Testo di
Giuseppe Ressa
Editing e immagini a cura di
Alfonso Grasso
Il Sud era considerato dal Papa uno stato vassallo e Re
Carlo, coadiuvato nel governo dal ministro Bernardo
Tanucci (1698-1782), cominciò un opera di affrancamento
da questa secolare sudditanza: realizzò un catasto che
permise la tassazione dei beni ecclesiastici [cosa più
unica che rara in Europa, non esisteva neanche in
Francia], stipulò il
2 giugno 1741 un Concordato col papa
in cui i privilegi del clero, come il diritto di asilo e
la sostanziale immunità penale, erano ridotti.
Nel 1759, alla morte del fratello Ferdinando VI, Carlo
fu proclamato re di Spagna e abdicò in favore del figlio
minorenne Ferdinando IV (poi I); per mano del ministro
Bernardo Tanucci si continuò l’opera di
affrancamento dalla Chiesa: nel 1767 furono addirittura
espulsi tutti i gesuiti dal regno, il reddito e la
vendita dei loro beni servirono per istituire le prime
scuole pubbliche d’Italia (e ospedali per l’esercito); i
sacerdoti esiliati erano circa 800 e furono portati su
nave nello Stato della Chiesa assegnando loro un
vitalizio. Nel 1776 Ferdinando soppresse l’omaggio
feudale della
Chinea, “una cavalla bianca ingualdrappata, con
sopra il basto uno scrigno di denari e gioielli (per un
valore di 7000 ducati) che, dai tempi di Carlo d’Angiò,
il re di Napoli ogni anno, il 29 giugno deve al papa in
segno di vassallaggio”
[1],
fece dei tentativi per limitare l’esorbitante numero di
ecclesiastici che nel 1786 erano circa centomila con un
rapporto di 1 ogni 48 abitanti e che detenevano, non
esistendo ancora l’anagrafe, il controllo dello stato
civile delle persone (nascita, matrimonio,morte) nonché
la funzione di pubblica istruzione nella veste di
insegnanti.
Con il Concordato del 25 febbraio 1818 (rinnovato nel 1834), furono ridotte le
diocesi del Regno e solo 22 di esse rimasero
direttamente soggette alla Santa Sede, nelle altre si
confermò il diritto reale di nominare i vescovi (art.
28) che giuravano fedeltà al re promettendogli anche
collaborazione contro individui sospetti per la
sicurezza dello Stato (art. 29). Fu però riesumato il
tributo annuo, in misura di dodicimila ducati, come pure
il monopolio clericale dell’insegnamento scolastico;
ristabiliti la censura sulla stampa e, parzialmente, il
foro ecclesiastico; complessivamente, quindi, un grosso
arretramento che scontentò gli intellettuali meridionali
i quali vedevano, in tutto ciò, una lesione gravissima
alla dignità dello Stato. Nel 1821 furono richiamati nel
regno i Gesuiti che si ripresero il monopolio quasi
assoluto della istruzione della scuola media.
La religiosità del popolo meridionale rimase sempre
fortissima anche se alcuni viaggiatori stranieri, di
religione protestante, affermavano che era una “cristianità
senza Cristo”
[2],
perchè tutti si affidavano ad un santo per intercedere
presso Dio (San Gennaro e Sant’Antonio, solo per citare
i due più “gettonati”) si parlava anche di
superstizione e di fanatismo religioso di cui si
rimarcano negativamente gli aspetti esteriori (le
pratiche di scongiuro e anti-jella diffusissime anche a
livello delle classi alte e persino nei sovrani, le urla
e le imprecazioni in chiesa nel corso della liquefazione
del sangue di San Gennaro).
Comunque sia, le funzioni religiose scandivano la vita
quotidiana del Regno: la recita del rosario, le
processioni, la tradizione natalizia del presepio: “fu
Carlo di Borbone a favorire la creazione di un
artigianato che si dedicasse alla sua costruzione,
unanime e feconda fu la risposta del popolo meridionale;
nel 1736 fondò a Capodimonte una bottega artigiana da
cui uscirono ben presto piccoli capolavori di arte
presepistica. Vi lavorava lui stesso, il re di Napoli,
entusiasmando gli artisti e cimentandosi in geniale
emulazione. E anche la regina Maria Amalia collaborava
animando un laboratorio installato in un salone della
corte per la confezione e l’adornamento degli abiti per
le statuine. Il re promosse anche una specie di
“concorso del presepio” nelle case private, visitando di
persona quelli meglio riusciti“.[3]
Nella Costituzione del 1848, nell’articolo 3 si
affermava che “l’unica religione dello Stato era
quella Cristiana Cattolica Romana, senza che possa
essere mai permesso l’esercizio di alcun’altra Religione”
e
la Santa Sede
ricominciò a pretendere l’omaggio feudale della Chinea.
Ferdinando II risolse l’annosa questione, nel 1855, con
un’offerta una tantum di 10 mila ducati [160 mila euro
attuali] per la costruzione di un monumento, a piazza di
Spagna di Roma, in onore dell’Immacolata Concezione il
cui dogma era stato affermato dal pontefice; ancora oggi
il Papa si reca in quel luogo, ogni 8 dicembre, ad
omaggiare la Madonna.
Nel 1857 ci furono vari decreti regi nei quali si
concesse la sepoltura nelle chiese e nelle cappelle agli
ecclesiastici, si prevedevano anche per essi: che i
processi avvenissero a porte chiuse e per i vescovi la
possibilità di scontare la pena in un convento;
agevolazioni fiscali, la facoltà della revisione sulla
stampa dei libri nazionali ed esteri, l’affidamento ai
vescovi del Consiglio dell’Istruzione pubblica e
dell’incarico di Ispettori per tutti i tipi di scuole,
nonché altre disposizioni su matrimoni religiosi e
nomine ecclesiastiche. Tutti questi provvedimenti fecero
si che lo Stato delle Due Sicilie venisse bollato dagli
intellettuali come “confessionale” e non laico.
Giuseppe Ressa
Note
[1]
Enzo Striano, Il resto di niente, Avagliano
editore, 2002, pag. 52
[2]
A.Mozzillo, “Passaggio a Mezzogiorno”, Leonardo
editore , 1993, pag. 382, modif.
[3]
Lino Temperini, “Monumentale Presepio Napoletano
del Settecento”, Roma, Basilica dei Santi Cosma
e Damiano
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