Numismatica

Due importanti medaglie

per il ritorno a Napoli di Gioacchino Murat dalla campagna

di Russia dopo la battaglia di Dresda.

a cura di Francesco Di Rauso

Opus: Antonio Canova? Medaglia 1813 in Bronzo, 1° tipo (collezione Francesco di Rauso, Caserta). Clicca sull'immagine per ingrandire

 

In questo articolo parleremo di alcune importanti medaglie coniate nel 1813 per commemorare il ritorno di re Gioacchino Murat a Napoli dalla campagna di Russia dopo la famosissima battaglia di Dresda. Il finissimo ritratto del sovrano raffigurato sulla medaglia di bronzo nella foto 1 è indubbiamente il più bel ritratto sulle medaglie napoletane del decennio francese che si conosca, è incredibile come la mano dell’incisore abbia potuto incidere una capigliatura così folta e alto-rilevante. Ad eccezione del conio della medaglia dell’Istituto dei Salesiani del Febbraio 1812, quelli delle altre medaglie napoletane del decennio napoleonico non venivano firmati dagli incisori ma con molta probabilità quello per la medaglia della campagna di Russia fu inciso da Filippo Rega. Lo stile con cui fu inciso re Gioacchino e la presenza della lettera “K” nella parola “IOAKIMUS” fa supporre che si sia ispirato ad un ritratto di stile ellenistico di Alessandro Magno. Purtroppo dopo aver battuto le primissime medaglie, dato l’enorme peso del bilanciere con cui veniva sottoposta la battitura delle medaglia, il conio del dritto iniziò a lesionarsi irreparabilmente e tutte le medaglie successive uscirono dalla zecca già con un’escrescenza di metallo diagonale. Posso affermare che, a differenza di quanto scritto da Tommaso Siciliano nella sua celebre opera sulle medaglie napoletane del decennio francese, la medaglia avente il conio di tipo “ellenistico” fu battuta per prima. Dopo essersi resi conto della rottura irreparabile di un così splendido conio si provvide ad incidere un secondo (foto 2) di disegno però diverso, è evidente infatti che dal punto di vista artistico il primo ritratto è di gran lunga superiore al successivo sia per finezza che per bellezza espressiva del sovrano. Sono al corrente dell’esistenza di un esemplare in oro di inestimabile valore appartenuto al principe Sigismondo d’Austria venduto in una prestigiosa battuta d’asta negli anni trenta ed ora appartenente a chissà quale fortunato grande collezionista, basti pensare infatti che nell’asta Christie’s del 1992 dove vennero proposte medaglie della più grande rarità, erano presenti solo due esemplari in bronzo riportanti i due ritratti conosciuti. È la prima volta quindi che viene presentato al pubblico un articolo nei quali sono presenti un esemplare in bronzo ed uno in argento (quest’ultimo di esimia rarità). Per quanto riguarda invece il rovescio c’è da dire che quest’ultimo è stato meno sfortunato del dritto in quanto l’inizio di lesione permise comunque di andare avanti nella coniazione anche, queste medaglie presentano infatti nel 99 per cento dei casi una rigonfiamento sulla superficie in prossimità della parte sottostante alle zampe del cavallo. Anche qui possiamo affermare che l’incisore curò in particolar modo il rovescio e si noti infatti la finezza incisiva, la perfezione dei minimi particolari del sovrano del cavallo e della vittoria alata. Il sovrano è raffigurato mentre incita alla carica i suoi cavalieri contro il nemico, nella mano sinistra c’è uno scettro, stante a significare quest’ultimo che anche in battaglia era pur sempre un sovrano e non un semplice cavaliere. Esistono dei rifacimenti di suddette medaglie coniate però verso la metà dell’ottocento riportanti la scritta copie o cuivre o argent sul contorno (foto 2). È evidentissima la differenza tra quella autentica e quella postuma, sia per la finezza del conio che per l’altezza dei rilievi.

BRONZO. 1° TIPO

D. IOAKIMVS NAPOLEO VTR SICIL REX Effigie del re a destra.

R. REDITVS AVGVSTI . Gioacchino Murat, al galoppo, indossa la corazza, la clamide, l’elmo, voltato indietro incita i suoi all’attacco; nella sinistra stringe lo scettro del comando. Vittoria alata lo incorona .All’esergo: O.P.Q.NEAPOLITANVS\OPTIMO PRINCIPI\ A.MDCCCXIII.

