In questo
articolo parleremo di alcune importanti medaglie coniate nel 1813
per commemorare il ritorno di re Gioacchino Murat a Napoli dalla
campagna di Russia dopo la famosissima battaglia di Dresda. Il
finissimo ritratto del sovrano raffigurato sulla medaglia di bronzo
nella foto 1 è indubbiamente il più bel ritratto sulle medaglie
napoletane del decennio francese che si conosca, è incredibile come
la mano dell’incisore abbia potuto incidere una capigliatura così
folta e alto-rilevante. Ad eccezione del conio della medaglia
dell’Istituto dei Salesiani del Febbraio 1812, quelli delle altre
medaglie napoletane del decennio napoleonico non venivano firmati
dagli incisori ma con molta probabilità quello per la medaglia della
campagna di Russia fu inciso da Filippo Rega. Lo stile con cui fu
inciso re Gioacchino e la presenza della lettera “K” nella parola
“IOAKIMUS” fa supporre che si sia ispirato ad un ritratto di stile
ellenistico di Alessandro Magno. Purtroppo dopo aver battuto le
primissime medaglie, dato l’enorme peso del bilanciere con cui
veniva sottoposta la battitura delle medaglia, il conio del dritto
iniziò a lesionarsi irreparabilmente e tutte le medaglie successive
uscirono dalla zecca già con un’escrescenza di metallo diagonale.
Posso affermare che, a differenza di quanto scritto da Tommaso
Siciliano nella sua celebre opera sulle medaglie napoletane del
decennio francese, la medaglia avente il conio di tipo “ellenistico”
fu battuta per prima. Dopo essersi resi conto della rottura
irreparabile di un così splendido conio si provvide ad incidere un
secondo (foto 2) di disegno però diverso, è evidente infatti che dal
punto di vista artistico il primo ritratto è di gran lunga superiore
al successivo sia per finezza che per bellezza espressiva del
sovrano. Sono al corrente dell’esistenza di un esemplare in oro di
inestimabile valore appartenuto al principe Sigismondo d’Austria
venduto in una prestigiosa battuta d’asta negli anni trenta ed ora
appartenente a chissà quale fortunato grande collezionista, basti
pensare infatti che nell’asta Christie’s del 1992 dove vennero
proposte medaglie della più grande rarità, erano presenti solo due
esemplari in bronzo riportanti i due ritratti conosciuti. È la prima
volta quindi che viene presentato al pubblico un articolo nei quali
sono presenti un esemplare in bronzo ed uno in argento (quest’ultimo
di esimia rarità). Per quanto riguarda invece il rovescio c’è da
dire che quest’ultimo è stato meno sfortunato del dritto in quanto
l’inizio di lesione permise comunque di andare avanti nella
coniazione anche, queste medaglie presentano infatti nel 99 per
cento dei casi una rigonfiamento sulla superficie in prossimità
della parte sottostante alle zampe del cavallo. Anche qui possiamo
affermare che l’incisore curò in particolar modo il rovescio e si
noti infatti la finezza incisiva, la perfezione dei minimi
particolari del sovrano del cavallo e della vittoria alata. Il
sovrano è raffigurato mentre incita alla carica i suoi cavalieri
contro il nemico, nella mano sinistra c’è uno scettro, stante a
significare quest’ultimo che anche in battaglia era pur sempre un
sovrano e non un semplice cavaliere. Esistono dei rifacimenti di
suddette medaglie coniate però verso la metà dell’ottocento
riportanti la scritta copie o cuivre o argent sul contorno (foto 2).
È evidentissima la differenza tra quella autentica e quella postuma,
sia per la finezza del conio che per l’altezza dei rilievi.
D. IOAKIMVS
NAPOLEO VTR SICIL REX Effigie del re a destra.
R. REDITVS
AVGVSTI . Gioacchino Murat, al galoppo, indossa la corazza,
la clamide, l’elmo, voltato indietro incita i suoi all’attacco;
nella sinistra stringe lo scettro del comando. Vittoria alata lo
incorona .All’esergo: O.P.Q.NEAPOLITANVS\OPTIMO PRINCIPI\
A.MDCCCXIII.
RARISSIMA
DIAM. mm. 42
RICCIARDI n° 93.
BRAMSEN. 1296. SICILIANO. 36.
Napoli, MUSEO DI
SAN.MARTINO. Da un sopraluogo fatto di persona al citato museo manca in ARGENTO nonostante il Ricciardi affermi di averla avuta.
