Signorinella pallida,
dolce dirimpettaia del quinto piano,
non v'è una notte ch'io non sogni Napoli,
e son vent'anni che ne sto' lontano!
Al mio paese nevica,
e il campanile della chiesa è bianco,
tutta la legna è diventata cenere,
io ho sempre freddo e sono triste e stanco!
Lenta e lontana,
mentre ti penso suona la campana
della piccola chiesa del Gesù
e nevica, vedessi come nevica ....
ma tu, dove sei tu?
Bei tempi di baldoria,
dolce felicità fatta di niente:
Brindisi coi bicchieri colmi d'acqua
al nostro amore povero e innocente.
Negli occhi tuoi passavano
una speranza, un sogno, una carezza ....
avevi un nome che non si dimentica,
un nome lungo e breve: giovinezza!
Amore mio!
Non ti ricordi che, nel dirmi addio,
mi mettesti all'occhiello una pansè
e mi dicesti, con la voce tremula:
"Non ti scordar di me!"
E gli anni e i giorni passano,
uguali e grigi, con monotonia,
le nostre foglie più non rinverdiscono,
signorinella, che malinconia!
Tu innamorata e pallida
più non ricami innanzi al tuo telaio,
io qui son diventato il buon don Cesare,
porto il mantello a ruota e fo' il notaio.
Il mio piccino,
sfogliando un vecchio libro di latino,
ha trovato, indovina, una pansè ....
perchè negli occhi mi spuntò una lacrima?
Chissà, chissà perchè!
Lenta e lontana,
mentre ti penso, suona la campana
della piccola chiesa del Gesù ....
e nevica, vedessi come nevica ....
ma tu .... dove sei tu?
“Signorinella” è stata scritta,
come già accennato, da Libero Bovio per essere musicata da Nicola Valente
ed interpretata da Pasquariello, cose che non
diminuiscono la bellezza della poesia, anche se sacrificata
alle esigenze della musica.
Ma,
esattamente, chi è la Signorinella pallida? Chi è lo
studente divenuto notaio? Chi ha una certa età ed ha abitato
nel quadrilatero della Neapolis, la città nuova o
greca, che insieme a Palepolis, città vecchia,
costituisce
Partenope (Parthenopes in greco, il vero nome
di Napoli), ricorda i numerosi studenti che frequentavano la
nostra antica e gloriosa Università, provenienti dalle
regioni dell’ex Regno di Napoli, nonché le ragazze che
lavoravano in casa come sarte, stiratrici, guantaie, o
altro. Oggi vi trovate solo le ragazze, dedite al loro
lavoro. Gli studenti hanno cento università da poter
frequentare. Quelli che frequentano l’Università di Napoli,
con soggiorno per interi mesi, come Cesare il notaio, ormai
sono rari.
Prima, invece, erano tanti! Soggiornavano stabilmente a
Napoli (la Neapolis greca) per poter studiare; le
Scuole Superiori e le Università erano solo nei centri
principali della Penisola Italiana, salvo qualche eccezione
“storica”, ed i mezzi di trasporto non consentivano il
rientro frequente alle proprie residenze. Questi studenti
erano di due categorie: i figli del popolo, che
studiavano grazie a borse di studio o ad elargizioni di
mecenati, ed i figli di benestanti. I primi pensavano
a trovare un buon partito, visto che la borghesia mercantile
napoletana era propensa a far sposare per le proprie figlie
con i futuri laureati “’e fora”. Oltre ad
accoglierli, ancora studenti, come “innamorati ufficiali”
in famiglia, provvedeva anche al loro mantenimento.
Gli
altri, invece, pensavano sempre di tornare al loro nido ma,
nel frattempo, faceva loro comodo conoscere una ragazza dei
vicoli, corteggiarla per ottenere gratis dei favori, come un
pranzetto, una lavata alla biancheria ed altro che si poteva
supporre. La ragazza si illudeva, perché anche lei stima “o
giovene ‘e fora” più del coetaneo che conosce, perché
“spera” di andar via dai vicoli, mentre difficilmente il
ragazzo napoletano uscirà dallo status sociale cui
appartiene. Finiti gli studi, regolarmente “o giovene ‘e
fora” sparisce, insalutato ospite, e si farà una
posizione con un matrimonio con benestante, mentre la
ragazza, se non resta nubile “zitella”, sposerà il giovane
che aveva messo da parte.
Naturalmente a perdere è stato lo studente divenuto, in
questa poesia, notaio. Avrà pure potere, soldi, mezzi
economici, ma gli manca qualcosa. Quel qualcosa che il
quotidiano della vita gli ha portato via, e dal quale non si
può fuggire. Allora ripensa al lontano amore, alle rose che
non colse, alla Signorinella Pallida.
L’inizio è immediato, le prime tre strofe esprimono il
rimpianto, “il notaio” parla alla Signorinella, le
dice che sogna sempre il tempo trascorso a Napoli, 20 anni
prima in un clima diverso, mentre al paese nevica, il
caminetto si è spento e la sua vita è vuota e monotona. Dice
di essere stanco di quella vita, che è come una condanna,
inesorabile, mentre suona la campana della chiesetta del
Gesù. Forse ricorda la campana della Chiesa del Gesù Vecchio
a Napoli, che sentivano allora insieme? Nelle tre strofe
seguenti dimentica la neve ed il freddo del presente, pensa
al passato che si fa più nitido, ricorda i bei tempi di
baldoria, la felicità di due giovani fatte di niente, i
brindisi con i bicchieri colmi d'acqua ad un amore povero e
innocente.
Di
Signorinella ricorda gli occhi, in cui brillava una luce
di speranza e del sogno di sfuggire alla vita grama dei
vicoli, una carezza rubata, ma non ricorda il nome, ricorda
solo il tempo, quel tempo che non si dimentica, che ha un
nome lungo e breve: giovinezza! Ricorda però bene che nel
giorno dell’addio, con la promessa di ritornare per restare,
all'asola del paltò Signorinella gli mise una
pansè, dicendogli, commossa, "Non ti scordar di me!",
quasi sicura di non rivederlo più.
Nelle
altre strofe parla del “suo” presente, parla di sé e pensa
che anche Signorinella viva come lui, di rimpianto e di
malinconia. Parla degli anni e i giorni che scorrono uguali
e grigi, con monotonia. Ignora che quella è la vita del
notaio di paese, non certo di chi deve lavorare per vivere.
Dice “le foglie più non
rinverdiscono, signorinella, che malinconia!”,
parla di sé e basta! “Tu innamorata
e pallida più non ricami innanzi al tuo telaio”,
ed allora come vive? “io qui son
diventato il buon don Cesare, porto il mantello a ruota e
fo' il notaio”, questo è sicuro! “Il
mio piccino, sfogliando un vecchio libro di latino, ha
trovato, indovina, una pansè” e se non l’avesse
trovata, non ci sarebbe stato il ricordo....“perché
negli occhi mi spuntò una lacrima? Chissà, chissà perché!”
forse anche il Notaio ha una coscienza!