Le Monografie storiche di Giuseppe Ressa

Il Regno delle Due Sicilie prima dell’Unità

Il rapporto con la Chiesa

Medaglia in bronzo del 1755 per il Concordato tra Carlo di Borbone e la Santa Sede (collezione Francesco di Rauso, Caserta). Clicca sull'immagine per ingrandire.

Testo di Giuseppe Ressa

Editing e immagini a cura di Alfonso Grasso

Il Sud era considerato dal Papa uno stato vassallo e Re Carlo, coadiuvato nel governo dal ministro Bernardo Tanucci (1698-1782), cominciò un opera di affrancamento da questa secolare sudditanza: realizzò un catasto che permise la tassazione dei beni ecclesiastici [cosa più unica che rara in Europa, non esisteva neanche in Francia], stipulò il 2 giugno 1741 un Concordato col papa in cui i privilegi del clero, come il diritto di asilo e la sostanziale immunità penale, erano ridotti.

Nel 1759, alla morte del fratello Ferdinando VI, Carlo fu proclamato re di Spagna e abdicò in favore del figlio minorenne Ferdinando IV (poi I); per mano del ministro Bernardo Tanucci si continuò l’opera di affrancamento dalla Chiesa: nel 1767 furono addirittura espulsi tutti i gesuiti dal regno, il reddito e la vendita dei loro beni servirono per istituire le prime scuole pubbliche d’Italia (e ospedali per l’esercito); i sacerdoti esiliati erano circa 800 e furono portati su nave nello Stato della Chiesa assegnando loro un vitalizio. Nel 1776 Ferdinando soppresse l’omaggio feudale della Chinea, “una cavalla bianca ingualdrappata, con sopra il basto uno scrigno di denari e gioielli (per un valore di 7000 ducati) che, dai tempi di Carlo d’Angiò, il re di Napoli ogni anno, il 29 giugno deve al papa in segno di vassallaggio [1], fece dei tentativi per limitare l’esorbitante numero di ecclesiastici che nel 1786 erano circa centomila con un rapporto di 1 ogni 48 abitanti e che detenevano, non esistendo ancora l’anagrafe, il controllo dello stato civile delle persone (nascita, matrimonio,morte) nonché la funzione di pubblica istruzione nella veste di insegnanti.

Con il Concordato del 25 febbraio 1818 (rinnovato nel 1834), furono ridotte le diocesi del Regno e solo 22 di esse rimasero direttamente soggette alla Santa Sede, nelle altre si confermò il diritto reale di nominare i vescovi (art. 28) che giuravano fedeltà al re promettendogli anche collaborazione contro individui sospetti per la sicurezza dello Stato (art. 29). Fu però riesumato il tributo annuo, in misura di dodicimila ducati, come pure il monopolio clericale dell’insegnamento scolastico; ristabiliti la censura sulla stampa e, parzialmente, il foro ecclesiastico; complessivamente, quindi, un grosso arretramento che scontentò gli intellettuali meridionali i quali vedevano, in tutto ciò, una lesione gravissima alla dignità dello Stato. Nel 1821 furono richiamati nel regno i Gesuiti che si ripresero il monopolio quasi assoluto della istruzione della scuola media.

La religiosità del popolo meridionale rimase sempre fortissima anche se alcuni viaggiatori stranieri, di religione protestante, affermavano che era una “cristianità senza Cristo [2], perchè tutti si affidavano ad un santo per intercedere presso Dio (San Gennaro e Sant’Antonio, solo per citare i due più “gettonati”) si parlava anche di superstizione e di fanatismo religioso di cui si rimarcano negativamente gli aspetti esteriori (le pratiche di scongiuro e anti-jella diffusissime anche a livello delle classi alte e persino nei sovrani, le urla e le imprecazioni in chiesa nel corso della liquefazione del sangue di San Gennaro).

Comunque sia, le funzioni religiose scandivano la vita quotidiana del Regno: la recita del rosario, le processioni, la tradizione natalizia del presepio: “fu Carlo di Borbone a favorire la creazione di un artigianato che si dedicasse alla sua costruzione, unanime e feconda fu la risposta del popolo meridionale; nel 1736 fondò a Capodimonte una bottega artigiana da cui uscirono ben presto piccoli capolavori di arte presepistica. Vi lavorava lui stesso, il re di Napoli, entusiasmando gli artisti e cimentandosi in geniale emulazione. E anche la regina Maria Amalia collaborava animando un laboratorio installato in un salone della corte per la confezione e l’adornamento degli abiti per le statuine. Il re promosse anche una specie di “concorso del presepio” nelle case private, visitando di persona quelli meglio riusciti“.[3]

Nella Costituzione del 1848, nell’articolo 3 si affermava che “l’unica religione dello Stato era quella Cristiana Cattolica Romana, senza che possa essere mai permesso l’esercizio di alcun’altra Religione” e la Santa Sede ricominciò a pretendere l’omaggio feudale della Chinea. Ferdinando II risolse l’annosa questione, nel 1855, con un’offerta una tantum di 10 mila ducati [160 mila euro attuali] per la costruzione di un monumento, a piazza di Spagna di Roma, in onore dell’Immacolata Concezione il cui dogma era stato affermato dal pontefice; ancora oggi il Papa si reca in quel luogo, ogni 8 dicembre, ad omaggiare la Madonna.

Medaglia del 1849 in bronzo coniata a Napoli per l’ospitalità del Papa Pio IX a Napoli (collezione Francesco di Rauso, Caserta). Clicca sull'immagine per ingrandire.

Nel 1857 ci furono vari decreti regi nei quali si concesse la sepoltura nelle chiese e nelle cappelle agli ecclesiastici, si prevedevano anche per essi: che i processi avvenissero a porte chiuse e per i vescovi la possibilità di scontare la pena in un convento; agevolazioni fiscali, la facoltà della revisione sulla stampa dei libri nazionali ed esteri, l’affidamento ai vescovi del Consiglio dell’Istruzione pubblica e dell’incarico di Ispettori per tutti i tipi di scuole, nonché altre disposizioni su matrimoni religiosi e nomine ecclesiastiche. Tutti questi provvedimenti fecero si che lo Stato delle Due Sicilie venisse bollato dagli intellettuali come “confessionale” e non laico.

Giuseppe Ressa


Note

[1] Enzo Striano, Il resto di niente, Avagliano editore, 2002, pag. 52

[2] A.Mozzillo, “Passaggio a Mezzogiorno”, Leonardo editore , 1993, pag. 382, modif.

[3] Lino Temperini, “Monumentale Presepio Napoletano del Settecento”, Roma, Basilica dei Santi Cosma e Damiano


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