(E’ presente solo in BRONZO)
Napoli, MUSEO
NAZIONALE. MANCA. Collezione Banco di Napoli – Asta CHRISTIE’S DEL
1992 n°93.
Bronzo – 1°
Tipo - Come sopra ma copia francese postuma (1840 ca) – scritta
“COPIE” nel taglio
Bronzo 2° TIPO
D.
IOACHIMUS
NAPOLEO NEAP. ET SICILIAE REX
Testa del re a
sinistra
R. REDITVS
AVGVSTI . Gioacchino Murat, galeato e corazzato, retrospiciente,
a cavallo verso destra incita all'attacco; nella sinistra stringe lo
scettro del comando. Nel campo in alto, la Vittoria lo incorona.
All'esergo, O.P.Q. NEAPOLITANVS / OPTIMO PRINCIPI / A.MDCCCXIII
(Ricciardi 94.
Siciliano 35. Julius 2742. Bramsen 1297. Essling 2584. D’Auria 98.)
RICCIARDI n° 94.
BRAMSEN. n° 1297. SICILIANO n° 35.
Napoli, MUSEO DI
SANMARTINO. Manca in ARGENTO. (È presente solo in BRONZO)
Napoli, MUSEO
NAZIONALE. MANCA. Collezione Banco di Napoli Asta CHRISTIE’S del
1992. Manca in ARGENTO (È presente solo in BRONZO).
Considerazioni:
Significativo è il segno del comando stretto nella mano sinistra, a
testimoniare la sua presenza sul campo di battaglia di Dresda da RE e
non da semplice comandante.
Historia
Ridotto
l’esercito sul Niemen, Buonaparte, movendo per Parigi, lasciò
luogotenente il Re di Napoli. Continuava la ritirata e la guerra, ma
il verno decadeva e l’esercito, giunto dietro all’Oder, ristoravasi
con le immense provviste ivi adunate, quando il Generale Yorck con
le squadre di Prussia disertò i campi francesi, e abbisognarono
abili provvedimenti del duca di Reggio e nuovi fatti d’armi per dar
riparo allo inatteso abbandono. Ma infine condotto l’esercito
francese a stanze comode e sicure, fermati i Russi, terminò la
guerra del 1812; e Gioacchino, deponendo in mano del Vicerè d’Italia
il comando supremo, celeremente ritornò in Napoli, movendo dietro di
lui il contingente napoletano; che, sebbene non guerreggiasse ne’
luoghi più aspri della Russia, ebbe assai morti di gelo,o moncati
delle dita delle mani e de’ piedi. L’abbandono che fece Gioacchino
dell’esercito francese gli fu danno ed onta: il suo regno riposava,
perché, già spente le discordie civili, e la Sicilia travagliata da’
propri destini, e la Inghilterra intesa alle guerre di Germania e di
Spagna, la reggente, con animo e senno virile, provvedeva e bastava
a’
bisogni
dello Stato. Egli era sull’Oder non Re, ma capitano, né cittadino di
Napoli,ma Francese: là stava, ed afflitta, la sua patria; là stavano
in pericolo quelle schiere che gli avevano dato e fama e trono.
Buonaparte intesa la partenza di Murat dal campo,fece divolgarla nel
Monitore (gazzetta di Francia), aggiungendo biasimi per
Gioacchino,e
lodi, che
più a Gioacchino pungevano, del vicerè; avvegnachè quei due
Principi, l’uno più caro alla fortuna, l’altro all’imperatore,
sentivano da lunga pezza
gelosia
tra loro e
nemicizia.
Né
per quelle pubbliche vendette ancor sazio lo sdegno di Buonaparte,
scrisse alla sorella regina di Napoli ingiurie per Gioacchino,
chiamandolo mancatore, ingrato, inetto alla politica, indegno del
suo parentado, degno per le sue macchinazioni di pubblico e severo
castigo. Ed il Re a quel foglio direttamente rispose, e tra l’altro
disse: “La ferita al mio onore è già fatta, e non è in potere di
Vostra Maestà il medicarla. Voi avete ingiurato un antico compagno
d’armi, fedele a voi nei vostri pericoli, non piccolo mezzo delle
vostre vittorie, sostegno della vostra grandezza, rianimatore del
vostro smarrito coraggio al diciotto brumaire.”Quando si ha
l’onore, ella dice, di appartenere alla sua illustre famiglia, nulla
debbe farsi che ne arrischi l’interesse o ne adombri lo splendore.
