conte di Carrara e Francesco Malacarne. Il papa Innocenzo VII fu costretto a fuggire da Roma per rifugiarsi a Viterbo insieme al crudelissimo nipote cavaliere Lodovico de’ Migliorati. Nello scontro finale, però, questi condottieri furono piegati e obbligati a ritirarsi nel regno di Napoli, dopo l’intervento delle milizie pontificie capitanate da Paolo Orsini. Nell’aprile del 1407, Peretto e i suoi capitani si rimpadronirono della capitale a nome di Re Ladislao e Francesco Malacarne al comando di un’avanguardia (composta da cinque schiere con mille cavalli): con tre squadre si riversò contro Paolo Orsini di cui superò la resistenza, battendolo in campo aperto. L’occupazione durò fino al 1409, allorquando ancora Paolo Orsini in un duro scontro costrinse Peretto, Malacarne e i suoi a fuggire nel Regno di Napoli consegnando Roma liberata a Papa Alessandro V. Nel 1410 ad Alessandro V, morto improvvisamente, succedette Baldassarre Cossa, cardinale di S. Eusebio che prese il nome di Giovanni XXIII, eletto dai cardinali riuniti a Bologna. Esistevano, tuttavia, altri due papi: il romano Gregorio XII e l’avignonese Benedetto XIII. Il concilio, continuando i lavori, depose lui e gli altri due papi (1415) ed elesse finalmente un papa legittimo Martino V (1417), ponendo così fine allo scisma. Il Re Lodovico, chiamato dalla Provenza in Italia dal papato per conquistare il Regno di Napoli, con gli alleati Giordano, Conte d’Agliano, Sforza da Cotignola e Paolo Orsini diede battaglia al Re Ladislao, sconfiggendolo in un durissimo scontro, ma i suoi capitani, Brazza da Viterbo, il conte di Policastro, Zanin della Trezza e Francesco Malacarne, seppero trasformare quello “sconfitta-scontro”, avvenuta nelle campagne laziali in una impensabile vittoria finale sulle truppe Pontificie. Cosi, per la terza volta, Peretto d’Ivrea divenne vicerè di Roma con ampia potestà e nominò Francesco Malacarne suo portavoce. Si insediò nella fortezza di castel Sant’Angelo a nome della regina Giovanna II di Durazzo, succeduta sul trono napoletano nel 1414 per la morte improvvisa del fratello re Ladislao. A dominare Roma rimasero per pochi mesi, per poi ritornare alla corte della Regina Giovanna, la quale per riconoscenza diede a Peretto la contea di Manfredonia. Peretto morì nel 1415-1417 ca.: la sua morte causò la dispersione dei suoi capitani che andarono al servizio di altri condottieri, le ultime notizie su Francesco Malacarne ci conducono al 1436, cioè al periodo della prigionia che ebbe a subire Giannantonio de’ Pandoni (conosciuto come il Porcellio Napoletano umanista e scrittore del XV sec. docente nell’università di Roma dove gli venne dato il soprannome di Porcellio perché conosciuto come celebre sodomita), per aver partecipato alla congiura contro Eugenio IV che gli costò la detenzione per 10 anni fino al 1444. Il poeta divenne, dunque, amico del Malacarne proprio nel periodo della sua detenzione. A lui dedicò i distici sopra trascritti. Il destino del Malacarne, allo stato attuale delle nostre conoscenze, possiamo solo immaginarlo: quasi certamente, morì nelle prigioni romane senza più riacquistare la libertà.

Mariano Pastore


Note

[1] Uno dei fiumi che scorre nell’Ade.

[2] La traduzione dei versi del Porcellio è dell’amico Carlo Manzione.


Bibliografia

  • Ludovico Antonio Muratori Rerum Italicarum Scriptores. Raccolta degli Storici Italiani dal cinquecento al millecinquecento. Tomo XXI. Petrus Ivrea, Trojae comes, qui Manfredoniae dominus erat, pg. 70–83.

  • Descrittione del Regno di Napoli diviso in dodici Provincie. In Napoli, per Ottavio Beltrano e di nuovo per Novello de Bonis. Napoli 1671. p. 141.

  • Biografia Piemontese vol. 3, di Carlo Tenivelli Membro della Reale Società Agraria e Altre Accademie. Decade Terza, presso Ignazio Soffietti, Torino 1787, Peretto d’Ivrea Vicerè di Roma pg. 97–115.

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