RARISSIMA

DIAM. mm. 42

RICCIARDI n° 93. BRAMSEN. 1296. SICILIANO. 36.

Napoli, MUSEO DI SAN.MARTINO. Da un sopraluogo fatto di persona al citato museo manca in ARGENTO nonostante il Ricciardi affermi di averla avuta. (E’ presente solo in BRONZO)

Napoli, MUSEO NAZIONALE. MANCA. Collezione Banco di Napoli – Asta CHRISTIE’S DEL 1992 n°93.


Bronzo – 1° Tipo - Come sopra ma copia francese postuma (1840 ca) – scritta “COPIE” nel taglio


Bronzo 2° TIPO

D. IOACHIMUS NAPOLEO NEAP. ET SICILIAE REX Testa del re a sinistra

R. REDITVS AVGVSTI . Gioacchino Murat, galeato e corazzato, retrospiciente, a cavallo verso destra incita all'attacco; nella sinistra stringe lo scettro del comando. Nel campo in alto, la Vittoria lo incorona. All'esergo, O.P.Q. NEAPOLITANVS / OPTIMO PRINCIPI / A.MDCCCXIII

(Ricciardi 94. Siciliano 35. Julius 2742. Bramsen 1297. Essling 2584. D’Auria 98.)

RICCIARDI n° 94. BRAMSEN. n° 1297. SICILIANO n° 35.

Napoli, MUSEO DI SANMARTINO. Manca in ARGENTO. (È presente solo in BRONZO)

Napoli, MUSEO NAZIONALE. MANCA. Collezione Banco di Napoli Asta CHRISTIE’S del 1992. Manca in ARGENTO (È presente solo in BRONZO).

Considerazioni: Significativo è il segno del comando stretto nella mano sinistra, a testimoniare la sua presenza sul campo di battaglia di Dresda da RE e non da semplice comandante.


Historia

Ridotto l’esercito sul Niemen, Buonaparte, movendo per Parigi, lasciò luogotenente il Re di Napoli. Continuava la ritirata e la guerra, ma il verno decadeva e l’esercito, giunto dietro all’Oder, ristoravasi con le immense provviste ivi adunate, quando il Generale Yorck con le squadre di Prussia disertò i campi francesi, e abbisognarono abili provvedimenti del duca di Reggio e nuovi fatti d’armi per dar riparo allo inatteso abbandono. Ma infine condotto l’esercito francese a stanze comode e sicure, fermati i Russi, terminò la guerra del 1812; e Gioacchino, deponendo in mano del Vicerè d’Italia il comando supremo, celeremente ritornò in Napoli, movendo dietro di lui il contingente napoletano; che, sebbene non guerreggiasse ne’ luoghi più aspri della Russia, ebbe assai morti di gelo,o moncati delle dita delle mani e de’ piedi. L’abbandono che fece Gioacchino dell’esercito francese gli fu danno ed onta: il suo regno riposava, perché, già spente le discordie civili, e la Sicilia travagliata da’ propri destini, e la Inghilterra intesa alle guerre di Germania e di Spagna, la reggente, con animo e senno virile, provvedeva e bastava a’ bisogni dello Stato. Egli era sull’Oder non Re, ma capitano, né cittadino di Napoli,ma Francese: là stava, ed afflitta, la sua patria; là stavano in pericolo quelle schiere che gli avevano dato e fama e trono. Buonaparte intesa la partenza di Murat dal campo,fece divolgarla nel Monitore (gazzetta di Francia), aggiungendo biasimi per Gioacchino,e lodi, che più a Gioacchino pungevano, del vicerè; avvegnachè quei due Principi, l’uno più caro alla fortuna, l’altro all’imperatore, sentivano da lunga pezza gelosia tra loro e nemicizia. per quelle pubbliche vendette ancor sazio lo sdegno di Buonaparte, scrisse alla sorella regina di Napoli ingiurie per Gioacchino, chiamandolo mancatore, ingrato, inetto alla politica, indegno del suo parentado, degno per le sue macchinazioni di pubblico e severo castigo. Ed il Re a quel foglio direttamente rispose, e tra l’altro disse: “La ferita al mio onore è già fatta, e non è in potere di Vostra Maestà il medicarla. Voi avete ingiurato un antico compagno d’armi, fedele a voi nei vostri pericoli, non piccolo mezzo delle vostre vittorie, sostegno della vostra grandezza, rianimatore del vostro smarrito coraggio al diciotto brumaire.”Quando si ha l’onore, ella dice, di appartenere alla sua illustre famiglia, nulla debbe farsi che ne arrischi l’interesse o ne adombri lo splendore. Ed io, sire, le dico in risposta che la sua famiglia ha ricevuto de me tanto onore quanto me ne ha dato collegandomi in matrimonio alla Carolina. “Mille volte, benchè Re, sospiro i tempi nei quali, semplice uffiziale, io aveva superiori e non padrone. Divenuto Re, ma in questo grado supremo tirannegiato da Vostra Maestà, dominato in famiglia, ho sentito più che non mai bisogno d’indipendenza, sete di libertà. Così voi affliggete, così sacrificate al vostro sospetto gli uomini più fidi a voi, e che meglio vi ha servito nello stupendo cammino della vostra fortuna; così Fouchè fu immolato a Savary, Talleyrand a Champagny, Champagny stesso a Bassano, e Murat a Bauharnais, che appresso voi ha il merito della muta obbedienza e l’altro (più gradito perché più servile) di aver lietamente annunziato al senato di Francia il ripudio di sua madre. Io più non posso negare al mio popolo un qualche ristoro di commercio ai danni gravissimi che la guerra marittima gli arreca. “Da quanto ho detto, di Vostra Maestà e di me, deriva che la scambievole antica fiducia è alterata. Ella farà ciò che più le aggrada, ma qualunque siano i sui torti, io sono ancora suo fratello e fedel cognato – GIOACCHINO”.

