Ho il
piacere e l’onore di presentare a tutti i numismatici un’inedita
medaglia in argento del Regno Delle Due Sicilie! Durante la lettura
di questo scritto, ci renderemo conto come, grazie alla bravura e
alla finezza degli incisori napoletani, sia stato messo a segno un
altro punto a favore della splendida serie medaglistica borbonica.
[…]
L’arte
della medaglia napoletana ebbe un ruolo importantissimo nel periodo
borbonico, i progetti e i disegni dei conii venivano mostrati al
sovrano in persona; solo lui poteva approvarli, modificarli o
stabilirne la distruzione e gli incisori facevano quindi di tutto
per apparire dei veri artisti agli occhi del re compiendo talvolta
delle vere e proprie piccole opere d’arte di cesello.
Gli
incisori, trovandosi di fronte dei conii di dimensioni nettamente
superiori rispetto a quelli usati per battere le monete, poterono
dimostrare la loro bravura e la loro incredibile fantasia, incidendo
con particolare precisione e finezza alcune scene commemorative
impossibili da riportare sulle monete. Dei veri capolavori d’arte
che rispecchiano ancora oggi l’amore e la passione che avevano i
sovrani napoletani per l’arte della medaglia, - un’arte questa che
non era seconda in nessun altro paese europeo -.
Le
medaglie avevano, per l’appunto, lo scopo di commemorare importanti
episodi o avvenimenti e tali avvenimenti venivano raffigurati su
“splendidi dischetti metallici” con lo scopo di tramandare e
commemorare nei secoli azioni militari, costruzioni di splendidi
edifici, onorificenze, matrimoni, premiazioni, nascite, morti,
eccetera.
Per
accelerare i tempi di incisione, i conii venivano incisi da due
“artisti” diversi, infatti mentre uno era addetto all’incisione del
dritto, ad un altro era affidato il compito di incidere il rovescio.
A conferma di ciò basta dare un’occhiata alla ricchissima opera di
Eduardo Ricciardi dedicata alle medaglie del Regno Delle Due
Sicilie; si noterà come alcune medaglie abbiano in comune lo stesso
dritto e in alcuni casi anche il rovescio, capitava infatti che
quando non era reperibile un incisore dei dritti si utilizzava un
conio già usato precedentemente.
Eduardo
Ricciardi, che donò la sua raccolta al museo di San Martino di
Napoli, scrisse un’opera negli anni ’30 nella quale vennero
descritte e riprodotte le medaglie della sua collezione e quelle di
cui era a conoscenza, (oltre 500 illustrazioni). In essa vennero
menzionati anche esemplari di grande rarità presenti in raccolte di
illustri personaggi e vennero elencati anche i vari metalli con cui
quelle furono coniate (opera essenziale per chiunque voglia iniziare
una raccolta di medaglie borboniche). Bisogna dire però che
nell’arco dei decenni sono apparse sul mercato alcune medaglie
coniate in metalli non noti prima d’allora.
Nel 1992
la celeberrima casa d’aste Christie’s vendette in blocco ad un solo
acquirente una importantissima collezione di medaglie borboniche il
cui valore fu stimato tra i 2 e i 2 miliardi e mezzo. Erano presenti
nella suddetta collezione alcuni pezzi inediti, molti dei quali in
oro; oggi infatti commercianti e numismatici affermano che il
catalogo della vendita all’asta è da considerarsi una piccola opera
di completamento a quelle del Ricciardi e del Siciliano (in quest’ultima
però vi sono riportate e descritte solo ed esclusivamente le
medaglie coniate durante il decennio napoleonico).
Oltre
alle sopracitate opere sulle medaglie napoletane non esiste al
momento alcun catalogo ove vengano riportati prezzi indicativi
inerenti all’argomento; quindi per dare una stima attendibile
bisogna tener conto dei prezzi di aggiudicazione delle aste svolte
negli ultimi tre o quattro anni - ho avuto modo di constatare
personalmente che, a partire dalla metà degli anni ’90, molti
collezionisti sia italiani che stranieri stanno “aprendo i loro
portafogli” verso questo genere di collezione. Il rapido incremento
del numero di collezionisti ha determinato una scarsissima
disponibilità di materiale sul mercato e un inevitabile balzo in
avanti dei prezzi tanto da far raddoppiare o triplicare, in alcuni
casi, il valore di quelle medaglie rispetto alle quotazioni dello
scorso decennio-.