Ed io, sire, le dico in risposta che la sua famiglia ha ricevuto de
me tanto onore quanto me ne ha dato collegandomi in matrimonio alla
Carolina. “Mille volte, benchè Re, sospiro i tempi nei quali,
semplice uffiziale, io aveva superiori e non padrone. Divenuto Re,
ma in questo grado supremo tirannegiato da Vostra Maestà, dominato
in famiglia, ho sentito più che non mai bisogno d’indipendenza, sete
di libertà. Così voi affliggete, così sacrificate al vostro sospetto
gli uomini più fidi a voi, e che meglio vi ha servito nello stupendo
cammino della vostra fortuna; così Fouchè fu immolato a Savary,
Talleyrand a Champagny, Champagny stesso a Bassano, e Murat a
Bauharnais, che appresso voi ha il merito della muta obbedienza e
l’altro (più gradito perché più servile) di aver lietamente
annunziato al senato di Francia il ripudio di sua madre. Io più non
posso negare al mio popolo un qualche ristoro di commercio ai danni
gravissimi che la guerra marittima gli arreca. “Da quanto ho detto,
di Vostra Maestà e di me, deriva che la scambievole antica fiducia è
alterata. Ella farà ciò che più le aggrada, ma qualunque siano i sui
torti, io sono ancora suo fratello e fedel cognato – GIOACCHINO”.
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Piazza Murat, progetto di
sistemazione, Museo San Martino |
Mentre la scaltra e sospettosa regina, esperta ad ammollire gl’impeti
del marito e gli odii del fratello, parlava all’uno, scriveva
all’altro in amichevoli sensi. E Buonaparte, o che cedesse per amor
di lei, o che vedesse i pericoli del tradimento, rispose lettere di
domestico affetto, pegni di pace per Gioacchino. E nel tempo stesso
scrissero al Re il maresciallo Ney ed il ministro Fouchè; dei quali
il primo diceva che l’esercito impazientava non vedendo ancora tra
le file il Re di Napoli, che la cavalleria apertamente lo appellava,
che forse il destino di Francia stava nel suo braccio: corresse su
l’Elba. Il Re Gioacchino, in quei giorni di vicina guerra, offertosi
all’imperatore con riverenza e contegno, n’era stato lietamente
accolto ed abbracciato; avvegnachè gli usitati affetti ed il comune
pericolo sopivano gli odii e la memoria delle recenti discordie. Il
Re, nella ordinanza dell’esercito non aveva proprio uffizio; stava a
fianco di Buonaparte, lo seguiva nei combattimenti della Slesia e
della Boemia; aspettava (impaziente a prorompere) il comando
dell’imperatore; e se fosse permessa una immagine ai severi discorsi
della storia, era fulmine trattanuto in man di Giove. Il
maggior nerbo degli eserciti alleati assaltava Dresda, difesa da
quindicimila appena, giovani francesi, o mal sicuri confederati; ma
vi accorsero celeremente dalla Slesia con nuove schiere Buonaparte e
Murat, e si chè, resistendo a fatica nei primi giorni, si adunarono
in città centocinquemila Francesi, avendo intorno duecentomila
nemici. In quello esercito di Francia, ordinato a battaglia, reggeva
il tutto e guidava il centro Buonaparte, l’ala sinistra Ney, la
diritta Murat. A’ 26 di agosto fu assaltata la città, entro la
quale, dietro alle chiuse porte, stavano schierati e stretti i
difensori; ma ad un cenno del capo, aperte le barriere, ne uscirono
come torrenti di guerra le preparate colonne: Gioacchino, primo e
reggitore di trentamila soldati a cavallo, attaccando sul fianco
l’esercito nemico lo rompeva, spingeva i fuggenti su le schiere
ordinate, e così a tutti, affollati e confusi, toglieva o scemava
facoltà di combattere. E poco meno felici furono il centro e l’ala
sinistra dei francesi, per lo che Russi, Alemanni e Prussiani,
tornavano frettolosi e disordinati verso Boemia. Tre giorni durò la
battaglia, ventimila dei perditori restarono morti o feriti, il
vincitore raccolse trentamila prigioni, bandiere, artiglierie,
attrezzi di guerra. Il mancamento di Gioacchino sull’Oder fu
riscattato su l’Elba, ed egli tornò caro a Buonaparte ed ai
Francesi. (Pietro Colletta)
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