Piazza Murat, progetto di sistemazione, Museo San Martino

Mentre la scaltra e sospettosa regina, esperta ad ammollire gl’impeti del marito e gli odii del fratello, parlava all’uno, scriveva all’altro in amichevoli sensi. E Buonaparte, o che cedesse per amor di lei, o che vedesse i pericoli del tradimento, rispose lettere di domestico affetto, pegni di pace per Gioacchino. E nel tempo stesso scrissero al Re il maresciallo Ney ed il ministro Fouchè; dei quali il primo diceva che l’esercito impazientava non vedendo ancora tra le file il Re di Napoli, che la cavalleria apertamente lo appellava, che forse il destino di Francia stava nel suo braccio: corresse su l’Elba. Il Re Gioacchino, in quei giorni di vicina guerra, offertosi all’imperatore con riverenza e contegno, n’era stato lietamente accolto ed abbracciato; avvegnachè gli usitati affetti ed il comune pericolo sopivano gli odii e la memoria delle recenti discordie. Il Re, nella ordinanza dell’esercito non aveva proprio uffizio; stava a fianco di Buonaparte, lo seguiva nei combattimenti della Slesia e della Boemia; aspettava (impaziente a prorompere) il comando dell’imperatore; e se fosse permessa una immagine ai severi discorsi della storia, era fulmine trattanuto in man di Giove. Il maggior nerbo degli eserciti alleati assaltava Dresda, difesa da quindicimila appena, giovani francesi, o mal sicuri confederati; ma vi accorsero celeremente dalla Slesia con nuove schiere Buonaparte e Murat, e si chè, resistendo a fatica nei primi giorni, si adunarono in città centocinquemila Francesi, avendo intorno duecentomila nemici. In quello esercito di Francia, ordinato a battaglia, reggeva il tutto e guidava il centro Buonaparte, l’ala sinistra Ney, la diritta Murat. A’ 26 di agosto fu assaltata la città, entro la quale, dietro alle chiuse porte, stavano schierati e stretti i difensori; ma ad un cenno del capo, aperte le barriere, ne uscirono come torrenti di guerra le preparate colonne: Gioacchino, primo e reggitore di trentamila soldati a cavallo, attaccando sul fianco l’esercito nemico lo rompeva, spingeva i fuggenti su le schiere ordinate, e così a tutti, affollati e confusi, toglieva o scemava facoltà di combattere. E poco meno felici furono il centro e l’ala sinistra dei francesi, per lo che Russi, Alemanni e Prussiani, tornavano frettolosi e disordinati verso Boemia. Tre giorni durò la battaglia, ventimila dei perditori restarono morti o feriti, il vincitore raccolse trentamila prigioni, bandiere, artiglierie, attrezzi di guerra. Il mancamento di Gioacchino sull’Oder fu riscattato su l’Elba, ed egli tornò caro a Buonaparte ed ai Francesi. (Pietro Colletta)


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