A
differenza delle monete (coniate in numero elevato per favorire una
giusta ed adeguata circolazione monetaria), questi piccoli
capolavori d’arte venivano realizzati in numero ristrettissimo di
pezzi al solo scopo di omaggiare o premiare pochi fortunati, gli
esemplari in oro, ad esempio, venivano coniati esclusivamente per
esser donati a qualche membro della famiglia reale o qualche
illustre personaggio - difatti i pochissimi pezzi in oro esistenti
ancora oggi e sfuggiti alla spietata fusione, sono praticamente
irreperibili sul mercato e per acquistarne uno di grosso modulo
bisogna staccare assegni di importo superiore ai 100 milioni -.
Per la
coniazione delle medaglie venivano impiegati diversi tipi di
metalli; il bronzo, ad esempio, era quello utilizzato maggiormente.
Per quanto riguarda invece le medaglie in argento, c’è da dire che
possono essere considerate rarissime. Esistono anche medaglie
coniate in metalli meno nobili, come il ferro e il piombo, impiegati
per le prove di conio. Esistono anche esemplari in galvano (medaglie
composte da una sfoglia di metallo e quindi cave all’interno) o in
metalli successivamente dorati o argentati.
Il “pezzo
da novanta” protagonista di questo articolo è una medaglia coniata
su un tondello d’argento del peso di ben 110 grammi, avente un
diametro di 47 millimetri ed uno spessore superiore al centimetro.
Deve considerarsi un piccolo capolavoro d’arte incisoria, mai
apparsa prima d’ora in nessuna vendita all’asta o catalogo di
vendita a prezzi fissi, non è presente in nessuna opera o altro tipo
di pubblicazione numismatica; inoltre, ad esclusione di un altro
esemplare del peso di circa 90 grammi presente nella raccolta di un
importante collezionista, manca in tutti i musei e collezioni sia
pubbliche che private da me osservate negli ultimi anni.
Al dritto
vi è il volto adulto e barbuto di Ferdinando II di Borbone e
intorno, la seguente leggenda: “FERDINANDO II RE DEL REGNO DELLE DUE
SICILIE E DI GERUSALEMME”, sotto il taglio del collo: “L. ARNAUD
FECE” e “CICCARELLI D.C.” [1]
- osservando il dritto ho avuto modo di constatare che il tipo di
ritratto, fermo restando qualche impercettibile variante nella
peluria della barba di Ferdinando, è già noto su alcune medaglie di
premiazione in bronzo del periodo 1850 – 1855.
Al
rovescio vediamo la leggenda intorno, in caratteri grandi, “REALE
ARMATA DI MARE”, al centro vi è una bellissima “colonna rostrata”
[2] (colonna celebrativa
che veniva posta dai romani in prossimità di porti o zone costiere
in ricordo di vittorie e battaglie marittime), sulla parte superiore
di quest’ultima vi è posta una magnifica nave romana, nota con il
nome di “Liburna”[3].
Molto probabilmente quest’ultima (simbolo della Marina Militare
Romana) venne considerata simbolo dell’Armata di Mare delle Due
Sicilie.
In
materia di navigazione il Regno Delle Due Sicilie vanta una
serie di
primati come ad esempio: la prima flotta mercantile in
Italia (seconda in Europa dopo quella inglese), prima compagnia
di navigazione del mediterraneo, terza flotta da guerra in
Europa, primo battello a vapore del mediterraneo (varato nel
1818), il primo bacino navale di carenaggio d’Europa ed il primo
telegrafo sottomarino dell’Europa continentale; a tutto ciò va
aggiunto, a titolo di cronaca, che Ferdinando II era un grande
esperto e appassionato di meccanica, favorì nel suo regno lo
sviluppo industriale, la costruzione in Campania della prima
ferrovia d’Italia (chiamata anche strada ferrata), il primo
ponte di ferro in Italia sospeso su un fiume e la creazione di
avanzatissime industrie belliche (tra le più importanti
d’Europa).
Ritornando ora alla medaglia argentea in questione c’è da
chiedersi come mai non sia stato coniato prima qualche esemplare
in piombo o bronzo prima di giungere all’argento? La risposta è
semplice! Si tratta senza dubbio di un’emissione straordinaria.
Osservando il rovescio, ci renderemo conto che manca qualcosa di
molto importante: la data! A causa della mancanza di un fattore
così importante non possiamo collegare con certezza la
coniazione di questa medaglia a qualche celebre avvenimento o
episodio che ebbe luogo sui mari in quel periodo.
Un
vero rompicapo che mi ha fatto trascorrere mesi interi immerso
ad esplorare enciclopedie, vecchi libri, documenti d’epoca e
siti interne senza ottenere alcuna notizia sui disegni ed i
progetti della medaglia in questione.
Sul
rovescio e precisamente sulla colonna in prossimità della “Liburna”,
c’è la probabile chiave del mistero; un numero in caratteri
romani “XX”! Ciò sta ad indicare verosimilmente il ventesimo
anniversario del periodo di regno di Ferdinando II di Borbone.
Il sovrano era amato e rispettato dall’esercito; già da principe
ereditario amava stare a contatto con i militari, organizzò
l’esercito in ogni minimo particolare riuscendo a migliorarne le
condizioni logistiche e operative. Fu questo atteggiamento di
reciproca collaborazione che, così, spinse con ogni probabilità
i supremi comandanti dell’Armata Di Mare a dedicare al sovrano
una medaglia in ricordo del ventennale di magnanimo regno
(1830-1850).
A
conferma - si noti per l’appunto lo stile del ritratto del
sovrano presente già su alcune medaglie in bronzo di premiazione
datate negli anni 1850-1855 – c’è anche da considerare che il
sovrano assunse il trono alla morte del padre nel 1830; vedremo
quindi, che la medaglia è databile intorno al 1850.
Ma
cosa era l’Armata di Mare e, soprattutto, chi erano coloro che
facevano parte di questo corpo militare? Frugando tra libri
d’epoca ho notato, tra alcune pagine riguardanti l’Armata di
Mare, una citazione riferita al “Regio Decreto del 7 Ottobre
1823”; validamente aiutato nelle ricerche presso l’Archivio
storico municipale di Napoli ho preso visione del documento
originale composto da quattro pagine (in questo articolo è stato
ritenuto opportuno illustrare, per motivi di spazio, solo la
prima pagina - figura successiva). In esso vi è un elenco di
vari tipi di imbarcazioni che componevano l’Armata di Mare: 2
vascelli, 6 fregate, 1 corvetta, 2 brigantini, 2 golette, 3
pachetti, 60 tra lance, cannoniere e bombardiere, 20 scorridoie
e 2 trasporti.
Sempre nel Regio decreto sono elencate e descritte le spese,
suddivise in tre classi, per il mantenimento di questo corpo:
nelle spese di prima classe vengono regolamentate quelle
sostenute per il personale con un elenco dei vari compensi;
nelle spese di seconda classe vengono regolamentate quelle
sostenute per i materiali bellici e materiali di consumo, nella
terza classe invece, vengono regolamentate in generale le
eventuali spese impreviste riguardanti anche i passeggeri
civili.
Per
un ulteriore arricchimento del presente articolo, ho ritenuto
opportuno riportare nella pagina accanto alcune bellissime
immagini di litografie a colori tratte dall’opera di Antonio
Zezon, stesa nel 1850 e riprodotta nel 1970, intitolata “TIPI
MILITARI DEL REGNO DELLE DUE SICILIE”; in quest’ultima sono
stati rappresentati tutti i tipi di divise militari riguardanti
il “REALE ESERCITO” e l’”ARMATA DI MARE”, costituendo un’opera
davvero straordinaria arricchita da diverse pagine dedicate alla
storia dell’esercito delle Due Sicilie a partire dal 1734.
Note
[1] Citazione ai
realizzatori dei coni e dei punzoni.
[2] Chiamata così
in quanto oltre ad riportare scolpite delle iscrizioni,
venivano raffigurati anche dei Rostri (parti integranti
delle prue delle navi da guerra che dovevano servire a
speronare gli scafi delle imbarcazioni nemiche).
[3] La “Liburna”
poteva contenere fino ad un massimo di 25 guerrieri armati
ed era spinta da due file di remi manovrati da 52 rematori
complessivamente. Grazie a queste formidabili navi da
guerra, che secondo alcuni studi e fonti storiche pesavano
non più di 18 tonnellate, i romani poterono vantare le più
grandi vittorie navali della storia, basta citare la storica
battaglia di Azio del 31 a.C., in quell’occasione la flotta
di Agrippa e Cesare Ottaviano, (quest’ultimo futuro
imperatore Augusto), riuscì a sconfiggere le flotte unite di
Marc’Antonio e Cleopatra; la flotta dei primi due, partita
da Misero (nei pressi di Napoli), era composta in prevalenza
da velocissime “Liburne”, mentre quelle di Antonio e
Cleopatra erano composte da pesanti navi “Trireme” (Triere),
(quest’ultima di origine greca. Fu da allora, dopo questa
fortunata battaglia, che si affidò il controllo dei mari
d’Occidente alla flotta di Misero, mentre l’Oriente fu
affidato alla flotta di Ravenna.
L’autore ringrazia, per la gentile collaborazione necessaria
alla stesura del presente articolo, i sigg. Bernardo Leonardi -
funzionario dell’Archivio Storico Municipale di Napoli - e
Alessandro Tuzza di Milano.
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